La Ritirata.
I
fanti della "Sforzesca" erano stati costretti a ritirarsi e questo
valse all'unità l'appellativo di divisione cikai ("scappa"
in russo).
A
Giani quell’ingiusto appellativo non andava giù. Loro avevano combattuto,
avevano dato il loro contributo di sangue, cosa dovevano fare di più?
Dopo
questi combattimenti la "Sforzesca" era stata spostata sulle rive del
fiume Don, all'interno del settore del XXIX Corpo d'Armata tedesco e nella
parte più orientale dello scacchiere italiano, a contatto con le forze rumene.
L’operazione
Piccolo Saturno contro l’ottava armata italiana aveva avuto inizio a metà di
dicembre 1942, quando oramai la imminente resa, consegnata il mese successivo,
della sesta armata del generale Von Paulus consentiva alle truppe russe di
riprendersi il resto del loro territorio
Lo
schieramento dell’ARMIR vedeva allineato da nord ovest verso sud est il II
corpo d’armata alpino con la Cosseria e
la Ravenna, il XXXV con la 298 tedesca ed il Pasubio, il XXIX con la Torino la
Celere e la Sforzesca.
Giani
era lì su sul suo camion ad attendere ordini. Pensava che almeno lui era al
caldo nella sua cabina mentre i suoi commilitoni della fanteria erano nel gelo.
Li
vedeva passare accanto al suo camion che tenevano stretta la coperta che li
riparava la testa e le spalle dal vento gelido, camminavano uno dietro l’altro
con la testa bassa. (Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, 1953, 62)
I
reparti siberiani erano avvolti nei loro indumenti caldi e nei loro stivali
confortevoli adatti a quelle temperature polari.
La
Cosseria e la Ravenna dapprima avevano resistito, ma poi la linea si era disintegrata
il corpo d’armata tedesco non aveva portato in aiuto alcuna forza combattente.
Il
19 dicembre il II corpo d’armata aveva cessato di esistere. La "Sforzesca"aveva
iniziato la ritirata il 19 dicembre
1942.
Il
percorso seguito dalle colonne in ritirata del blocco sud , cui
appartenevano le unità della "Sforzesca", fu lungo e tortuoso, in
condizioni climatiche estreme e con equipaggiamento e vestiario non idonei.
Il
28 dicembre 1942 i soldati del 54º Reggimento, primi tra tutti i reparti della
divisione, erano riusciti ad uscire dalla sacca.
Giani
era lì a Kantemirovka con altri trecento carri pronto per uno sgombero ordinato
delle truppe. L’arrivo dei carri armati russi aveva provocato il panico.
Dal
finestrino del suo camion vide la massa dei fuggiaschi prendere d’assalto il
suo camion ed era partito miracolosamente attraversando una folla di disperati.
Aveva
preso la via della ritirata raccogliendo più fuggitivi che poteva, abbandonando
armamento, equipaggiamento ed ogni cosa ingombrante. La cosa più importante era potersi rifornire
di carburante, perché senza gasolio avrebbe fatto la fine dalla maggior parte
dei fanti.
La
massa di fuggiaschi si era dispersa. (Indro Montanello Storie d’Italia Vol 8, 2003, 493). La colonna maggiore in
ritirata era come una biscia nera lunga una quarantina di chilometri circa due giorni di marcia.
La
colonna rallentava e si ingrossava se davanti magari una decina di chilometri
avvenivano scontri o combattimenti altrimenti se non vi erano ostacoli si assottigliava e marciava veloce (Egisto
Corrado, La ritirata di Russia, 2009, 127).
Giani
aveva la sensazione di appartenere ad un lungo serpentone di formiche che un
nemico insidioso si divertiva a schiacciare senza che le povere bestioline
potessero porre difesa o scappare.
Nonostante
questo il corpo d’armata alpino aveva avuto un riconoscimento del suo
eroismo pagato troppo a caro prezzo
(Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, 2011, 157).
Giani
non aveva mai voluto parlare a Nicheto di quei giorni. Aveva visto morire
troppi amici attaccati al suo camion senza potere fare di più; non voleva
impressionare il suo bambino con quei ricordi. Sapeva che di 229.000 soldati partiti
per quella assurda spedizione non ne erano tornati 74.800, senza che nessuno
avesse fatto niente per limitare almeno tanto massacro.
Giani
sapeva che rispetto ai 12.521 uomini in forza alla Sforzesca al 1º luglio 1942,
al 1º gennaio 1943 erano stati rilevati 4.802 uomini - con una
percentuale di perdite per la divisione pari al 64%. Riteneva solo di essere
stato fortunato per esser potuto tornare
a casa.
Aveva
visto migliaia di soldati distesi sulla neve dormire per sempre con il
termometro che scendeva fino ai 40 gradi sottozero e quelli che tagliavano
a strisce le coperte per scaldarsi i
piedi all’orlo del congelamento. (Nuto Ravelli, La ritirata di Russia, 1961,
289).
Nicheto
era troppo piccolo per capire, ma avendo sentito parlare di guerra come tutti i
bambini che giocavano con i soldatini
voleva sapere com’era la guerra davvero
e chiedeva con insistenza a Giani che gli raccontasse delle battaglie cui aveva partecipato.
Non
capiva che le guerre che Giani e i suoi commilitoni avevano combattuto erano
quelle contro il gelo, la fame, la paura dell’inseguitore, il timore di essere
braccati in condizioni di inferiorità.
L’unica
possibilità era la fuga. Erano degli invasori, certo, ma poi erano diventati
solo dei soldati in fuga, in balia di un nemico che li voleva distruggere
perché avevano invaso la sacra terra di Russia.
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