1. La tutela civile risarcitoria in materia di diritti soggettivi.
La dottrina ha
affermato che l’azione nei confronti del silenzio non è esperibile se il
giudice amministrativo non ha giurisdizione sulla pretesa sostanziale e se il
ricorrente è titolare di un diritto soggettivo In tal caso bisogna proporre una
domanda di accertamento volta ad ottenere il riconoscimento di quel diritto.
La interpretazione
è suffragata dalla sentenza 204/2004 della Corte costituzionale che ha
valorizzato i comportamenti della p.a.. essa ha escluso al possibilità per il
giudice amministrativo la possibilità di sindacare i comportamenti della
amministrazione dovendosi ritenere sussistente in materia esclusivamente la
giurisdizione del giudice ordinario, ex art.
103 cost. (Gallo C.E., Silenzio e
comportamento della p.a. tra giudice amministrativo e giudice ordinario. Nota a Cons. St. , sez. IV, 2 .11..2004, n. 7088,
in Urb. App., 2005, 171).
Il giudice amministrativo
non ha giurisdizione nelle materie attribuite alla cognizione del giudice
ordinario. L'art. 69, 7° co., d. lgs. 30.3.2001 n. 165 , ad esempio, attribuisce
al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui
all'art. 63., d. lgs. 30.3.2001 n. 165, relative a questioni attinenti al
periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 .6.1998.
Il difetto di
giurisdizione non può essere aggirato azionando il meccanismo del
silenzio-rifiuto.
Il rimedio del
silenzio-rifiuto, regolato da ultimo, per gli aspetti processuali, dall'art. 117,
d. lgs. 104/2010, non è esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo
sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta
rimasta inevasa.
E’ riscontrabile la
tentazione di configurare l'istituto in questione come rimedio di chiusura,
azionabile in qualunque caso di comportamento inerte della p.a. in seguito alla
proposizione di un'istanza da parte di un privato, non è d'altra parte
ipotizzabile una sorta di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
sul silenzio.
L’istituto del
silenzio va letto come strumento diretto a superare l'inerzia della p.a. nell'emanazione di un provvedimento
amministrativo, a fronte di una posizione di mero interesse legittimo in capo
al cittadino.
Con la conseguenza
che in presenza di una posizione di diritto soggettivo correlata ad un rapporto
di pubblico impiego la tutela giurisdizionale è ammissibile recta via in sede esclusiva attraverso
una pronuncia di accertamento.
La formazione del
silenzio rifiuto e lo speciale procedimento giurisdizionale fissato dall'art.
21 bis della l. 1034 del 1971, mod. art. 117, d. lgs. 104/2010 - con la
finalità di dare all'amministrato un potere procedimentale strumentalmente
rivolto a rendere effettivo l'obbligo giuridico della pubblica amministrazione
di provvedere esplicitamente sulle istanze degli interessati- non sono
compatibili con le pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una
situazione di inerzia (Cons. Stato, A. P., 9 .1.2002 n. 1) , in quanto
concernono diritti soggettivi la cui eventuale lesione è direttamente
accertabile dall'autorità giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. V, 5 .12.2005 n.
6884);
Nel caso di specie
il ricorrente chiedeva una pronuncia dichiarativa della illegittimità del
silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione sulla sua istanza di riammissione
in servizio ex art.110, 5° co., d.lgs. 18.8. 2000, n. 267, seguita da atto di
diffida e messa in mora
Il Tribunale adito
ha dichiarato il gravame inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo che è sprovvisto di poteri di cognizione in ordine alla pretesa
sostanziale invocata della quale può conoscere solo il giudice ordinario.(Cons.
Stato, sez. IV, 2.11.2004 n. 7088).
In altra
fattispecie alcune Case di cura hanno avanzato l’impugnativa, mediante la
procedura del silenzio rifiuto, della domanda rivolta a conseguire in via
provvisoria pro quota la somma stanziata dalla Regione per l’aggiornamento
delle rette, in attesa di una sistemazione organica della materia.( Cons.
Stato, sez. V 26.2.2010, n. 1146).
La giurisprudenza
ha precisato che deve essere esclusa la
giurisdizione del giudice amministrativo sul silenzio rifiuto
dell'amministrazione, allorché la controversia attenga a posizioni di diritto
soggettivo sulle quali il giudice amministrativo non ha giurisdizione
esclusiva, e la cui cognizione spetta al giudice ordinario. Questo può decidere direttamente la questione
avvalendosi dei poteri istruttori che gli competono, a prescindere dagli atti
adottati dall'amministrazione e quindi anche nel caso in cui non sia stato
emanato alcun atto, nonostante il decorso dei termini prescritti per la
conclusione del relativo procedimento (Cons. Stato, Sez. V, 6.7.2002, n. 3974).
Del pari è stata
riconosciuta la giurisdizione ordinaria nel caso di alcune emittenti
radiofoniche locali che avevano
diffidato il Ministero dello sviluppo economico ad erogare i benefici
economici previsti dal regolamento emanato con d.m. 1.10. 2002, n. 225
Il Regolamento n.
225/2002 riconosce alle emittenti locali - in presenza di determinati
presupposti - un diritto soggettivo ad ottenere l'elargizione in questione.
Detti presupposti
sono tassativamente individuati dalla norma ed il loro accertamento implica
l'esercizio di poteri vincolati da parte dell'Amministrazione. Ciò che è
incerto, ai sensi dell'art. 4 del Regolamento, è - per le emittenti in possesso
dei requisiti di legge - il quantum
debeatur, trattandosi di variabile dipendente dallo stanziamento annuo, ma
non l'an.
La spettanza
dell'elargizione coinvolge, dunque, posizioni di diritto soggettivo e non di
interesse legittimo, con la conseguenza che competente a decidere la
controversia è il giudice ordinario. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 12.4.2010,
n. 6375).
2. L’obbligo all’indennizzo del vincolo di piano reiterato
.
Il vincolo
imposto dal piano regolatore reiterato dopo al scadenza quinquennale deve
essere indennizzato attraverso la corresponsione di una indennità commisurata
all’entità del danno effettivamente prodotto commisurata al tempo della
reiterazione.
L’atto che
reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo.
Qualora non sia
prevista la corresponsione dell'indennità, l'autorità che ha disposto la
reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l'indennità, entro il termine di
due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento
ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono
dovuti anche gli interessi legali, ex
art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Si tratta di una
normativa transitoria in attesa del t.u sulla programmazione urbanistica
attuativa che ritiene dovuta al proprietario una indennità commisurata
all'entità del danno effettivamente prodotto.
La giustizia
amministrativa ha affermato che la mancata previsione di adeguato indennizzo in
favore del proprietario che ha visto reiterare i vincoli già imposti alla
propria area, non determina ex se la
illegittimità del provvedimento di pianificazione urbanistica adottato, ma determina
l'obbligo, per l'autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo, di
liquidare l'indennità entro due mesi dalla data in cui ha ricevuto la
documentata domanda di pagamento; in mancanza, l'interessato può chiedere alla
Corte d'appello di determinare l'indennità (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 8.3.2004, n. 524, in Foro Amm.
T.A.R., 2004, 845).
3. Il silenzio dell’amministrazione, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Qualora
l’amministrazione non provveda a corrispondere d’ufficio la indennità, il
privato può inoltrare domanda documentata di pagamento e corrisponderla entro i
successivi trenta giorni, pena la decorrenza degli interessi legali.
Il silenzio
della pubblica amministrazione equivale a rigetto della domanda.
Competente alla
determinazione dell’indennizzo o a decidere in presenza di un silenzio
dell’amministrazione sulla domanda è la Corte di Appello.
Con atto di
citazione innanzi alla Corte d'Appello nel cui distretto si trova l'area, il
proprietario può impugnare la stima effettuata dall'autorità. L'opposizione va
proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente
dalla notifica dell'atto di stima.
Decorso il
termine di due mesi il proprietario può chiedere alla Corte d'Appello di
determinare l'indennità, ex art. 39, 3°
co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327).
La giurisdizione
della Corte di Appello trova conferma nella giurisprudenza.
Essa conferma
che gli artt. 39, 3° co., e 53, 7° co., d.p.r. n. 327 del 2001, demandano alla
cognizione della competente Corte d'Appello tutte le controversie riguardanti
la determinazione e la corresponsione di indennità in conseguenza di atti
espropriativi e ablatori, compreso quelle relative al diritto all'indennizzo
per reiterazione dei vincoli di in edificabilità (T.A.R. Toscana, sez. I,
4.8.2004, n. 2912, in Foro Amm. T.A.R., 2004, 2075).
L’art. 133, 1°
co., lett. f), d. lgs. 104/2010, precisa che le
controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli
aspetti dell'uso del territorio, rientrano nella competenza del g. a. ferma
restando la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti
la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza
dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.
L’indennità è
autonoma rispetto a quella corrisposta per un successivo esproprio
Per alcuni
autori l’indennizzo dopo il sesto anno è commisurato all’interesse sulla futura
indennità di esproprio.
4. L’esecuzione forzata civile del giudicato amministrativo.
La
giurisprudenza ritiene che la domanda di
esecuzione di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione,
ancorché pronunciata da un giudice speciale, al pari di quella proposta nei
confronti di qualsiasi altro debitore, introduce sempre una controversia di
diritto soggettivo.
La
tutela di tale diritto, in fase esecutiva ed al fine della decisione sulle
opposizioni ivi proposte non può che competere al giudice ordinario, senza che
rilevi la possibilità della proposizione del giudizio di ottemperanza dinanzi
al giudice amministrativo, trattandosi di rimedio complementare, che si
aggiunge al procedimento di esecuzione previsto dal codice di rito. Spetta alla
libera scelta del creditore l'utilizzazione dell'uno o dell'altro. (Iudica
G., Esecuzione
forzata civile e giudicato amministrativo. Note in tema di esecuzione forzata civile e giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2009, 4, 1118).
La natura di
giudizi di cognizione comporta la configurabilità in essi di questioni di
giurisdizione tutte le volte si denunci che il giudice speciale abbia superato i
limiti esterni delle sue attribuzioni, decidendo su materie di competenza del
giudice ordinario, di altri giudici speciali, ovvero incorrendo nel vizio di
eccesso di potere giurisdizionale, o declinando l'esercizio dei poteri dei
quali è titolare (Cass. Civ., S.U., 17633/2003).
Radicalmente
diversa è la natura del processo di esecuzione disciplinato dal libro terzo del
codice di procedura civile.
Il presupposto
indefettibile per la sua instaurazione è l'esistenza di un titolo esecutivo per
un diritto certo, liquido ed esigibile, ex
art. 474 c.p.c.
L'assenza di
profili cognitori comporta che nel giudizio di esecuzione civile non possa, in
radice, porsi un problema di appartenenza della lite alla competenza del
giudice ordinario, dato che non esiste altro giudice competente sulla materia
(Cass. Civ., S. U., 31.3.2006, n. 7578).
La domanda di
esecuzione di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione, anche se
pronunciata da un giudice speciale, al pari di quella proposta dei confronti di
qualsiasi altro debitore, introduce sempre una controversia di diritto
soggettivo, la cui tutela, in fase esecutiva ed al fine della decisione sulle
opposizioni ivi proposte, non può che competere al giudice ordinario.
Non muta i termini
del problema la possibilità della
proposizione del giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo,
trattandosi di rimedio complementare, che si aggiunge al procedimento di
esecuzione previsto dal codice di rito, spettando poi alla libera scelta del
creditore l'utilizzazione dell'uno o dell'altro (Cass. Civ., S.U., n. 4661/1994).
Le questioni
concernenti il problema se esista o meno un titolo esecutivo o se il credito
sia o meno liquido ed esigibile può riguardare soltanto la legittimità
dell'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., ma non la giurisdizione, la
quale è attribuita sempre al giudice ordinario nell'esecuzione forzata per
crediti di somme di denaro, qualunque sia l'origine di questi e senza che a
siffatto principio si sottragga la pubblica amministrazione debitrice (Cass. Civ.,
S.U., n. 12060/1993).
La dottrina si è
chiesta se tale principio, affermato dalla Suprema Corte per le sentenze di
condanna al pagamento di somme di denaro, possa essere esteso ad
ipotesi in cui dal giudicato amministrativo scaturisca un obbligo di compiere
una certa attività (c.d. obbligo di fare) o di consegnare una cosa determinata
(obbligo di consegna o rilascio).
Si ritiene
possibile, in linea di massima, ricorrere al giudice ordinario nel caso si
richiesta esibizione del documento a seguito del giudizio sull'accesso ex
art. 25 l. n. 241/1990, e per la
restituzione dell'immobile espropriato ex art. 43 del t.u. n. 327/2001
in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Iudica G., Esecuzione
forzata civile op.cit., in Dir. proc. amm., 2009, 4, 1122).
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