venerdì 17 gennaio 2020

Tavola di Santa Agata Cremona Italia Nostra

Sua Eccellenza Monsignor Antonio Napolioni,
sono Anna Lucia Maramotti Politi, pro tempore presidente della Sezione di Italia Nostra di Cremona. Mi scuso anticipatamente se oso disturbarLa. Motivo di riflessione degli Iscritti e mia riguarda lo spostamento della tavola di S. Agata. Non è certo poca cosa.
Siamo convinti che quanto Lei troverà in queste poche righe sia stato già oggetto di valutazione da parte Sua, ciò nonostante ci corre l’obbligo di chiederLe qualche minuto d’attenzione per un confronto.
Va ricordato che la scoperta della tavola è dovuta all’emerito studioso Prof. Ugo Gualazzini. Il ritrovamento ha consentito non solo di recuperare alla fruizione un’opera d’arte prestigiosa, ma di restituire alla chiesa quell’aspetto identitario che la caratterizza e che le consente di collocarsi nella storia cittadina sia civile sia ecclesiastica.
La chiesa di S. Agata, come è noto, poteva fregiarsi del titolo di chiesa “mitrata”. La storia della chiesa si colloca fortemente nel contesto urbano. Si tratta di pagine di storia locale, ma come ben si evince dal passo di Giosia, re che ordina la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, le testimonianze storiche non costituiscono una semplice salvaguardia della conoscenza del passato, ma attivano la memoria che progetta il futuro.
Spogliare la chiesa, spostando in altro ambiente la tavola, immagine che la identifica più di altre, comporta destinarla a decadimento. È noto come una civiltà si mantenga nel tempo quando i suoi segni sono vivi, espressione di un linguaggio che sa trasmettere. Nel momento in cui la tavola verrà spostata per essere musealizzata, non osiamo pensare come nella chiesa, dedicata alla Santa, s’interrompa una memoria, anzi la si privi della testimonianza più significativa.
Se poi facessimo riferimento al valore estetico della tavola, l’aura, che la circonda nel luogo dove ora è collocata, verrà meno: la fruibilità estetica e devozionale verranno interrotte. Questo accadrà anche per la cappella, ambiente ove ora la tavola è ospitata.
Ci consenta di ricordare quanto scriveva A. C. Quatremère di Quincy nel 1796 al generale Miranda. Lo studioso, nel documento, sollecitava il generale napoleonico di lasciare le opere “in situ”. Neppure va dimenticato quanto, in tempi non tanto lontani, scriveva W. Benjamin, intorno all’aura. Ciò che le opere esprimono, se mantenute nel loro contesto, è un fil rouge che accompagna la riflessione storica, estetica e antropologica. Si può supporre che questo pensiero fosse condiviso dal Vescovo Antonio Novasconi, quando questi si recò a Torino per chiedere al novello Re d’Italia che S. Domenico in Cremona non venisse distrutto. La quadreria di maggior valore, allora presente e contestuale alla chiesa, oggi è oggetto di mera fruizione estetica nella sala dei quadri del Comune e nella sala del museo dedicata a S. Domenico.
Non tocca certo a noi far riferimento alle Instructiones Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae di S. Carlo Borromeo, ma quanto ancor oggi si evince dalla lettura del testo è che le opere d’arte non vanno decontestualizzate. Neppure la loro funzione religiosa va ritenuta estranea all’arte, anzi quest’ultima è a supporto dei valori della fede. Un’opera è tale quando la fruibilità è contestuale alla sua funzione d’uso. Solo in estremi casi la funzione d’uso, divenuta obsoleta, consente d’enfatizzare l’aspetto estetico.
Personalmente, sospendendo il ruolo di Presidente, ma da semplice fedele non mi sembra che la tavola debba perdere la sua funzione devozionale. In un museo si contempla l’arte, non si contempla l’azione misericordiosa e salvifica di Dio. In un museo non si prega.
In me la coscienza di fedele e l’eco dell’estetica di von Balthasar hanno avuto il sopravvento sul mio ruolo istituzionale.
I Consiglieri della Sezione di Cremona di Italia Nostra ed io siamo convinti che la funzione del museo diocesano in fieri sia quella di ospitare non solo opere d’arte e oggetti religiosi che nelle chiese sono in stato di abbandono, ma anche opere che provengono da munifiche donazioni.
D’altro canto riteniamo che i beni contestuali alle chiese non debbano essere spostati, in quanto opere che caratterizzano la storia e la cultura locale.
Quante opere, un tempo possedute dalla Diocesi, sono ora lasciate nei depositi di istituzioni laiche, come quelle ad esempio nel museo civico “Ala Ponzone”! Queste potrebbero essere esposte nel museo diocesano. Quanti collezionisti si sentirebbero onorati di lasciare alla Chiesa le loro prestigiose opere!
I beni presenti nelle chiese dovrebbero rimanere dove sono lì locati, ma potrebbero essere presenti virtualmente nel museo diocesano. Le tecnologie odierne consentono un tale progetto.
Con grande stima, in occasione di queste Sante festività, mi è caro porgere gli auguri più sinceri.
Per il Consiglio della Sezione Cremonese di Italia Nostra
Anna Lucia Maramotti Politi

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