3 CAPITOLO
PUBBLICO
IMPIEGO.
1. La privatizzazione del pubblico impiego.
Il d.L.vo 165/2001 conclude il processo
di privatizzazione del pubblico impiego. R. Chieppa R. Giovagnoli, Manuale di ritto amministrativo, 2011,
269.
L’art. 1, dispone che
l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche deve: a) accrescere l'efficienza
delle amministrazioni , b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, c)
realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche
amministrazioni.
A seguito della riforma la
pubblica amministrazione non esercita più, nel rapporto di pubblico impiego,
poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità del datore di lavoro
privato e nell'ambito di un rapporto contrattuale paritario.
Non configurandosi in capo ai
dipendenti situazioni di interesse legittimo di diritto pubblico, la posizione
degli stessi non è degradabile per effetto di atti unilaterali del datore di
lavoro; con la conseguenza che l'indubbia persistente rilevanza che assume
l'interesse generale non determina la funzionalizzazione dei singoli atti,
bensì dell'attività complessiva della stessa, così che i singoli atti di
gestione o di organizzazione non sono sindacabili alla stregua dei tradizionali
vizi dell'atto amministrativo ma nei limiti consentiti dal rapporto negoziale e
dalle relative fonti, legali e contrattuali, di riferimento, il che implica che
non risulta configurabile un potere di autotutela della pubblica
amministrazione, in quanto i poteri discrezionali o valutativi, che sono
riconosciuti al datore di lavoro pubblico si collocano sul piano del regime del
diritto comune e costituiscono espressione di potere privato e non anche di
discrezionalità amministrativa, risultando censurabili in conformità alle
disposizioni di legge e di contratto e, comunque, sulla base delle regole di correttezza
e buona fede. Consiglio Stato, sez. I, 15/09/2010, n. 1040, in Foro amm. CDS , 2010, 9, 2008.
2. Funzioni di indirizzo e di gestione.
Gli organi di governo esercitano le funzioni
di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da
attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali
funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività
amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.
Ai dirigenti spetta l'adozione
degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che
impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria,
tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via
esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi
risultati.
3. Dirigenti. Responsabilità.
I dirigenti di uffici
dirigenziali generali esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:
a) formulano proposte ed
esprimono pareri al Ministro, nelle materie di sua competenza;
a-bis) propongono le risorse e i
profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui
sono preposti ;
b) curano l'attuazione dei piani,
programmi e direttive generali definite dal Ministro;
c) adottano gli atti relativi
all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;
d) adottano gli atti e i
provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di
acquisizione delle entrate;
d-bis) adottano i provvedimenti
che dichiarano segrete particolari opere;
e) dirigono, coordinano e
controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti
amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia;
f) promuovono e resistono alle
liti;
g) richiedono direttamente pareri
agli organi consultivi dell'amministrazione;
h) svolgono le attività di organizzazione
e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;
i) decidono sui ricorsi
gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei
dirigenti;
l) curano i rapporti con gli
uffici dell'Unione europea e degli organismi internazionali.
l-bis) concorrono alla
definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione
e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono
preposti .
Il d.lg. 30 marzo 2001 n. 165,
art. 21, definisce la fattispecie della "responsabilità dirigenziale"
e prevede la revoca dell'incarico
dirigenziale solo "in relazione alla gravità dei casi"; sicché
occorre che sussistano i presupposti di fatto della responsabilità dirigenziale
(mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanze di direttive, illeciti
disciplinari) e che questi raggiungano una soglia di apprezzabile gravità tale
da essere proporzionale alla più radicale misura della revoca dell'incarico. In
ogni caso, a garanzia del dirigente, gli incarichi dirigenziali possono essere
revocati esclusivamente nei casi e con le modalità dell'art. 21, comma 1,
secondo periodo, cit. Quanto poi alle conseguenze della revoca illegittima
dell'incarico dirigenziale la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei
dirigenti pubblici non è quella dell'art. 2118 c.c., propria dei dirigenti
privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti con qualifica
impiegatizia. Pertanto, in caso di revoca illegittima dell'incarico dirigenziale
ne consegue che l'Amministrazione è tenuta a ripristinare l'incarico
dirigenziale illegittimamente revocato ed a corrispondere le differenze
retributive. Cassazione civile, sez. un., 01/12/2009, n. 25254, in Giust. civ.
2010, 3, 719.
4. La contrattazione collettiva
La contrattazione collettiva
determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di
lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali.
L'art. 40, comma 3, d.lg. n. 165
del 2001, prevede che la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle
materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, con divieto,
a pena di nullità, di sottoscrivere accordi in contrasto con i vincoli
risultanti da questi ultimi Cassazione civile, sez. lav., 30/12/2010, n. 26493,
in Giust. civ. Mass. 2010, 12, 1667.
5. Il reclutamento del personale.
L'assunzione nelle
amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:
a) tramite procedure selettive
volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in
misura adeguata l'accesso dall'esterno;
b) mediante avviamento degli
iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e profili per i quali è richiesto
il solo requisito della scuola dell'obbligo.
L'art. 35 comma 3, lett. e),
d.lg. n. 165 del 2001 ha l'evidente scopo di evitare qualsiasi ingerenza
politica o sindacale nelle procedure riguardanti i pubblici concorsi. Pertanto,
non appare logico limitare l'applicazione della norma all'interno della stessa
Amministrazione che ha bandito il concorso pubblico, nel senso di ritenerla
applicabile solo se la designazione avvenga per rappresentare il sindacato in
organismi interni alla stessa Amministrazione. Infatti, è l'appartenenza in
generale ad una forza politica o ad una organizzazione sindacale che rende
indebitamente influenzabile da fattori esterni, identificati dal legislatore,
quel determinato soggetto, a prescindere dalla circostanza che la designazione
sia avvenuta all'interno della stessa Amministrazione che ha bandito il
concorso. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 03/12/2009, n. 12429, in Foro amm. TAR
2009, 12, 3514 .
6. La disciplina delle mansioni superiori.
L’art. 52 del
D.L.vo 165/2001 disciplina le mansioni del dipendente pubblico, ribadendo che
egli deve svolgere i compiti per i quali è stato assunto o quelli
corrispondenti alla qualifica superiore che egli abbia conseguito in seguito a
promozione per sviluppo di carriera o in seguito ad apposite procedure elettive
e concorsuali.
La disciplina
della materia dello svolgimento delle mansioni superiori nell'ambito della c.d.
contrattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, quale risultante dall'art.. 52 del d.lg. n.
165 del 2001, ha riconfermato il principio secondo cui l'esercizio di fatto di
mansioni diverse da quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai
fini dell'inquadramento del lavoratore. Cass. Civ., sez. lav., 25 ottobre 2004,
n. 20692.
Non vi può
essere un inquadramento del dipendente nella qualifica superiore prodotto dal
solo fatto che egli svolga effettivamente mansioni superiori a quelle della
propria qualifica.
E’ molto
dibattuto il problema di come disciplinare lo svolgimento di mansioni superiori
e di quanto esso sia rilevante, ferma restando sempre la sua irrilevanza ai
fini di un superiore inquadramento.
Una diffusa
interpretazione giurisprudenziale giudica irrilevante l’esercizio di compiti
superiori a quelle della qualifica sia per quanto riguarda l’inquadramento sia
per la retribuzione.
Essa ritiene che
ciò non sia di pregiudizio per i dipendenti interessati, in quanto essi non
sono tenuti né legittimati a svolgere mansioni diverse da quelle che devono eseguire
in base alla loro qualifica. Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n.1036; Cons.
Stato, sez. VI, 18 maggio 1998, n. 746. S. MEZZACAPO, Giudizio disciplinare:
debutta anche l’arbitro unico, in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5,
110.
Il principio che
l’esercizio di mansioni superiori, nell’ambito del pubblico impiego, è
irrilevante sia da un punto di vista giuridico sia sotto l’aspetto economico –
a meno che ciò si verifichi in seguito a una precisa disposizione normativa – è
stato affermato anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Cons.
Stato, Ad. Pl., 18 novembre 1999, n. 22, in Foro Amm., 1999, 2376.
Nessuna norma,
infatti, prevede, in via di principio, che lo svolgimento di mansioni superiori
sia retribuibile. Esistono invece, e danno sostegno alla suddetta tesi,
specifiche e precise disposizioni che consentono la rilevanza, come espressa
eccezione, come ad esempio, in campo sanitario, l’art. 29, D.P.R. 61 del 1979.
L’art. 36 della
Costituzione, che afferma il principio in base al quale la retribuzione deve
corrispondere alla qualità e quantità del lavoro prestato, non è ritenuto
applicabile dalla giurisprudenza, in quanto nel pubblico impiego concorrono
altri principi di pari rilevanza costituzionale, vale a dire quelli del buon
andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione.
In definitiva,
il dipendente, nel pubblico impiego, viene retribuito in base alla formale
qualifica che gli viene assegnata.
L’art. 52 del
D.L.vo 165 del 2001 consente di adibire eccezionalmente il pubblico dipendente a
mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore per obiettive
esigenze di servizio o nel caso il posto in organico sia vacante – per non più
di sei mesi, prorogabili a dodici se sono state iniziate le procedure di
copertura del posto vacante – o nel caso si debba sostituire un altro
dipendente con diritto alla conservazione del posto – per la durata della
relativa assenza.
Nelle precedenti
ipotesi è previsto, ai sensi dell’art. 52, comma 4, del D.L.vo 165 del 2001, il
diritto del dipendente al trattamento economico spettante alla qualifica
superiore.
Ai sensi
dell’art. 52, comma 5, del D.L.vo 165 del 2001, la differenza di retribuzione
con la qualifica superiore spetta comunque al lavoratore anche se sia stato
incaricato a svolgere mansioni superiori per motivi che non rientrano nelle
ipotesi tassativamente previste dalla normativa e, quindi, vi sia un’espressa
declaratoria di nullità di tale assegnazione.
E’ il dirigente
che ha deciso tale illegittima assegnazione, con dolo o colpa grave, che deve
rispondere del maggior onere economico fatto sopportare all’amministrazione.
7. Il procedimento disciplinare.
Il potere
disciplinare incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo caso
il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il
sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio.
Ai sensi
dell’art. 55, comma 3, D.L. vo 165/2001, la tipologia delle infrazioni e delle
relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.
Il comma 2 dello
stesso articolo contiene un’altra disposizione di particolare rilievo
sull’argomento, in quanto si limita a dichiarare applicabili solamente l’art.
2106, c.c. e l’art. 7, commi 1, 5, 8, L. 20 maggio 1970, n. 500, senza rinviare
integralmente alla normativa privatistica.
Nel procedimento
disciplinare previsto dal citato art. 55, l’interessato può impugnare il
provvedimento disciplinare immediatamente davanti al giudice, prescindendo dal
ricorso al collegio arbitrale, in modo analogo, peraltro, a quanto, ai sensi
dell’art. 7, L. 300/1970, è consentito al dipendente privato. T.A.R. Piemonte,
sez. II, 4 febbraio 1999, n. 58.
E’ possibile,
del resto, ricorrere al cosiddetto patteggiamento disciplinare, previsto nel
nostro sistema normativo dal comma 6 del citato art. 55, D.L. vo 165/2001, che
consente di ottenere la riduzione della sanzione non ancora irrogata in cambio
della sua incondizionata accettazione. S. S. MEZZACAPO, Giudizio
disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida Dir. Dossier,
2001, n. 5, 113.
In base a tale
disposizione, infatti, qualora vi sia il consenso dell’interessato, la sanzione
applicabile può essere ridotta, senza che vi sia più però la possibilità di
impugnarla.
Il dipendente
sotto accusa può solo chiedere e non pretendere che venga applicato il
meccanismo riduttivo succitato, dato che è una facoltà discrezionale
dell’amministrazione esercitarlo. T.A.R. Veneto, 9 febbraio 1999, n. 117;
T.A.R. Milano, 10 novembre 1999, n. 3659.
La
giurisprudenza ha ròecisato che nei procedimenti disciplinari instaurati a
seguito di pronuncia di applicazione della pena su richiesta ex art. 444
c.p.p., il datore di lavoro è tenuto, con autonoma valutazione, a riscontrare,
sulla base dei fatti materiali e della loro ascrivibilità al dipendente, per
come accertati dal giudice penale, e svolgendo, se necessario, ogni ulteriore
utile accertamento, se i medesimi siano idonei, alla luce dei principi e della
disciplina contrattuale che regolano il rapporto d'impiego, a legittimare la
violazione dei doveri di ufficio, garantendo la necessaria proporzionalità ed
adeguatezza della sanzione al caso concreto.
La corte
territoriale ha nella fattispecie accertato le emergenze più significative
dell'indagine penale avviata nei confronti del ricorrente in ordine ai reati di
favoreggiamento della prostituzione e pornografia minorile e conclusasi con la
sentenza di condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600 di multa
per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Ii fatti contestati trovavano
puntuale riscontro negli atti del procedimento penale "richiamati in sede
disciplinare, sia nella fase della contestazione che nel procedimento
sanzionatorio.
L'accertamento
dei fatti costituenti illecito disciplinare non risultava basato solo sulla
sentenza ex art. 444 c.p.c., ma anche sugli atti di indagine penale posta a
fondamento della sentenza di condanna patteggiata, in virtù della quale era
stato successivamente adottato il provvedimento di licenziamento impugnato.
In difetto di
allegazione da parte del lavoratore, nel corso del processo penale, di una
diversa e plausibile ricostruzione dei fatti, legittimamente il datore di
lavoro aveva ritenuto che la condotta accertata integrasse una grave violazione
dei doveri di servizio "per il coinvolgimento di minori e trattandosi di
fatti commessi dal lavoratore nell'edificio scolastico approfittando delle
proprie funzioni di custode". Cassazione civile, sez. lav.,
19/01/2011, n. 1141, in Giust. civ. Mass. 2011, 1, 78.
8. Il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Il tentativo
obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali, di cui all’art.
69 del D.L.vo 29 del 1993 e mod., non ha avuto grande fortuna in campo privato
e, probabilmente, è destinato ad aver ancor meno seguito nelle controversie di
pubblico impiego.
L’attore ha
l’obbligo prima di ricorre al tribunale del lavoro, con l’entrata in vigore del
D.LGS. 19 febbraio 1998, n. 51, a condizione di procedibilità della domanda di
tentare la conciliazione.
La dottrina nota
come tale tentativo non sia previsto nelle residue controversie di competenza
del giudice amministrativo. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le
controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso,
1999, 67.
Il tentativo di
conciliazione deve essere svolto, secondo le procedure previste dai contratti
collettivi, davanti al Collegio di conciliazione istituito presso la Direzione
provinciale del lavoro e della massima occupazione, nella cui circoscrizione si
trova l’ufficio presso il quale il lavoratore è addetto.
La richiesta di
conciliazione, che può essere avanzata dal lavoratore o dalla stessa
amministrazione deve essere spedita a mezzo raccomandata R.R. all Ufficio di
conciliazione e all’altra parte deve essere
Il nuovo art. 69
bis, comma 8, prevede che la conciliazione della lite da parte di chi
rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata
dal collegio di cui al primo comma, ovvero in sede giudiziale ai sensi
dell’art. 420, comma primo, secondo e terzo del codice di procedura civile, non
può dar luogo a responsabilità amministrativa.
Qualora siano
trascorsi inutilmente 90 giorni dalla presentazione della richiesta di
espletamento del tentativo di conciliazione, è prevista dalla normativa la
procedibilità della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 69, comma 2 del
nuovo testo introdotto dall'art. 31 del decreto delegato. Si può intuire,
quindi, quale sarà la situazione effettiva.
L’art. 28 del
D.L.vo 80 del 1998, inserendo un nuovo art. 59 bis nel decreto legislativo
29/1993, attribuisce al collegio di conciliazione - di cui all’art. 32 - la
competenza a decidere eventuali impugnative delle sanzioni disciplinari da
parte dei lavoratori, qualora nei contratti di lavoro non siano previste
apposite procedure di conciliazione ed arbitrato.
9. Il ricorso al Tribunale del lavoro.
Il ricorso al
Tribunale del lavoro, con l’entrata in vigore del D.LGS. 19 febbraio 1998, n.
51, si sviluppa secondo il dettato dell’art. 414 c.p.c.
Il ricorso deve
indicare:
·
il
giudice presso il quale si radica l’azione che, ai sensi dell’art. 413 c.p.c.,
è quello nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente
addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto;
·
il
nome, il cognome nonché la residenza od il domicilio eletto nel comune in cui
ha sede il giudice adito, la denominazione dell’amministrazione convenuta ed il
suo domicilio;
·
la
documentazione che dimostri l’esperimento del tentativo di conciliazione;
·
la
determinazione dell’oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti e degli
elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;
·
l’indicazione
specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e, in
particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.
Il ricorso è
depositato nella cancelleria del giudice.
Il giudice fissa
con decreto la data dell’udienza.
L’attore ha
l’obbligo di notificare il ricorso unitamente al decreto entro dieci giorni
dalla sua pronuncia all’amministrazione destinataria.
La notifica,
relativa a procedimenti contro amministrazioni dello Stato, va eseguita presso
gli uffici dell’Avvocatura dello stato competente per territorio, art. 41 D.
LGS. 80/1998. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le controversie
sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, 1999, 129.
10. L’interpretazione dei contratti collettivi.
L’arbitrato
previsto nei contratti collettivi sembra però avere maggiori possibilità di
funzionare con efficacia.
L’art. 30 del
D.L.vo 80/1998, che aggiunge l’art. 68 bis al D.L.vo 29 del 1993, dispone
l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, sulla validità e
sull’interpretazione dei contratti collettivi.
Ne consegue che,
qualora per definire una controversia sia necessario l’accertamento della regola
esplicitamente definita dal contratto collettivo sul punto in esame, il giudice
deve sospendere il processo e disporre la comunicazione degli atti della causa
all’ARAN ed ai sindacati. G. NOVIELLO P. SORDI G.N. CARUGNO V. TENORE, Le
controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso,
1999, 82.
La norma
consente di ottenere un’interpretazione autentica del contratto di lavoro.
Entro trenta
giorni l’ARAN deve convocare i sindacati; l’accordo deve poi essere raggiunto
entro i successivi 90 giorni, trascorsi i quali si considera conclusa in modo
negativo la procedura.
Il giudice in
tale caso decide solo sulla questione pregiudiziale, ossia, obbligatoriamente,
con sentenza non definitiva.
Questa è
soggetta solo a ricorso per cassazione, che è fattibile anche per violazione o
errata applicazione dei contratti o degli accordi collettivi, le cui parti
contraenti possono non solo portare informazioni e osservazioni - come avviene
nel rito ordinario del lavoro - ma anche intervenire nel processo oltre i
termini ordinari ed impugnare la sentenza, facendo valere una loro autonoma e
speciale legittimazione.
Il giudice, poi,
che non intenda adeguarsi al parere già formulato dalla Suprema corte su una
determinata questione ha l’identico obbligo di pronunziarsi con sentenza
immediatamente ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 68 bis, comma 7
del D.L.vo 29/1993.
11. La giurisdizione nel pubblico impiego.
L’art. 63 del
D.L.vo 165/2001, dispone una radicale cambiamento della giurisdizione nel
pubblico impiego, trasferendo, colla privatizzazione del rapporto di lavoro
pubblico, al giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro
alla dipendenza delle pubbliche amministrazioni.
Restano sempre
devolute al giudice amministrativo, come precisa l’art. 63 del D.L.vo 165/2001,
le controversie in materia delle procedure concorsuali per l’assunzione dei
dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, fatta evidente eccezione per i
dirigenti nominati direttamente con rapporto privatistico e per i dirigenti
generali.
La giurisdizione
del giudice amministrativo viene conservata in via di eccezione dall’art. 3,
del D.L.vo 165/2001, per taluni rapporti di pubblico impiego e, in tali
ipotesi, si tratta di giurisdizione esclusiva.
La norma precisa
che, in deroga alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, rimangono
disciplinati dai rispettivi ordinamenti, dopo l’ultima modifica portata
dall’art. 2 del D.L.vo 80/1998: i magistrati ordinari, amministrativi e
contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e
delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e
della carriera prefettizia - quest’ultima a partire dalla qualifica di vice
consigliere di prefettura - nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro
attività nelle materie contemplate dall'art. 1 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n.
281, e 10 ottobre 1990, n. 287. Il rapporto di impiego dei professori e ricercatori
universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti.
12. La giurisdizione amministrativa. Limiti.
L’art. 63, D.L.
vo 165/2001 assegna le controversie riguardanti i rapporti di lavoro dipendenti
da pubbliche amministrazioni alla giurisdizione del giudice ordinario.
Vengono però
previste le seguenti eccezioni:
1) sono escluse
da tale giurisdizione, e permangono nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, le controversie riguardanti il personale di diritto pubblico,
vale a dire magistrati, militari e altre categorie previste all’art. 5 del
D.L.vo 165/2001;
2) permangono
sotto la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo le
controversie inerenti alle procedure concorsuali, che consistono essenzialmente
nell’impugnazione con richiesta di annullamento di atti ritenuti illegittimi.
L’origine della
prima esclusione prevista dal legislatore è la distinzione fra personale
cosiddetto contrattualizzato e personale cosiddetto non contrattualizzato, ora
definito “in regime di diritto pubblico”.
La centralità
riconosciuta al contratto collettivo – e anche a quello individuale - nella
costituzione e regolazione degli aspetti del rapporto di lavoro, e il mutamento
della fonte regolatrice del rapporto, esclude automaticamente ogni posizione di
supremazia dell’amministrazione e, di conseguenza, ogni presenza di poteri
pubblici esercitabili nel rapporto di lavoro. Esso è ora disciplinato da atti
paritetici, vale a dire da quelli che sono prodotti da un incontro, su un piano
di parità, della volontà della pubblica amministrazione e di quella del singolo
soggetto, titolare a sua volta di posizioni di diritto soggettivo.
Nel nuovo
sistema di riparto della giurisdizione sono devolute alla cognizione del
giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative
alla disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, poiché il
legislatore ha inteso concentrare la competenza presso un unico giudice al fine
di assicurare l'applicazione di una disciplina tendenzialmente omogenea ai
lavoratori pubblici e a quelli privati, avendo riguardo alla consistenza di
diritto soggettivo delle situazioni giuridiche del dipendente inerenti al
rapporto e alla facoltà del giudice ordinario di disapplicare tanto gli atti
amministrativi presupposti quanto gli atti di organizzazione e gestione del
lavoro eventualmente coinvolti dalla controversia.
Pertanto,
allorquando la domanda introduttiva del giudizio si fondi su un petitum
sostanziale riconducibile al rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del
giudice ordinario, non rilevando in contrario che la prospettazione della parte
sia rivolta anche contro atti prodromici, come è fatto palese dal disposto
dell'art. 68 del D.L.vo n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall'art. 29 del
D.L.vo n. 80 del 1998 (ora trasfuso nell'art. 63 del D.L.vo n. 165 del 2001),
che prevede la giurisdizione ordinaria ancorché "vengano in questione atti
amministrativi presupposti", e in considerazione della circostanza che non
sussiste alcuna vis attractiva della giurisdizione amministrativa a
cagione di questo nesso di presupposizione.
La
giurisdizione, infatti, è inderogabile per ragioni di connessione e il
coordinamento tra le giurisdizioni su rapporti diversi, ma interdipendenti può
trovare soluzione secondo le regole della sospensione del procedimento
pregiudicato. Cass. Civ., sez. un., 7 marzo 2003, n. 3508.
Appartiene alla
giurisdizione del giudice ordinario la controversia originata dal provvedimento
adottato dalla p.a., con il quale venga disposto il passaggio nei ruoli dello
Stato, ai sensi della L. 124 del 1999 e delle relative disposizioni di
attuazione dettate con D.M. 184 del 1999, del dipendente di un ente locale in
servizio presso istituzioni scolastiche statali e venga respinta, al riguardo,
l'istanza del medesimo dipendente tesa alla permanenza nei ruoli dell'ente
locale, in virtù della facoltà di opzione riconosciuta dall'art. 8 della L. 124
del 1999.
Il petitum sostanziale
si identifica nel diritto alla continuazione del rapporto in atto con
l'amministrazione locale, non rilevando in contrario che la prospettazione
della parte si estenda all'impugnativa di un atto prodromico, quale, nella
specie, il citato D.M. 184 del 1999. Cass. Civ., sez. un., 6 febbraio 2003, n.
1807.
Diverso è il
caso del personale in regime di diritto pubblico;
qualora,
infatti, le particolari funzioni esercitate da tale personale confermino
posizioni di supremazia dell’amministrazione, si afferma l’esistenza e
l’esercizio di poteri pubblici e, quindi, di posizioni di interesse legittimo,
unitamente a posizioni di diritto soggettivo.
La conferma
della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie concernenti
procedure concorsuali si basa sostanzialmente sul fatto che esiste un potere
organizzativo della pubblica amministrazione nei confronti del quale è solo
possibile configurare posizioni di interesse legittimo.
Rientrano nella
giurisdizione del giudice ordinario, anche ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art.
63, D.L.vo 165/2001, le controversie riguardanti rapporti di lavoro; ne
restano, pertanto, escluse le procedure come i concorsi che hanno il solo scopo
di individuare i soggetti con cui successivamente stipulare il contratto
individuale di lavoro.
Con il termine
di concorso si definisce ogni procedura volta ad individuare soggetti con i
quali si intende stabilire un rapporto di lavoro, anche a tempo determinato,
con la pubblica amministrazione.
L’art. 35 del
D.L. vo 165/2001, oltre alla possibilità di utilizzare le liste di
collocamento, stabilisce l’utilizzo di “procedure selettive volte
all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura
adeguata l’accesso dall’esterno” e, al comma 5, richiama i concorsi pubblici,
facendo riferimento allo stato e agli enti autonomi.
Con
l’espressione ‘concorso pubblico’ la normativa sembra, pertanto, definire le
particolari procedure selettive con le quali si intende individuare i soggetti
con cui stipulare un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e la stessa
interpretazione vale anche per il principio espresso nell’art. 97 della
costituzione.
L’espressione
“procedure selettive”, invece, comprende, oltre al concorso pubblico con il
ruolo sopra descritto, anche le procedure cosiddette non concorsuali, volte
alla formazione di rapporti di lavoro temporaneo.
Tali procedure e
le relative controversie sembra spettino alla giurisdizione del giudice
ordinario. O. FORLENZA, Sui concorsi decide il giudice amministrativo,
in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5, 121.
Il concorso
interno innanzitutto, per sua stessa natura, presuppone l’esistenza di un
rapporto di lavoro che costituisce il requisito fondamentale della stessa
partecipazione al concorso. Non si cercano quindi nuovi soggetti con cui
istituire un rapporto di lavoro, ma si cerca di individuare, nell’ambito di un
rapporto lavorativo già contrattualizzato, i soggetti nei cui confronti
procedere alla novazione di uno degli elementi del contratto di lavoro già in
essere attribuendo una qualifica superiore.
La
giurisprudenza ordinaria si è espressa per la sussistenza della sua
giurisdizione. Trib. Roma 11 ottobre 199. Pretura Catanzaro 17 febbraio 1999.
Contrariamente
la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto sussistere la sua giurisdizione
sulla questione affermando che l'art. 68 comma 4, D.L.vo 3 febbraio 1993, n.
29, mod. dall'art. 29, D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 - nella parte in cui prevede
che restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le
controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni, deve intendersi riferito anche ai c.d.
concorsi interni. T.A.R. Puglia sez. II, Lecce, 6 novembre 1999, n. 750, in Foro
amm., 2000, 1948.
13. Il risarcimento danno. Le fattispecie.
La giurisdizione
del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto
identificata non già in base al criterio cosiddetto della soggettiva
prospettazione della domanda ossia in base alla qualificazione compiutane
dall'interessato, ma alla stregua del petitum sostanziale individuato
dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto giuridico
posto a fondamento delle pretese.
Il giudice
amministrativo, a norma dell'art. 7, comma 3, della L. 205 del 2000, ha altresì
il potere, anche nelle controversie che rientrano nella giurisdizione generale
di legittimità, e non solo in quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, di condannare l'amministrazione al risarcimento del
danno, in tal modo concentrandosi in un unico giudizio le questioni relative
all'annullamento degli atti illegittimi e quelle attinenti al ristoro dei danni
da questi determinati, senza che all'uopo sia necessaria in via pregiudiziale
la declaratoria di illegittimità del provvedimento, ed eliminandosi altresì il pericolo
di contrasto tra giudicati. Cass. Civ., sez. un., 26 maggio 2004, n. 10180, in Foro
amm. CDS, 2004, 1319.
La giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego trova
applicazione per le domande risarcitorie quando il rapporto di pubblico impiego
funzioni da momento genetico diretto ed immediato dei diritti che si pretende
essere stati disconosciuti o lesi dall'ente pubblico in pregiudizio del
dipendente. Cass. Civ. sez. un., 27 febbraio 2002, n. 2882.
Le controversie
che possono comportare la condanna dell’amministrazione al risarcimento del
danno sono le seguenti:
E’ affermata in via prevalente la giurisdizione
amministrativa sul danno derivante dalla
partecipazione ai pubblici concorsi o alle prove di idoneità.
È ammissibile la
richiesta di risarcimento del danno commisurata alle retribuzioni non percepite
per il periodo anteriore alla tardiva effettiva immissione in servizio del
dipendente, vincitore di concorso, poiché viene a collegarsi direttamente al
rapporto di pubblico impiego già esistente, in quanto costituito con efficacia
retroattiva, purché sia presente nella fattispecie l'elemento soggettivo
dell'illecito, facente capo alla responsabilità per colpa della p.a.
Nella specie è
stata ritenuta sussistente la colpa grave della p.a. sul piano della diligenza
e della perizia per effetto della medesima violazione, giudizialmente accertata
per due volte consecutive, del corretto svolgimento della procedura
concorsuale.
Il danno
relativo è stato quantificato nella somma corrispondente alle retribuzioni non
percepite, con un abbattimento del 50%, oltre interessi e rivalutazione
monetaria da calcolarsi separatamente sull'importo nominale del credito. T.A.R.
Campania Salerno, sez. I, 6 novembre 2003, n. 1491, in Foro amm. TAR,
2003, 3325.
L’annullamento
della delibera del Consiglio superiore della magistratura di inidoneità alla
nomina a magistrato di cassazione rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo.
La domanda del
magistrato ordinario intesa ad ottenere il risarcimento del danno per pretesa
lesione del suo diritto, perfetto ed assoluto, all'immagine professionale
spetta al giudice ordinario, se proposta dopo l'esaurimento del processo la
cognizione nella fase transitoria prevista dal D.L.vo n. 80 del 1998. Trib.
Roma, 11 aprile 2003, in Giust. civ., 2004, I, 2465, osservazione
MOROZZO DELLA ROCCA.
Successivamente
è da affermare la giurisdizione amministrativa.
2) Gli artt. 3 e
63, c. 4, D.L.vo n. 165 del 2001 attribuiscono alla giustizia amministrativa le
controversie relative al rapporto di impiego dei professori universitari,
conservando il regime pubblicistico ed escludendo la cognizione del giudice
ordinario. Cass. Civ., sez. un., 5 aprile 2005, n. 7000, in Dir. e Giust.,
2005, f. 20, 97 nota EVANGELISTA.
Parimenti la
situazione giuridica soggettiva dei militari non è mutata nell'ambito del nuovo
regime di riparto di giurisdizione rispetto alla situazione ante 1998, in quanto
al pari di altre categorie i soggetti che rivestono la qualifica suddetta
risultano esclusi dalla privatizzazione del pubblico impiego.
E’ stata
dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda
con la quale un candidato ad un concorso di professore universitario di prima
fascia chieda il risarcimento del danno da perdita di chance, in relazione al
pregiudizio della propria posizione nel procedimento di valutazione comparativa
a causa della illegittima nomina suppletiva, a seguito della intervenuta
decadenza di un membro della commissione esaminatrice, di altro componente in
luogo della sostituzione della intera commissione.
Trova, infatti,
applicazione il disposto dell'art. 63, comma 4, del D.L.vo n. 165 del 2001, in
base al quale restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le
controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di dipendenti
delle pubbliche amministrazioni.
Nel caso di
costituzione del rapporto di pubblico impiego, in seguito a ricorso in
giudizio, e di retrodatazione della nomina ai fini giuridici, ma non a quelli
economici, la controversia instaurata nei confronti della pubblica
amministrazione avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno,
appartiene - nel regime di riparto anteriore a quello stabilito dal D. L.vo 31
marzo 1998, n. 80 - alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
dato che la causa petendi si collega, non occasionalmente, al rapporto
di pubblico impiego, che risulta già esistente, perché costituito con efficacia
retroattiva nel periodo in relazione al quale si lamenta la perdita economica. Cass. Civ., sez. un., 11 gennaio 2005, n. 317.
La
giurisprudenza rileva, poi, che la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sulle controversie in materia di pubblico impiego non trova
deroga nei casi in cui la violazione della regola del rapporto sia dedotta a
fini di pretese risarcitorie, allorché il rapporto stesso funzioni da momento
genetico diretto ed immediato dei diritti che si assumono disconosciuti o lesi
dall'ente pubblico in pregiudizio del dipendente. Cass., sez. un., 27 febbraio
2002, n. 2882.
3) L'azione promossa per il risarcimento del danno derivante dalla lesione dell'integrità psico – fisica rientrante nel contratto di lavoro rientra parimenti nella giurisdizione amministrativa.
3) L'azione promossa per il risarcimento del danno derivante dalla lesione dell'integrità psico – fisica rientrante nel contratto di lavoro rientra parimenti nella giurisdizione amministrativa.
L'azione
promossa da un dipendente nei confronti dell'ente pubblico suo datore di lavoro
per il risarcimento del danno derivante dalla lesione di beni primari come
quello dell'integrità psico - fisica, che sono oggetto di protezione generale,
nei confronti di qualsiasi cittadino, a prescindere dall'attualità del suddetto
rapporto di lavoro.
Le Sezioni unite hanno da tempo elaborato il principio per cui deve essere accertata la natura giuridica dell'azione di responsabilità che in concreto è stata proposta, in quanto, se è stata fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - trattandosi di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998, ex art. 69, settimo comma, D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165 - mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario. Cass. Sez. Un. 28 luglio 1998 n. 7394.
Al fine di tale accertamento, non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell'azione né la semplice prospettazione della inosservanza dell'art. 2087 c.c., né la lamentata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, allorché il richiamo all'uno o alle altre sia compiuto in funzione esclusivamente strumentale alla dimostrazione dell'elemento psicologico del reato di lesioni colpose e/o della configurabilità dell'illecito. Ma una siffatta irrilevanza di detto richiamo dipende da tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito, ossia da una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; mentre, ove la condotta dell'amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l'ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge.
Le Sezioni unite hanno da tempo elaborato il principio per cui deve essere accertata la natura giuridica dell'azione di responsabilità che in concreto è stata proposta, in quanto, se è stata fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - trattandosi di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998, ex art. 69, settimo comma, D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165 - mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario. Cass. Sez. Un. 28 luglio 1998 n. 7394.
Al fine di tale accertamento, non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell'azione né la semplice prospettazione della inosservanza dell'art. 2087 c.c., né la lamentata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, allorché il richiamo all'uno o alle altre sia compiuto in funzione esclusivamente strumentale alla dimostrazione dell'elemento psicologico del reato di lesioni colpose e/o della configurabilità dell'illecito. Ma una siffatta irrilevanza di detto richiamo dipende da tratti propri dell'elemento materiale dell'illecito, ossia da una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; mentre, ove la condotta dell'amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l'ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge.
Nella specie, la
S.C. ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con
riguardo alla controversia promossa da alcuni lavoratori nei confronti della
Gestione commissariale delle Ferrovie del Sud - Est, per ottenere il
risarcimento dei danni provocati dal comportamento della predetta datrice di
lavoro, che aveva loro impedito il godimento del riposo settimanale. Cass. Civ., sez. un., 2 luglio 2004, n. 12137, in Foro
amm. CDS, 2004, 1990.
4) Le questioni
patrimoniali consequenziali sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del
T.A.R.
La sussistenza
della giurisdizione non va vista in astratto, ma in concreto. Se il T.A.R.,
dunque, ha conosciuto una specifica questione, in sede di giurisdizione di
legittimità o esclusiva, e si è già pronunciato nell'ambito della sua
giurisdizione, conseguentemente deve conoscere tutte le questioni patrimoniali
consequenziali, tra cui quelle inerenti al risarcimento del danno. Il g.a.
conosce, quindi, di tali questioni nell'ambito della sua giurisdizione, già
legittimamente esercitata ratione temporis nel primo giudizio, anche se
proposte dopo il 15 settembre 2000, limite temporale massimo della possibilità
di esercizio della giurisdizione amministrativa in tema di risarcimento del
danno nel contesto di un rapporto di pubblico impiego, previsto dall'art. 69,
comma 7, D.L.vo 165 del 2001. T.A.R. Lazio, sez. III, 25 giugno 2004, n. 6254,
in Foro amm. TAR, 2004, 1748.
Nella specie si tratta di una ASL che aveva
ingiustamente dichiarato estinto il rapporto d'impiego di alcuni medici che non
avevano optato per il rapporto a tempo pieno o a tempo definito. (Cass. Civ., sez. un., 1 aprile 2003, n. 4995).
Quando la
domanda risarcitoria e l'accertamento della violazione di diritti soggettivi si
fondino sulla pretesa illegittimità di un provvedimento amministrativo, tale
pretesa illegittimità deve esser fatta valere nel termine decadenziale di cui
al richiamato art. 21, L. 1034 del 1971.
14. La giurisdizione del giudice ordinario dopo al privatizzazione del pubblico impiego.
L’art. 63 del
D.L.vo 165/2001, attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sulle
controversie del pubblico impiego privatizzato.
Secondo un
unanime orientamento giurisprudenziale dopo la privatizzazione del pubblico
impiego sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le
controversie inerenti le vicende del rapporto di lavoro, dalla sua
instaurazione alla sua estinzione, compresa ogni fase intermedia relativa a
qualsiasi circostanza modificativa Cass. civ., Sez. Lav., 1 febbraio 2007, n.
2233.
Rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il
mancato superamento del periodo di prova ai fini della costituzione del
rapporto di impiego. T.A.R. Basilicata Potenza, 29 giugno 2007, n. 487.
Il trasferimento
della giurisdizione avviene anche nel caso in cui vengano in questione atti
amministrativi presupposti.
L’atto
amministrativo presupposto nella controversie deve venire disapplicato dal giudice
ordinario.
L’impugnazione
dell’atto rilevante nella controversia, davanti al giudice amministrativo, non
è causa di sospensione del processo.
Il giudice
ordinario deve prendere, nei confronti delle amministrazioni convenute, tutti i
provvedimenti di accertamento, siano essi costitutivi o di condanna, richiesti
dalla natura dei diritti tutelati.
Le sue sentenze,
nel caso sanciscano il diritto all’assunzione, hanno anche effetto costitutivo
del rapporto di lavoro; qualora, invece, accertino l’illegittimità
dell’assunzione, hanno effetto estintivo dello stesso.
Sono attribuite
al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, anche le controversie
in materia di comportamento antisindacale e quelle inerenti le procedure di
contrattazione collettiva; il ricorso in cassazione è concesso anche nel caso
di violazione dei contratti o degli accordi collettivi. Il legislatore
stabilisce così un criterio di ripartizione effettivamente per materia, con
maggiori garanzie nell’applicazione concreta, secondo il quale il giudice
ordinario ha piena giurisdizione in tutte le controversie relative al pubblico
impiego cosiddetto privatizzato: ne sono escluse solo quelle che si riferiscono
a procedimenti di concorso per l’assunzione.
L’art. 7 del
D.L.vo 80/1998, aggiungendo l’art. 12 bis al D.L.vo 29/1993, invita le
amministrazioni a organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche
creando appositi uffici, in modo da assicurare l’efficace svolgimento di tutte
le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie e a
sfruttare eventuali sinergie con amministrazioni omogenee o simili.
Le nuove norme
decorrono dal 1° luglio 1998 e riguardano le controversie relative a questioni
attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo a tale data, ai sensi
dell’art. 45, comma 1, del D.L.vo 80/1998.
Le controversie
in essere e quelle concernenti questioni attinenti al periodo del rapporto di
lavoro precedente il 1° luglio 1998 - che possono essere presentate fino al 15
settembre 2000 - restano invece assegnate al giudice amministrativo.
15. Il risarcimento danno nella giurisdizione ordinaria.
I comportamenti
successivi all'esaurimento del concorso e, cioè, alla pubblicazione della
graduatoria, danno luogo a controversie che rientrano nella giurisdizione del
g.o., avendo il legislatore disegnato una sorta di giurisdizione ordinaria per
materia, nell'ambito della quale sono da comprendere le questioni che attengono
al rifiuto o al ritardo nell'assunzione.
Le controversie
che possono comportare la condanna dell’amministrazione al risarcimento del
danno sono le seguenti:
1) La
controversia avente a oggetto il risarcimento del danno da ritardata assunzione
di un vincitore di pubblico concorso è devoluta alla giurisdizione del giudice
ordinario secondo un indirizzo che contrasta con quello dominante che ritiene
sussista la giurisdizione amministrativa.
Nel giudizio
relativo ad una candidata risultata idonea al concorso a cattedre per esami e
titoli, relativo alle scuole ed istituti statali di istruzione secondaria è
stato affermato il diritto al risarcimento per ritardi nell’assunzione. Trib.
Roma, 22 Settembre 2004. R. Proietti, Ancora dubbi sul
risarcimento del danno da interesse legittimo, in Dir. e Giust.,
2004, 39, 27.
La ricorrente,
originariamente classificatasi fuori della graduatoria degli idonei aveva, poi,
raggiunto una posizione utile all’assunzione per rinunce degli altri
concorrenti.
Malgrado i posti
disponibili fossero in numero superiore si provvedeva ad assumere un numero di
idonei inferiore a quelli disponibili sicché l'interessata sosteneva di avere
diritto ad essere assunta.
Poiché, a suo
parere, gli atti dell'amministrazione che avevano provocato il ritardo
dell'assunzione erano viziati da illegittimità, essa chiedeva il risarcimento:
- dei danni patrimoniali sofferti in conseguenza di tali fatti;
- del danno morale da reato, ravvisabile nelle condotte dei funzionari dell'amministrazione che avevano agito illecitamente;
- del danno biologico ed esistenziale per il pregiudizio psicofisico dovuto alle sofferenze determinate dalla situazione di grande incertezza sul proprio futuro personale e professionale venutasi a creare in virtù del suddetto ritardo.
Il giudice, accertato che la ricorrente risultava essere candidata idonea e che, quindi, sarebbe rientrata nel numero di candidati che avrebbero dovuto essere nominati in ruolo e valutata la responsabilità ex articolo 2043 c.c. ha accolto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali subiti per la lesione dell'interesse legittimo ad essere tempestivamente assunta secondo l'ordine di graduatoria e nell'ambito della disponibilità dei posti.
La domanda di risarcimento dei danni patrimoniali per lesione dell'interesse legittimo dell'attrice ad una tempestiva assunzione da parte dell'amministrazione convenuta è stata accolta richiamando la giurisprudenza secondo la quale la posizione soggettiva del candidato idoneo, una volta approvata la graduatoria, va qualificata in termini di interesse legittimo Cass., sez. lav., 11955/2001. Cons. St., sez. V, 465/1998.
- dei danni patrimoniali sofferti in conseguenza di tali fatti;
- del danno morale da reato, ravvisabile nelle condotte dei funzionari dell'amministrazione che avevano agito illecitamente;
- del danno biologico ed esistenziale per il pregiudizio psicofisico dovuto alle sofferenze determinate dalla situazione di grande incertezza sul proprio futuro personale e professionale venutasi a creare in virtù del suddetto ritardo.
Il giudice, accertato che la ricorrente risultava essere candidata idonea e che, quindi, sarebbe rientrata nel numero di candidati che avrebbero dovuto essere nominati in ruolo e valutata la responsabilità ex articolo 2043 c.c. ha accolto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali subiti per la lesione dell'interesse legittimo ad essere tempestivamente assunta secondo l'ordine di graduatoria e nell'ambito della disponibilità dei posti.
La domanda di risarcimento dei danni patrimoniali per lesione dell'interesse legittimo dell'attrice ad una tempestiva assunzione da parte dell'amministrazione convenuta è stata accolta richiamando la giurisprudenza secondo la quale la posizione soggettiva del candidato idoneo, una volta approvata la graduatoria, va qualificata in termini di interesse legittimo Cass., sez. lav., 11955/2001. Cons. St., sez. V, 465/1998.
Nella
fattispecie, all'illegittimità dell'atto amministrativo di determinazione del
numero di posti da destinare agli idonei della graduatoria de qua, è stato
posto rimedio in via di autotutela, riconoscendo l'errore commesso, ma ciò non
ha eliminato il danno, poiché l'amministrazione ha riconosciuto l'errore
tardivamente e vi ha rimediato ancor più tardi.
2) La p.a. è
tenuta al risarcimento del danno esistenziale subito dal dipendente portatore
di handicap cui sia stato illegittimamente negato il permesso orario di due ore
giornaliere o di tre giorni mensili; e il danno può liquidarsi in relazione al
valore della ore lavorate in luogo di quelle da cui il dipendente si sarebbe
dovuto esonerare grazie ai permessi negatigli. Trib. Lecce, 2 marzo 2004, in Giur.
Merito, 2004, 1514.
3) L'azione del
dipendente che, avendo subito danni personali nello svolgimento delle sue
mansioni, faccia valere la violazione da parte del datore di lavoro
dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro, ha, natura extracontrattuale, e ricade nell'ambito della
giurisdizione del giudice ordinario. T.A.R. Toscana, sez. III, 3 febbraio 2004,
n. 245, in Foro amm. TAR, 2004, 411.
La lesione di un
interesse legittimo può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar
luogo a risarcimento del danno ingiusto, solo a condizione che risulti
danneggiato, per effetto dell'attività illegittima della p.a., l'interesse al
bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti
meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo.
Qualora rilevi
un interesse cosiddetto pretensivo, il quale assicura solo che il bene in vista
del quale è accordato sarà negato o concesso nel rispetto di determinate regole
e non garantisce il conseguimento del bene suddetto, ne consegue che - una
volta conclusosi il procedimento di scelta del candidato - l'interesse
pretensivo ha trovato integrale soddisfazione.
Non vi è spazio
in detta ipotesi per far valere posizioni giuridicamente garantite e deve
escludersi l'esistenza di un pregiudizio risarcibile.
Nella specie, la
S.C. ha cassato, decidendo sulla domanda, la sentenza di merito che, in ipotesi
di annullamento della delibera di nomina a direttore generale USL e conseguente
inoperatività del connesso contratto, aveva condannato la p.a. al risarcimento
del danno riconoscendo l'esistenza di un diritto soggettivo a seguito della
nomina. Cass. Civ., sez. lav., 20 dicembre 2003, n. 19570. Trib. Catania,
26 giugno 2003, in Giur. Merito, 2003, 2421.
4) Il
risarcimento per danni dovuti a false informazioni fornite dalla p.a. in
materia di quiescenza.
Poiché il
diritto alla pensione - da intendersi come il diritto avente ad oggetto il
trattamento pensionistico - trovando il proprio fondamento nella rilevanza
degli interessi che ne sono a base e che ricevono tutela dall'art. 38 cost.,
deve essere considerato alla stregua di un bene primario, come tale non
soggetto a prescrizione né ad atti di disposizione
Di fronte ad un
medesimo fatto che integri, contemporaneamente, la violazione di diritti
soggettivi primari spettanti alla persona offesa e la violazione di diritti
derivanti a una delle parti da un contratto validamente concluso può
ipotizzarsi sia l'esistenza della responsabilità extracontrattuale che di
quella contrattuale a carico dell'agente.
L'azione
risarcitoria per la lesione del diritto al trattamento di quiescenza promossa
nei confronti della p.a. da parte di un soggetto che sia legato alla stessa da
un rapporto di pubblico impiego, attribuita in ipotesi alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, deve essere qualificata come
extracontrattuale sia nel caso in cui l'attore ponga a fondamento della propria
domanda, in modo espresso, la cosiddetta responsabilità aquiliana sia qualora
non emerga una precisa e chiara scelta del danneggiato in favore della
responsabilità contrattuale sia comunque nel caso in cui la lesione del diritto
del lavoratore non sia correlata a poteri della p.a. che si estrinsecano in atti
amministrativi di cui si contesti la legittimità, ma sia dedotto un quid
pluris rispetto al provvedimento amministrativo e ai suoi effetti
indiretti, naturali ed inevitabili, sufficiente ad integrare un'attività
illecita della p.a.
Nella specie, in
relazione alla domanda proposta da un dipendente di un Comune, che, sulla base
delle informazioni fornite dall'ente in ordine alla sua anzianità lavorativa,
aveva rassegnato le dimissioni, conseguendo il trattamento di quiescenza
provvisorio, poi revocato dal Ministero del tesoro per carenza del requisito
dell'anzianità utile per conseguire il trattamento di pensione, e che,
deducendo sia la negligenza dell'ente, che aveva agito al di fuori dei canoni
della diligenza che deve richiedersi al datore di lavoro, sia la violazione
delle norme contenute negli art. 2043 e 2049 c.c., aveva chiesto la condanna
del Comune al pagamento delle somme trattenute sullo stipendio e sulla pensione
e al risarcimento del danno, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione
del giudice ordinario. Cass. Civ., sez. un., 10 giugno 2003, n. 9219, in Foro amm.
CDS, 2003, 1827.
5) Il
risarcimento del danno morale e del mobbing.
La domanda del
dipendente di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno morale e
del danno biologico va qualificata come azione di natura extracontrattuale,
proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c. appartenente, quindi, alla giurisdizione
del giudice ordinario. Cass. Civ. sez. un., 22 maggio 2002, n. 7470.
Nel caso di mobbing il rapporto di impiego pubblico ha costituito la mera occasione per l'insorgere di rapporti di intimidazione e minaccia, lesivi dell'integrità psico fisica del ricorrente, da parte di altri colleghi.
Il corretto ragionamento seguito dalla giurisprudenza prevalente appare quindi fondato sulla qualificazione dell'azione di responsabilità fatta valere.
Nel caso di mobbing il rapporto di impiego pubblico ha costituito la mera occasione per l'insorgere di rapporti di intimidazione e minaccia, lesivi dell'integrità psico fisica del ricorrente, da parte di altri colleghi.
Il corretto ragionamento seguito dalla giurisprudenza prevalente appare quindi fondato sulla qualificazione dell'azione di responsabilità fatta valere.
E’ stato ad
esempio precisato che, ai fini del riparto della giurisdizione rispetto ad una
domanda di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti
dell'amministrazione che non sia assoggettata alla nuova disciplina di cui alla
recente privatizzazione, assume valore determinante l'accertamento della natura
contrattuale o extracontrattuale dell'azione di responsabilità in concreto
proposta, dovendosi ritenere proposta la seconda tutte le volte in cui non
emerga una precisa scelta del danneggiato in favore dell'azione contrattuale, e
la prima, con conseguente devoluzione della controversia al giudice
amministrativo, quando la domanda di risarcimento sia espressamente fondata
sull'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di una violazione degli
obblighi inerenti al rapporto di impiego, sicuramente configurabile, come nel
caso della erronea valutazione medico legale delle condizioni di salute del
dipendente, che abbia originato il provvedimento di congedo anticipato dello
stesso. Cass. Civ., sez. un., 29 gennaio 2002, n. 1147.
In analoga direzione si è già espressa la prevalente giurisprudenza amministrativa: si è infatti precisato che il risarcimento del danno consistente nella lesione dell'integrità psico – fisica, seguita ad un provvedimento di destituzione dall'impiego dichiarato illegittimo, ha natura extracontrattuale e rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, esulando dal campo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia del pubblico. Cons. St. sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4629.
In analoga direzione si è già espressa la prevalente giurisprudenza amministrativa: si è infatti precisato che il risarcimento del danno consistente nella lesione dell'integrità psico – fisica, seguita ad un provvedimento di destituzione dall'impiego dichiarato illegittimo, ha natura extracontrattuale e rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, esulando dal campo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia del pubblico. Cons. St. sez. IV, 3 settembre 2001, n. 4629.
In termini
analoghi, è stato ribadito che la controversia instaurata da un soggetto legato
alla pubblica amministrazione da un rapporto di pubblico impiego per ottenere
il risarcimento del danno alla propria integrità fisica rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo nel caso in cui la
lesione sia derivante da una violazione del rapporto contrattuale, e quindi
l'azione proposta venga a fondarsi su uno specifico inadempimento da parte
dell'amministrazione T.A.R. Molise 29 aprile 2002, n. 344.
Qualora la domanda abbia ad oggetto l'accertamento della lesione dell'integrità psico fisica imputabile all'ambiente ostile, da cui sarebbe derivato un danno permanente dell'integrità psicofisica in misura del 25 %, la stessa domanda riguarda un danno avente natura extracontrattuale.
Qualora la domanda abbia ad oggetto l'accertamento della lesione dell'integrità psico fisica imputabile all'ambiente ostile, da cui sarebbe derivato un danno permanente dell'integrità psicofisica in misura del 25 %, la stessa domanda riguarda un danno avente natura extracontrattuale.
Rileva, quindi,
che, rispetto alle angherie asseritamente subite, il rapporto di impiego ha
costituito una semplice occasione, non risultando dimostrato né dimostrabile
quel collegamento con la violazione di doveri legali che regolano il rapporto.
La controversia in tal caso ha origine extracontrattuale e rientra nella sfera di cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
Altro filone giurisprudenziale afferma invece che la controversia che ha ad oggetto la richiesta, formulata da un soggetto appartenente alle forze armate o a forze di polizia di Stato, all'Amministrazione statale datrice di lavoro, di risarcimento del danno per mobbing, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. T.A.R. Veneto, sez. I, 8 gennaio 2004, n. 2, in Foro amm. TAR, 2004, 64.
La controversia in tal caso ha origine extracontrattuale e rientra nella sfera di cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
Altro filone giurisprudenziale afferma invece che la controversia che ha ad oggetto la richiesta, formulata da un soggetto appartenente alle forze armate o a forze di polizia di Stato, all'Amministrazione statale datrice di lavoro, di risarcimento del danno per mobbing, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. T.A.R. Veneto, sez. I, 8 gennaio 2004, n. 2, in Foro amm. TAR, 2004, 64.
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