giovedì 15 giugno 2017

Foglio matricolare.La Ritirata.

La Ritirata.


I fanti della "Sforzesca" erano stati costretti a ritirarsi e questo valse all'unità l'appellativo di divisione cikai ("scappa" in russo).
A Giani quell’ingiusto appellativo non andava giù. Loro avevano combattuto, avevano dato il loro contributo di sangue, cosa dovevano fare di più?
Dopo questi combattimenti la "Sforzesca" era stata spostata sulle rive del fiume Don, all'interno del settore del XXIX Corpo d'Armata tedesco e nella parte più orientale dello scacchiere italiano, a contatto con le forze rumene.
L’operazione Piccolo Saturno contro l’ottava armata italiana aveva avuto inizio a metà di dicembre 1942, quando oramai la imminente resa, consegnata il mese successivo, della sesta armata del generale Von Paulus consentiva alle truppe russe di riprendersi il resto del loro territorio
Lo schieramento dell’ARMIR vedeva allineato da nord ovest verso sud est il II corpo d’armata alpino con la  Cosseria e la Ravenna, il XXXV con la 298 tedesca ed il Pasubio, il XXIX con la Torino la Celere  e la Sforzesca.
Giani era lì su sul suo camion ad attendere ordini. Pensava che almeno lui era al caldo nella sua cabina mentre i suoi commilitoni della fanteria erano nel gelo.
Li vedeva passare accanto al suo camion che tenevano stretta la coperta che li riparava la testa e le spalle dal vento gelido, camminavano uno dietro l’altro con la testa bassa. (Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, 1953, 62)
I reparti siberiani erano avvolti nei loro indumenti caldi e nei loro stivali confortevoli adatti a quelle temperature polari.      
La Cosseria e la Ravenna dapprima avevano resistito, ma poi la linea si era disintegrata il corpo d’armata tedesco non aveva portato in aiuto alcuna forza combattente.
Il 19 dicembre il II corpo d’armata aveva cessato di esistere. La "Sforzesca"aveva  iniziato la ritirata il 19 dicembre 1942.
Il percorso seguito dalle colonne in ritirata del blocco sud , cui appartenevano le unità della "Sforzesca", fu lungo e tortuoso, in condizioni climatiche estreme e con equipaggiamento e vestiario non idonei.
Il 28 dicembre 1942 i soldati del 54º Reggimento, primi tra tutti i reparti della divisione, erano riusciti ad uscire dalla sacca.
Giani era lì a Kantemirovka con altri trecento carri pronto per uno sgombero ordinato delle truppe. L’arrivo dei carri armati russi aveva provocato il panico.
Dal finestrino del suo camion vide la massa dei fuggiaschi prendere d’assalto il suo camion ed era partito miracolosamente attraversando una folla di disperati.
Aveva preso la via della ritirata raccogliendo più fuggitivi che poteva, abbandonando armamento, equipaggiamento ed ogni cosa ingombrante.  La cosa più importante era potersi rifornire di carburante, perché senza gasolio avrebbe fatto la fine dalla maggior parte dei fanti.
La massa di fuggiaschi si era dispersa. (Indro Montanello Storie d’Italia Vol  8, 2003, 493). La colonna maggiore in ritirata era come una biscia nera lunga una quarantina di chilometri  circa due giorni di marcia.
La colonna rallentava e si ingrossava se davanti magari una decina di chilometri avvenivano scontri o combattimenti altrimenti se non vi erano ostacoli  si assottigliava e marciava veloce (Egisto Corrado, La ritirata di Russia, 2009, 127).
Giani aveva la sensazione di appartenere ad un lungo serpentone di formiche che un nemico insidioso si divertiva a schiacciare senza che le povere bestioline potessero porre difesa o scappare.
Nonostante questo il corpo d’armata alpino aveva avuto un riconoscimento del suo eroismo  pagato troppo a caro prezzo (Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, 2011, 157).
Giani non aveva mai voluto parlare a Nicheto di quei giorni. Aveva visto morire troppi amici attaccati al suo camion senza potere fare di più; non voleva impressionare il suo bambino con quei ricordi. Sapeva che di 229.000 soldati partiti per quella assurda spedizione non ne erano tornati 74.800, senza che nessuno avesse fatto niente per limitare almeno tanto massacro.
Giani sapeva che rispetto ai 12.521 uomini in forza alla Sforzesca al 1º luglio 1942, al 1º gennaio 1943 erano stati rilevati 4.802 uomini - con una percentuale di perdite per la divisione pari al 64%. Riteneva solo di essere stato fortunato per esser potuto tornare  a casa.
Aveva visto migliaia di soldati distesi sulla neve dormire per sempre con il termometro che scendeva fino ai 40 gradi sottozero e quelli che tagliavano a  strisce le coperte per scaldarsi i piedi all’orlo del congelamento. (Nuto Ravelli, La ritirata di Russia, 1961, 289).
Nicheto era troppo piccolo per capire, ma avendo sentito parlare di guerra come tutti i bambini che giocavano con i  soldatini voleva sapere com’era la guerra davvero  e chiedeva con insistenza a Giani che gli raccontasse delle  battaglie cui aveva partecipato.
Non capiva che le guerre che Giani e i suoi commilitoni avevano combattuto erano quelle contro il gelo, la fame, la paura dell’inseguitore, il timore di essere braccati in condizioni di inferiorità.

L’unica possibilità era la fuga. Erano degli invasori, certo, ma poi erano diventati solo dei soldati in fuga, in balia di un nemico che li voleva distruggere perché avevano invaso la sacra terra di Russia.

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