1 La annullabilità.
La
pubblica amministrazione ha la possibilità di riformare i suoi atti, anche
senza la richiesta del privato interessato al provvedimento, e può provvedere a
risolvere i conflitti che eventualmente insorgano con altri soggetti
nell'attuazione dei propri provvedimenti.
Questo
tipo di intervento è considerato come esplicazione di uno dei poteri della
pubblica amministrazione oltre a quelli di autonomia e autarchia (Benvenuti F.,
Appunti di diritto amministrativo 1959, 152).
L'autore
ritiene l'autotutela una delle funzioni della pubblica amministrazione.
Egli
distingue una autotutela spontanea - che si manifesta negli atti di
annullamento revoca e abrogazione - da quella necessaria - che comprende gli
atti sostitutivi e di approvazione - e da quella contenziosa che si verifica
nel caso di ricorso amministrativo o giurisdizionale.
La
giurisprudenza parifica gli effetti dell’autotutela amministrativa a quelli
dell’autotutela giurisdizionale. Il provvedimento amministrativo può essere annullato o
revocato dalla p.a. nell'esercizio del suo potere di autotutela decisoria, ovvero può essere rimosso a seguito di
pronuncia definitiva del giudice amministrativo. l'azione. In ogni caso è
pacifica l’ammissibilità di un'azione di risarcimento nella quale rilevi
l'annullamento dell'atto conseguente ad autotutela o all'uso di rimedi giurisdizionali, in quanto la
proponibilità della domanda risarcitoria non implica necessariamente
un'affermazione giurisdizionale
della patologia dell'atto che reca la lesione. (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 11.9.2009,
n. 8577).
Altri
autori, nel classificare i procedimenti amministrativi, definiscono di secondo
grado quelli che hanno ad oggetto altri procedimenti amministrativi.
Nel
procedimento di secondo grado l'amministrazione riprende in considerazione i
provvedimenti già emanati per motivi di legittimità (annullamento) o di merito
(revoca) ripercorrendo le fasi procedimentali previste a pena di illegittimità
e dando, puntualmente, idonea motivazione del pubblico interesse che muove
l'amministrazione nell'esercizio del suo potere (Giannini M.S., Diritto
amministrativo, 1988, 981).
L’art.
21 octies, l. 7.8.1990, n. 241, riafferma il principio che afferma
l’annullabilità dell’atto amministrativo adottato in violazione di legge o
viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
2 Le eccezioni alla annullabilità.
L’art.
21 octies, l. 7.8.1990, n. 241, , intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15, introduce
due importanti eccezioni al principio dell’annullabilità degli atti
amministrativi considerando non annullabile l’atto redatto in violazione alle
norme procedimentali qualora il suo contenuto sia conforme alla sostanza della
normativa ovvero qualora esso sia redatto in mancanza di comunicazione
dell’avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che
il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato ( Susca A., Invalidità
e riesame nel disegno di riforma, in Caringella F. (a cura di) Corso di
diritto amministrativo, 2004, 1759).
La
giurisprudenza ha sancito che appare legittimo il
diniego di rinnovo del permesso di soggiorno qualora il cittadino extracomunitario, pur in possesso di un titolo
autorizzatorio rilasciato per motivi di lavoro autonomo, abbia conseguito per
un certo anno redditi per un importo complessivo del tutto insufficiente a
consentirgli un minimo di sopravvivenza e ad evitare, quindi, il rischio di
compromissione con l'attività criminale.
Il provvedimento è valido
anche in assenza del preavviso di rigetto di cui all'art. 10 bis, l. 241/1990, alla luce del vigente
art. 21 octies, l. n. 241, che
prevede la non annullabilità del provvedimento
assunto in violazione di norme procedimentali, allorquando il contenuto dispositivo dell'atto (vincolato) non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez.
I, 29.10.2007, n. 2578).
La
dottrina rileva che, nel giudicare fattispecie rientranti nella prima ipotesi
relativa alla impossibilità di annullare l’atto redatto in violazione alle
norme procedimentali, qualora il suo contenuto dispositivo non possa essere
diverso da quello adottato, il giudice è chiamato a cambiare il suo ruolo.
Il
giudice è chiamato dalla nuova normativa a ricostruire il corretto contenuto
dispositivo dei provvedimenti vincolati, a prescindere dall’eventuale presenza
di vizi formali e procedimentali, perché i provvedimenti di contenuto corretto
raggiungono il loro obiettivo e soddisfano l’interesse pubblico, anche se
presentano imperfezioni formali.
Il
legislatore si muove nell’ottica del raggiungimento del risultato; tale ratio
paralizza ogni attività di tutela con evidente lesione dell’art. 113 cost.
(Follieri E., L’annullabilità
dell’atto amministrativo, in Urb. App., 2005, 625).
Altre
sono le ragioni che consentono all’amministrazione di sanare l’atto qualora
esso sia redatto in mancanza di comunicazione dell’avvio del procedimento. La
dottrina rileva che si tratta di una sanatoria processuale tesa a fare rilevare
che la carenza procedimentale non ha inciso sul contenuto del provvedimento. E’
consentito all’amministrazione di eccepire e provare in giudizio – in una sorta
di sanatoria processuale - che il contenuto del provvedimento impugnato non
avrebbe potuto essere che quello assunto (Caruso G., Svolta per le regole
sull’invalidità formale, in Guida Dir., 2005, 79).
Tale innovazione
trova supporto in un orientamento giurisprudenziale che è più attento alle
forme che alla sostanza; il suddetto indirizzo ritiene non annullabili i
provvedimenti nei quali la partecipazione del privato risulti meramente formale
tale da non potere incidere sul contenuto del provvedimento.
La
norma cancella con un sol tratto l’idea di garanzia che è alla base della
partecipazione e il diritto, in sé, di partecipare.
Il
privato, per giungere alla demolizione del provvedimento, deve, pertanto, dimostrare
che la sua partecipazione avrebbe potuto cambiare sostanzialmente l’atto.
La
legislazione si avvia ad un diritto amministrativo sempre meno paritario perché
le garanzie per il privato diventano mere forme mentre l'azione di tutela del
privato rimane soggetta a termini perentori di decadenza.
L'obbligo
della p.a. di provvedere alla comunicazione di avvio del procedimento nei
riguardi di quei soggetti nei cui confronti il provvedimento sia destinato a
produrre effetti diretti non può, ad avviso del collegio, che configurarsi in
senso sostanziale e non formale e ritenersi, pertanto, sussistente ogni
qualvolta l'amministrazione, relativamente allo svolgimento di un procedimento
amministrativo semplice o complesso prodromico all'adozione di un provvedimento
finale, possa effettivamente beneficiare della partecipazione del privato
mediante l'acquisizione di un suo contributo rappresentativo dei suoi interessi
e non anche nelle ipotesi in cui il provvedimento sarebbe stato in ogni caso
adottato in quanto atto necessitato o vincolato o qualora la comunicazione
stessa non avrebbe potuto esplicare alcuna positiva efficacia in relazione alla
possibilità del privato di partecipare al procedimento stesso
Il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione
dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato.
Il legislatore ha inteso far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli
formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero
comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta
da parte dell'Amministrazione. (T.A.R.
Piemonte Torino, sez. II, 15.4.2010, n. 1891).
La giurisprudenza ha considerato atto dovuto l'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive - il cui presupposto è rappresentato
solamente dalla constatata esecuzione di opere edilizie in assenza o in
difformità dal titolo abilitativo.
Il procedimento non è inficiato
dall'omissione della comunicazione di avvio del procedimento poiché nella fattispecie trova applicazione la norma che
statuisce la non annullabilità del provvedimento
adottato in violazione delle norme sul procedimento qualora sia palese
che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente
adottato. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 11.3.
2010, n. 703).
Il
giudice è chiamato ad un esame comparativo tra il provvedimento impugnato e
quello che sarebbe potuto essere rispettando le norme procedimentali, privando
quindi il giudizio del riscontro delle regole formali. Il giudice in definitiva
deve comportarsi come l’amministrazione.
3 La annullabilità d’ufficio. Il termine per l’annullamento
L'annullamento
d'ufficio di un atto amministrativo inerisce all'essenza stessa della funzione
svolta dalla pubblica amministrazione che è quella del perseguimento del
pubblico interesse . (Coraggio G., voce Annullamento d'ufficio degli atti
amministrativi, in Enc. Giur.,
1988, II, 1).
Qualora
l'atto non sia conforme a questo obiettivo, l'Autorità che l'ha emesso, a
prescindere da ogni intervento esterno, ha la possibilità di rimuovere l'atto
stesso con efficacia ex tunc, annullandolo.
Tale
potere è esercitato dalla amministrazione che ha emanato l'atto, salvo restando
il potere degli interessati, sui quali cadono gli effetti dell'atto, di agire
in sede amministrativa ovvero in sede giurisdizionale per ottenere dei
provvedimenti o delle sentenze che impongano alla amministrazione un diverso
comportamento.
Non
esistono però dei limiti logicamente precisi che obblighino la pubblica
amministrazione a rivedere gli effetti dei suoi atti, per verificare la loro
annullabilità, anche perché normalmente gli atti amministrativi, attraverso il
procedimento che devono seguire per la loro approvazione - ovvero attraverso il
successivo riscontro di un eventuale organo consultivo o di controllo -
normalmente dovrebbero garantire il rispetto di ogni requisito di legittimità (D'Ancona S., Interesse pubblico,
discrezionalità amministrativa e istanza di parte nell'annullamento d'ufficio:
riflessioni sui recenti sviluppi dottrinari e giurisprudenziali fra diritto
interno e diritto comunitario,
in Riv. it. dir. pubbl. comunit.,
2009, 3-4, 537).
L'eccezionalità
è, infatti, il requisito principe caratterizzante detto potere della pubblica
amministrazione, poiché esso deve manifestarsi solo qualora il procedimento
amministrativo originario non abbia sortito gli effetti desiderati.
Dato
che l'amministrazione deve agire nel modo più idoneo per perseguire il pubblico
interesse, essa dovrà tutelarsi proprio in quei casi eccezionali in cui i suoi
provvedimenti non hanno sortito gli effetti desiderati.
La dottrina,
infatti, ritiene che, perché si possa esplicare il potere di autotutela,
debbano sussistere due requisiti fondamentali: deve verificarsi una
illegittimità originaria dell'atto amministrativo e, conseguentemente, deve
risultare l'interesse pubblico giustificativo dell'atto di autotutela. Essa,
peraltro, sostiene che anche la inopportunità dell'atto giustifichi la
procedura di annullamento d'ufficio (Landi G., Potenza G. e Italia V., Manuale
di diritto amministrativo, 1999, 276).
Il
legislatore, fortemente condizionato da una politica di risparmio della spesa
pubblica, ha introdotto una norma nella finanziaria 2005 che codifica
l’annullamento dei provvedimenti di esecuzione che siano ancora in corso
limitandone il potere entro i tre anni dal momento in cui il provvedimento
abbia acquisito efficacia e con l'indennizzo del danno recato al privato.
L’annullamento
di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati
deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale
derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione
di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante,
ex art. 1, l. 30.12.2004, n. 311.
L’indirizzo
è ripreso dalla legge sulle nuove norme per l’azione amministrativa che prevede
una espressa disposizione che disciplina l’annullamento d’ufficio dei
provvedimenti amministrativi illegittimi.
In tale caso la norma richiede una idonea
motivazione e la valutazione degli interessi dei destinatari, elimina la
espressa limitazione temporale - richiedendo un termine ragionevole - mentre
sottace l’obbligo dell’indennizzo, ex
art. 21 nonies, l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15.
3.1 L’idonea motivazione.
L'esercizio del potere di autotutela da parte della
p.a. richiede non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma anche
l'esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione
dell'atto, che non si identifica nel mero ripristino della legalità violata, e
la sua comparazione con gli interessi privati sacrificati quando, per effetto
del provvedimento ritenuto illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche
qualificate e consolidate nel tempo. L'annullamento di ufficio presuppone
una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto a sostegno
dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata
ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari
dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e
del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito
dall'Amministrazione. (Cons. Stato , sez. IV, 16.4.2010, n. 2178).
La giurisprudenza ha fissato le condizioni
per l'esercizio in autotutela da parte dell'Amministrazione del potere di annullamento d'ufficio sono: a)
l'illegittimità dell'atto amministrativo; b) la sussistenza di ragioni di
interesse pubblico; c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole; d)
la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto
all'atto da rimuovere. (Cons. Stato , sez. V, 7.4. 2010, n. 1946).
La
motivazione, nei casi di immediata emanazione del provvedimento di secondo
grado, è ritenuta addirittura non indispensabile; tale ipotesi, ad esempio, si
verifica nel caso di rilascio di permesso a costruire.
In
via di principio, il provvedimento di annullamento della concessione edilizia
anche tacitamente assentita deve contenere, così come se si trattasse
dell'annullamento di una concessione assentita esplicitamente, un'adeguata
motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico all'annullamento
ed alla comparazione di questo con gli interessi privati travolti
dall'annullamento stesso; tuttavia, va esclusa la necessità di tale specifica
motivazione nelle ipotesi nelle quali l'annullamento segua solo di un breve
lasso di tempo il rilascio della concessione e non sia già stata posta in
essere una rilevante attività edificatoria, così che il pregiudizio del privato
possa essere considerato solo formale (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I,
7.7.2004, n. 1469).
La
valutazione del tempo trascorso viene meno qualora si tratti di recuperare
somme indebitamente erogate.
La giurisprudenza ha dichiarato legittimi i
provvedimenti di autotutela (revoca e annullamento) di contributi pubblici
anche quando adottati a notevole distanza di tempo considerato che, trattandosi
di erogazione di pubblico denaro, l'interesse al recupero è intrinseco nella
natura stessa del finanziamento e non viene meno per il lungo decorso del
tempo, rimanendo impregiudicato il diritto dell'amministrazione di far
rientrare nelle proprie casse il denaro non più rispondente allo scopo per il
quale era stato erogato (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 18.12.2003, n. 15468).
4 La convalida dei provvedimenti annullabili.
La convalida è
l’atto col quale l’amministrazione riconosce un vizio dell'atto amministrativo
e consiste in una dichiarazione espressamente diretta ad eliminare il vizio (Cassese
S. (a cura di), Diritto amministrativo generale, 2000, 835).
Essa
provvede a sanare l’illegittimità consentendo all’atto di superare ogni azione
di annullamento. Per la giurisprudenza la concreta possibilità di convalidare, in via di
autotutela, il provvedimento annullabile poggia sul presupposto che vi sia un
provvedimento amministrativo adottato in violazione di
legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, ma soprattutto che
esista un provvedimento riferibile, da un punto di vista sostanziale e formale,
all'Amministrazione che, sussistendone gli ulteriori presupposti, potrebbe
convalidarlo, atteso che la convalida è
esercitabile dal solo soggetto cui spetta l'azione di annullamento, in
alternativa a questo, e deve pertanto avere ad oggetto atti annullabili che non
siano stati ancora annullati e relativamente ai quali l'autorità, che ha
emanato l'atto da convalidare, sia dotata ancora del relativo potere. (T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 11.8.2009,
n. 2206).
La
giurisprudenza riconosce detto potere dell’amministrazione relativamente agli
atti viziati da incompetenza. Il vizio di
incompetenza, quale vizio di legittimità dell’atto amministrativo, peraltro, comporta soltanto la annullabilità e non la
nullità dell’atto stesso e quindi l’effetto retroattivo della convalida operare positivamente anche sugli atti connessi rispetto
all’atto convalidato i quali, in conseguenza del vizio di incompetenza,
potevano risultare inficiati per illegittimità derivata. È stato intendimento
del legislatore, infatti, consentire, in via generale, il mantenimento in vita
di provvedimenti affetti soltanto da vizi di carattere formale. (Cons. Stato , sez. IV, 29 maggio
2009, n. 3371).
Un
indirizzo della giurisprudenza riconosce la possibilità di convalidare atti
viziati anche se gli stessi sono stati ritualmente impugnati presso il giudice
amministrativo.
Può
provvedersi alla convalida di atti viziati da incompetenza anche in pendenza di
gravame e l'effetto si produce ex tunc, dal momento in cui essi sono
stati adottati (T.A.R. Molise, 10.5.2004, n. 275).
Altro
indirizzo giurisprudenziale nega la convalida di atti viziati per violazione di
legge od eccesso di potere impugnati presso il giudice amministrativo
Poiché
solo con riguardo al vizio di incompetenza relativa, di carattere meramente
formale, la legge consente la convalida retroattiva in pendenza di giudizio,
nel silenzio della legge, con riguardo agli altri vizi deve escludersi la
possibilità di convalida in pendenza di giudizio, salvo il potere di autotutela
della p.a. nei riguardi dei propri atti, potere che esplica effetti ex nunc
e che non viene meno neppure quando l'atto, del cui annullamento si tratta, sia
stato impugnato in sede giurisdizionale (T.A.R. Veneto, sez. I, 31.3.2003, n. 2174).
L’art.
6, l. 18.3.1968, n. 249, che dà la delega al Governo per il riordinamento
dell'Amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il
riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali, prevede
la convalida degli atti viziati da incompetenza anche in pendenza di gravame in
sede amministrativa e giurisdizionale.
La giurisprudenza attribuisce anche alla convalida, come all’annullamento di ufficio, efficacia retroattiva ex tunc fino dal momento dell’emanazione dell’atto. (T.A.R. Veneto, sez. III, 27.9.2004, n. 3433).
La giurisprudenza attribuisce anche alla convalida, come all’annullamento di ufficio, efficacia retroattiva ex tunc fino dal momento dell’emanazione dell’atto. (T.A.R. Veneto, sez. III, 27.9.2004, n. 3433).
L’art.
21 nonies, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n.
15, ribadisce la possibilità di convalida di provvedimenti annullabili in
presenza di ragioni di ordine pubblico ed entro un termine ragionevole,
tralasciando ogni coordinamento con la normativa precedente
5 L’ annullamento dell'aggiudicazione e l’inefficacia del contratto negli appalti pubblici .
Negli appalti
pubblici il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva deve
obbligatoriamente dichiarare
l'inefficacia del contratto precisando in funzione delle deduzioni delle
parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante
e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire
alla data della pubblicazione del dispositivo o se opera in via retroattiva. La norma si adegua alla direttiva europea n.
2007/66, che tende a conciliare le ragioni economiche dell’efficienza con quelle del diritto. essa garantisce
l’esecuzione del contratto aggiudicato illegittimamente al ricorrente, ex art. 121, d.
lgs. 2 .7.2010, n.104 (Centofanti N. e Centofanti P., Il formulario del diritto amministrativo,
2010, 494).
L'inefficacia del
contratto è dichiarata nei seguenti casi:
a) se
l'aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o
avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea
o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione
è prescritta dal presente codice;
b) se
l'aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o
con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questa modalità ha
determinato l'omissione della pubblicità del bando o avviso con cui si indice
una gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal
presente codice;
c) se il contratto
è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dall'art. 11,
comma 10, d. lgs. 163/2006, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente
della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del
contratto e sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri
dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente
di ottenere l'affidamento;
d) se il contratto
è stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per
la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale
avverso l'aggiudicazione definitiva, ai sensi dell'articolo 11, comma 10-ter, d. lgs. 163/2006, qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi
propri dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del
ricorrente di ottenere l'affidamento. (Bartolini A., S. SantiniS. e: Figorilli
F., Il decreto legislativo di recepimento
della direttiva ricorsi, in Urb. App.,
6, 2010, 652).
Spetta al giudice
rilevare le varie ipotesi nell’ambito dei criteri fissati dallo stesso
legislatore.
La norma precisa
che tra le esigenze imperative rientrano, fra l'altro, quelle imprescindibili
di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui
obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall'esecutore attuale.
Gli interessi
economici possono essere presi in considerazione come esigenze imperative solo
in circostanze eccezionali in cui l'inefficacia del contratto conduce a
conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo all'eventuale mancata
proposizione della domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio
dell'aggiudicazione non comporta l'obbligo di rinnovare la gara. Non
costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente
al contratto, che comprendono fra l'altro i costi derivanti dal ritardo
nell'esecuzione del contratto stesso, dalla necessità di indire una nuova
procedura di aggiudicazione, dal cambio dell'operatore economico e dagli
obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia.
L’art. 122, d. lgs. 2.7.2010,
n.104, dispone che in
via residuale - al di fuori dei casi indicati dagli artt 121 e 123, comma 3, il
giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare
inefficace il contratto.
E’ il giudice che
nella sua discrezionalità dispone sulle sorti del contratto. Ad esempio nel
caso di ricorso sulla legittimità dell’aggiudicazione per mancato rispetto dei
requisiti dell’appaltatore.
Egli in tal caso ne
fissa la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle
parti, dell'effettiva possibilità per il
ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello
stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel
contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo
di rinnovare la gara e la relativa domanda sia stata proposta.
il Consiglio di Stato ha ritenuto che, in
caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria o non approvazione della stessa,
argomentando ex art. 12 del d.lgs. n.
163 del 2006, tale diritto all’indennizzo non sussiste né è configurabile. (Cons. Stato , sez. VI, 17.3.2010, n. 1554).
5.1 Il risarcimento del danno.
L’art. 124, d. lgs. 2.7. 2010, n.104, conferma
il principio che il giudice, se non
dichiara l'inefficacia del contratto, dispone il risarcimento per equivalente
del danno da questi subito e provato.(Toschei S., Risarcimento solo a chi ha titolo
all’assegnazione, in Guida Diritto, 2010, n. 18, 111).
Il fatto che
l’ultima stesura della norma non contempli che il danno debba essere chiesto su
domanda e a favore del solo ricorrente avente titolo all'aggiudicazione
comporta per certa dottrina l’eliminazione della risarcibilità del danno da
perdita di chances già stabilita dal
d. lgs 53/2010.
(Ponte D., Al giudice anche la nuova
potestà sanzionatoria, in Giuda Dir., 2010, n. 33, 37).
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
prevede la possibilità di disporre il risarcimento del danno ingiusto.
L’ipotesi di richiesta di risarcimento è collegata con
l’annullamento dell’aggiudicazione della gara di appalto cui il ricorrente ha partecipato.
Per la determinazione del danno il giudice
amministrativo, invece di indicare l’esatta quantificazione dell’importo da
corrispondere, può indicare i criteri in base ai quali l’amministrazione
pubblica o il gestore del pubblico servizio devono formulare al danneggiato la
proposta risarcitoria nel termine ad essi indicato.
Per determinare l'ammontare del risarcimento dovuto dalla
p.a. in relazione alla responsabilità per illegittima mancata adozione del
provvedimento di aggiudicazione dell'appalto, trattandosi di un danno di
incerto ammontare, il giudice può esercitare la facoltà di cui all'art. 1226,
liquidandolo in via equitativa.
La misura del
risarcimento del danno per equivalente, conseguente all'annullamento
giurisdizionale di un'aggiudicazione, può liquidarsi, in analogia a quanto
previsto dall'art. 134 del d.lgs. n. 163/2006 per il caso di recesso della
stazione appaltante, nella misura del 10% del prezzo. (T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 5 .2. 2009, n. 181).
Il criterio della quantificazione del danno da
illegittima mancata aggiudicazione nel 10% dell'offerta presentata, quale utile
presunto che l'impresa avrebbe tratto dall'aggiudicazione dell'appalto, è
meramente presuntivo.
Tuttavia, la giurisprudenza ha anche precisato che il
danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è
quantificabile nella misura dell'utile non conseguito solo se e in quanto
l'impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze,
lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi, mentre quando tale
dimostrazione non sia stata presentata (come nel caso di specie) è da ritenere
che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per
lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la
propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del
danno risarcibile. (Cons. St., sez. V, 24 .10.2002 n. 5860.
Tale utile è stato indicato nella misura del 5%.
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