IL
RICORSO AMMINISTRATIVO
1 I ricorsi amministrativi.
Il
ricorso amministrativo è atto di parte teso a sollecitare un procedimento
amministrativo destinato ad annullare o modificare un precedente provvedimento
dell'amministrazione. Il ricorso può proporsi anche contro un provvedimento non
definitivo. CENTOFANTI N., CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo
2012, 417.
Il
ricorrente può impugnare direttamente il provvedimento anche se non ha esperito
i gravami amministrativi previsti dall’ordinamento; non è stato ripreso il
principio portato dall’art. 34 t.u. cons. Stato che ammette il ricorso giurisdizionale
solo contro provvedimenti definitivi.
Il
ricorso deve contenere i requisiti sostanziali per poter produrre i suoi
effetti ossia per imporre all'amministrazione di rivedere i suoi atti.
La
dottrina distingue fra presupposti di ammissibilità e presupposti processuali
di procedibilità o irricevibilità.
I
requisiti sostanziali sono i seguenti.
L’indicazione
dell'autorità adita. Il ricorrente ha l'onere di indicare l'autorità cui
compete pronunciarsi sul ricorso.
L'errata
indicazione non pregiudica il rigetto per incompetenza, poiché in relazione al
carattere non rigidamente formale del ricorso è ammessa la possibilità di
rinvio da parte dell'amministrazione che lo ha ricevuto a quella
istituzionalmente competente.
Le
generalità del ricorrente. E' sufficiente la sottoscrizione del ricorrente; non
occorre, ai fini di notifica della decisione, né l'indicazione del domicilio né la
domiciliazione presso un avvocato, il cui patrocinio non è obbligatorio.
Il
ricorrente può informarsi delle decisioni dell'amministrazione adita presso la
sua segreteria.
Evidentemente
con grave pregiudizio della possibilità di impugnare nei termini la decisione
negativa.
L'interesse
al ricorso. La legge prevede che il ricorso possa essere proposto solo da parte
di chi ne abbia interesse ai sensi dell'art. 1, L.1199/1971.
E'
necessario che l'atto impugnato provochi materialmente un pregiudizio al
ricorrente che sia relazionato al suo interesse alla decisione.
Ad
esempio, una promozione di un dipendente appartenente ad una qualifica meno
elevata può ledere un interesse semplice, e come tale non tutelabile
amministrativamente, alla organizzazione migliore della amministrazione, ma
dall'annullamento dell'atto non deriva alcun interesse diretto al ricorrente.
L'interesse
al ricorso si determina in relazione ad alcuni requisiti quali l’attualità, la
personalità.
Vi
deve essere un rapporto di immediatezza fra il ricorso ed il provvedimento
impugnato, ad esempio chi non ha prodotto domanda per un bando di assegnazione
di alloggi economici popolari non ha interesse ad impugnare la relativa
graduatoria.
Questo
principio comporta la inammissibilità dell'impugnazione di un atto
preparatorio, ad esempio un parere obbligatorio, che non esplica immediati
effetti sul destinatario fino a che non sia emanato il relativo atto
amministrativo.
L'interesse
deve essere personale ossia strettamente legato alla persona del ricorrente.
La
legge ammette in casi particolari, come la legge elettorale ovvero la legge
urbanistica, il ricorso popolare attribuendo a chiunque la possibilità di
ricorrere data la rilevanza degli interessi.
In
questi casi prevale l'urgenza della verifica dell'azione amministrativa
rispetto al principio di conservazione degli atti amministrativi.
Il
provvedimento impugnato. Questo deve essere esistente, ossia emanato da una
autorità amministrativa, ed avere i requisiti minimi per potere essere
considerato un provvedimento amministrativo; esso deve essere chiaramente
individuato nel ricorso.
Esso
deve avere esaurito la fase procedimentale compresa quella integrativa della
sua efficacia, ad esempio deve avere ottenuto i relativi controlli da parte
della commissione regionale se atto comunale.
I
motivi del ricorso. Il ricorso deve obbligatoriamente contenere i vizi di
illegittimità o di merito su cui si fonda.
La
carenza delle espresse censure non pone l'amministrazione in grado di svolgere
la funzione di rivedere l'atto contro cui si ricorre poiché essa, rebus sic
stantibus, non potrebbe che riconfermare l'atto impugnato, per cui il
ricorso avrebbe solo degli effetti interruttivi contro il principio della
esecutorietà degli atti amministrativi.
La
presentazione del ricorso non esplica necessariamente effetti interruttivi:
l'amministrazione può dichiarare il provvedimento esecutivo non concedendo la
sospensiva e dichiarare successivamente il ricorso inammissibile per mancanza
dei requisiti.
La
forma del ricorso deve essere quella scritta; non sono richieste forme
tassative.
Il
ricorso è redatto in carta da bollo salve esenzioni.
2 I requisiti processuali dei ricorsi amministrativi.
I
requisiti processuali attengono alla rispondenza alle norme di procedura che
fissano tassative modalità di presentazione del ricorso in carenza delle quali
il ricorso stesso è dichiarato irricevibile per carenza formale dell'atto
introduttivo ovvero improcedibile perché alla regolarità del ricorso non sono
seguiti gli adempimenti formali richiesti.
I
requisiti fissati a pena di irricevibilità, vista la semplificazione formale
dei ricorsi, sono pochissimi.
Nel caso in cui non si siano rispettate le norme
fiscali sull'imposta di bollo è ammessa la regolarizzazione anche successiva da parte della p.a. prima del provvedimento decisorio. Cons. St. , sez. II, 25 novembre 1992, n.
418.
L'irricevibilità
può essere pronunciata solo nel caso di inottemperanza alla richiesta di
regolarizzazione.
I
requisiti di improcedibilità riguardano:
a)
L'osservanza del termine di presentazione del ricorso che, nel caso di ricorso
amministrativo, deve essere presentato entro trenta giorni dalla data o dalla
conoscenza del provvedimento.
Il
ricorso può essere presentato direttamente all’autorità che ha emanato l’atto.
Nel
ricorso straordinario è prevista la notifica ad almeno uno dei
controinteressati, ossia a quei soggetti che hanno un interesse tutelabile in
relazione al provvedimento che si impugna e pertanto non possono essere esclusi
dal relativo ricorso amministrativo. Nel ricorso ordinario l'integrazione del
contraddittorio è ammessa d'ufficio.
b)
Il deposito dell'eseguita notificazione al controinteressato che deve essere
disposta secondo le regole processuali del c.c..
Nel
caso di ricorso straordinario il deposito va effettuato, con la prova
dell'avvenuta notifica, entro 120 giorni dal provvedimento, presso il Ministero
se questo è gerarchicamente superiore all'autorità che ha emanato l'atto ovvero
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi degli artt 9 e 11 del DPR
1199/1971.
La
preventiva presentazione del ricorso in sede giurisdizionale rende improcedibile
la presentazione del ricorso straordinario.
La
presentazione di atto di opposizione al ricorso straordinario impone al
ricorrente di costituirsi in sede giurisdizionale ex art. 48, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
I
controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del
ricorso, possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all'organo che
ha emanato l'atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale.
In
tal caso il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso, deve depositare
presso la segreteria del giudice amministrativo competente l'atto di
costituzione in giudizio con allegato l’atto di opposizione e la copia del
ricorso straordinario, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto
di opposizione.
Successivamente
il ricorrente deve richiedere alla segreteria del T.A.R. la certificazione
dell’avvenuto deposito, ex art. 74, R.D. 21 aprile 1942, n. 444. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21 dicembre 2002, n.
1084.
Detto
atto deve essere notificato all'organo che ha emanato l'atto impugnato ed ai
controinteressati.
Il
giudizio segue in sede giurisdizionale.
Non
costituisce più requisito processuale la presentazione del provvedimento
impugnato, tale onere è imposto all'amministrazione dall'art. 46, D.L.vo 2
luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il
ricorso amministrativo è soggetto alla tassa sul bollo. Sono esclusi dal bollo
i ricorsi in materia di pubblico impiego D.P.R. 642/1972 art. 12 Tabella B.
3 I vizi.
Si
suole distinguere fra vizi di legittimità e vizi di merito.
I
vizi di legittimità si riscontrano allorquando l'atto amministrativo è
contrario alle norme che regolano l'azione amministrativa.
Tradizionalmente
si distinguono in vizi di incompetenza, di violazione di legge e di eccesso di
potere, ai sensi dell’art. 29,
D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
L'incompetenza
si ha allorquando l'atto è emanato da un organo cui non è data l’autorità di
emanarlo come, ad esempio, quando la legge prevede che l'organo competente è il
consiglio comunale e l'atto è emanato dal sindaco.
L'organo
comunale, pur facendo parte della stessa autorità amministrativa è considerato
affetto da un’incompetenza detta relativa che vizia l'atto.
Se
l'organo che emana l'atto appartiene ad un’altra autorità si è nel campo
dell'incompetenza assoluta e l'atto si classifica come inesistente.
Il
pubblico ufficiale che lo deve eseguire può rifiutarsi legittimamente a farlo.
La
violazione di legge si ha allorquando non sono rispettate le norme
procedimentali che regolano tipicamente l'emanazione dell'atto.
Secondo
lo schema procedimentale classico, il vizio può riscontrarsi nel soggetto, nel
contenuto dell'atto, nella forma ovvero nel non rispetto della ritualità del
procedimento.
Il
soggetto che emana l'atto (nel caso di organi collegiali) deve essere
ritualmente convocato, deve avere la composizione prevista per deliberare, nel
senso che devono essere rispettate le maggioranze previste per l'oggetto che si
discute, e nessuno dei componenti deve avere interessi particolari nell'oggetto
dell'atto.
Qualora
ne abbia deve obbligatoriamente astenersi.
Il
contenuto dell'atto deve essere possibile, determinato e lecito come, ad
esempio, un decreto di esproprio che non identifichi esattamente il bene da
espropriare è viziato nel contenuto.
La
forma dell'atto deve rispettare, ove sia richiesta ad substantiam,
quella prevista dalla legge; ad esempio le concessioni in diritto di superficie
delle aree di edilizia residenziale pubblica devono essere rogate per atto
pubblico.
Qualora
siano richiesti dei pareri obbligatori essi devono essere menzionati nell'atto.
Il
procedimento amministrativo deve essere rituale, ossia deve rispettare
procedimentalmente le fasi previste dal legislatore. Ad esempio, la mancanza
dell’instaurazione del contraddittorio nel soggetto sottoposto ai procedimenti
ablatori vizia l'atto di esproprio.
L'eccesso
di potere configura un vizio residuale che si manifesta nella essenziale
contraddittorietà fra l'azione della pubblica amministrazione ed il fine da
raggiungere.
Si
tratta di una violazione della causa stessa dell'atto da non confondere con i
vizi relativi al cattivo uso della discrezionalità amministrativa (vizi di
merito).
La
giurisprudenza amministrativa ha evidenziato e classificato le varie
fattispecie nelle quali questo vizio si manifesta. Le principali sono le
seguenti:
Lo
sviamento di potere che si verifica allorquando la potestà amministrativa è
esercitata al di fuori degli ambiti suoi propri non attribuiti dall'ordinamento
come, ad esempio, l'esercizio del potere ablatorio al di fuori dei casi
tassativamente previsti; come quando per realizzare attività alberghiere si
effettuino espropri con le modalità previste per l'attuazione di un piano di
zona.
La
contraddittorietà fra i contenuti della fase preliminare del procedimento e
quella costitutiva come , ad esempio, un parere obbligatorio positivo ed una
decisione negativa non motivata, ovvero una contraddittorietà fra più atti della stessa pubblica
amministrazione.
L’illogicità
dell'atto rispetto ai risultati che si dovrebbero conseguire che contrasta
sostanzialmente con l'obbligo di buona amministrazione come, ad esempio, un
sovradimensionamento di un piano di zona rispetto al fabbisogno documentato di
alloggi.
Il
travisamento di fatti che costituiscono la premessa ed il presupposto dell'atto
come, ad esempio, l'accettazione di dimissioni che in realtà non sono state
presentate.
La
disparità di trattamento che si ha allorquando, in violazione del principio
dell'imparzialità dell'azione amministrativa, in situazioni analoghe si
adottano provvedimenti diversi quando, ad esempio, nel caso di lievi infrazioni
commesse da uno o più impiegati, l'amministrazione adotta delle censure solo
per uno od alcuni di essi.
Il
vizio di merito inerisce alla stessa discrezionalità amministrativa che
consente all'organo di scegliere il comportamento ritenuto più consono per il
raggiungimento dei fini pubblici.
Il
merito è sempre censurabile nei ricorsi amministrativi, poiché è la stessa
amministrazione o l'organo gerarchicamente superiore a sindacare l'atto.
E'
censurabile solo ove espressamente previsto per legge nei ricorsi
giurisdizionali, come, ad esempio, in sede di approvazione di un piano
regolatore si possono censurare anche nel merito le scelte fatte dal consiglio
comunale nella fase di adozione del piano presentando osservazioni od
opposizioni su cui decide lo stesso consiglio; non si possono censurare le
scelte urbanistiche nel merito dopo la definitiva approvazione davanti al
giudice amministrativo.
4 Il ricorso gerarchico.
E'
possibile ricorrere all’autorità amministrativa contro gli atti non definitivi,
ossia quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi, fatta
salva la possibilità di richiedere all’amministrazione di esercitare il suo
potere di autotutela.
Dai
ricorsi amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla
decisione, si distinguono le mere denunce, volte a sollecitare un riesame della
decisione medesima.
Il
ricorso amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non
definitivo ossia un atto per il quale l'ordinamento ammette l'esperimento dei
ricorsi amministrativi.
Fino
alla scadenza del termine di presentazione l'atto di norma non ha efficacia,
successivamente l'amministrazione può pronunciarsi sulla sospensiva.
I
ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi gerarchici, che si presentano
all'autorità gerarchicamente superiore come, ad esempio, il ricorso contro i
provvedimenti dei dirigenti proposto al ministro, ex art. 3, L. 30
giugno 1972 n. 748, e i ricorsi in opposizione, che si presentano alla stessa
autorità che ha emanato l'atto.
Ad
esempio, contro il provvedimento disciplinare della censura e' ammesso il
ricorso al capo ufficio che l'ha emanato.
Vi
è poi il ricorso gerarchico improprio là dove non esiste un vero e proprio
rapporto di gerarchia fra l'autorità che ha emanato l'atto e quella preposta
alla decisione del ricorso, come ad esempio il procedimento di ricorso alla
Commissione disciplinare a carico di Ufficiali e Agenti di Polizia giudiziaria,
di cui agli artt. 16 e 18, D.L.vo n. 271 del 28 luglio 1989.
5 La decisione sul ricorso gerarchico. Il silenzio.
La
presentazione del ricorso amministrativo comporta la possibilità delle seguenti
decisioni da parte dell’autorità amministrativa, ai sensi dell'art. 5 del DPR
1199/1971.
Si
ha decisione di improcedibilità per carenza dei requisiti processuali se il
ricorso è irregolare e non è regolarizzato.
Si
ha decisione di inammissibilità quando il ricorso è carente dei requisiti
sostanziali, ad esempio qualora il provvedimento non sia impugnabile in via
amministrativa come quando l'atto sia già definitivo e quindi soggetto ai
gravami giurisdizionali ovvero quando vi sia carenza di interesse del
ricorrente.
Nel
caso in cui il ricorso sia procedibile ed ammissibile si ha la decisione sul
merito del ricorso che può essere di rigetto, di annullamento o di riforma.
La
decisione di rigetto ha l'effetto di confermare l'atto impugnato con
possibilità di proseguire negli altri gravami amministrativi, qualora il provvedimento
sia ancora non definitivo, ovvero con i gravami giurisdizionali successivamente
alla definitività del provvedimento.
La
decisione di accoglimento può essere presa per motivi di incompetenza dell’autorità
emanante ed in tal caso l'atto è annullato e l'affare è rimesso all'organo
competente; se l'accoglimento è fondato su motivi di legittimità si procede ad
annullare l'atto impugnato; se l'accoglimento è fondato su motivi di merito
l'atto può essere annullato e riformato.
Nelle
decisioni di accoglimento del ricorso può essere disposto il rinvio
all'autorità che lo ha emanato per i relativi adempimenti.
La
decisione ha natura di provvedimento amministrativo e come tale deve possederne
i requisiti; inoltre è atto recettizio e come tale deve, per produrre gli
effetti suoi propri, essere notificata all'organo che ha emanato l'atto, al
ricorrente e agli altri soggetti coinvolti da chi ne ha interesse.
L'amministrazione
decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso
per comunicare la propria decisione.
Il
silenzio equivale ad una decisione negativa.
Il
ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 6, DPR
1199/1971.
Il
silenzio parificato a decisione negativa consente di passare alla fase
successiva del gravame che consiste o nel ricorso all'autorità giurisdizionale
competente o nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
E'
quindi necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei
termini per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile
il provvedimento amministrativo che in ogni caso è immediatamente eseguibile
salvo sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del
silenzio rifiuto).
La
giurisprudenza amministrativa ha attribuito all’inerzia in materia di silenzio
serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi
dell'art.6, DPR 1199/1971, un contenuto meramente processuale.
Al
silenzio non corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il
ruolo di abilitare l'interessato ricorrente in via gerarchica all’immediata
proposizione del ricorso nella sede giurisdizionale.
La
volontà di assicurare la più ampia tutela al privato nei confronti dell’inerzia
della pubblica amministrazione ha imposto il superamento della precedente
costruzione di impugnazione del silenzio che ha determinato un incremento degli
oneri anche formali posti a carico del cittadino che intendeva tutelarsi anche
giudiziariamente nei confronti dell'amministrazione.
Ne
consegue che, formatosi il silenzio, l'autorità investita dell'istanza non
perde la potestà di decidere, fatte salve le responsabilità per il ritardo.
Il
privato ha la possibilità di ricorrere nei termini di decadenza contro il
silenzio o, successivamente, contro l'eventuale decisione.
Il decorso del termine di novanta giorni previsto
dall'art. 6, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 - entro il quale il ricorso
gerarchico deve essere deciso dall'Autorità amministrativa adita - non ha
effetti sostanziali, ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a
scegliere fra:
1)
l'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di
base nei termini di decadenza, una volta che si sia formato il silenzio
rigetto;
2)
la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione
amministrativa esplicita, con la duplice conseguenza che, anche se si è formato
il silenzio rigetto, l'amministrazione non è, solo per tale fatto, privata
della potestà di decidere espressamente il ricorso gerarchico e,
simmetricamente, il privato non è spogliato della legittimazione ad opporsi
avverso il provvedimento esplicito di rigetto dello stesso. T.A.R. Puglia Bari,
sez. I, 19 maggio 2003, n. 1948, in Foro amm. TAR, 2003, 1755.
Qualora
il soggetto interessato abbia lasciato
decorrere i termini di impugnazione non è esposto al rischio della perdurante
inerzia dell'autorità decidente , ma può ricorrere utilizzando i rimedi normali
del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l'amministrazione a provvedere,
ai sensi dell'art.25 D.P.R. 3/1957.
6 Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è il ricorso
amministrativo avverso atti amministrativi definitivi ovvero che abbiano già
esperito gli ordinari ricorsi amministrativi nell'ambito dell'amministrazione
di appartenenza, ai sensi del D.P.R. 1199/1971, art. 8.
Questo
ricorso è rimedio concorrente, ma alternativo con i ricorsi giurisdizionali,
fatta salva la possibilità dei controinteressati di richiedere che il ricorso
sia trasferito in sede giurisdizionale.
Il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è rimedio amministrativo
abbastanza normale ed utilizzato, specie in materia di pubblico impiego, poiché
consente al ricorrente di impugnare atti amministrativi, senza l'ausilio del
difensore, direttamente.
Il
ricorso straordinario non è necessariamente un rimedio impugnatorio, e può
avere ad oggetto anche l'accertamento della sussistenza in capo al ricorrente
di un diritto soggettivo, oltre che l'annullamento di un atto, e può vertere,
oltre che sull'impugnazione di un provvedimento, anche su un rapporto
obbligatorio con una p.a.; in questi casi la sua presentazione non è soggetta
al termine decadenziale.
La
domanda di risarcimento può essere proposta anche in sede di ricorso
straordinario che è preordinato ad assicurare la tutela contenziosa in coerenza
alla natura delle posizioni giuridiche soggettive dedotte, tenuto anche conto
della sua alternatività e fungibilità rispetto al ricorso giurisdizionale. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 16 aprile 2007, n.
623.
Il
ricorso deve essere proposto nel termine di centoventi giorni dalla data della
notificazione o della comunicazione dell'atto impugnato o da quando
l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza.
Entro
detti cento venti giorni il ricorso deve essere notificato nei modi e con le
forme prescritti per i ricorsi giurisdizionali ad uno almeno dei
controinteressati e presentato con la prova dell'eseguita notificazione
all'organo che ha emanato l'atto o al Ministero competente, direttamente o
mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di
ricevimento.L'organo che ha ricevuto il ricorso lo trasmette immediatamente al
Ministero competente.
I
controinteressati hanno a disposizione un termine di sessanta giorni dalla
notificazione del ricorso per presentare al Ministero che istruisce l'affare
deduzioni e documenti ed eventualmente per proporre ricorso incidentale.
Quando il ricorso sia stato notificato ad alcuni soltanto dei controinteressati, il Ministero ordina l'integrazione del procedimento, ex art. 9, D.P.R. 1199/1971.
Quando il ricorso sia stato notificato ad alcuni soltanto dei controinteressati, il Ministero ordina l'integrazione del procedimento, ex art. 9, D.P.R. 1199/1971.
L'istituto
non presenta la necessaria caratteristica della celerità e difficilmente è
concessa la sospensiva del provvedimento impugnato.
Trascorsi
i centoventi giorni dalla presentazione del ricorso, il ricorrente può
richiedere al Ministero se il ricorso è stato trasmesso al Consiglio di Stato
per ottenere il prescritto parere.
In
caso di risposta negativa il ricorrente può depositare direttamente al
Consiglio di Stato il ricorso, DPR 1199/1971, art. 11.
7 L’opposizione al ricorso straordinario.
Il
ricorso straordinario è rimedio concorrente, ma alternativo, con i ricorsi
giurisdizionali, infatti il controinteressato ha la possibilità di richiedere
che il ricorso sia trasferito in sede giurisdizionale.
In
tal caso il ricorrente deve costituirsi nel giudizio amministrativo in termini
perentori.
La
trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica a seguito di opposizione del controinteressato deve essere
eseguita, a pena di improcedibilità, dal ricorrente entro sessanta giorni dalla
anzidetta opposizione mediante deposito nella segreteria del T.A.R. competente
di un atto di costituzione in giudizio da notificare all'amministrazione e al
controinteressato, ai sensi dell'art. 10, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, in Cons. St., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2858.
Per
il principio dell'alternatività il proposto ricorso straordinario rende inammissibile
quello giurisdizionale in seguito notificato, nella parte in cui il secondo si
sovrapponga al primo.
La
giurisprudenza ritiene che tale principio ponga dei limiti all’attività del
giudice successivamente adito per censurare l’atto consequenziale al
provvedimento impugnato con ricorso.
L’esame
giurisdizionale del provvedimento consequenziale è negato dal principio di
alternatività fra ricorso straordinario e giurisdizionale e la sua ratio
è tesa ad evitare che la medesima questione sfoci in pronunce divergenti.
La
preventiva proposizione del ricorso straordinario avverso un atto presupposto
rispetto a quello formante oggetto del successivo ricorso giurisdizionale, pur
non comportando l'inammissibilità di quest'ultimo, ex art. 8, c. 2,
D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, determina la sospensione del giudizio, ex
artt. 295 e 298, c.p.c., nella attesa dell'esito del procedimento
amministrativo concernente il ricorso straordinario avverso l'atto presupposto.
T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 19 dicembre 2003, n. 2708.
La
giurisprudenza precedente all’entrata
in vigore del, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
ha
precisato che la disciplina dei riti abbreviati riguarda solo i processi
giurisdizionali in senso stretto e non si estende al procedimento introdotto
con il ricorso straordinario al Capo dello Stato
8
La trasposizione in sede giurisdizionale. I termini dimezzati.
I
controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del
ricorso, possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all'organo che
ha emanato l'atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale,
ex art. 10, D.P.R. 1999/1971.
Il
ricorrente che intenda insistere nel ricorso deve depositare presso la
segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, l'atto di costituzione in
giudizio, dandone avviso mediante notificazione all'organo che ha emanato
l'atto impugnato ed ai contro interessati, ex
art. 48, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod.
proc. amm.
Nel
caso di trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale può sorgere un problema
in ordine alle materie che prevedono termini dimezzati per il ricorso.
La
giurisprudenza distingue: a) la notifica dell'atto di opposizione; b) la
notifica dell'atto con cui il ricorrente straordinario dichiara di insistere
nel ricorso davanti al TAR; c) il deposito, presso la segreteria del tribunale
competente, dell'atto notificato dal ricorrente.
Il
primo atto non assume ancora connotati tipicamente processuali e
giurisdizionali, ma costituisce l'ultimo segmento della fase di svolgimento del
procedimento di trattazione del ricorso straordinario.
La
notifica dell'atto con cui si insiste nell'impugnazione ha la funzione di
radicare la controversia, per la prima volta, dinanzi al giudice. Se è vero che
tale atto si deve porre in rapporto di stretta connessione con il ricorso
straordinario, resta però indiscutibile che esso esprima la volontà del
soggetto interessato di proporre un ricorso, non più al Capo dello Stato, ma
davanti al giudice.
Il
termine successivo per il deposito dell'atto è senz'altro un termine
processuale, ma non è per niente riconducibile alla nozione, pure ampia, di
attività di proposizione del ricorso.
A
tale riguardo la giurisprudenza ritiene che questo termine non si sottrae alla
regola del dimezzamento del termine, in quanto la formula proposizione del
ricorso va intesa con il significato - più ristretto - di notificazione.
9 La decisione sul ricorso straordinario.
L'autorità
amministrativa decidente è il Presidente della Repubblica su proposta del
Ministro.
L’art. 14, D.P.R. 1199/2000, mod. art. 69, L. 69 del 2009,
modificando radicalmente l’impostazione precedente afferma che il Presidente
della Repubblica è vincolato dal parere
espresso dal Consiglio di Stato e deve risolvere la controversia secondo i criteri
risultanti dalla pura e semplice applicazione delle norme di diritto, che
caratterizzano le decisioni adottate in sede giudiziaria.
Il
parere del Consiglio di Stato è incardinato su alcune soluzioni tipiche e può
concludere:
a)per
la dichiarazione di inammissibilità, se riconosce che il ricorso non poteva
essere proposto, fatta salva la facoltà dell'assegnazione di un breve termine
per presentare all'organo competente il ricorso proposto, per errore ritenuto
scusabile, contro atti non definitivi;
b)
per l'assegnazione al ricorrente di un termine per la regolarizzazione, se
ravvisa un’irregolarità sanabile, e, se questi non vi provvede, per la
dichiarazione di improcedibilità del ricorso;
c)
per la reiezione, se riconosce infondato il ricorso;
d)
per l’accoglimento e la rimessione degli atti all'organo competente, se riconosce
fondato il ricorso per il motivo di incompetenza;
e)
per l'accoglimento, salvo gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, se
riconosce fondato il ricorso per altri motivi di legittimità, ex art.
13, comma 1, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
Il
decreto che decide il ricorso straordinario ha natura non giurisdizionale ma
amministrativa, con la conseguenza che, per la sua esecuzione, non si può
proporre il giudizio d'ottemperanza al giudice amministrativo perché la
relativa decisione non concretizza il presupposto del giudicato formale. Cons.
St., sez. IV, 22 settembre 2003, n. 5393.
La
giurisprudenza ritiene che in caso di mancata esecuzione, da parte
dell'Amministrazione, del decreto decisorio, o più in generale di mancata
adozione dei provvedimenti consequenziali, l'interessato può attivare la
procedura per la formalizzazione del silenzio inadempimento, ai sensi di quanto
ora previsto dall'art. 2, c. 4, della L. n. 241/90, introdotto dall'art. 2
della L. 11 febbraio 2005, n. 15.
Decorso
il termine previsto dal regolamento della singola Amministrazione per la
conclusione dei vari tipi di procedimento, il ricorso avverso il silenzio, può
essere proposto, anche senza necessità di diffida all'Amministrazione
inadempiente, fin tanto che perdura l'inadempimento e, in ogni modo, non oltre
un anno dalla scadenza del termine per provvedere. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 16 aprile 2007, n.
623
10 La tutela giurisdizionale sul ricorso gerarchico.
La
proposizione del ricorso gerarchico non ha alcun effetto alternativo al rimedio
giurisdizionale.
Il
ricorrente non ha il vincolo di attendere la decisione sull'originaria
impugnativa; l'interessato può, infatti, rinunciando in tal modo al ricorso,
impugnare il medesimo atto in sede giurisdizionale anche quando dal ricorso
amministrativo non sia decorso il termine di 90 giorni per pronunciarsi e
sempre che il ricorrente non abbia avuto notizia dell'intervenuta decisione.
E'
solo necessario che il ricorso giurisdizionale sia fatto nei termini
prescritti.
Più
complesso è il rapporto fra la decisione tardiva sul ricorso amministrativo ed
il ricorso giurisdizionale eventualmente proposto.
Essa,
se è favorevole al ricorrente, fa cessare la materia del contendere purché i
controinteressati o l'amministrazione non abbiano impugnato la decisione stessa
presso il giudice amministrativo.
I
due ricorsi, evidentemente connessi, vanno riuniti.
Se
la decisione non è favorevole i suoi effetti restano assorbiti dal successivo
ricorso giurisdizionale. Cons. Stato, Ad. Pl., 27 gennaio 1978, n. 2. T.A.R.
Marche, 22 marzo 1989, n. 54, in Foro Amm., 1989, 2821.
La
regola secondo cui l'esaurimento dei ricorsi amministrativi ordinari costituiva
il presupposto per adire gli organi giurisdizionali ordinari della giustizia
amministrativa è stata superata dall'art. art. 7, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,
cod. proc. amm.
Esso
dispone che nei confronti di atti o provvedimenti emessi da pubbliche
amminsitrazioni è possibile l'impugnativa in sede giurisdizionale.
La
norma rimette all'interessato la scelta se percorrere o meno la via gerarchica
prima di quella giurisdizionale e consente - in base alla regola della
prevalenza del ricorso giurisdizionale - a chi abbia presentato un ricorso
amministrativo di proporre successivamente, in via immediata, un'impugnativa
giurisdizionale.
La
giurisprudenza ha evidenziato che in tal caso il primo ricorso diviene
improcedibile.
Si
deve ravvisare, infatti, in detto comportamento una rinuncia implicita al
ricorso amministrativo precedentemente proposto. (Cons. Stato, sez. II, 12
febbraio 1996, n. 88, in Cons. Stato, 1998, I, 141).
Nel
ricorso giurisdizionale possono essere proposti motivi dedotti nel precedente
ricorso amministrativo; esso deve ritenersi tuttora operante, anche in
relazione alla disciplina contenuta nel D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che
comportano l'identità di contenuto ed il divieto di ampliare il thema decidendum.
Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 1997, n. 711, in Cons. St., 1997, I,
1001.
La decisione emessa sul ricorso gerarchico è
impugnabile presso il T.A.R.
11 La tutela giurisdizionale sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
La
dottrina sostiene la tesi della non impugnabilità in sede giurisdizionale delle
decisioni dei ricorsi straordinari relativamente al contenuto. Essa rileva che,
in ossequio al principio dell'alternatività, il Consiglio di Stato non deve
essere chiamato due volte ad esprimersi sullo stesso oggetto.
Detta
teoria risponde anche ad un bisogno di ordine eminentemente pratico teso a
favorire l'utilizzazione dell'istituto. Ben pochi sarebbero portati a
servirsene se quanto deciso potesse essere in toto rimesso in discussione,
attraverso l'impugnativa in sede giurisdizionale dell'atto decisorio per
qualunque motivo di legittimità. L. MAZZAROLLI, Riflessioni sul ricorso
straordinario al presidente della repubblica, in Dir. amm. 2004, 4,
693.
La
giurisprudenza ha sostenuto l'estensione dell'esclusione dell'impugnabilità
anche alle questioni di forma e di procedura riferibili a fasi precedenti
all'espressione, da parte del Consiglio di Stato, del parere di sua spettanza. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 3 maggio 2005, n. 3292
L'esito
di un ricorso straordinario non è mai impugnabile in sede giurisdizionale, con
la sola eccezione della non conformità del decreto del Capo dello Stato al
parere reso dal Consiglio di Stato senza che sia stato seguito il procedimento
di cui all'art. 14 del D.L.vo n. 1199 del 1971.
L'impugnabilità
della decisione del ricorso straordinario è circoscritta ai soli vizi di forma
e del procedimento, mentre è impedita la valutazione di contestazioni che
comportino un qualsiasi riesame del giudizio formulato dal Consiglio di Stato
in sede consultiva. Infatti, se fosse ammissibile il controllo di legittimità
della determinazione sul merito del ricorso straordinario, il giudice
amministrativo sarebbe investito della cognizione sui vizi dell'atto lesivo,
per la via mediata della denuncia degli errores in iudicando che
inficiano quella decisione; il che eliderebbe l'effetto preclusivo determinato
dalla proposizione del ricorso straordinario e vanificherebbe il principio di
alternatività tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 21 giugno 2007, n.
1075
La
Corte costituzionale ha respinto l’eccezione di incostituzionalità affermando
che è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di
legittimità costituzionale – sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113
cost., dal T.A.R. per l'Emilia Romagna, sez. di Parma, con l'ordinanza emessa
il 27 ottobre 1986 - dell'art. 10, comma 3, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199,
nella parte in cui, in caso di ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica avverso un atto amministrativo definitivo, preclude ai
controinteressati che non abbiano chiesto che il ricorso sia deciso in sede
giurisdizionale, l'impugnazione dinanzi al consiglio di Stato della decisione
di accoglimento, salvo che per i vizi di forma o di procedimento. Corte cost.,
21 luglio 1988, n. 856, in Giur. cost., 1988, I, 4064.
Contro
la decisione sul ricorso straordinario può proporsi il ricorso per revocazione
allo stesso Presidente della Repubblica, ex art. 15, D.P.R. 24 novembre 1971,
n. 1199.
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