43
CAPITOLO
I
RITI SPECIALI
1 La tutela dell’accesso.
Il
diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei
documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla L. 241/1990,
che prevede l'esame e l'estrazione di copia come modalità congiunte
dell'esercizio del diritto, senza richiamare deroghe od eccezioni di sorta. CENTOFANTI N., CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo
2012, 80.
Il
diritto di accedere agli atti amministrativi non può, pertanto, consistere
nella mera presa visione con esclusione dell’estrazione di copia del documento.
Lo
scorporo della facoltà di esame del documento da quella di estrazione non è
idoneo a tutelare nessuno dei confliggenti interessi in gioco: non quello -
alla riservatezza - dei terzi, giacché il richiedente ha, comunque, conoscenza
del documento; non quello - alla difesa - del richiedente che, in mancanza
della copia del documento, non può finalizzarne l'accesso ad un uso giuridico.
Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7296.
L'art.
25, comma 2, L. 241 del 1990, il quale prevede che la richiesta di accesso
debba essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo
detiene stabilmente, va interpretato dalla giurisprudenza, per evidenti ragioni
di economia procedimentale e processuale, in un senso ampio, potendosi ritenere
ammissibile che la richiesta di copia degli atti presupposti e preparatori,
adottati da altre amministrazioni, sia rivolta all'amministrazione che gestisce
la fase finale di un procedimento complesso o che comunque adotta l'atto
finale.
Contro le determinazioni e contro il silenzio
sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro
trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla
formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e agli
eventuali contro interessati, ex art.
116 , D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il
giudice può ordinare l’integrazione del contraddittorio ove lo ritenga
necessario, ai sensi dell’articolo 49, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il
richiedente l'accesso ai documenti amministrativi può impugnare, a tutela delle
proprie situazioni giuridiche, sia il silenzio-rifiuto sia le determinazioni
negative dell'amministrazione, ancorché queste siano intervenute dopo la
formazione del silenzio - rifiuto e dopo la scadenza del termine per
impugnarlo.
Il
termine fissato per proporre ricorso contro il diniego di accesso ai documenti
ha natura perentoria.
Qualora
tale scadenza sia decorsa, l'azione giurisdizionale a tutela della stessa
posizione deve intendersi preclusa.
Una
interpretazione giurisprudenziale ritiene che la mancata presentazione del
ricorso nei termini prescritti precluda la tutela giurisdizionale in relazione
a quella specifica istanza, ma non escluda la possibilità di riproporre una
ulteriore richiesta - attesa la natura di diritto soggettivo della situazione
legittimante - anche per il medesimo oggetto, che consente di agire
legittimamente nei termini contro il silenzio dell’amministrazione. T.A.R.
Piemonte, sez. II, 11 ottobre 2004, n. 2232.
La
tesi è da condividere poiché il silenzio serbato dalla amministrazione sulla
prima istanza di accesso non concretizza alcun provvedimento fittizio, idoneo
ad esplicare effetti sostanziali - da rimuoversi a mezzo di tempestiva
impugnazione nel termine di legge – e, quindi, non si determinano effetti
estintivi del potere-dovere della amministrazione di pronunciarsi sulla domanda
di accesso ove permanga l'interesse del privato all'esercizio di detto potere.
Se
il diniego è espresso dopo la presentazione del ricorso nelle more del giudizio
è necessario impugnarlo con motivi aggiunti da notificare alla amministrazione
resistente. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 25 ottobre 2003, n. 35.
Il giudice
decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina
l’esibizione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma,
a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità.
2 La Commissione per l'accesso.
La
Commissione per l'accesso istituita presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, oltre ad esprimere pareri per il coordinamento dell'attività
organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso, decide anche i
ricorsi presentati all'interessato avverso il diniego - espresso o tacito -
dell'accesso ovvero avverso il provvedimento di differimento dell'accesso ed il
ricorso del controinteressato avverso le determinazioni che consentono
l'accesso.
Il
ricorso è alternativo a quello che può essere presentato al difensore civico se
istituito nel comune o nella provincia di residenza.
La
commissione decide inoltre per i ricorsi presentati nei confronti di enti statali.
Il
ricorso è trasmesso mediante raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi. Il ricorso può essere trasmesso anche a mezzo fax o
per via telematica, nel rispetto della normativa vigente.
Il
ricorso deve essere notificato agli eventuali controinteressati a mezzo di
raccomandata con ricevuta di ritorno.
La
mancata notifica ai controinteressati non comporta l’inammissibilità del
ricorso poiché la Commissione, qualora ravvisi l'esistenza di controinteressati
non già individuati nel corso del procedimento, notifica loro il ricorso.
La
giurisprudenza ha rilevato che l'eventuale conflitto fra l'interesse
all'accesso ai documenti e quello alla privacy di altri soggetti
coinvolti va risolto caso per caso, con una ponderazione comparativa da
effettuarsi in concreto dall'amministrazione ed eventualmente, in sede di
controllo, dal g.a. T.A.R. Sardegna, sez. II, 14 ottobre
2005, n. 2037.
Il
ricorso è presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del
provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta
d'accesso che si ha qualora, trascorsi trenta giorni dall’istanza,
l’amministrazione non abbia dato risposta.
I
controinteressati possono presentare alla Commissione le loro controdeduzioni
nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione.
3 Il difensore civico.
Il
difensore civico è stato istituito dal legislatore regionale con la funzione di
intervenire, a richiesta del singolo cittadino o di associazioni, presso
l'amministrazione regionale e presso gli altri enti locali della regione o
delegati di funzioni regionali per assicurare che il procedimento
amministrativo si svolga regolarmente e secondo i tempi previsti.
Egli
esercita, più che una funzione di tutela, una funzione di stimolo alle
eventuali inerzie della pubblica amministrazione nella fase preparatoria del
procedimento.
Teoricamente
potrebbe anche stimolare l'esercizio del potere di autotutela della pubblica
amministrazione sull'annullamento di atti viziati.
Sostanzialmente
non si tratta di una vera tutela perché l'amministrazione può tranquillamente
non dare evasione alle richieste del difensore civico il quale può tutt'al più
segnalare il fatto nella sua relazione annuale al consiglio regionale.
Le
funzioni del difensore civico non sono state raccordate con la L. 241/1990 per
cui la sua funzione appare essere confinata in un mero apporto collaborativo al
giusto procedimento, destinato a diventare sempre più teorico, che può servire
solo ove il ricorrente ritenga di esperire una mera denuncia della situazione
capitatagli.
A
tal punto in caso di omissione appare ben più efficace la tutela penale.
L’art.
127, D.L.vo 267/2000 attribuisce al difensore civico comunale e provinciale,
dalla data di rispettiva istituzione, il controllo eventuale di legittimità,
sollecitato dalle minoranze, sugli atti della giunta previsti dallo stesso
articolo.
Al
difensore civico comunale e provinciale, dove nominati, è affidato per legge il
controllo eventuale, su richiesta delle minoranze, in materia di appalti e
affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo
comunitario e di assunzione del personale, piante organiche e relative
variazioni.
La
dottrina ha sollevato obiezioni, soprattutto per quanto riguarda l’effetto e
l’efficacia del controllo, poiché è lo stesso ente locale, comune o provincia,
controllato che nomina il difensore civico e cioè che sceglie in qualche modo
il proprio controllore. T. MIELE, Meno controlli sugli atti delle regioni,
in Guida Dir., Dossier, 1997, n.5, 147.
Il
controllo eventuale, su sollecitazione delle minoranze, finisce essenzialmente
per essere inutile perché se la maggioranza non decide di aderire alle
richieste della minoranza, a quest’ultima non resta, almeno in sede
amministrativa, altro strumento di tutela. Infatti il difensore civico, se
ritiene che la deliberazione sia illegittima, ne dà comunicazione all’ente,
entro quindici giorni dalla richiesta, e lo invita ad eliminare i vizi
riscontrati; in tal caso, se l’ente non ritiene di modificare la delibera, essa
acquista efficacia se è confermata con il voto favorevole della maggioranza
assoluta dei componenti del consiglio.
Il
difensore civico comunale è stato soppresso.
4 L’intervento del difensore civico sul silenzio.
Le
funzioni del difensore civico sono state raccordate alla tutela giurisdizionale
sul silenzio dall’art. 25, L. 241/1990, così come mod. dall’art. 17, comma 1,
lett. a), L. 15/2005.
L’azione
del difensore civico è posta, in sostituzione, ma non in alternativa al ricorso
al T.A.R., in caso di rifiuto espresso o tacito o nel caso di differimento dell’accesso
alla documentazione amministrativa.
La
facoltà di reclamo al difensore civico non è, infatti, alternativa al ricorso
giurisdizionale bensì è considerata uno strumento di contenimento del
contenzioso in materia che può trovare composizione con l’intervento del
difensore.
Il
ricorso giurisdizionale può essere sempre proposto.
In
tal caso i relativi termini di presentazione decorrono dalla data di
comunicazione delle determinazioni del difensore.
La
giurisprudenza ha affermato che, nel caso in cui l'interessato si sia rivolto
al difensore civico, il termine per il ricorso giurisdizionale decorre dalla
data di ricevimento della determinazione adottata dal difensore civico sulla
sua istanza, secondo il disposto del comma 4 dell’art. 25, L. 241/1990, fermo
restando che l'onere di allegare e provare la data di ricezione della suddetta
decisione adottata dal difensore civico incombe sul ricorrente cui sia eccepita
la tardività nella presentazione del ricorso.
Il
difensore civico si pronuncia entro trenta giorni dall’istanza. Il silenzio del
difensore equivale a diniego.
Se
il difensore ritiene illegittimo il diniego o il differimento del diritto di
accesso comunica le sue conclusioni all’autorità interpellata e al richiedente.
L’autorità
adita deve emettere un provvedimento che confermi il suo diniego altrimenti, in
caso contrario, l’accesso è consentito.
L’accesso
può consistere in un atto di esibizione dei documenti.
Al
fine di ottenere detto risultato l’autorità adita, oltre che un provvedimento
confermativo del diniego, deve emettere un provvedimento espresso in cui siano
indicate le modalità di accesso onde consentire l’esercizio del riconosciuto
diritto all’accesso del richiedente.
Detto
atto può consistere in una semplice comunicazione che determini le modalità per
l’esercizio del diritto di accesso, ex art. 25, comma 4, L. 7 agosto 1990, n.
241, mod. art. 17, comma 1, lett. a), L. 15/2005).
Qualora,
dopo le determinazioni del difensore civico, persista la mancata ottemperanza
all’ordine dell’autorità amministrativa si configura per il responsabile del
procedimento la contravvenzione di cui all’art. 650, c.p., che punisce con
l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206 l’inosservanza dei
provvedimenti dell’autorità.
La
giurisprudenza ha precisato che anche gli atti del difensore civico sono
soggetti al diritto di accesso da parte dei soggetti interessati.
5
L’azione
ad exhibendum in pendenza del
processo amministrativo.
Quali
sono i rapporti tra l’azione ad
exhibendum ed il processo amministrativo?
Un
collegamento tra rimedio giurisdizionale e fase dell’accesso è sancita
dall’art. 116, comma 2, D.L.vo 2 luglio
2010, n.104, cod.
proc. amm., che consente di porre l’impugnativa sull’accesso in pendenza di
ricorso giurisdizionale.
In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso
è connessa, il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la
segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa
notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati. L’istanza
è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la
sentenza che definisce il giudizio.
Il ricorso è incidentale rispetto al ricorso
principale. Esso comunque una volta attivato è considerato dalla giurisprudenza
uno strumento di impugnazione autonomo. La domanda è indipendente dalla sorte
del procedimento principale e deve essere esaminata indipendentemente
dall’esito di quel procedimento. Cons. St. 12 marzo 2010, n. 1470.
Si tratta di un giudizio sul
rapporto ossia della spettanza della richiesta di esibizione dei documenti con
la possibile condanna amministrazione soccombente ad un facere cioè alla esibizione dei documenti richiesti. A. CORRADO, Tempi
dimezzati per il deposito dei ricorsi. L’accesso apre il capitolo dei riti
speciali, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 50.
Il
legislatore ha superato il precedente orientamento giurisprudenziale secondo
cui l’esperibilità dell’actio ad exhibendum doveva ritenersi esclusa in
pendenza di giudizio, in quanto si riteneva che il diritto di accesso non
potesse riguardare l’acquisizione del materiale probatorio necessario nel
processo amministrativo sottratto alla disponibilità della parte. F. CARINGELLA,
Corso di diritto amministrativo 2004, 1966.
La
decisione presuppone un duplice accertamento: da un lato, la sussistenza delle
condizioni legittimanti l'accesso ai sensi delle generali previsioni di cui
alla L. 241 del 1990, dall'altro, l'astratta pertinenza dei documenti
all'oggetto del giudizio pendente.
Il
legislatore intende il processo già pendente non già quale mero contenitore al
cui interno inserire, per pure ragioni di economia processuale, un diverso ed
autonomo subprocedimento, bensì, al contrario, come vertenza principale
rispetto alla quale va effettuata la suddetta valutazione di pertinenza della
documentazione non ottenuta in prima battuta dall'amministrazione. Cons. St., sez. VI, 10 ottobre 2002,
n. 5450,
Foro Amm. Cons. St., 2002, 2546.
La
giurisprudenza ha precisato che qualora l’istanza di accesso sia del tutto
strumentale alla azione giurisdizionale esperita dinanzi al T.A.R., la
impugnativa per l'accesso deve essere proposta nell'ambito del predetto
giudizio e non già con altro autonomo ricorso.
La
facoltà di accedere alla documentazione in sede di istruttoria sul ricorso già
pendente non preclude all'interessato di esperire la specifica actio ad
exhibendum; ma la scelta tra l'una e l'altra via processuale non può essere
rimessa al mero arbitrio del soggetto, dovendo invece sussistere - in relazione
alle diverse finalità cui sono preordinati i due procedimenti - i presupposti
propri di ciascuno di essi.
6
L’azione
contro il silenzio dell'amministrazione.
Quando
sussiste un comportamento inadempiente dell’ente è configurabile un’azione tesa
ad ottenere un provvedimento che può essere positivo o negativo; ad essa può
essere dato inizio in ogni momento per tutta la durata del comportamento
inadempiente dell’amministrazione.
Il
silenzio che dà luogo alla possibilità di azionare il ricorso è quello
denominato silenzio adempimento. A detto silenzio non viene riconosciuto alcun
significato o valore provvedimentale; non si tratta né del silenzio
accoglimento né del silenzio diniego.
Formatosi
il silenzio rifiuto, inizia a decorrere il termine, previsto a pena di
decadenza, entro il quale è necessario presentare il ricorso al T.A.R.
Il
termine per proporre il ricorso decorre dalla scadenza del termine di
conclusione del procedimento e cessa, comunque, trascorso un anno da detta
scadenza.
L’art.
31 e l’art. 117, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm., ripropongono i principi fissati da ultimo
dall’art. 7, L. 69/2009, affermando che decorsi i termini per la conclusione
del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere
l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
L'azione
può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non
oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento .
L’istanza
di avvio del procedimento può essere
reiterata nel caso in cui siano scaduti i termini per proporre il ricorso ove
ne ricorrano i presupposti, salvo evidentemente il fatto che l’amministrazione abbia già preso una
decisione in merito.
L’art.
32, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm., precisa che è sempre possibile nello stesso
giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale
. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario.
6.1
L’esame
sulla fondatezza della pretesa sostanziale.
La
dottrina si è posta il problema se il giudice amministrativo sia tenuto ad
esaminare la legittimità del comportamento omissivo o se debba, invece,
accertare l’obbligo a provvedere sulla domanda del privato all’amministrazione
inadempiente. P.G. LIGNANI, Silenzio (diritto amministrativo), in Enc.
Dir., 1990, XLII, 559.
L’oggetto
del giudizio è, in primo luogo, la dichiarazione di illegittimità del
comportamento dell’amministrazione, in secondo luogo l’accertamento positivo o
negativo dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere nella fattispecie
portata in giudizio.
Un
filone giurisprudenziale ritiene inammissibile che il giudizio sul silenzio
contempli anche l’accertamento della legittimità della richiesta sostanziale
del ricorrente. T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 26 novembre 2004, n. 8290.
Per
altra giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della l. 205/2000 il giudizio sul
silenzio rifiuto serbato dalla pubblica amministrazione non si deve più
limitare al mero accertamento dell’inadempimento dell’obbligo a provvedere
sulle istanze dei privati, ma si estende all’accertamento del contenuto del
suddetto obbligo, nel senso che il giudice deve emettere una pronuncia che
determini il contenuto dell’atto che l'amministrazione è tenuta ad adottare.
T.A.R. Toscana, 10 maggio 2001, n. 823, in T.A.R., 2001, 2368.
Il
processo instaurato innanzi al giudice amministrativo a seguito del silenzio
rifiuto serbato dalla p.a. intimata ha per oggetto non la legittimità
dell'inerzia in sé, ma l'accertamento della fondatezza sostanziale della
pretesa posta dal privato a base della sua istanza e portata in giudizio.
Ogni
questione sul silenzio resta assorbita dalle valutazioni direttamente inerenti
al merito della controversia, dal quale dipende, in ultima analisi,
l'accoglimento o il rigetto del ricorso, indipendentemente dalla natura,
discrezionale o vincolata, dei poteri che la p. a. può esercitare in relazione
al bene della vita oggetto della richiesta.
L’art.
31, comma 3, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104
cod. proc. amm., ripropone la norma
contenuta nella L. 80/2005 il giudice può pronunciare sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere
compiuti dall'amministrazione.
La
norma ha un effetto dirompente sull’obbligo alla decisione spostando l’esame
direttamente dall'illegittimità del diniego al contenuto dell’istanza.
La dottrina ritiene
che la norma affidi al giudice, che deve rilevare margini di esercizio di
attività discrezionale da parte della p.a.,
compiti di amministrazione attiva in contrasto con quanto affermato
dall’art. 34, comma 2, D.L.vo 104/2010, secondo il quale il giudice non può
pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati. O. FORLENZA, Individuate
quattro azioni di cognizione contro la p.a., in Giuda Dir., 2010, n.
32, 48. La disposizione comunque non fa
altro che recepire un orientamento giurisprudenziale secondo il quale la norma
dà la facoltà (ma non obbliga) a conoscere della fondatezza della pretesa, nei
casi in cui lo stesso giudicante la ritenga facilmente valutabile. Ciò accade,
ad esempio, nelle ipotesi di manifesta fondatezza discendente dal carattere
vincolato del provvedimento, che non postuli accertamenti valutativi complessi;
ovvero, nei casi di evidente infondatezza, laddove risulta diseconomico
condannare la p.a. a provvedere se l'atto espresso non potrà che essere di
rigetto. T.A.R. Sicilia Catania, sez.
I, 28 gennaio 2010, n. 135.
Per
la giurisprudenza detta previsione non deve essere interpreta come imposizione
dell'obbligo di provvedere in ogni caso sulla fondatezza dell'istanza, ma
esclusivamente quale opzione rimessa al giudice che, alla luce della disciplina
in materia di impugnazione del silenzio rifiuto, va circoscritta alle ipotesi
di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa sostanziale azionata in
giudizio.
L’interpretazione
esclude tale opzione laddove l'amministrazione risulti titolare di un potere
discrezionale rispetto al provvedimento preteso dall'istante.
Ad
esempio, nel caso in cui sia richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno
per motivi umanitari atteso che, giusta quanto disposto dall'art. 5 comma 6,
t.u. 25 luglio 1998 n. 286, la relativa determinazione presuppone una
valutazione di natura eminentemente discrezionale circa la sussistenza di seri
motivi, in particolare di carattere umanitario, atti a giustificare la
permanenza dello straniero nel territorio nazionale. T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 23
gennaio 2009, n. 212.
Ove
la istanza presupponga una conoscenza tecnica il giudice amministrativo ha sempre
la possibilità di nominare un commissario ad acta che superi
direttamente l’inerzia dell’amministrazione.
Il giudice può nominarlo direttamente mentre
precedentemente era sempre necessaria l’istanza di parte affinché procedesse in
luogo dell’amministrazione A. CORRADO, D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
Tale
possibilità di precedere alla nomina del commissario prima dell’accertamento
del mancato pronunciamento dell’amministrazione era peraltro previsto dalla giurisprudenza
che evidenziava due distinte fasi processuali: una relativa all'ordine
all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in caso di
inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la nomina di
un Commissario ad acta. Tuttavia,
appare del tutto coerente con la ratio
legis ritenere che, quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in
sede di impugnazione del silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento
di detto ricorso, anche alla contestuale nomina del Commissario, al fine di
evitare all'interessato l'inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza
giurisdizionale. T.A.R.
Lazio Roma, sez. II, 20 luglio 2009, n. 7153.
6.2
Il risarcimento del danno per il ritardo
dell’amministrazione.
L’art.
2 bis, L. 241/1990, introdotto dall’art. 7, L. 69/2009, afferma
che le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici nazionali sono tenuti al
risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza
dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Il
principio è confermato dall’art. 133, lett. a), D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,
cod. proc. amm., devolve alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia
di: a.1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento
amministrativo
L’art.
117, comma 6, D.L.vo 104/2010, afferma che se l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 30, comma 4, D.L.vo 104/2010, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente
articolo, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il
silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
La
giurisprudenza ha da sempre sostenuto che sussiste la giurisdizione del giudice
amministrativo nella controversia avente ad oggetto la pretesa al risarcimento
del danno da ritardo della pubblica amministrazione nella definizione di un
procedimento di rilascio di titoli autorizzativi che hanno carattere
esclusivamente pubblicistico, quale è la concessione edilizia, così da
involgere interessi legittimi pretensivi vantati dal privato ed asseritamente
lesi in conseguenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell'obbligo
dell'autorità amministrativa di assolvere adempimenti tipicamente
procedimentali, aventi ad esclusivo oggetto lo svolgimento di funzioni
pubblicistiche amministrative, come tali esulanti dai meri comportamenti invasivi
dei diritti soggettivi del privato. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 20
novembre 2008, n. 2901.
La
norma precisa che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque
anni.
La
norma non scioglie il quesito fondamentale sulla necessità di dimostrare da
parte dell’attore il danno subito.
Non
risulta che il testo normativo introduca il principio del risarcimento
automatico da ritardo.
La
giurisprudenza ha finora precisato che l'azione di risarcimento per il solo
fatto del superamento dei termini per adottare il provvedimento da parte della
p.a., pur ricondotta nell'alveo del danno da lesione di interessi legittimi per
l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, in ossequio al principio
dell'atipicità dell'illecito civile, deve essere ricondotta all'archetipo di
cui all'art. 2043 c.c., per l'identificazione degli elementi costitutivi
dell'illecito, ed a quello dell'art. 2236 c.c., per l'individuazione dei
confini della responsabilità. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 13 gennaio 2005, n.
56.
L'azione
di risarcimento del danno da ritardo della p.a., inquadrandosi nella sua natura
extracontrattuale, richiede comunque la prova della quantificazione dei danni
stessi con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante in quanto
elementi costitutivi della relativa domanda, ai sensi dell'art. 2697 c.c. TAR
Lazio, Sez. III quater, 31 marzo 8, n. 2704.
Per
riconoscere la fondatezza della domanda così proposta non è sufficiente
rilevare un generico procrastinarsi dell'attività amministrativa per la
negligenza di una singola persona fisica ma è necessario che il difettoso
funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento
negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere o si ponga in radicale
contrasto con le regole di legalità, imparzialità e buon andamento di cui
all'art. 97 cost. Cons. St., Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059.
Per
la dottrina il danno da ritardo non ha un’autonomia strutturale rispetto alla
fattispecie procedimentale da cui scaturisce ed è legato inscindibilmente alla
positiva finalizzazione di quest’ultima.
Non
è risarcibile il danno da ritardo puro quando è disancorato dalla dimostrazione
giudiziale della necessità di tutela dell’interesse pretensivo fatto valere e
quando l’amministrazione abbia adottato con notevole ritardo un provvedimento
negativo rimasto non impugnato.
Essa,
però, non esclude che siano enucleabili, nell’ambito degli interessi
pretensivi, degli interessi procedimentali la cui violazione può comportare una
responsabilità della pubblica amministrazione per un danno anch’esso
risarcibile anche se non lede direttamente un bene.
Di
tale categoria di interessi fa parte il danno da ritardo che consente al
privato di agire pere il danno subito in conseguenza della mancata emanazione
del provvedimento richiesto nei tempi previsti ed indipendentemente dalla
successiva emanazione del contenuto di tale provvedimento. S. TOSCHEI, Trasparenza
amministrativa. Obiettivo, tempestività e certezza nell’azione, in Guida
Dir., 2009, n. 27, 45.
Tale
categoria è difficilmente sostenibile se il danno incide sulle risorse
dell’amministrazione ma può più facilmente sostenersi evidenziando una responsabilità
personale del pubblico dipendente che peraltro percepisce dei premi in ordine
al raggiungimento degli obiettivi.
Ossia
il fondo per la produttività logicamente può essere decurtato dalle richieste
di danno da parte di chi dalla mancata efficienza è stato oggettivamente
danneggiato.
L’art.
7, comma 2, L. 69/2009, precisa come deve essere valutata la
responsabilità dei dirigenti affermando che il rispetto dei termini per la
conclusione dei procedimenti rappresenta un elemento di valutazione dei dirigenti.
La
corretta gestione dei termini nel procedimento deve essere tenuta in debito
conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato. Al Ministro
per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro
per la semplificazione normativa, è demandato il compito di adottare le linee
di indirizzo per l’attuazione del principio e di proporre eventuali adempimenti
per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell’obbligo di provvedere entro i
termini fissati per ciascun procedimento.
7 Il procedimento di ingiunzione.
I procedimenti sommari disciplinati dal codice civile
sono entrati a pieno titolo nel processo amministrativo.
Tali procedimenti assolvono alla funzione di giungere
ad un provvedimento finale attraverso una fase a cognizione sommaria. Con tale
procedimento il creditore di una somma di denaro, di una quantità di cose
fungibili ovvero l’avente diritto di una cosa mobile determinata può ottenere
dal giudice l’emanazione di una ingiunzione di pagamento o di consegna, qualora
fornisca prova scritta del suo credito.
L’art. 118, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, cod. proc.
amm., dispone che nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale,
si applica il Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile.
Il T.A.R., su istanza di parte dispone in via
provisionale con ordinanza provvisoriamente esecutiva, la condanna al pagamento
di somme di denaro.
Per l'ingiunzione è competente il Presidente o un
magistrato da lui delegato.
I presupposti per l'emanazione dell'ordinanza
ingiunzione anticipatoria della pronunzia di merito sono quelli previsti dagli
artt. 186 bis e 186 ter, c.p.c.,
L’art. 186 bis, c.p.c., consente al giudice di
disporre il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite.
La giurisprudenza ha riconosciuto insussistente detto
presupposto nell'ipotesi in cui la relativa richiesta sia effettuata in una
fase del giudizio, nella specie appello, ove l'amministrazione debitrice non
sia costituita ancorché abbia riconosciuta la loro debenza, ma condizionandola
al trasferimento dei relativi fondi da altro ente, nella specie
dall'amministrazione statale a quella regionale. Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio
2001, ord. n. 4067.
Al fine di ovviare all’impossibilità di emanare il
decreto per mancata costituzione della p.a. nella camera di consiglio,
l’istante deve sollecitare il giudice amministrativo, qualora non l’abbia fatto
di ufficio ad emettere una ordinanza istruttoria con fissazione dell’udienza a
data fissa. La mancata costituzione può essere valutata ex art. 116 c.p.c. La giurisprudenza ammette che nel caso in cui
l'amministrazione sia rimasta inerte nei confronti della richiesta istruttoria
del giudice volta ad acquisire elementi essenziali ai fini della causa, lo
stesso giudice può considerare provati i fatti dedotti dalla parte ricorrente,
qualora non risultino in contrasto con gli atti processuali. T.A.R. Piemonte,
sez. I, 18 ottobre 2004, n. 2513.
L’art. 186 ter, c.p.c., prevede, invece, di
ottenere un decreto ingiuntivo in corso di causa.
La giurisprudenza esclude che la norma di richiamo al
c.p.c. comporti una piena trasposizione nel processo amministrativo degli
istituti processuali civilistici regolati dal codice di rito, ma si limita a
richiamare i soli presupposti per l'emanazione delle ordinanze provvisionali,
lasciando intendere che non è quindi esteso ai provvedimenti della specie
adottati dal giudice amministrativo il regime di revocabilità di siffatte
ordinanze così come disciplinato dagli artt. 177 e 178 c.p.c. T.A.R. Campania
Napoli, sez. V, 19 gennaio 2004, n. 44.
La cognizione del g.a. sulle controversie aventi ad
oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale è limitata alle sole ipotesi
in cui, contestualmente, egli è anche fornito della giurisdizione esclusiva.
La giurisprudenza ha affermato che, in materia dei
contributi comunitari, nella specie per la trasformazione di pomodori,
l’oggetto afferisce a posizioni di interesse legittimo e non di diritto
soggettivo e perciò il giudice amministrativo, per il relativo pagamento, non
può emettere il decreto ingiuntivo.
Esso, infatti, si riferisce alle controversie devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto
diritti soggettivi di natura patrimoniale. T.A.R. Lazio, sez. II, 29 marzo
2001, n. 2635, in Dir. e giur. agr., 2002, 67.
La giurisprudenza ha precisato che la domanda volta
all'applicazione degli artt. 633 ss., c.p.c. in relazione a delle parcelle
riguardanti la prestazione d'opera professionale di due ingegneri per produrre
degli elaborati necessari ad un Comune per la richiesta di nulla osta
provvisorio di prevenzione incendi al Comando provinciale di Vigili del Fuoco,
per alcuni edifici di proprietà comunale, non attiene alla materia
dell'urbanistica e dell'edilizia, per cui non sussiste la giurisdizione del
giudice amministrativo, ma quella del giudice ordinario, con conseguente
improponibilità innanzi al g.a. del procedimento di ingiunzione. T.A.R.
Toscana, sez. II, 6 giugno 2003, n. 2177, in Foro Amm. TAR, 2003, 1913.
Il procedimento prevede la fissazione dell’udienza, su
istanza del ricorrente, da parte del Presidente di Sezione del T.A.R. alla
prima Camera di consiglio utile ovvero entro il termine di trenta giorni dal
deposito del ricorso.
La giurisprudenza ritiene che
l'ingiunzione di pagamento emessa ai sensi dell'art. 633 ss., quantunque
adottata in esito ad un accertamento sommario,
acquista in definitiva autorità ed efficacia di cosa giudicata esattamente al
pari di una sentenza di condanna; in questa prospettiva, non può dubitarsi
dell'idoneità del decreto ingiuntivo a costituire condizione dell'azione di
ottemperanza davanti al g.a. ogniqualvolta il debitore, ricevuta la rituale
notificazione del decreto ingiuntivo, non abbia frapposto tempestiva
opposizione. T.A.R. Liguria Genova, sez.
II, 21 novembre 2006, n. 1556
L’intento acceleratorio diviene ancora più evidente
rispetto al giudizio civile ove detti provvedimenti non possono aversi prima
dell’udienza di trattazione fissata ex art. 183, c.p.c. F. CARINGELLA, Corso
di diritto processuale amministrativo, 2005, 1132.
La dottrina distingue le ordinanze cautelari ingiuntive
dai provvedimenti ingiuntivi introdotti nel processo amministrativo.
Le due forme di tutela si differenziano in quanto a
presupposti e funzione, determinando una naturale riduzione degli spazi di
effettiva percorribilità del rimedio cautelare a tutela di crediti patrimoniali
nelle materie di giurisdizione esclusiva.
Senza considerare la diversa e maggiore utilitas
assicurata dai provvedimenti sommari non cautelari e da quelli anticipatori in
termini di efficacia esecutiva e sopravvivenza, rispettivamente, all'estinzione
del giudizio di opposizione e del processo nell'ambito del quale sono stati
pronunciati.
Se, infatti, funzione tipica dei provvedimenti
cautelari e di urgenza è quella di cristallizzare la situazione di fatto nello
stato in cui si trova all'inizio del processo, i provvedimenti sommari
propriamente anticipatori hanno, piuttosto, la funzione di neutralizzare il
danno derivante dalla durata del processo per l'istante, assumendo anche
carattere totalmente satisfattivo delle ragioni creditizie. G. MAZZEI, Tutela
cautelare e tutela sommaria anticipatoria nella l. n. 205 del 2000, in Foro
amm. CDS, 2002, 2, 491.
7.1 L’opposizione.
Il decreto diviene esecutivo e definitivo se il
debitore non fa opposizione entro quaranta giorni dalla notifica del decreto.
V. DE GIOIA, L’appellabilità delle ordinanze anticipatorie nel nuovo
processo amministrativo, in Nuova Rass., 2002, n. 1, 10.
L’art. 118, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, cod. proc.
amm., stabilisce che l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente
del T.A.R. si propone mediante ricorso.
La giurisprudenza precedente ha affermato che nel
vigente sistema processuale amministrativo la tempestività del ricorso è determinata
in relazione alla data di notifica dell'atto introduttivo del giudizio e non in
relazione alla data di deposito dello stesso avanti al tribunale adito.
In mancanza di specifiche disposizioni derogatorie, il
termine di quaranta giorni per proporre l'opposizione al decreto ingiuntivo
deve intendersi rispettato qualora entro il suddetto termine sia stata
effettuata la notifica dell'atto di opposizione, non essendo necessario che,
entro la stessa data, sia stato compiuto anche il deposito dell'atto di
opposizione avanti il tribunale adito.
In tal caso entro il suindicato termine di quaranta
giorni è necessario effettuare solo la notifica del ricorso all'amministrazione
resistente, ed ad almeno uno dei controinteressati, mentre il successivo
deposito presso la segreteria del giudice adito va fatto nell'osservanza degli
ordinari termini processuali di trenta giorni. Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile
2003, n. 1804, in Foro Amm. CDS, 2003, 1272.
Il decreto ingiuntivo non opposto al pari
della sentenza passata in giudicato definisce la controversia e, divenuto
esecutivo, è impugnabile solo per revocazione o opposizione di terzo nei limiti
dei casi tassativamente indicati dall'art. 656 c.p.c. ovvero per opposizione tardiva. Esso
assume la piena autorità della res
iudicata, ai fini della proposizione del ricorso per ottemperanza,
contemplato dagli artt. 37, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, e 27, T.U. 26 giugno
1924 n. 1054. Conseguentemente, in base all'art. 4 comma 3, l. 20 marzo 1865 n.
2248, allegato E, sussiste, in capo all'Amministrazione intimata, un vero e
proprio obbligo giuridico di conformasi al giudicato formatosi sul
provvedimento giudiziale di cui si chiede l'esecuzione. L'obbligo di eseguire
il giudicato sussiste non solo per quanto concerne la sorte capitale, ma anche
per quanto concerne gli interessi maturati, ai sensi di legge, dal dì del
dovuto sino a quello di effettivo soddisfo, dedotto quanto già eventualmente
versato al medesimo titolo, oltre le spese di giudizio liquidate nella medesima
sede. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 25 gennaio 2010, n. 37.
8 Il rito abbreviato.
L’art.
119, comma 1, D.L.vo 2 luglio
2010, n. 104, cod. proc. amm., stabilisce una speciale
procedura per i seguenti giudizi innanzi al giudice amministrativo aventi ad
oggetto:
L’art.
119, comma 1, D.L.vo 2 luglio
2010, n. 104, cod. proc. amm., stabilisce dei riti cosiddetti abbreviati per determinate
materie .
La
classificazione tassativa è la seguente
a)
i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori,
servizi e forniture. I procedimenti di impugnazione oltre alle norme generali
sono regolati dagli articoli 120 e segg. D.L.vo 104/2010;
a1)
i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, con
esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti.
La giurisprudenza ha precisato che il riferimento al concetto indeterminato di
autorità indipendente, di per sé equivoco in ragione della genericità della
nozione e dell'assenza di uno statuto unitario che accomuni le autorità cd.
indipendenti, può essere supportato dalla ratio che presiede alla
creazione di un rito accelerato, data dalla necessità di assicurare una rapida
definizione di controversie coinvolgenti misure amministrative incidenti in
modo rilevante sul diritto pubblico dell'economia e, più in generale, su
settori di particolare rilevanza socio-economica. Cons. St., sez. VI, 5 settembre 2005,
n. 4521;
b)
i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di
imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione,
modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli
enti locali. La giurisprudenza precedente ha precisato che la trasformazione
dell'azienda speciale in s.p.a. costituisce nello stesso tempo privatizzazione
e scelta organizzativa riguardante pubblici servizi locali. Trattandosi di
scelta discrezionale della p.a., con conseguenti posizioni di interesse
legittimo dei soggetti che intendono contrastare tale scelta, sussiste,
pertanto, la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo
sulla relativa controversia. Cons. St., sez. V, 13 dicembre 2006,
n. 7369;
c)
i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri.
Ad esempio, i provvedimenti di nomina alla presidenza di enti, istituzioni o
aziende di cui alla L. 400/1988 che sono effettuati con decreto del Capo dello
Stato previa delibera del Consiglio dei Ministri;
d) i provvedimenti di scioglimento di enti locali e
quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi;
e) i provvedimenti relativi alle procedure di
occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere
pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle
invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale;
f) i provvedimenti del Comitato olimpico nazionale
italiano o delle Federazioni sportive. La giurisprudenza ha precisato che la giustizia
sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute
dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata
a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento
generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi
legittimi. Alla luce di tale principio sono riservate alla giustizia sportiva
le c.d. controversie tecniche, quelle cioè che riguardano il corretto
svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione
sportiva, mentre rientrano nella cognizione della giurisdizione amministrativa
le questioni concernenti l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di
società, associazioni sportive e di singoli tesserati, e i provvedimenti di
ammissione ai campionati. Cons. St., sez. VI, 17 aprile
2009, n. 2333;
g) le ordinanze adottate in tutte le situazioni di
emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali;
h) il rapporto di lavoro del personale dei servizi di
informazione per la sicurezza, ai sensi dell’articolo 22, della legge 3 agosto
2007, n. 124;
i) le controversie comunque attinenti alle procedure e
ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di impianti di
generazione di energia elettrica di cui al decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2003, n. 55, comprese
quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i
rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di
potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di
trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o
rete nazionale di gasdotti;
l) i provvedimenti della commissione centrale per la
definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti
applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei
confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia. F. CARINGELLA, Corso di
diritto processuale amministrativo, 2005, 1278.
Lo
scopo è di ridurre la durata del processo in determinate materie.
La
dottrina ha criticato questo diritto di precedenza di alcuni pubblici interessi
nei confronti di altri; è evidente che la celerità degli uni allunga la durata
del processo degli altri.
I
giudizi indicati hanno carattere tassativo.
Il
rito speciale si applica anche nel caso in cui, insieme ad un ricorso
tipicamente impugnatorio sia proposta una domanda risarcitoria, relativa alla
materie considerate dalla norma in questione, in quanto la ratio
ispiratrice della riforma tende a semplificare lo svolgimento e la definizione
dell'iter processuale derivante dalla proposizione di domande giudiziali
potenzialmente idonee a determinare la stasi dell'attività amministrativa in
settori particolarmente delicati. Cons. St., sez. V, 5 ottobre 2005, n.
5326,
in Foro amm. CDS, 2005, 10, 2949.
La
norma processuale riguarda la riduzione a metà dei termini processuali, escluso
quello per la presentazione del ricorso.
Tutti i
termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado,
quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e
dei motivi aggiunti, nonché quelli espressamente disciplinati nel presente
articolo.
Essa
risolve la disputa originata in precedenza dalla disposizione che includeva
anche il termine per ricorrere fra quelli processuali e ne imponeva la
riduzione. L'eccezione posta dal legislatore deve estendersi anche al termine
da rispettare per la proposizione dei motivi aggiunti, poiché anche nel caso
dei motivi aggiunti proposti contro provvedimenti conosciuti o sopravvenuti in
corso di giudizio si tratta dell'instaurazione di un'azione di impugnazione.
T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 10 dicembre 2008, n. 810
La
regola del dimezzamento dei termini processuali si applica al termine per il
deposito del ricorso in primo grado, che ha natura sicuramente processuale. Cons. St., sez. IV, 30 dicembre 2008,
n. 6599.
La
norma non si applica al giudizio concernente la fase preparatoria - comprensiva
dell'acquisizione di tutti i prescritti pareri nell'ambito di apposita
Conferenza di Servizi - della progettazione definitiva di un'opera pubblica,
quale momento prodromico all'affidamento dei relativi lavori, espresso in esito
ad una sub - procedura, di per sé idonea ad incidere in modo diretto ed attuale
sull'interesse protetto sotteso a tale progettazione.
8.1
L’appello
per i procedimenti oggetto di rito speciale.
Il
termine per la proposizione dell'appello avverso la sentenza del tribunale
amministrativo regionale pronunciata nei riti abbreviati è di trenta giorni dalla notificazione e di
centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza.
L’art. 119, comma 7, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, cod.
proc. amm., dispone che
la parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione dell’esecutività del
dispositivo, proponendo appello entro trenta giorni dalla relativa
pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre entro trenta giorni dalla
notificazione della sentenza ovvero entro novanta giorni dalla sua
pubblicazione.
La mancata richiesta di sospensione dell’esecutività
del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione
dell’esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.
L’appello
può essere proposto con l’espresso fine di ottenere la sospensione
dell’esecuzione della pronuncia di primo grado nel termine di trenta giorni
dalla pubblicazione del dispositivo.
La
giurisprudenza ha ritenuto, conseguentemente, irricevibile, per tardività, il
ricorso in appello vertente sulla materia degli appalti di servizi pubblici che
sia proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notifica dalla sentenza di
primo grado, in violazione del disposto normativo. Cons. Stato, sez. V, 17
aprile 2003, n. 2024, in Foro amm. CDS, 2003, 1316.
Il
termine per il deposito del ricorso in appello è di quindici giorni decorrenti
dalla notificazione dell'atto di impugnazione. Cons. St., sez. V, 31 gennaio 2007,
n. 389,
in Foro amm. CDS, 2007, 1, 149.
9 La class action.
Il d.l. 112/2008, art. 36 estende alla pubblica
amministrazione la class action e, al fine di individuare specifici
strumenti di tutela nei confronti della pubblica amministrazione, ne proroga di
un anno l’entrata in vigore.
Solo con l’art.. 4, L. 4 marzo 2009, n. 15, viene data delega al Governo per prevedere mezzi di tutela
giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei
concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi
ed economici fissati o che violano le norme preposte al loro operato.
La delega è stata attuata con D.L.vo 20 dicembre 2009 n.198. C.E: GALLO La class action nei confronti della pubblica
amministrazione, in Urb App.,5,2010,
501
L’art. 1afferma che sono legittimati ad agire i titolari di
interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e
consumatori possono agire in giudizio.
Si tratta di una
legittimazione riconosciuta non soltanto al titolare di una interesse
individuale in sé ma anche a colui vuole fare valere in giudizio l’interesse di
una categoria alla quale appartiene nei confronti delle amministrazioni
pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici.
L’interesse pare
essere limitato dalla dizione dello stesso articolo che ammette l’azione solo
se , se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi:
la dizione è diversa da quella contenuta dalla delega che riconosce l’azione
per la lesione di interessi giuridicamente rilevanti.
La limitazione
di tutela è evidente nell’interpretazione giurisprudenziale. Essa afferma, ad
esempio, che i regolamenti possono formare
oggetto di autonoma ed immediata impugnazione solo quando sono
suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una concreta ed
attuale
lesione
dell'interesse di un determinato soggetto. Le disposizioni regolamentari
possono essere impugnate soltanto congiuntamente al provvedimento applicativo,
poiché è soltanto questo a rendere attuale e certa la lesione
dell'interesse protetto. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 6 novembre 2009, n.
1586.
9.1
L’oggetto
dell’azione.
L’oggetto
dell’azione è dato dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di
atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da
emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o
da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di
servizi ovvero dalla violazione di standard
qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici,
dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le
pubbliche amministrazioni
La dottrina
intravede una limitazione rispetto a
quanto previsto dalla legge
delega cha si limita a consentire l’azione in carenza di emanazione di atti
generali.
Fissando
l’azione solo nel caso di ai generali che devono essere emanati per legge entro
termini prefissati la limitazione è evidente nei casi - e sono la maggioranza -
in cui la legge lascia l’emanazione del’atto alla discrezionalità della
amministrazione essendo così impossibile agire contro l’inerzia
dell’amministrazione
C.E: GALLO La
class action op. cit., in Urb App.,5,2010,
505.
9.2
La fase
amministrativa.
Per esercitare
la class action il ricorrente deve
esperire un preventivo tentativo per costringere l’amministrazione ad
intervenire autonomamente in via di autotutela
Il ricorrente,
pertanto, deve notificare
preventivamente una diffida all'amministrazione o al concessionario ad
effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla
soddisfazione degli interessati.
La diffida
è notificata all'organo di vertice
dell'amministrazione o del concessionario, che assume senza ritardo le
iniziative ritenute opportune, individua il settore in cui si e' verificata la
violazione, l'omissione o il mancato adempimento
L’amministrazione
deve curare che il dirigente competente provveda a rimuoverne le cause.
Tutte le
iniziative assunte sono comunicate all'autore della diffida.
Le pubbliche
amministrazioni determinano, per ciascun settore di propria competenza, il
procedimento da seguire a seguito della notifica della diffida.
L'amministrazione
o il concessionario destinatari della diffida, se ritengono che la violazione,
l'omissione o il mancato adempimento sono imputabili altresì ad altre
amministrazioni o concessionari, invitano il privato a notificare la diffida
anche a questi ultimi.
Il ricorso è
proponibile se, decorso il termine di novanta giorni l'amministrazione o il
concessionario non ha provveduto, o ha provveduto in modo parziale, ad
eliminare la situazione denunciata.
Il ricorso può
essere proposto entro il termine perentorio di un anno dalla scadenza del
termine fissato dalla diffida .
Il ricorrente ha
l'onere di comprovare la notifica della diffida e la scadenza del termine
assegnato per provvedere, nonché di dichiarare nel ricorso la persistenza, totale
o parziale, della situazione denunciata, ex
art. 3, D.L.vo 20 dicembre 2009 n.198.
Il ricorrente
non è, invece, soggetto all’esperimento del tentativo di conciliazione
previsto come obbligatorio
dal 20 marzo
2011, ex art. 5 , D.L.vo 4 marzo 2010
, n.28.
9.3
La giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
Esaurita la fase
amministrativa l’istante può inoltrare il ricorso alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
La dottrina
rileva una limitazione rispetto alla legge delega che estendeva la
giurisdizione anche al merito, mentre la norma delegata non la contempla.
Il comma 1-bis, dell’art. 1, D.L.vo 20 dicembre 2009 n.198, dispone che
nel giudizio di sussistenza della lesione
il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie, e umane
concretamente a disposizione delle parti intimate per cui l’accertamento non
avviene in carenza di risorse disponibili.
Del ricorso è
data immediatamente notizia sul sito istituzionale dell'amministrazione o del
concessionario intimati; il ricorso è altresì comunicato al Ministro per la
pubblica amministrazione e l'innovazione al fine di consentire ai soggetti che
si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente di intervenire.
A tal fine
l’intervento adesivo deve essere depositato entro il termine perentorio di
venti giorni liberi prima dell'udienza di discussione del ricorso.
Questa è fissata
d'ufficio in una data compresa tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno
dal deposito del ricorso.
Il ricorso è
proposto nei confronti degli enti i cui organi sono competenti a esercitare le
funzioni o a gestire i servizi cui sono riferite le violazioni e le omissioni.
Gli enti
intimati informano immediatamente della proposizione del ricorso il dirigente
responsabile di ciascun ufficio coinvolto, il quale può intervenire nel
giudizio.
Il giudice,
nella prima udienza, se ritiene che le violazioni o le omissioni sono
ascrivibili ad enti ulteriori o diversi da quelli intimati, ordina
l'integrazione del contraddittorio.
Il ricorso non
consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai
comportamenti
Il ricorso per
risarcimento del danno può essere presentato al giudice amministrativo dopo la
sentenza che riconosce la lesione dell’interesse legittimo.
Il ricorrente
deve provare secondo le norme generali il danno subito.
Per evitare
duplicazioni il ricorso non può essere
proposto se un organismo con funzione di regolazione e di controllo istituito con
legge statale o regionale ha instaurato e non ancora definito un procedimento
volto ad accertare le medesime condotte oggetto dell'azione.
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