Tria Ministro dell’Economia
Mentre tutti parlano come fossero ministri dell’Economia,
l’unico a non parlare finora è stato il ministro dell’Economia, impegnato in
questi primi giorni di governo a far di conto ma anche a far capire che «ogni
parola può influenzare i mercati». Finora l’appello del professor Tria è caduto
nel vuoto. Sebbene lo spread in salita e la Borsa in discesa dimostrino la
fondatezza delle sue preoccupazioni, il chiacchiericcio prosegue al ritmo
d’inflazione argentina, con i leghisti che si accapigliano sulla modalità
d’avvio della flat tax e i grillini che discutono sulla ridefinizione lessicale
del reddito di cittadinanza.
Il neo titolare di via XX Settembre tenta di far presa sui
colleghi, nonostante Salvini giuri che «l’Italia non sarà più schiava
dell’Europa», Fraccaro indichi nello strumento referendario un modo per
risolvere (anche) la questione «euro sì» «euro no», e Di Maio assicuri che
oltre al blocco dell’aumento dell’Iva saranno garantite tutte le promesse
elettorali. Le coperture? «Ci sta lavorando il ministro dell’Economia».
Ecco. A parte la difficoltà di reperire le risorse che
servirebbero per scongiurare le clausole di salvaguardia, il vero problema di
Tria è convincere i suoi interlocutori della gravità del momento, perché — con
il debito pubblico a fare da zavorra — tra il rallentamento dell’economia
mondiale e l’imminente fine dello «scudo» europeo, il Paese rischia. «Perciò
bisogna andare con i piedi di piombo», dice. E pare di sentire il governatore
Visco, secondo cui «a fare il passo più lungo della gamba si può finire nel
burrone». Ma nessuno nel governo e in maggioranza al momento intende
abbracciare «l’arte del tacere», e la disperazione del ministro è compresa
dagli amici accademici, ce n’è traccia in un editoriale del professor Sapelli,
che ieri su Sussidiario.net ha cercato di aiutarlo, esortando Di Maio e Salvini
al «silenzio operoso».
La bufala
Speriamo che si ricordi di essere anche Ministro delle
Finanze e che il sistema di accertamento e riscossione è fatto in modo di
aggravare la posizione del contribuente addossandogli oneri costosi che fanno
perdere un sacco di tempo e scoraggiano iniziative atte a produrre reddito e lavoro.
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