sabato 4 marzo 2017

l’annullabilità dell’atto amministrativo

1                    La annullabilità.



La pubblica amministrazione ha la possibilità di riformare i suoi atti, anche senza la richiesta del privato interessato al provvedimento, e può provvedere a risolvere i conflitti che eventualmente insorgano con altri soggetti nell'attuazione dei propri provvedimenti.
Questo tipo di intervento è considerato come esplicazione di uno dei poteri della pubblica amministrazione oltre a quelli di autonomia e autarchia (Benvenuti F., Appunti di diritto amministrativo 1959, 152).
L'autore ritiene l'autotutela una delle funzioni della pubblica amministrazione.
Egli distingue una autotutela spontanea - che si manifesta negli atti di annullamento revoca e abrogazione - da quella necessaria - che comprende gli atti sostitutivi e di approvazione - e da quella contenziosa che si verifica nel caso di ricorso amministrativo o giurisdizionale.
La giurisprudenza parifica gli effetti dell’autotutela amministrativa a quelli dell’autotutela giurisdizionale.    Il provvedimento amministrativo può essere annullato o revocato dalla p.a. nell'esercizio del suo potere di autotutela decisoria, ovvero può essere rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo. l'azione. In ogni caso è pacifica l’ammissibilità di un'azione di risarcimento nella quale rilevi l'annullamento dell'atto conseguente ad autotutela o all'uso di rimedi giurisdizionali, in quanto la proponibilità della domanda risarcitoria non implica necessariamente un'affermazione giurisdizionale della patologia dell'atto che reca la lesione. (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 11.9.2009, n. 8577).
Altri autori, nel classificare i procedimenti amministrativi, definiscono di secondo grado quelli che hanno ad oggetto altri procedimenti amministrativi.
Nel procedimento di secondo grado l'amministrazione riprende in considerazione i provvedimenti già emanati per motivi di legittimità (annullamento) o di merito (revoca) ripercorrendo le fasi procedimentali previste a pena di illegittimità e dando, puntualmente, idonea motivazione del pubblico interesse che muove l'amministrazione nell'esercizio del suo potere (Giannini M.S., Diritto amministrativo,  1988, 981).
L’art. 21 octies, l. 7.8.1990, n. 241, riafferma il principio che afferma l’annullabilità dell’atto amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.







2                     Le eccezioni alla annullabilità.



L’art. 21 octies, l. 7.8.1990, n. 241, , intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15, introduce due importanti eccezioni al principio dell’annullabilità degli atti amministrativi considerando non annullabile l’atto redatto in violazione alle norme procedimentali qualora il suo contenuto sia conforme alla sostanza della normativa ovvero qualora esso sia redatto in mancanza di comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato  ( Susca A., Invalidità e riesame nel disegno di riforma, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1759).
La giurisprudenza ha sancito che appare legittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno qualora il cittadino extracomunitario, pur in possesso di un titolo autorizzatorio rilasciato per motivi di lavoro autonomo, abbia conseguito per un certo anno redditi per un importo complessivo del tutto insufficiente a consentirgli un minimo di sopravvivenza e ad evitare, quindi, il rischio di compromissione con l'attività criminale.
Il provvedimento è valido  anche in assenza del preavviso di rigetto di cui all'art. 10 bis, l. 241/1990, alla luce del vigente art. 21 octies, l. n. 241, che prevede la non annullabilità del provvedimento assunto in violazione di norme procedimentali, allorquando il contenuto dispositivo dell'atto (vincolato) non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 29.10.2007, n. 2578).

La dottrina rileva che, nel giudicare fattispecie rientranti nella prima ipotesi relativa alla impossibilità di annullare l’atto redatto in violazione alle norme procedimentali, qualora il suo contenuto dispositivo non possa essere diverso da quello adottato, il giudice è chiamato a cambiare il suo ruolo.
Il giudice è chiamato dalla nuova normativa a ricostruire il corretto contenuto dispositivo dei provvedimenti vincolati, a prescindere dall’eventuale presenza di vizi formali e procedimentali, perché i provvedimenti di contenuto corretto raggiungono il loro obiettivo e soddisfano l’interesse pubblico, anche se presentano imperfezioni formali.
Il legislatore si muove nell’ottica del raggiungimento del risultato; tale ratio paralizza ogni attività di tutela con evidente lesione dell’art. 113 cost. (Follieri E.,  L’annullabilità dell’atto amministrativo, in Urb. App., 2005, 625).
Altre sono le ragioni che consentono all’amministrazione di sanare l’atto qualora esso sia redatto in mancanza di comunicazione dell’avvio del procedimento. La dottrina rileva che si tratta di una sanatoria processuale tesa a fare rilevare che la carenza procedimentale non ha inciso sul contenuto del provvedimento. E’ consentito all’amministrazione di eccepire e provare in giudizio – in una sorta di sanatoria processuale - che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere che quello assunto (Caruso G., Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida Dir., 2005, 79).
Tale innovazione trova supporto in un orientamento giurisprudenziale che è più attento alle forme che alla sostanza; il suddetto indirizzo ritiene non annullabili i provvedimenti nei quali la partecipazione del privato risulti meramente formale tale da non potere incidere sul contenuto del provvedimento.
La norma cancella con un sol tratto l’idea di garanzia che è alla base della partecipazione e il diritto, in sé, di partecipare.
Il privato, per giungere alla demolizione del provvedimento, deve, pertanto, dimostrare che la sua partecipazione avrebbe potuto cambiare sostanzialmente l’atto.
La legislazione si avvia ad un diritto amministrativo sempre meno paritario perché le garanzie per il privato diventano mere forme mentre l'azione di tutela del privato rimane soggetta a termini perentori di decadenza.
L'obbligo della p.a. di provvedere alla comunicazione di avvio del procedimento nei riguardi di quei soggetti nei cui confronti il provvedimento sia destinato a produrre effetti diretti non può, ad avviso del collegio, che configurarsi in senso sostanziale e non formale e ritenersi, pertanto, sussistente ogni qualvolta l'amministrazione, relativamente allo svolgimento di un procedimento amministrativo semplice o complesso prodromico all'adozione di un provvedimento finale, possa effettivamente beneficiare della partecipazione del privato mediante l'acquisizione di un suo contributo rappresentativo dei suoi interessi e non anche nelle ipotesi in cui il provvedimento sarebbe stato in ogni caso adottato in quanto atto necessitato o vincolato o qualora la comunicazione stessa non avrebbe potuto esplicare alcuna positiva efficacia in relazione alla possibilità del privato di partecipare al procedimento stesso
Il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il legislatore ha inteso far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione. (T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 15.4.2010, n. 1891).
La giurisprudenza ha considerato atto dovuto l'ordine di demolizione di opere edilizie abusive - il cui presupposto è rappresentato solamente dalla constatata esecuzione di opere edilizie in assenza o in difformità dal titolo abilitativo.
Il procedimento non è inficiato dall'omissione della comunicazione di avvio del procedimento poiché nella fattispecie trova applicazione la norma che statuisce la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento qualora sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 11.3. 2010, n. 703).
Il giudice è chiamato ad un esame comparativo tra il provvedimento impugnato e quello che sarebbe potuto essere rispettando le norme procedimentali, privando quindi il giudizio del riscontro delle regole formali. Il giudice in definitiva deve comportarsi come l’amministrazione.






3                    La annullabilità d’ufficio. Il  termine per l’annullamento


L'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo inerisce all'essenza stessa della funzione svolta dalla pubblica amministrazione che è quella del perseguimento del pubblico interesse . (Coraggio G., voce Annullamento d'ufficio degli atti amministrativi, in Enc. Giur.,  1988, II, 1).
Qualora l'atto non sia conforme a questo obiettivo, l'Autorità che l'ha emesso, a prescindere da ogni intervento esterno, ha la possibilità di rimuovere l'atto stesso con efficacia ex tunc, annullandolo.
Tale potere è esercitato dalla amministrazione che ha emanato l'atto, salvo restando il potere degli interessati, sui quali cadono gli effetti dell'atto, di agire in sede amministrativa ovvero in sede giurisdizionale per ottenere dei provvedimenti o delle sentenze che impongano alla amministrazione un diverso comportamento.
Non esistono però dei limiti logicamente precisi che obblighino la pubblica amministrazione a rivedere gli effetti dei suoi atti, per verificare la loro annullabilità, anche perché normalmente gli atti amministrativi, attraverso il procedimento che devono seguire per la loro approvazione - ovvero attraverso il successivo riscontro di un eventuale organo consultivo o di controllo - normalmente dovrebbero garantire il rispetto di ogni requisito di legittimità (D'Ancona S., Interesse pubblico, discrezionalità amministrativa e istanza di parte nell'annullamento d'ufficio: riflessioni sui recenti sviluppi dottrinari e giurisprudenziali fra diritto interno e diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2009, 3-4, 537).
L'eccezionalità è, infatti, il requisito principe caratterizzante detto potere della pubblica amministrazione, poiché esso deve manifestarsi solo qualora il procedimento amministrativo originario non abbia sortito gli effetti desiderati.
Dato che l'amministrazione deve agire nel modo più idoneo per perseguire il pubblico interesse, essa dovrà tutelarsi proprio in quei casi eccezionali in cui i suoi provvedimenti non hanno sortito gli effetti desiderati.
La dottrina, infatti, ritiene che, perché si possa esplicare il potere di autotutela, debbano sussistere due requisiti fondamentali: deve verificarsi una illegittimità originaria dell'atto amministrativo e, conseguentemente, deve risultare l'interesse pubblico giustificativo dell'atto di autotutela. Essa, peraltro, sostiene che anche la inopportunità dell'atto giustifichi la procedura di annullamento d'ufficio (Landi G., Potenza G. e Italia V., Manuale di diritto amministrativo, 1999, 276).
Il legislatore, fortemente condizionato da una politica di risparmio della spesa pubblica, ha introdotto una norma nella finanziaria 2005 che codifica l’annullamento dei provvedimenti di esecuzione che siano ancora in corso limitandone il potere entro i tre anni dal momento in cui il provvedimento abbia acquisito efficacia e con l'indennizzo del danno recato al privato.
L’annullamento di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante, ex art. 1, l. 30.12.2004, n. 311.
L’indirizzo è ripreso dalla legge sulle nuove norme per l’azione amministrativa che prevede una espressa disposizione che disciplina l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi.
 In tale caso la norma richiede una idonea motivazione e la valutazione degli interessi dei destinatari, elimina la espressa limitazione temporale - richiedendo un termine ragionevole - mentre sottace l’obbligo dell’indennizzo, ex art. 21 nonies, l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15.




3.1              L’idonea motivazione.


L'esercizio del potere di autotutela da parte della p.a. richiede non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma anche l'esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell'atto, che non si identifica nel mero ripristino della legalità violata, e la sua comparazione con gli interessi privati sacrificati quando, per effetto del provvedimento ritenuto illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche qualificate e consolidate nel tempo. L'annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione. (Cons. Stato , sez. IV, 16.4.2010, n. 2178).
La giurisprudenza ha fissato le condizioni per l'esercizio in autotutela da parte dell'Amministrazione del potere di annullamento d'ufficio sono: a) l'illegittimità dell'atto amministrativo; b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole; d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere. (Cons. Stato , sez. V, 7.4. 2010, n. 1946).
La motivazione, nei casi di immediata emanazione del provvedimento di secondo grado, è ritenuta addirittura non indispensabile; tale ipotesi, ad esempio, si verifica nel caso di rilascio di permesso a costruire.
In via di principio, il provvedimento di annullamento della concessione edilizia anche tacitamente assentita deve contenere, così come se si trattasse dell'annullamento di una concessione assentita esplicitamente, un'adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico all'annullamento ed alla comparazione di questo con gli interessi privati travolti dall'annullamento stesso; tuttavia, va esclusa la necessità di tale specifica motivazione nelle ipotesi nelle quali l'annullamento segua solo di un breve lasso di tempo il rilascio della concessione e non sia già stata posta in essere una rilevante attività edificatoria, così che il pregiudizio del privato possa essere considerato solo formale (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 7.7.2004, n. 1469).
La valutazione del tempo trascorso viene meno qualora si tratti di recuperare somme indebitamente erogate.
La giurisprudenza ha dichiarato  legittimi i provvedimenti di autotutela (revoca e annullamento) di contributi pubblici anche quando adottati a notevole distanza di tempo considerato che, trattandosi di erogazione di pubblico denaro, l'interesse al recupero è intrinseco nella natura stessa del finanziamento e non viene meno per il lungo decorso del tempo, rimanendo impregiudicato il diritto dell'amministrazione di far rientrare nelle proprie casse il denaro non più rispondente allo scopo per il quale era stato erogato (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 18.12.2003, n. 15468).





4                     La convalida dei provvedimenti annullabili.



La convalida è l’atto col quale l’amministrazione riconosce un vizio dell'atto amministrativo e consiste in una dichiarazione espressamente diretta ad eliminare il vizio (Cassese S. (a cura di), Diritto amministrativo generale,  2000, 835).
Essa provvede a sanare l’illegittimità consentendo all’atto di superare ogni azione di annullamento.  Per la giurisprudenza la concreta possibilità di convalidare, in via di autotutela, il provvedimento annullabile poggia sul presupposto che vi sia un provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, ma soprattutto che esista un provvedimento riferibile, da un punto di vista sostanziale e formale, all'Amministrazione che, sussistendone gli ulteriori presupposti, potrebbe convalidarlo, atteso che la convalida è esercitabile dal solo soggetto cui spetta l'azione di annullamento, in alternativa a questo, e deve pertanto avere ad oggetto atti annullabili che non siano stati ancora annullati e relativamente ai quali l'autorità, che ha emanato l'atto da convalidare, sia dotata ancora del relativo potere.  (T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 11.8.2009, n. 2206).
La giurisprudenza riconosce detto potere dell’amministrazione relativamente agli atti viziati da incompetenza. Il vizio di incompetenza, quale vizio di legittimità dell’atto amministrativo, peraltro, comporta soltanto la annullabilità e non la nullità dell’atto stesso e quindi l’effetto retroattivo della convalida operare positivamente anche sugli atti connessi rispetto all’atto convalidato i quali, in conseguenza del vizio di incompetenza, potevano risultare inficiati per illegittimità derivata. È stato intendimento del legislatore, infatti, consentire, in via generale, il mantenimento in vita di provvedimenti affetti soltanto da vizi di carattere formale. (Cons. Stato , sez. IV, 29 maggio 2009, n. 3371).
Un indirizzo della giurisprudenza riconosce la possibilità di convalidare atti viziati anche se gli stessi sono stati ritualmente impugnati presso il giudice amministrativo.
Può provvedersi alla convalida di atti viziati da incompetenza anche in pendenza di gravame e l'effetto si produce ex tunc, dal momento in cui essi sono stati adottati (T.A.R. Molise, 10.5.2004, n. 275).
Altro indirizzo giurisprudenziale nega la convalida di atti viziati per violazione di legge od eccesso di potere impugnati presso il giudice amministrativo
Poiché solo con riguardo al vizio di incompetenza relativa, di carattere meramente formale, la legge consente la convalida retroattiva in pendenza di giudizio, nel silenzio della legge, con riguardo agli altri vizi deve escludersi la possibilità di convalida in pendenza di giudizio, salvo il potere di autotutela della p.a. nei riguardi dei propri atti, potere che esplica effetti ex nunc e che non viene meno neppure quando l'atto, del cui annullamento si tratta, sia stato impugnato in sede giurisdizionale (T.A.R. Veneto, sez. I, 31.3.2003, n. 2174).
L’art. 6, l. 18.3.1968, n. 249, che dà la delega al Governo per il riordinamento dell'Amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali, prevede la convalida degli atti viziati da incompetenza anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale.
La giurisprudenza attribuisce anche alla convalida, come all’annullamento di ufficio, efficacia retroattiva ex tunc fino dal momento dell’emanazione dell’atto. (T.A.R. Veneto, sez. III, 27.9.2004, n. 3433).
L’art. 21 nonies, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15, ribadisce la possibilità di convalida di provvedimenti annullabili in presenza di ragioni di ordine pubblico ed entro un termine ragionevole, tralasciando ogni coordinamento con la normativa precedente





5                    L’ annullamento dell'aggiudicazione e l’inefficacia del contratto negli appalti pubblici .


Negli appalti pubblici il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva deve obbligatoriamente dichiarare  l'inefficacia del contratto precisando in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è  limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del dispositivo o se opera in via retroattiva. La norma si adegua alla direttiva europea n. 2007/66, che tende a conciliare le ragioni economiche dell’efficienza  con quelle del diritto. essa garantisce l’esecuzione del contratto aggiudicato illegittimamente al ricorrente, ex art. 121,  d. lgs. 2 .7.2010, n.104 (Centofanti N. e Centofanti P.,  Il formulario del diritto amministrativo, 2010, 494).
L'inefficacia del contratto è dichiarata nei seguenti casi:
a) se l'aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal presente codice;
b) se l'aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questa modalità ha determinato l'omissione della pubblicità del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal presente codice;
c) se il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dall'art. 11, comma 10, d. lgs. 163/2006, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento;
d) se il contratto è stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva, ai sensi dell'articolo 11, comma 10-ter, d. lgs. 163/2006,  qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento. (Bartolini A., S. SantiniS. e: Figorilli F., Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi, in Urb. App., 6, 2010, 652).
Spetta al giudice rilevare le varie ipotesi nell’ambito dei criteri fissati dallo stesso legislatore.
La norma precisa che tra le esigenze imperative rientrano, fra l'altro, quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall'esecutore attuale.
Gli interessi economici possono essere presi in considerazione come esigenze imperative solo in circostanze eccezionali in cui l'inefficacia del contratto conduce a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo all'eventuale mancata proposizione della domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporta l'obbligo di rinnovare la gara. Non costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, che comprendono fra l'altro i costi derivanti dal ritardo nell'esecuzione del contratto stesso, dalla necessità di indire una nuova procedura di aggiudicazione, dal cambio dell'operatore economico e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia.
L’art. 122, d. lgs. 2.7.2010, n.104,   dispone che in via residuale - al di fuori dei casi indicati dagli artt 121 e 123, comma 3, il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto.
E’ il giudice che nella sua discrezionalità dispone sulle sorti del contratto. Ad esempio nel caso di ricorso sulla legittimità dell’aggiudicazione per mancato rispetto dei requisiti dell’appaltatore.
Egli in tal caso ne fissa la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità  per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la relativa domanda sia stata proposta.
il Consiglio di Stato ha ritenuto che, in caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria o non approvazione della stessa, argomentando ex art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006, tale diritto all’indennizzo non sussiste né è configurabile. (Cons. Stato , sez. VI, 17.3.2010, n. 1554).




5.1               Il risarcimento del danno.


L’art. 124,  d. lgs. 2.7. 2010, n.104,   conferma il principio che il giudice,  se non dichiara l'inefficacia del contratto, dispone il risarcimento per equivalente del danno da questi subito e provato.(Toschei S.,  Risarcimento solo a chi ha titolo all’assegnazione, in Guida Diritto, 2010, n. 18, 111).
Il fatto che l’ultima stesura della norma non contempli che il danno debba essere chiesto su domanda e a favore del solo ricorrente avente titolo all'aggiudicazione comporta per certa dottrina l’eliminazione della risarcibilità del danno da perdita di chances già stabilita dal d. lgs 53/2010. (Ponte D., Al giudice anche la nuova potestà sanzionatoria, in Giuda Dir., 2010, n. 33, 37).
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevede la possibilità di disporre il risarcimento del danno ingiusto.
L’ipotesi di richiesta di risarcimento è collegata con l’annullamento dell’aggiudicazione della gara di appalto  cui il ricorrente ha partecipato.
Per la determinazione del danno il giudice amministrativo, invece di indicare l’esatta quantificazione dell’importo da corrispondere, può indicare i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono formulare al danneggiato la proposta risarcitoria nel termine ad essi indicato.
Per determinare l'ammontare del risarcimento dovuto dalla p.a. in relazione alla responsabilità per illegittima mancata adozione del provvedimento di aggiudicazione dell'appalto, trattandosi di un danno di incerto ammontare, il giudice può esercitare la facoltà di cui all'art. 1226, liquidandolo in via equitativa.
La misura del risarcimento del danno per equivalente, conseguente all'annullamento giurisdizionale di un'aggiudicazione, può liquidarsi, in analogia a quanto previsto dall'art. 134 del d.lgs. n. 163/2006 per il caso di recesso della stazione appaltante, nella misura del 10% del prezzo. (T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 5 .2. 2009, n. 181).
Il criterio della quantificazione del danno da illegittima mancata aggiudicazione nel 10% dell'offerta presentata, quale utile presunto che l'impresa avrebbe tratto dall'aggiudicazione dell'appalto, è meramente presuntivo.
Tuttavia, la giurisprudenza ha anche precisato che il danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell'utile non conseguito solo se e in quanto l'impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata presentata (come nel caso di specie) è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile. (Cons. St., sez. V, 24 .10.2002 n. 5860.

Tale utile è stato indicato nella misura del 5%.

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