Sbandato.
Nel
marzo 1943 la "Sforzesca" era stata fatta rimpatriare e nel mese di
aprile era stata sciolta.
A
cosa era servita la sua discesa in campo?
Al
fatto che il duce potesse essere presente al tavolo nel grande gioco dei
potenti per contare di più e dove il numero dei morti era solo statistica.
Nel
marzo 43 Giani era passato in forza al 21 reggimento battaglione Trieste in
Piacenza.
Quelli
erano giorni complicati.
L'otto
settembre 1943 è stato uno dei soliti giorni di guerra.
Quello
stesso pomeriggio il maresciallo Badoglio aveva annunciato improvvisamente da Via
Asiago l'armistizio.
Solo
i grandi capi sapevano quello che stava succedendo.
L'Italia
udita la notizia, per un attimo, si era illusa che la guerra fosse finita
davvero.
Un
dubbio si era insinuato subito nella mente di Giani e dei suoi commilitoni.
I
tedeschi? Cosa avrebbero fatto i tedeschi?
Difficile
che rimanessero immobili a guardare senza prendere delle iniziative contro gli
ex alleati.
Li
aveva conosciuti i tedeschi sul fronte russo, sapeva che non mollavano mai fino
alla fine e che volevano vincere da soli non conoscevano alleati, ma solo
subordinati.
Al
21 reggimento battaglione Trieste di Piacenza gli ufficiali e la truppa aspettavano ordini che non sarebbero mai
arrivati.
Improvvisamente
i carri armati tedeschi si erano presentati davanti alle caserme.
I
tedeschi erano in assetto di guerra. Si erano piazzati nei punti strategici con
le tute mimetiche, i mitra alla mano e le bombe infilate negli stivali.
Non
c’era proprio da scherzare.
Chi
aveva in caserma un vestito borghese era il più avvantaggiato. Lo indossava, si
calava da una delle finestre degli uffici ed era libero di tentare di
nascondersi o di raggiungere la propria casa dandosi alla macchia.
Giani
aspettava l’occasione adatta. La fuga dalla caserma fu una delle poche cose che
aveva raccontato: “Gli amighi da fora ne dava i vestiti e noialtri scampavamo.”
Scappavano
per le finestre delle cantine o degli uffici, sicché le fughe dei commilitoni
continuavano a ritmo ininterrotto; tanto più che si era sparsa la voce di treni
piombati pieni di militari, che partivano in direzione di Verona e forse del
Brennero. I tedeschi, avevano fatto frequenti appelli dei militari italiani ed avevano
avuto la certezza che il reggimento si stava sfaldando.
Gli
ex alleati avevano individuato le probabili vie di fuga seguite dai fuggiaschi
e avevano messo sentinelle armate all'entrata delle cantine e degli uffici.
Giani
aveva trovato il modo di fuggire dalla parte dei tetti attraverso la soffitta.
Con
un commilitone che si chiamava pure lui Giovanni e veniva da Rovereto andò in
soffitta e salì sui tetti attraverso un abbaino. Quindi, quasi ventre a terra
per non farsi scorgere dal basso, cominciò a scendere. Arrivato in strada trovò
una porta chiusa.
A
forza di bussare e strepitare, i vicini
aprirono.
Non
intendevano essere coinvolti in un’operazione che essi ritenevano troppo
rischiosa e si erano lasciati convincere anche
perché erano di origine trentina come il suo commilitone. I fuggiaschi
avevano ottenuto qualche indumento estivo e quindi erano usciti da una porta
secondaria: Erano liberi!
Si
erano allontanati con molta prudenza per evitare le ronde fino alla stazione.
Il
re, il principe Umberto, Badoglio, Ambrosio, Roatta, i generali si erano già
messi al sicuro fuggendo verso Pescara, loro oramai non correvano nessun
pericolo.
Per
non ostacolare la loro fuga ingloriosa non avevano tenuto nessun contatto con
gli ufficiali e la truppa abbandonati alla vendetta dei tedeschi.
Giani
non aveva avuto dubbi sul da farsi.
Circolava
la notizia che le prime colonne di soldati catturati dalla
Wehrmacht erano state avviate alle stazioni ferroviarie con destinazione i
lager tedeschi.
Lui,
dopo aver buttato la divisa, aveva seguito
l’istinto fuggendo in treno verso casa.
A
Venezia poteva forse trovare rifugio aspettando tempi migliori.
L’unico
problema era evitare i controlli della Wehrmacht che era stata spiegata a
rastrellare i fuggiaschi.
I
capi politici e militari italiani avevano ingannato, sorpreso e abbandonato i
loro soldati dopo averli mandati a fare la guerra in condizioni tragiche.
Oltre
agli equipaggiamenti e alle munizioni erano mancati persino gli ordini.
Pochi
capi avevano pagato di persona per il senso dell’onore.
Per
i vertici l'otto settembre era un gioco di inganni, di opportunismi, di
irresponsabilità e di paura: una nera pagina di storia. Per i gregari era
inevitabile lo sfascio.
Le
gesta di Badoglio sono state immortalate nella loro disumana debolezza nella
Badoglieide di Nuto Revelli che Giovanni
cantava dopo la fine della guerra:
“Ti
ricordi la fuga ingloriosa
con
il re, verso terre sicure?
Siete
proprio due sporche figure
meritate
la fucilazion.”
Era
una classe dirigente strana quella di quel periodo (o è un requisito comune di
chi comanda quello di nascondersi nel momento cruciale quando occorre veramente
avere una guida?).
Salvo
rare eccezioni chi aveva un posto di responsabilità era scappato. I capi avevano rinunciato a stare lì in prima linea
quando le cose sono diventate difficili.
Si
erano presi gli onori e gli oneri li hanno lasciati agli altri, ai comuni
mortali, a quelli che si erano già presi i disagi di una guerra che avrebbero
fatto a meno di combattere.
Giani
nella retorica ufficiale si “sbandava” a seguito degli eventi succeduti
all’armistizio del 9 settembre 1943 e conseguentemente veniva denunciato al Tribunale speciale di
guerra per non avere risposto al richiamo alle armi.
Tre
sere dopo la radio annunziava la liberazione di Mussolini ad opera di
paracadutisti tedeschi.
L’Italia
era destinata a spaccarsi in due la situazione si stava facendo sempre più
confusa.
Cosa
aveva fatto Giani dopo l’otto settembre?
Sicuramente
non era andato con i repubblichini, sicuramente non era andato con i
partigiani.
Come
tanti italiani si era eclissato confidando che la notte buia doveva prima o poi
passare.
Faceva
parte di quella categoria di persone che, dietro gli uomini che rischiavano la
vita nella lotta quotidiana contro i tedeschi ed i fascisti, costituiva una
seconda linea, estesa quanto il paese che provvedeva a sostenere, finanziare e
curare tutti coloro che avevano partecipato alla lotta di liberazione. (Gaetano
Salvemini, Scritti sul fascismo, 1966).
Non
faceva parte di organizzazioni , gruppi sensibili al richiamo della resistenza.
All’inizio dopo l’otto settembre i “ribelli” erano poche migliaia di persone
che non costituivano una forza militare, privi com’erano di un comando
unificato, di direttive e di una strategia. (Indro Montanelli, Storia d’Italia,
9, 2004, 58).
Era
lì a Venezia e se ne stava nascosto, per paura che succedesse qualcosa se ne stava lontano anche dalla ragazza mora,
la figlia di Nicola.
Non
si faceva vedere né alla bottega di biadaiolo, che era stata di suo padre, né
al Bar Florida.
Lì
c’era Bepi, suo fratello, che era riuscito a
non partire militare perché era di qualche anno più vecchio ed ebbe una
gran fortuna a non essere arruolato nella riserva.
Lui
stava dietro le quinte cercando di dare una mano come poteva alla sua famiglia,
cercando di nascondersi per non finire in un campo di concentramento in
Germania.
Gli
alleati erano sbarcati ad Anzio il 22 gennaio 44 .
nel
giugno 44.
Nel
giugno 44 i tedeschi avevano ancora il controllo di Roma.
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