sabato 4 marzo 2017

Il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione il ricorso improprio

1           Il ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione il ricorso improprio.


E' possibile ricorrere all'autorità amministrativa contro gli atti non definitivi, ossia quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi.
Dai ricorsi amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla decisione, si distinguono le mere denunce, volte a sollecitare un riesame della decisione medesima.
Il ricorso amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non definitivo.
Gli atti definitivi possono essere impugnati solo con un ricorso giurisdizionale o con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
I ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi gerarchici, che si presentano all'autorità gerarchicamente superiore e ricorsi in opposizione, che si presentano alla stessa autorità che ha emanato l'atto. (Centofanti N. e Centofanti P., Il formulario del diritto amministrativo, 2010, 409).
Ad esempio, contro il provvedimento disciplinare della censura è ammesso ricorso presentato al capo ufficio che l'ha emanato.
Il ricorso gerarchico improprio è ammesso là dove non esiste un vero e proprio rapporto di gerarchia fra l'autorità che ha emanato l'atto e quella preposta alla decisione del ricorso.
Il ricorso amministrativo ha la funzione di definire la materia del contendere in quanto nei successivi rimedi giurisdizionali non è possibile impugnare il provvedimento sotto profili diversi rispetto a quelli già fatti valere. (Cons. St., sez. IV, 2.3.2004, n. 962).
Qualora una autorità amministrativa non risponda all’istanza del ricorrente ed il provvedimento si possa considerare non definitivo, il silenzio può essere oggetto di ricorso amministrativo.


1.1         Il silenzio sul ricorso gerarchico.


La decisione su  ricorso gerarchico può essere impugnata presso la giustizia amministrativa .
La giurisprudenza ha precisato che il  ricorso giurisdizionale proposto avverso il provvedimento di decisione di un ricorso gerarchico, può contenere censure sul cattivo esercizio della funzione giustiziale, come, ad esempio, il difetto di motivazione, onde far emergere, in tale modo, l'illegittimità del provvedimento originariamente impugnato in sede amministrativa. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 23.4.2010, n. 925 , in Foro amm. TAR, 2010, 4, 1505 ) .
E’ evidente che nel ricorso giurisdizionale proposto avverso il provvedimento di decisione di un ricorso gerarchico, non è possibile dedurre motivi non prospettati nella sede contenziosa amministrativa, in quanto, altrimenti, si eluderebbe il termine decadenziale di cui all'art. 21, comma 1, l. 1034 del 6 .12. 1971. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 23.4.2010, n. 925 ).
L'amministrazione decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso per comunicare la propria decisione.
Il silenzio equivale ad una decisione negativa.
Per la giurisprudenza l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in modo espresso sul ricorso gerarchico, dal momento che il comportamento omissivo dell'Amministrazione non è qualificabile in termini di inadempimento avendo per legge valenza provvedimentale di atto di diniego  (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 1512.2009, n. 8768 ).
Il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 6, d.p.r. 1199/1971.
Il silenzio parificato a decisione negativa consente di passare alla fase successiva del gravame che consiste o nel ricorso all'autorità giurisdizionale competente o nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
E' quindi necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei termini per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile il provvedimento amministrativo che in ogni caso è immediatamente eseguibile salvo sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del silenzio rifiuto).
La giurisprudenza amministrativa ha attribuito all’inerzia in materia di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi dell'art.6, d.p.r. 1199/1971, un contenuto meramente processuale.
Al silenzio non corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il ruolo di abilitare l'interessato ricorrente in via gerarchica all’immediata proposizione del ricorso nella sede giurisdizionale.
La giurisprudenza ha precisato che il silenzio sul ricorso gerarchico non è configurabile come provvedimento tacito concludente il procedimento contenzioso, ma come presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario avverso l'unico atto effettivamente emanato dalla p.a., per cui il ricorrente in via gerarchica può reagire in due forme diverse dinanzi al silenzio dell'amministrazione: con il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento originario, ex art. 31, d. lgs. 104/2010, onde ottenerne l'annullamento per motivi di legittimità, oppure con la procedura del silenzio-rifiuto e la conseguente impugnativa giurisdizionale, per costringere la p.a. a pronunciarsi sul ricorso amministrativo e, dunque, anche sulle censure di merito ivi dedotte. (T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 13.3.2010, n. 94 ).
Il decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6, d.p.r. 24 .11. 1971, n. 1199 - entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso dall'Autorità amministrativa adita - non ha effetti sostanziali, ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra:
1) l'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei termini di decadenza, una volta che si sia formato il silenzio rigetto;
2) la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa esplicita, con la duplice conseguenza che, anche se si è formato il silenzio rigetto, l'amministrazione non è, solo per tale fatto, privata della potestà di decidere espressamente il ricorso gerarchico e, simmetricamente, il privato non è spogliato della legittimazione ad opporsi avverso il provvedimento esplicito di rigetto dello stesso. (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19.5.2003, n. 1948, in Foro amm. T.A.R., 2003, 1755).
La scadenza del termine dei 90 giorni previsto dall'art. 6, d.p.r. n. 1199/1971, non estingue il potere dell'amministrazione di decidere il ricorso amministrativo, avendo il soggetto interessato tuttavia la facoltà di proporre ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rigetto, ovvero di attendere, ai fini della eventuale impugnativa, la decisione tardiva dell'amministrazione. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 6.4.2010, n. 663)
Qualora il soggetto interessato  abbia lasciato decorrere i termini di impugnazione non è esposto al rischio della perdurante inerzia dell'autorità decidente , ma può ricorrere utilizzando i rimedi normali del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l'amministrazione a provvedere, ai sensi dell'art. 25,  d.p.r. 3/1957.
Il silenzio concretizza un mero atto di inadempimento cui è correlato l'obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi.
L'effetto precipuo di tale impostazione è che l'obbligo a provvedere non può farsi valere solo nel breve arco decadenziale dei sessanta giorni, ma finché dura per il privato l'interesse alla decisione.

















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