venerdì 10 agosto 2012

S.c.i.a. Legittimità costituzionale. La norma non esclude il potere di autotutela.


La regione Emilia Romagna ha promosso la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in riferimento agli articoli 3, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione.
La disposizione impugnata apporta modifiche ai commi 4 e 6-bis dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Secondo al ricorrente la norma impugnata potrebbe essere interpretata nel senso che, esaurito il termine di trenta giorni concesso dall’art. 19, comma 3, per vietare la prosecuzione dell’attività conseguente a una SCIA, e non ricorrendo alcuno dei casi tassativi presi in esame dal comma 4, l’amministrazione non possa in alcun modo intervenire in presenza di un abuso edilizio, neppure per mezzo del potere di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che le è attribuito dal comma 3 dell’art. 19.
La Corte osserva che non è priva di plausibilità l’interpretazione che collega all’art. 6, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 138 del 2011 l’esclusione del potere di autotutela di cui al comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, a vantaggio dei soli interventi repressivi indicati dal comma 4.
La questione di costituzionalità vertente sull’art. 6, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 138 del 2011, è ugualmente inammissibile, giacché l’interpretazione da cui deriverebbe il vulnus costituzionale, temuto dalla ricorrente, è erronea.
La disposizione impugnata, infatti, può e deve essere letta nel senso che essa non esclude il ricorso, da parte dell’amministrazione, al potere di autotutela previsto dal comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990
L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni (trenta nei casi di Scia in materia edilizia)  dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.
E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorieta' false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonche' di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 , puo' sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo.
Inoltre vi è una ulteriore potestà di intervento configurata dal comma 4.
Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di rimozione dell’attività all'amministrazione e' consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa vigente .
 Il significato della norma  non può essere compreso se la norma non viene inserita nel più ampio contesto costituito dalla configurazione normativa dei poteri amministrativi di repressione dell’abuso edilizio con cui il legislatore ha inteso accompagnare e completare la riforma dei titoli abilitativi all’edificazione, culminata con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività.
Date tali premesse, l’introduzione, da parte dell’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, di un ulteriore potere di intervento pubblico, configurato dal comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, riflette la scelta del legislatore non già di depotenziare irragionevolmente la potestà amministrativa rispetto alla SCIA, ma quella, opposta, di assicurare una protezione ulteriore a taluni preminenti beni giuridici, per i quali si è reputata insoddisfacente la sola via dell’autotutela decisoria.
Per le ragioni esposte la Corte ha escluso che la norma impugnata abbia l’effetto di privare, nella materia edilizia, l’amministrazione del potere di autotutela, che, viceversa, persiste «fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4», cioè congiuntamente all’intervento ammesso in caso di pericolo di danno per gli interessi ivi indicati. Corte Cost. 4.7.2012, n. 188.

Nessun commento:

Posta un commento