La "Sforzesca”.
La
"Sforzesca" era classificata come divisione di fanteria di montagna e come tale destinata all'impiego nei settori alpini. In realtà la dotazione di armi
e mezzi era di poco differente da quella di una normale divisione di fanteria di linea ed i fanti ne pagarono le conseguenze in tutte
le fasi del combattimento in cui vennero impiegati sia all’attacco sia in
ritirata.
Inviata
in Russia nel
luglio 1942, la "Sforzesca" venne subito
impiegata sul fronte del
medio Don, sostituendo la divisione
"Torino" appartenente
al XXXV Corpo d'Armata (ex CSIR). A comandare la ottava armata italiana il
Russia ARMIR era stato designato il
generale Gariboldi.
Arrivare
in zona di guerra a Giani aveva fatto una strana impressione, perché non andava a difendere la patria in
pericolo, ma ad aggredire un nemico pacifico.
I
russi erano contadini e gente del popolo come lui.
L’armata
di Gariboldi aveva agito in pianura.
La
sua insufficienza di automezzi la condannava ad una staticità che sarebbe stata
componente essenziale della tragedia finale.
Giani
faceva parte di quella fortunata squadra dotata di mezzi da trasporto che
avrebbe avuto più possibilità di cavarsela se i Russi avessero contrattaccato
in forze.
Qualcuno
come il generale Cavallero, eterno ottimista, sosteneva di avere risolto i
problemi della motorizzazione non dando camion alla truppa, ma portando la
tappa quotidiana della fanteria da 18 a 40 chilometri.
Davvero
un vero dirigente che sapeva risolvere i problemi seguendo acriticamente le
direttive di chi comandava veramente: un perfetto carrierista.
Chi
aveva una visione realistica della situazione era stato messo a tacere.
Il
generale Messe, che aveva accumulato un esperienza preziosa sulle difficoltà e sulle
esigenze della guerra, aveva capito presto che i soldati italiani venivano
mandati allo sbaraglio senza un equipaggiamento ed un armamento che dessero un
minimo di garanzia.
Messe
aveva confidato queste sue perplessità a Mussolini, ma il Duce aveva confermato che l’Italia non doveva figurare da
meno di altri alleati e doveva trovarsi a fianco della Germania su quel fronte,
così come la Germania affermava la sua cooperazione con l’esercito italiano in
Africa
In
tal modo l’Italia avrebbe tratto vantaggi e benefici maggiori dalla presenza di un corpo d’armata piuttosto
che di una sola armata.
Di
queste strategie a Giani e alla maggior parte della truppa non interessava
molto.
“Quando
se torna a casa”. I fanti chiedevano ai
loro sottufficiali che erano lì con loro a combattere in prima linea e che
erano gli unici che avrebbero fatto il possibile per riportarli indietro, anche
a costo della vita, a differenza di quelli dello stato maggiore.
La
ragion di Stato, o meglio le pericolose motivazioni del dittatore avevano avuto il sopravvento poiché nessuno, salvo
rare eccezioni, voleva contrariare il Duce ed esprimere un parere diverso dal
suo.
L’ARMIR
aveva preso posizione sulla sponda destra del Don.
L’armata
doveva lanciarsi alla conquista di Stalingrado, ma a questo compito erano state
destinate la 6 e la 4 armata tedesca. I tedeschi non volevano dividere l’onore
e i privilegi della vittoria, ritenuta in un primo momento molto facile, con
nessuno.
Gariboldi
doveva limitarsi a presidiare il settore
del nord in vista di future minacce.
Il
generale aveva protestato.
Lui
aveva capito perfettamente la situazione, aveva, infatti, pensato: “Se
l’attacco sovietico non verrà saremo inutili e se verrà saremo troppo deboli”.
(Indro Montanelli, Storie d’Italia, Vol
8, 2003, 477).
Nell’agosto
dello stesso anno, i fanti della "Sforzesca" ed i resti della 3ª divisione "Celere" avevano ingaggiato durissimi combattimenti con le
forze russe.
Il
20 agosto 1942 era incominciata la prima
battaglia difensiva del Don e il
79° Btg. CC.NN. era stato impegnato a contenere al fianco della 2ª
Divisione fanteria "Sforzesca" gli
attacchi sovietici.
Il
21 agosto all'alba un nuovo attacco aveva determinato il cedimento della
"Sforzesca" che aveva abbandonato le posizioni e a Margini,
comandante del 79°, era stato dato l'ordine di occupare il più rapidamente
possibile le posizioni abbandonate non ancora prese dal nemico per costituire
dei capisaldi.
Le
posizioni abbandonate dalla Sforzesca erano state rilevate dal 79º
Battaglione M del seniore Silvio Margini che
ne aveva protetto la ritirata.
Per
fortuna che Margini aveva fatto fino in fondo il suo dovere!
Era
un battaglione di camicie nere più addestrato, più equipaggiato e più
motorizzato della fanteria di montagna che aveva dato il suo contributo di
sangue per salvare la vita dei fanti della Sforzesca troppo poco mobili per
sfuggire agli attacchi dei russi.
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