lunedì 6 marzo 2017

La tutela civile risarcitoria in materia di diritti soggettivi.

1.             La tutela civile risarcitoria in materia di diritti soggettivi.



La dottrina ha affermato che l’azione nei confronti del silenzio non è esperibile se il giudice amministrativo non ha giurisdizione sulla pretesa sostanziale e se il ricorrente è titolare di un diritto soggettivo In tal caso bisogna proporre una domanda di accertamento volta ad ottenere il riconoscimento di quel diritto.
La interpretazione è suffragata dalla sentenza 204/2004 della Corte costituzionale che ha valorizzato i comportamenti della p.a.. essa ha escluso al possibilità per il giudice amministrativo la possibilità di sindacare i comportamenti della amministrazione dovendosi ritenere sussistente in materia esclusivamente la giurisdizione del giudice ordinario, ex art. 103 cost. (Gallo C.E., Silenzio e comportamento della p.a. tra giudice amministrativo e giudice ordinario. Nota a Cons. St. , sez. IV, 2 .11..2004, n. 7088, in Urb. App., 2005, 171).
Il giudice amministrativo non ha giurisdizione nelle materie attribuite alla cognizione del giudice ordinario. L'art. 69, 7° co., d. lgs. 30.3.2001 n. 165 , ad esempio, attribuisce al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all'art. 63., d. lgs. 30.3.2001 n. 165, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 .6.1998.
Il difetto di giurisdizione non può essere aggirato azionando il meccanismo del silenzio-rifiuto.
Il rimedio del silenzio-rifiuto, regolato da ultimo, per gli aspetti processuali, dall'art. 117, d. lgs. 104/2010, non è esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta inevasa.
E’ riscontrabile la tentazione di configurare l'istituto in questione come rimedio di chiusura, azionabile in qualunque caso di comportamento inerte della p.a. in seguito alla proposizione di un'istanza da parte di un privato, non è d'altra parte ipotizzabile una sorta di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul silenzio.
L’istituto del silenzio va letto come strumento diretto a superare l'inerzia della p.a.  nell'emanazione di un provvedimento amministrativo, a fronte di una posizione di mero interesse legittimo in capo al cittadino.
Con la conseguenza che in presenza di una posizione di diritto soggettivo correlata ad un rapporto di pubblico impiego la tutela giurisdizionale è ammissibile recta via in sede esclusiva attraverso una pronuncia di accertamento.
La formazione del silenzio rifiuto e lo speciale procedimento giurisdizionale fissato dall'art. 21 bis della l. 1034 del 1971,  mod. art. 117, d. lgs. 104/2010 - con la finalità di dare all'amministrato un potere procedimentale strumentalmente rivolto a rendere effettivo l'obbligo giuridico della pubblica amministrazione di provvedere esplicitamente sulle istanze degli interessati- non sono compatibili con le pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia (Cons. Stato, A. P., 9 .1.2002 n. 1) , in quanto concernono diritti soggettivi la cui eventuale lesione è direttamente accertabile dall'autorità giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. V, 5 .12.2005 n. 6884);
Nel caso di specie il ricorrente chiedeva una pronuncia dichiarativa della illegittimità del silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione sulla sua istanza di riammissione in servizio ex art.110, 5° co.,  d.lgs. 18.8. 2000, n. 267, seguita da atto di diffida e messa in mora
Il Tribunale adito ha dichiarato il gravame inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che è sprovvisto di poteri di cognizione in ordine alla pretesa sostanziale invocata della quale può conoscere solo il giudice ordinario.(Cons. Stato, sez. IV, 2.11.2004 n. 7088).
In altra fattispecie alcune Case di cura hanno avanzato l’impugnativa, mediante la procedura del silenzio rifiuto, della domanda rivolta a conseguire in via provvisoria pro quota la somma stanziata dalla Regione per l’aggiornamento delle rette, in attesa di una sistemazione organica della materia.( Cons. Stato, sez. V 26.2.2010, n. 1146).
La giurisprudenza ha precisato che  deve essere esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo sul silenzio rifiuto dell'amministrazione, allorché la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo sulle quali il giudice amministrativo non ha giurisdizione esclusiva, e la cui cognizione spetta al giudice ordinario. Questo  può decidere direttamente la questione avvalendosi dei poteri istruttori che gli competono, a prescindere dagli atti adottati dall'amministrazione e quindi anche nel caso in cui non sia stato emanato alcun atto, nonostante il decorso dei termini prescritti per la conclusione del relativo procedimento (Cons. Stato, Sez. V, 6.7.2002, n. 3974).
Del pari è stata riconosciuta la giurisdizione ordinaria nel caso di alcune emittenti radiofoniche locali che avevano  diffidato il Ministero dello sviluppo economico ad erogare i benefici economici previsti dal regolamento emanato con d.m. 1.10. 2002, n. 225
Il Regolamento n. 225/2002 riconosce alle emittenti locali - in presenza di determinati presupposti - un diritto soggettivo ad ottenere l'elargizione in questione.
Detti presupposti sono tassativamente individuati dalla norma ed il loro accertamento implica l'esercizio di poteri vincolati da parte dell'Amministrazione. Ciò che è incerto, ai sensi dell'art. 4 del Regolamento, è - per le emittenti in possesso dei requisiti di legge - il quantum debeatur, trattandosi di variabile dipendente dallo stanziamento annuo, ma non l'an.
La spettanza dell'elargizione coinvolge, dunque, posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, con la conseguenza che competente a decidere la controversia è il giudice ordinario. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 12.4.2010, n. 6375).






2.             L’obbligo all’indennizzo del vincolo di piano reiterato

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Il vincolo imposto dal piano regolatore reiterato dopo al scadenza quinquennale deve essere indennizzato attraverso la corresponsione di una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto commisurata al tempo della reiterazione.
L’atto che reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo.
Qualora non sia prevista la corresponsione dell'indennità, l'autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l'indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Si tratta di una normativa transitoria in attesa del t.u sulla programmazione urbanistica attuativa che ritiene dovuta al proprietario una indennità commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto.
La giustizia amministrativa ha affermato che la mancata previsione di adeguato indennizzo in favore del proprietario che ha visto reiterare i vincoli già imposti alla propria area, non determina ex se la illegittimità del provvedimento di pianificazione urbanistica adottato, ma determina l'obbligo, per l'autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo, di liquidare l'indennità entro due mesi dalla data in cui ha ricevuto la documentata domanda di pagamento; in mancanza, l'interessato può chiedere alla Corte d'appello di determinare l'indennità (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 8.3.2004, n. 524, in Foro Amm. T.A.R., 2004, 845).










3.             Il silenzio dell’amministrazione, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.



Qualora l’amministrazione non provveda a corrispondere d’ufficio la indennità, il privato può inoltrare domanda documentata di pagamento e corrisponderla entro i successivi trenta giorni, pena la decorrenza degli interessi legali.
Il silenzio della pubblica amministrazione equivale a rigetto della domanda.
Competente alla determinazione dell’indennizzo o a decidere in presenza di un silenzio dell’amministrazione sulla domanda è la Corte di Appello.
Con atto di citazione innanzi alla Corte d'Appello nel cui distretto si trova l'area, il proprietario può impugnare la stima effettuata dall'autorità. L'opposizione va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica dell'atto di stima.
Decorso il termine di due mesi il proprietario può chiedere alla Corte d'Appello di determinare l'indennità, ex art. 39, 3° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327).
La giurisdizione della Corte di Appello trova conferma nella giurisprudenza.
Essa conferma che gli artt. 39, 3° co., e 53, 7° co., d.p.r. n. 327 del 2001, demandano alla cognizione della competente Corte d'Appello tutte le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione di indennità in conseguenza di atti espropriativi e ablatori, compreso quelle relative al diritto all'indennizzo per reiterazione dei vincoli di in edificabilità (T.A.R. Toscana, sez. I, 4.8.2004, n. 2912, in Foro Amm. T.A.R., 2004, 2075).
L’art. 133, 1° co., lett. f), d. lgs. 104/2010, precisa che le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, rientrano nella competenza del g. a. ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.
L’indennità è autonoma rispetto a quella corrisposta per un successivo esproprio
Per alcuni autori l’indennizzo dopo il sesto anno è commisurato all’interesse sulla futura indennità di esproprio.




























4.             L’esecuzione forzata civile del giudicato amministrativo.


La giurisprudenza ritiene che  la domanda di esecuzione di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione, ancorché pronunciata da un giudice speciale, al pari di quella proposta nei confronti di qualsiasi altro debitore, introduce sempre una controversia di diritto soggettivo.
La tutela di tale diritto, in fase esecutiva ed al fine della decisione sulle opposizioni ivi proposte non può che competere al giudice ordinario, senza che rilevi la possibilità della proposizione del giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo, trattandosi di rimedio complementare, che si aggiunge al procedimento di esecuzione previsto dal codice di rito. Spetta alla libera scelta del creditore l'utilizzazione dell'uno o dell'altro. (Iudica G.,  Esecuzione forzata civile e giudicato amministrativo. Note in tema di esecuzione forzata civile e giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2009, 4, 1118).
La natura di giudizi di cognizione comporta la configurabilità in essi di questioni di giurisdizione tutte le volte si denunci che il giudice speciale abbia superato i limiti esterni delle sue attribuzioni, decidendo su materie di competenza del giudice ordinario, di altri giudici speciali, ovvero incorrendo nel vizio di eccesso di potere giurisdizionale, o declinando l'esercizio dei poteri dei quali è titolare (Cass. Civ., S.U., 17633/2003).
Radicalmente diversa è la natura del processo di esecuzione disciplinato dal libro terzo del codice di procedura civile.
Il presupposto indefettibile per la sua instaurazione è l'esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, ex art. 474 c.p.c.
L'assenza di profili cognitori comporta che nel giudizio di esecuzione civile non possa, in radice, porsi un problema di appartenenza della lite alla competenza del giudice ordinario, dato che non esiste altro giudice competente sulla materia (Cass. Civ., S.  U., 31.3.2006,  n. 7578).
La domanda di esecuzione di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione, anche se pronunciata da un giudice speciale, al pari di quella proposta dei confronti di qualsiasi altro debitore, introduce sempre una controversia di diritto soggettivo, la cui tutela, in fase esecutiva ed al fine della decisione sulle opposizioni ivi proposte, non può che competere al giudice ordinario.
Non muta i termini del problema  la possibilità della proposizione del giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo, trattandosi di rimedio complementare, che si aggiunge al procedimento di esecuzione previsto dal codice di rito, spettando poi alla libera scelta del creditore l'utilizzazione dell'uno o dell'altro (Cass. Civ.,  S.U., n. 4661/1994).
Le questioni concernenti il problema se esista o meno un titolo esecutivo o se il credito sia o meno liquido ed esigibile può riguardare soltanto la legittimità dell'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., ma non la giurisdizione, la quale è attribuita sempre al giudice ordinario nell'esecuzione forzata per crediti di somme di denaro, qualunque sia l'origine di questi e senza che a siffatto principio si sottragga la pubblica amministrazione debitrice (Cass. Civ., S.U., n. 12060/1993).
La dottrina si è chiesta se tale principio, affermato dalla Suprema Corte per le sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, possa essere esteso ad ipotesi in cui dal giudicato amministrativo scaturisca un obbligo di compiere una certa attività (c.d. obbligo di fare) o di consegnare una cosa determinata (obbligo di consegna o rilascio).
Si ritiene possibile, in linea di massima, ricorrere al giudice ordinario nel caso si richiesta esibizione del documento a seguito del giudizio sull'accesso ex art. 25 l. n. 241/1990, e per  la restituzione dell'immobile espropriato ex art. 43 del t.u. n. 327/2001 in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Iudica G.,  Esecuzione forzata civile op.cit., in Dir. proc. amm., 2009, 4, 1122).


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