1. Capitolo. Calalzo.
Abbiamo
scelto di andare in villeggiatura a Calalzo perché vi arriva direttamente il
treno da Venezia e quindi non bisogna cambiare.
Odio
trasportare le valigie per le calli;
bisogna trascinare i bagagli a piedi perché la mia abitazione dista un
centinaio di metri dalla fermata più vicina del vaporeto.
Di
solito ci accompagna Marzian, quando è in zona, e mi aiuta a portare i bagagli
più pesanti. Come tutte le donne, mia madre stipa le valigie fino
all’inverosimile: sembra che invece di vestiti ci sia un carico di ferro.
E’
dura la partenza per la villeggiatura.
Dopo
un anno vissuto nella città di mare è bello andare a godere di una rigenerante
frescura in montagna.
Vivere
in pieno centro storico non è di certo come abitare al Lido al bordo della
spiaggia. Quando in pieno luglio non si
leva una bava di vento, soggiornare a Venezia senza condizionatore è una
vera sofferenza.
Calalzo
è l’ultima stazione ferroviaria all’inizio delle Dolomiti, a pochi chilometri
da Cortina.
Non
ci siamo mai posti il problema se andare o meno a Cortina.
Non
so se fare una villeggiatura a Cortina sia sostenibile dalle nostre finanze. Forse
sì.
Il
solo pensiero di prendere un ulteriore mezzo per raggiungere la sospirata meta
è sufficiente per convincerci della bontà della scelta di Calalzo.
Molti
veneziani si rifugiano in montagna per cercare di trovare refrigerio al caldo
dell’estate.
“Luglio
al Lido e agosto in montagna.” è la regola che scandisce i ritmi estivi
degli abitanti della Serenissima.
E’
facile però trovare delle estati piovose, con precipitazioni continue che fanno
rimpiangere il caldo del mare.
Insomma
non si è mai contenti!
Il
lago di Calalzo è la maggiore attrattiva del posto.
E’
un bacino idroelettrico artificiale creato da una gran diga che domina il
Fadalto.
Il
salto d’acqua non è molto alto, ma basta per fare venire le vertigini se si
guarda in basso dal muraglione che sovrasta la diga.
L’attrazione
non è, però, la diga, ma gli chalet che sorgono sulle rive del lago dove la
sera si balla al suono del jukebox.
I
lenti di quegli anni sono veramente mitici, i ritmi mettono voglia di fare
all’amore.
”E’
l’ora dell’amore”.
Canta
un motivo di gran moda.
I
giovani sono romantici, ballano ancora guancia a guancia.
I
balli di gruppo non sono di moda.
Allo
chalet si va anche per fare il bagno o qualche escursione in barca.
L’acqua
è sempre gelida ed è meglio portarsi un maglione di lana per scaldarsi quando
si esce dal bagno in quel lago ghiacciato.
Il
Roccolo di Pieve è l’altra attrazione più gettonata.
Potrebbe
anche chiamarsi l’università del calcio balilla.
Lì
dominano i professionisti, quelli che segnano dalla difesa ogni volta che
riescono a fermare la palla.
Giocano
in coppia con un compagno palesemente scarso così trovano sempre qualcuno che
si sente in grado di batterli e li sfida.
Una
strisciata dosata al millimetro e la pallina finisce dietro al portiere
avversario. In questa maniera giocano gratis tutto il pomeriggio. La moneta per
pagare la partita la mettono i polli che li sfidano.
Il
bar Tiziano è il rifugio in caso di pioggia.
I
camerieri sono pazienti ed anche se arriva un gruppo di venti ragazzini che
consumano due aranciate ed un caffè li lasciano occupare qualche tavolo a meno
che non si tratti dell’ora di punta.
All’ora
dell’aperitivo, prima di pranzo e soprattutto prima di cena, i clienti, quelli
buoni, quelli che consumano e lasciano magari anche qualche mancia, reclamano
il tavolo.
Solo
in quelle occasioni dobbiamo sgomberare.
Di
sera uno dei ritrovi preferiti è la baita lungo la strada per il Chiggiato dove
si può ballare.
E’
un luogo poco frequentato nelle ore notturne poiché dista un chilometro dal
paese e col buio non vi sono molti clienti.
Il
proprietario è un montanaro verace. Un tipo un po’ strano. E’ sempre in giro
con la sua jeep.
Penso
che se potesse ci dormirebbe sopra per non lasciarla.
Mi
è capitato una volta di vederlo guidare la sua amata vettura, ingranando la
ridotta, mentre cammina tranquillamente al suo fianco.
Tiene
il volante con una mano - evidentemente ha il minimo un po’ alto perché non
riesce a schiacciare l’acceleratore – e porta a passeggio il fuori strada come
se fosse un cagnolino al guinzaglio.
Non
è molto comprensivo perché la sua scarsa vocazione all’attività di gestore di
un locale non gli procura molti clienti. Quando vede che la cassa contiene
pochi spiccioli si adira con noi che siamo sempre restii al consumo quando
entriamo in un locale.
Il
proprietario si presenta con la sua faccia più burbera e ci apostrofa col suo
motto “Chi porta porta e chi no porta parte.” Le consumazioni rimangono ugualmente poche,
l’unico risultato è di suscitare qualche risata di nascosto per non provocarlo.
I
baldi leoni notturni, si sa, sono poco inclini alle gite in montagna; di giorno
preferiscono dormire e alzarsi tardi mentre chi vuole fare delle escursioni
deve fare delle levatacce.
Il
Chiggiato è la meta preferita di quel gruppuscolo di prodi che osa alzarsi la
mattina presto e rischiare di prendere la solita pioggia insistente che troppo
spesso caratterizza le giornate estive in montagna.
Tutto
per andare a vedere un’altra volta le Marmarole sperando di ammirarle mentre si
stagliano in un cielo blu.
Se
piove o tira vento ci facciamo subito scoraggiare e ritorniamo a casa dopo
avere consumato le provviste contenute nello zaino al riparo in qualche baita. Vedremo
le montagne nel loro splendore un’altra volta.
Non
ho mai amato grandemente quel tipo di vacanza, né mi sono mai posto il problema
di andare da un’altra parte. Mi sento padre di mia madre e sono io che
accompagno lei in montagna non lei che porta me in vacanza. Divido il tempo da
passare con gli amici con quello da passare con mia madre perché non sempre
posso lasciarla sola.
Sono
un mammone al contrario. Forse per questo non sono più ritornato a
Calalzo perché non è un posto che amo; mi sono imposto di andarci per i
miei doveri verso mia madre.
2. Capitolo. I compagni di scuola.
All’Istituto
si pensa solo a studiare, di ragazzine nemmeno l’ombra.
La
classe è composta di soli ragazzi.
I
divertimenti sono lo sport e qualche gavettone.
Si
ride soprattutto nel prendere in giro qualcuno: compagni o professori, stando
bene attenti a prendersela con quelli che reagiscono di meno.
Da
Rialto alla Zattere la strada è lunga, la borsa dei libri è sempre pesantissima
per questo il tragitto lo faccio imbarcandomi sul “batelo”.
Non
è che col “vaporeto” ci si metta meno tempo; ci vuole sempre un quarto
d’ora, però si fa meno fatica e quando piove non ci si bagna.
Roberto
e Renato prendono il vaporetto con me dalla seconda media.
Roberto
si diverte a stupire con le sue idee, con le sue invenzioni; lui deve sempre
attirare l’attenzione.
Ha
sempre letto il libro più interessante o ascoltato il disco più bello.
E’
divertente stare ad ascoltare le storie che Roberto racconta con entusiasmo.
Renato
è il secchione della classe.
Lui
sa tutto.
Prepara
ogni giorno, per tutti i giorni dell’anno scolastico, tutte le materie in
programma.
E’
sempre preparato, a differenza di tutti noi.
Quando
il professore chiama: ”Venga..” incrociamo le dita nella speranza che la nostra
interrogazione capiti un’altra volta, lui no!
E’
sempre pronto ad uscire dal banco per affrontare sicuro le domande più
insidiose.
Il
suo banco è stranamente pulito. C’è solo il quaderno dei compiti a casa, non ha
nulla da nascondere.
Il
mitico Vil invece ha un banco in prima fila a fianco del mio.
Più
che un banco sembra una trincea tesa a sbarrare la strada a chiunque
voglia violare la sua privacy.
Per
riuscire a creare una vera barriera di libri fra lui ed il professore si porta
da casa l’inverosimile, oltre ai libri del giorno anche quelli delle lezioni
dell’indomani.
Dietro
quel banco c’è di tutto.
Durante
la lezione di storia prepara i compiti della lezione di greco dell’ora
successiva, durante l’ultima ora prepara i compiti dell’indomani.
Con
questo sistema pur non facendo nulla a casa riesce a guadagnarsi la promozione.
Il
suo terrore non sono i professori, ma Pit.
Pit
è un ragazzone simpatico grande e robusto con delle mani enormi e una faccia
rotonda più larga del normale tanto che è chiamato per il gran testone “cassa
di limoni”.
E’
il terrore, nelle lezioni di chimica, per quelli che siedono nella fila davanti
alla sua.
L’aula
di chimica è, infatti, realizzata su una gradinata fissa di banchi per
cui chi siede dietro è più alto rispetto a quelli che siedono nei banchi più
avanti.
Pit
approfitta di questa situazione di dominio assoluto per esercitare la strategia
del terrore.
Quando
il Bettina, così famigliarmente è chiamato il professore, scrive alla lavagna
Pit, il vendicatore, si scatena.
Il
Bettina ha un piglio arcigno e determinato a tenere la disciplina.
Il
suo naso adunco e soprattutto il grosso neo sul mento incutono timore.
C’è
, però, un momento in cui Pit, il temporeggiatore, può approfittare della sua
concentrazione.
Nel
momento in cui il docente illustra le formule chimiche, quando è impegnato più
del solito a spiegare i passaggi del suo ragionamento , quando rischia di
perdersi nel ricordo della formula allora è il momento propizio per l’attacco
proditorio.
Sussurrando
“Alta e bea” per non farsi sentire dal docente, girato dalla parte della
lavagna, Pit, il barbaro, si mette a distribuire sberloni a chi è a portata di
braccio.
Il
poveretto che si trova davanti, a tiro, senza alcuna protezione, è praticamente
impossibilitato a reagire o a scappare.
Lui
può solo cercare di sfuggire nascondendosi sotto il banco.
Il
suo bersaglio preferito è Vil .
Tranquillamente
seduto proprio davanti è nella posizione ideale per incassare le sue sberle.
Alla
fine dell’ora Pit è dichiarato vincitore per avere colpito senza farsi
accorgere dal professore.
Vil
è visibilmente provato ma ride, facendo buon viso a cattivo gioco, per non
subire anche lo scherno dei compagni .
Qualche
volta vado al cinema con Roberto.
Andiamo
a quello di un oratorio vicino a S. Silvestro dove non programmano certo le
prime visioni.
Il
cinema dell’oratorio proiettano film impossibili usciti vent’anni prima.
I
clienti siamo per lo più noi ragazzi che abbiamo in tasca troppi pochi
spiccioli per permetterci le prime visioni in centro; i più piccoli poi non
possono allontanarsi troppo da casa senza il permesso dei genitori.
Una
torma di ragazzini che pensa a tutto fuorché a vedere il film.
Patatine,
coca cola, dolci fanno parte integrante del programma cinematografico.
E’
una festosa sagra dei piccoli accompagnati da pochissimi adulti.
I
più graditi sono gli spettacoli sugli indiani d’America.
La
trama è quella dell’eterna lotta tra buoni e cattivi che provoca urla di
biasimo, quando i cattivi combinano le loro malefatte, e grida di gioia, quando
alla fine arriva la cavalleria e i buoni stravincono.
Spesso
c’è talmente tanto chiasso che non si riesce a sentire nulla, però si fanno
sempre tante risate e ci si diverte lo stesso più che ad una prima visione.
La
cosa più bella sono i commenti.
Ognuno
vuol dire la sua.
Tutti
dicono le cose più strampalate per ridere e fare ridere.
E’
questo il segreto del buon umore.
Lo
stare insieme suscita di per sé l’allegria. Il fatto di guardare un film è solo
il pretesto per restare uniti.
Il
basket è la mia grande passione.
Si
gioca nella palestra della scuola con la squadra composta da quattro giocatori
perché il campo è più piccolo del normale ed in cinque non ci si starebbe.
A
Venezia bisogna sapersi accontentare.
Gli
allenamenti sono fatti in preparazione del torneo scolastico.
Il
direttore della tenzone è il professore Vladimiro.
Fisico
asciutto da atleta, il professore è uno sportivo di altri tempi che ammette
solo uno sport corretto e un comportamento educato anche nel parlare:
“Quando
se entra in campo se se lava prima la boca” dice alla prima imprecazione di
un giocatore maleducato.
Io
sono il quinto nella graduatoria, per bravura e prestanza atletica, dei
giocatori della mia classe.
I
compagni di squadra mi assegnano il ruolo di riserva.
Io
non ci sto.
Voglio
partire da titolare non come riserva destinata a giocare solo pochi minuti.
Riesco
a mettere insieme un’altra squadra ingaggiando o meglio convincendo a giocare
dei compagni assolutamente negati per il basket.
Il
mercato non offre niente di meglio.
Bisogna
sapersi adattare.
Creo
una squadra dove nessuno è capace di giocare.
C’è
solo la volontà di affermare la nostra voglia di vincere.
L’importante
è non farci battere da quelli più piccoli di noi per non aggiungere alla
sconfitta le beffe.
Possiamo
considerare una perdita onorevole solo quella ricevuta da giocatori più grandi
di noi e dalla prima squadra della nostra classe.
E’
una pallacanestro un po’ grossolana fatta senza scuola .
E’
fatta di grinta e di voglia di partecipare e di vincere per fare vedere agli
altri che non siamo una squadra di serie B.
“Passa.. passa.. “ è la parola più
gettonata perché tutti vogliono la palla per tirare a canestro.
Il
passaggio, lo schema di gioco è un dettaglio.
E’
poi quando arrivo a casa devo farmi medicare qualche immancabile contusione da
mia madre perché si sa il basket è uno sport maschio.
“Ti se sempre roto co sto sport” mi
ripete sconsolata.
3. Capitolo. Venite a do remi.
L’istituto
è collegato direttamente alla chiesa.
Non
è possibile considerare l’insegnamento al di fuori di una pratica costante
delle funzioni religiose.
La
preghiera è caratterizzante la formazione scolastica.
Per
chi non accetta questo indirizzo confessionale non c’è posto all’Istituto.
Tutti
i giorni dopo la prima ora c’è la messa obbligatoria.
Anche
la domenica è richiesta la presenza alla santa messa da parte di tutti gli
allievi.
Chi
non partecipa deve portare la giustificazione come per una normale assenza
dalle lezioni.
Una
domenica decidiamo di seguire la Reyer - la squadra di basket della Serenissima
- che deve disputare una partita a Bologna.
L’incontro
è decisivo per la promozione in serie A.
“No se pol perdersta partia” ripeto con
gli altri congiurati. Siamo in quattro della stessa classe. Questa occasione
per sostenere la squadra del cuore non può essere perduta.
Siamo
purtroppo troppi per passare inosservati.
Il
lunedì successivo ci ritroviamo in classe senza voce, che se n’era andata tutta
fra canti ed urla di sostegno alla squadra.
Il
rettore ci convoca ad uno ad uno.
Le
giustificazioni non reggono.
La
strapazzata è di rigore e le note a casa ci invitano al rispetto della regola
fondamentale: “Non si perde scuola e messa alla domenica per motivi
inconsistenti.”
Il
precetto ora et studia è
indissolubile: per chi non lo accetta non c’è posto nelle scuole confessionali.
Qualcuno
lo chiama integralismo e se ne scandalizza.
A
me sembra una cosa naturale.
Chi
vorrebbe invitare a casa propria uno sconosciuto che si presenti senza
l’uniforme d’ordinanza?
Chi
non accetta le regole non è gradito ospite!
Gli
alunni delle medie e del liceo prendono diligentemente posto nella chiesa sotto
il controllo vigile dei chierici.
La
basilica è aperta anche al pubblico per i pochissimi posti che restano liberi
nelle due navate laterali.
Tutti
i banchi centrali sono occupati dagli allievi.
Gli
alunni delle elementari pregano in un’altra chiesa interna all’Istituto.
La
chiesa è già zeppa così. Altri allievi non ci starebbero fisicamente.
La
chiesa dell’Istituto mi ha visto, quale devoto fedele, partecipare per gli anni
delle medie e del liceo tutte le mattine con i miei compagni alla celebrazione
della S. Messa.
Pregare
è un’abitudine buona che si tende a trascurare per arroganza.
Il
rito si svolge accompagnato dai canti di
un coro emozionante.
La
chiesa è stipata fino all’ultimo banco dagli allievi.
Tutti
in silenzio pronti a rispondere alle orazioni rituali recitate del celebrante.
Lo
sguardo solenne, la mano decisa che può ben fare a meno della bacchetta del
direttore del coro, Padre Mazzobon intona i canti religiosi.
E’
uno spettacolo unico sentire quel coro.
Non
è facile entrare in una chiesa e trovarla stipata di fedeli che cantano tutti
all’ordine di un sol direttore.
Nessuno
può fare finta di cantare perché i prefetti vigilano.
Per
rompere la tensione Paolo ha trovato il
modo di farci sorridere
Per
eludere il controllo e per farla in barba ai chierici si è inventato delle
versioni modificate storpiando le parole
del gregoriano.
Nessuno
può capire, in quel frastuono di voci, che noi, unici del coro, non seguiamo
correttamente le istruzioni impartite.
E’
la nostra irridente e modesta contestazione.
Non
c’è nulla di dissacrante.
Il
suo canto preferito è Venite adoremus che veniva cosi tradotto.
Venite
a do remi
Venite
a do remi
Venite
in caorlina (che è una barca tipica da laguna).
Ci
si divertiva con poco, contenti di avere preso in giro l’indaffarato direttore.
Qualche
sorriso è sufficiente.
Dopo
quella cura intensiva di canti e di preghiere alcuni di noi hanno reagito in
maniera opposta.
Non
si sono rafforzati nella fede, anzi non sono più andati in chiesa; non hanno
retto alla dose massiccia di orazioni e non hanno pregato più, almeno in
maniera tradizionale.
Altri
sono rimasti devoti.
Poi
dicono che la virtù è l’essere abituati ad avere consuetudine alla pie
pratiche.
Va
a capire come è fatto l’animo umano!
4. Capitolo. Creso.
Per
Pasqua gli esercizi spirituali sono obbligatori, non c’è possibilità di
scegliere.
L’Istituto
possiede una casa di preghiere sulle Prealpi trevigiane.
Chi
non partecipa deve portare la giustificazione scritta, come se si trattasse di
un’assenza da scuola.
Devo
stare via solo tre giorni.
Mi
presento alla fermata della corriera che ci deve portare a destinazione con una
valigia spropositata.
A
casa non siamo abituati a trascorrere brevi vacanze e non disponiamo di una
ventiquattro ore.
Quando
arrivo alla corriera tutti ridono.
“Ma
ti sta via un mese!” Mi pigliano in giro perché i ragazzini non perdonano
niente.
Partiamo,
il viaggio è breve.
La
casa per gli esercizi è fuori paese su di una collina ridente, isolata.
La
tranquillità delle Prealpi venete invita a riflettere, ma noi siamo ragazzi ed abbiamo
voglia di ridere di scherzare.
E’
obbligo il silenzio ed il ritiro nelle stanze.
E’
un continuo rincorrerci nelle stanze e bisbigliare sottovoce, cercando di non
farci sentire dai sorveglianti.
Roberto
pensa di patire la fame e si è portato una borsa di provviste, lo andiamo a
trovare in stanza per la merenda.
Il
predicatore Padre Cuor di Leone è affascinante.
Nei
suoi sermoni lui ci parla di Dio, del peccato e della morte.
E’
così efficace che penso di dover morire entro l’anno.
E’
bravissimo con l’interruttore della lampada da tavolo che gli sta dinanzi.
Accende
e s pegne la luce dando una ulteriore
tensione emotiva ai suoi discorsi.
Come
avrà fatto il Savonarola, mi chiedo, dall’alto del pulpito a raggiungere una
pari tensione senza la corrente elettrica?
Forse
avrà fatto dei giochi con le torce?
Dopo
ogni predica sempre di più mi pento amaramente dei miei peccati di ragazzo
anche se non riesco a comprendere appieno la loro gravità.
Desidero
intraprendere una vita più ispirata agli insegnamenti di Cristo.
Il
padre rettore della casa è uno uomo mite, canuto, con la faccia rossa e buona
della gente contadina del Veneto.
Lo
chiamano Creso che è l’acronimo di Centro Reclutamento Esteri Sante Ostie.
I
più grandi lo chiamano con quel nome; lui si imbroncia e ci invita ad una
maggiore meditazione.
Le
piante delle colline sono in attesa della primavera per mettere i primi
germogli.
C’è
una siccità insolita.
Il
sole del meriggio è caldo; andiamo a fare quattro passi, tutti fumano
infischiandosene del divieto.
I
sorveglianti continuano a cercare chi nasconde la sigaretta per sequestrarla.
E’
una gara tesa ad evitare i controlli e a nascondere la sigaretta nel palmo
della mano, i più bravi riescono a celarla persino in bocca.
Il
sole picchia sodo fra quelle pietraie.
La
montagna è brulla.
Quelle
cime sono state teatro della prima guerra mondiale.
Un
chierico ci racconta che in cinque, sei ore di buon passo si arriva fino su al
Sacrario del Monte Grappa.
Camminando
sui sentieri della grande guerra ci dice che con un po’ di fortuna si trovavano
dei bossoli di fucile.
Lì
si moriva.
Per
cosa?
Ora
con l’Europa non ci sono più frontiere e noi tutti possiamo tranquillamente
transitare attraverso le dogane senza controlli da una stato all’altro.
Salendo
verso la cima della collina gli alberi si diradano; c’è poca ombra, ci sono,
invece, arbusti e rovi secchi.
C’è
qualche pianta di more selvatiche, ma è troppo presto per cercare le bacche.
La
primavera è iniziata da poco.
Il
cielo è terso.
E’
da parecchio che non piove e il sottobosco è molto secco.
Gettare
un mozzicone di sigaretta sul sentiero può essere pericoloso.
Ad
un certo punto si scorge del fumo che sale dal terreno.
C’è
un piccolo incendio.
Si
scatena un parapiglia.
Scappiamo
tutti più in basso, verso la chiesa.
“El fogo.. el fogo” qualcuno strilla
spaventato e corre giù verso un posto
sicuro dove ci sia dell’acqua.
I
chierici si danno un gran da fare per spegnere le fiamme prima che si
propaghino.
Con
una pala e con qualche sacco di iuta cercano di soffocare le fiamme.
E’
un lavoro artigianale che dà i suoi frutti non essendoci del vento ad attizzare
le fiamme.
Non
ho mai capito se il fuoco è stato provocato apposta o se è stato causato da una
cicca buttata lì per caso.
Un
buon argomento ripreso la sera stessa da Padre Cuor di leone.
Che
non sia stato lui a creare questa atmosfera infermale?
5. Capitolo. L’estate in collegio.
Sono
stato rimandato ad ottobre in greco in seconda liceo.
L’unico
di tutta la classe rimandato in greco.
Pensare
che copiavano tutti.
Meglio
così, perché sono andato a studiare in una casa estiva adagiata sui dolci
pendii nel delizioso entroterra trevigiano di proprietà dei Padri.
Ho
solo una materia. Sono uno dei più intelligenti fra i frequentanti bisognosi di
riparare.
Devo
frequentare un’ora di lezione ala mattina e due ore di studio al pomeriggio.
Per
me è un vero relax.
Amo
l’aria fresca della montagna.
D’estate
a Venezia c’è veramente un caldo afoso.
E’
impossibile camminare rimanendo asciutti, il sudore ti imperla la fronte e
tutto il corpo è appiccicaticcio.
Bisogna
spostarsi il meno possibile oppure andare in un luogo ventilato magari alle
Zattere a mangiare un gianduiotto con panna al Bar Cucciolo; oppure bisogna
andare al Lido per avere un poco di refrigerio.
Di
sera si dorme davvero male perché il sudore ti fa svegliare umido nel cuore
della notte.
In
montagna si sta bene, ci sono tanti nuovi amici.
Sono
tutti soconi .
Tutti simpatici.
L’unico
difetto è che hanno poca voglia di studiare.
Per
fortuna che ci sono tante cose da fare oltre che soffrire sui libri.
Una
gita alla settimana su e giù per i percorsi degli alpini fra boschi e ghiaioni
dove per salire si fa un passo avanti e due indietro.
Il
divertimento è scendere.
Corriamo
giù di corsa come una valanga col cuore in gola.
Il
rischio di rompersi l’osso del collo a quell’età è minimo visto che c’è San
Marco che protegge i Veneziani.
Ci
sono anche i fossili da trovare.
E’
sufficiente munirsi di un martelletto, trovare una buona guida e sperare in una
massiccia dose di fortuna.
Da
Vinci è la guida migliore su piazza. E’ un padre alto, taciturno e dall’aspetto
serio. E’ un uomo che non ride mai.
E’
sempre concentrato. Non scherza mai, sa parlare solo di minerali e di fossili.
Conosce
benissimo tutte le località dove se ne trovano e dalla qualità del minerale
riconosce facilmente la possibile presenza di insetti e foglie fossili.
Nelle
gite infrasettimanali porta sempre un martelletto che serve a sfaldare i
minerali per scoprire all’interno la presenza di qualche conchiglia o
addirittura di qualche piccolo insetto o pesce pietrificato.
Ogni
colpo del martelletto può rivelare qualche magia della natura e cento occhi
attenti vogliono essere i primi a vedere se c’è stata una nuova scoperta.
La
casa si trova a qualche chilometro dal confine austriaco.
E’
troppo forte la tentazione di andare a vedere come sono attrezzati i rifugi
austriaci anche se sono a qualche ora in più di cammino rispetto alle solite
mete.
Ci
dicono che si possono comprare le sigarette ad un prezzo più basso che in
Italia.
Dopo
una lunga camminata oltrepassiamo l’ultima forcella.
Il
rifugio austriaco appare proprio lì a fondo valle.
A
scendere ci mettiamo il tempo di un lampo.
Lo
sappiamo che ci aspettano würstel con
crauti, birra e qualche pacchetto di sigarette da fumare di nascosto.
La
salita, invece, è durissima e fa scontare il piacere del pranzo.
“Che
mona che so sta a magnar i würstel prima de na salita!” continuo a ripetere
“La prossima volta no magno niente!” prometto solennemente, ma ciò non
vale a rendere meno faticosa l’arrampicata.
Abbiamo
appena superato il confine italiano quando ci si avvicina un signore in abiti
borghesi con accento calabrese.
“Non
avete nulla da dichiarare.. eehh?” ci chiede.
E’
un finanziere che lì al rifugio ha notato che qualcuno ha comperato qualche
stecca di sigarette invece di qualche pacchetto come è consentito.
E’
proprio vero che è più facile accertare una piccola infrazione di
qualche ragazzino sprovveduto che un contrabbando in grande stile.
Si
rischia meno e si può fare bella figura con i superiori.
Meglio
fare vedere che si è fatto qualcosa.
Si
può correre il rischio, altrimenti, di sentirsi dire che si è andati a
passeggio a godersi il sole di agosto e di avere lasciato scappare qualche grosso
contrabbandiere.
Acciuffare
chi non è capace di compire atti contro la legge è molto più semplice; non c’è
neanche il pericolo di avere una odiosa resistenza.
Io
non conosco cosa abbia detto il finanziere al nostro accompagnatore padre
Marino.
So
solo che, quando ha saputo che i militari
ci hanno contestato il contrabbando sia pure di qualche pacchetto di
sigarette in più, il padre ha perso il suo colorito roseo ed è diventato bianco
cenere.
“Signor
mio cosa xe suceso” continuava a ripetersi.
Cosa
gli avrebbero detto i superiori per non avere vigilato a sufficienza?
Cosa
gli avrebbero fatto il comandante superiore della Finanza?
Lo
avrebbero forse arrestato?
Sarebbe
forse finito sui giornali?
Padre
Marino segue il suo gendarme come il condannato segue il boia sulla forca.
Non
cammina, barcolla!
Ce
l’ha fatta ad arrivare con le sue gambe in caserma solo perché ha tirato fuori
dalle sue capienti tasche il rosario, che porta sempre con sé, e si e messo a
pregare.
Dio,
però, non abbandona mai chi lo invoca!
In
caserma Padre Marino ha trovato qualcuno più comprensivo del solerte
funzionario.
“La
providenza me ga aiutà. ” ripete Padre Marino visibilmente sollevato.
Il
comandante superiore si è limitato a confiscare la stecca di sigaretta
risultata abbandonata da ignoti contrabbandieri.
Nessuno
è stato fermato, risulta dal verbale, perché i contrabbandieri prontamente
intercettati dai prodi finanzieri si sono dati ad una fuga precipitosa.
Padre
Marino è tornato felice per avere convinto il comandante superiore della sua
buona fede.
Non
ha mai saputo che il superiore era un ex
allievo dei padri!
“Cosa disé de far un poco de sport?”
Padre Viane si è inventato una campionato intero di rugby dividendo in
quattro squadre i collegiali.
Con
mischie e corse forsennate per non farsi placcare, il tempo dello studio si
digerisce meglio.
E’
uno sport meno violento di quello che sembri.
Molto
formativo perché la durezza del contatto impone delle regole ferree che tutti
rispettano senza protestare a differenza di altri sport più eleganti che sono
invece resi duri da atteggiamenti antisportivi dettati solo dalla voglia di
vincere ad ogni costo.
La
cosa più intrigante sono però le serenate al collegio femminile sito più a sud
sulla strada verso il paese.
Non
so come abbiamo fatto e cosa abbiamo inventato per arrivare fino al collegio
femminile senza alcun intervento di censura da parte dei padri.
Forse
lo sapevano benissimo di queste innocenti scappatelle ed hanno chiuso un
occhio.
Sono
stati ragazzi anche loro prima di entrare in seminario.
Tutta
l’avventura consisteva nello stare insieme davanti al fuoco a cantare “Il valzer delle candele.”
6. Capitolo. Il primo amore.
In
quegli anni la maturità consiste in un severo esame su tutte le materie.
Sono
entrato in Collegio a Venezia dai Padri come interno per potere studiare con
maggiore serenità.
Tutti
sono gentili, nessuno ti impone nulla è come essere in una pensione e non devo
neanche fare la strada tutte le mattine.
Posso
alzarmi un quarto d’ora dopo.
Nessuno
mi chiede il perché di questa scelta..
Mi
è molto cara la signora Giana, mamma di Roberto, che vado a trovare qualche
volta. E’ una signora dal sorriso molto dolce, l’aria paciosa e tranquilla di
chi riesce smitizzare ogni tensione.
Suo
padre, il signor Alberto, è un tipo apparentemente burbero, dal vocione un po’
brontolone, che controbilancia in casa la quiete della moglie, in realtà è un
cuor d’oro.
Lavora
come spedizioniere doganale in Marittima.
E’,
fra l’altro, un cuoco eccezionale e raffinato.
Dà
il suo massimo quando si impegna a preparare il rituale pranzo per il
compleanno di Roberto.
L’opera
culinaria è una vera delizia per la gola e per la vista.
Il
signor Alberto modella il burro su dei sostegni di filo di ferro e crea così delle
sculture per decorare la tavola imbandita.
Un
lavoro esagerato che dura lo spazio di un giorno.
Si
sa gli artisti sono un po’ originali!
Tartine
al caviale ed al salmone troneggiano fra i numerosi stuzzichini, un brodino,
per aprire lo stomaco, e poi tagliolini ai tartufi e per secondo capponcella
glassata alla moda di Francia e tanti, tanti dolci.
I
vini sono rigorosamente veneti o friulani, preferibilmente, Pinot Grigio del
Collio e Raboso del Piave. Si fa un’eccezione per il brindisi che deve essere
accompagnato da champagne francese.
Gli
amici di Roberto quel giorno sono trattati da re.
Sono
presenti: Renato, compagno di bateo,
Paolo, grande giocatore di calcio, Enrico, esperto in impianti elettrici, e
Giuseppe l’armeno amico da sempre: Ha una faccia triste, incorniciata da un
paio di occhiali che portano spesse lenti da miope. E’ una piccola compagnia
dotata di un appetito robustissimo.
“Forza fioi magnemo e bevemo” incalza Roberto
che prende in giro la nostra fame insaziabile da adolescenti.
Gli
argomenti dei discorsi sono sempre gli stessi . Riguardano momenti che hanno
caratterizzato il nostro percorso scolastico.
Enrico
racconta di quando a lezione ha alzato il pollice destro su cui ha legato una
piccola lampadina che, collegata ad una piccola batteria nascosta nella sua
tasca, lampeggia con intermittenza.
“Huuuu cosa xe” interroga Padre Riccardo
che non sa se ridere o essere severo.
Trattiene
a stento una risata, poi accorgendosi che lo scherzo ha scatenato un tumulto
nella classe, decide di prendere drastici provvedimenti “Vada via. El se presenta dal
retor” esclama!
La
maturità si avvicina.
Sono
alloggiato al Convitto dell’Istituto in una stanzetta prospiciente al cortile
interno del collegio.
Nei
pomeriggi di studio mi fa compagnia un crocifisso di legno di ebano col
basamento di ottone.
Col
Cristo ci parlo, gli racconto le mie storie, gli sono molto affezionato.
E’
ancora oggi uno degli oggetti a me più cari perché con l’autorizzazione - di
uno solo dei padri - me lo sono portato via.
Sono
convinto che quel Cristo sia per me una protezione imperdibile e da allora l’ho
sempre tenuto sul comodino a capo letto.
Al
pensionato conosco una ragazza friulana che studia all’Accademia delle belle
arti.
Ha
gli occhi grandi scuri e i capelli neri corvini.
E’
l’unica ragazza che alloggia al pensionato.
Tutti
le stanno attorno per la sua innata simpatia.
Per
rompere la tensione dello studio matto e disperato c’è solo qualche breve pausa
alle due dopo pranzo per sorbire un caffè al Cucciolo.
I
tavolini del bar si protendono su di una grande terrazza sul Canal della
Giudecca.
E’
uno dei luoghi più amati dagli studenti di Venezia.
Il
Canal della Giudecca divide in due la fondamenta delle Zattere dall’isola della
Giudecca, detta anche spregiativamente dai veneziani Isola delle foche.
I
cittadini della Serenissima, infatti, disprezzano per costituzione tutto ciò
che si trova al fuori dei confini del centro storico della città.
Il
Canal della Giudecca è un grande bacino d’acqua salata che profuma di mare.
Si
differenzia da tutti gli altri canali di Venezia per le dimensioni.
Per
la maggior parte i canali sono, infatti, maleodoranti e stretti e s’insinuano
come anguille fra i palazzi della città.
Il
glorioso Canal Grando è un piccolo solco d’acqua a confronto.
Il
sole riscalda piacevolmente le giornate terse di fine giugno.
Dalle
terrazze sul canale si gode di una
posizione aperta alla luce del sole e non si è sacrificati a goderne solo
qualche spicchio.
La
gelateria è ottima.
I
semifreddi con il loro sapore delicato e naturale mi ricordano i gelati prodotti
da mio padre.
La
specialità è il gianduiotto con panna.
E’
piacevole passare anche pochi minuti con Tonia a parlare di arte e di amore.
L’importante
è non farsi intercettare da quei curiosi dei compagni del pensionato sempre
pronti a prendere per i fondelli.
Mi
sembra di essere un agente dei servizi segreti tanta è la mia prudenza.
Riesco
a non fare trapelare alcunché di questa relazione.
Non
se ne accorge nessuno dei nostri veri, dolci rapporti.
7. Capitolo. I ludi universitari.
Sono
riuscito a fare uscire definitivamente mia madre dall’isola nera.
Ho
detto alla zia che mi sarei assunto la responsabilità per le dimissioni di mia
madre.
“No,
ti ti xe giovane: Lo faso mi par ti Nicheto.” mi ha detto dimostrandomi
ancora una volta il suo grande amore assumendosi l’onere di firmare.
Il
dott. Wurms, medico di famiglia, ha consigliato gli zii di mandarmi a fare
l’Università in un’altra città.
“Xe meio che el respira un’aria diversa”
diagnostica.
Tutti
concordano “Xe meio.”
Mia
madre non può restare a casa da sola, ha bisogno di compagnia. “Assumemo la Lia” propone la zia Bice.
La
Lia è una ragazza simpatica, giovane, bene in carne che ha bisogno di lavorare.
Lei
ha prestato servizio al bar come cameriera e conosce mia madre.
Viene
assunta per fare la damina di compagnia e per un piccolo aiuto
nelle faccende domestiche.
Gli
zii hanno chiesto aiuto ad un lontano parente Mimmo Morandi che svolge la
professione di avvocato a Milano. Lui e
sua moglie Fiorenza sono una simpatica coppia milanese molto amica di mia zia
Bice cui sono legati da una comune e dura esperienza. Sono stati sfollati
assieme in tempo di guerra da Milano, dove allora entrambi vivevano, in
provincia di Como.
Mimmo
si è prestato a cercarmi un posto per studiare nella metropoli.
Proseguire
gli studi, cambiare ambiente, trovare una sistemazione, un lavoro che possa
darmi delle soddisfazioni, anche economiche, per il futuro è stata un’idea
brillante degli zii.
Mimmo
è stato bravissimo, si è interessato per farmi inoltrare domanda di iscrizione
ad un collegio universitario per studenti vicinissimo a Largo Agostino Gemelli:
il San Marco che si trova vicino alla Chiesa di Sant’Ambrogio.
Il
Santo Patrono di Venezia e il Santo Patrono di Milano sono stati generosi con
me perché la richiesta è stata accolta.
Parto
per Milano con gli zii che vogliono salutare
e ringraziare personalmente Mimmo.
Ritrovo
lo stesso tempo nebbioso di Venezia alla Stazione centrale di Milano. Il
pomeriggio è grigio.
Il
treno si snoda pigramente lungo i binari in entrata.
“
Catapan… Catapan…” le carrozze ripetono stridendo sui binari.
Sono
in piedi davanti al finestrino a guardare fuori. La mia vita è ad una svolta.
Ho
appena compiuto diciotto anni ed ora sto intraprendendo il percorso
universitario nella Facoltà di Giurisprudenza della Università Cattolica del
Sacro Cuore.
Milano
non ha i ritmi calmi di Venezia. Tutti corrono, tutti hanno una gran fretta di
andare.
La
maggior parte degli abitanti è talmente impegnata a darsi da fare che non
conosce neppure la sua città.
I
milanesi sono dei gran lavoratori abituati ad andare dalla periferia al centro
per lavorare e poi a ritornare nei quartieri dormitorio.
Prendiamo
il tram numero 25 per arrivare al collegio secondo le istruzioni ricevute.
“Scusi
sa dove si scende per la Chiesa di Sant’Ambrogio? Può indicarmi la fermata?”
chiedo al tranviere cercando di parlare un italiano senza inflessioni
dialettali.
Sono
incerto fra Via Carducci e Via De Amicis
e non vorrei fare troppa strada con la valigia.
Mi
hanno detto che Sant’Ambrogio è la chiesa più conosciuta in quella zona. E’ lì
che devo scendere per recarmi al Pensionato.
“Sa
qual è la fermata più vicina alla chiesa di Sant’Ambrogio?” domando
“So
mia” mi risponde.
Mi
rendo conto che ci sono persone che vivono senza sapere nulla.
Non
conoscono neppure i luoghi che fanno parte della storia della città dove
vivono.
Forse
non sanno neppure quello che fanno a parte le azioni meccaniche di tutti i
giorni come il mangiare ed il dormire.
Fortunatamente
una signora ci dà l’indicazione:
“Scendete
con me in Via Carducci, la Chiesa è a due passi”.
Via
Carducci è una strada molto trafficata, ma basta spostarsi nella strada parallela
che si affaccia al giardino della Chiesa di S. Ambrogio per avere una
sensazione di maggior quiete.
L’ingresso
del pensionato è proprio di fronte alla Cattolica.
La
facciata dell’Università in cotto rosso ha un aspetto severo.
A
sinistra si apre il giardino di S. Ambrogio, a fianco di una fontana di marmo
scuro di stile neo moderno.
L’ambiente
è ingentilito da numerosi cespugli di rose che il giardiniere del monsignore
coltiva con cura e che noi la sera provvediamo regolarmente ad innaffiare.
“
Noli mingere contra ventum” è il consiglio degli anziani
Roberto
è il direttore del S. Marco.
E’
assistente di Storia in Cattolica, ha un aspetto mite di persona gentile.
Non
così mansueti sono gli anziani che conservano ancora una vecchia tradizione
universitaria.
Domani
nel collegio cominciano, a mia insaputa, i ludi.
I
ludi sono una serie infinita di cosiddette prove, in realtà veri e propri
soprusi, che le giovani matricole devono sopportare per essere ammesse nella
comunità.
Gli
anziani sono ben decisi a fare pagare lo scotto dell’entrata per poi accogliere
con calore chi passa sotto le loro forche caudine.
E’
un atto di umiltà che è poi ripagato con l’inserimento a pieno titolo nella
comunità universitaria.
I
ludi al S. Marco sono tosti, non tutti resistono, alcuni li ritengono una vera
angheria.
I
più deboli abbandonano quell’ambiente così rude cercando un’altra sistemazione.
La
notte stessa gli anziani scatenati irrompono nelle stanze , poco dopo mezzanotte,
e svegliano le povere matricole, urlando e soffiando nei fischietti che portano
al collo.
Dopo
avere indossato in fretta e furia il cappotto sopra al pigiama, in una notte
polare, le matricole sono portate in cortile in un clima da sabba infernale
“Ecce Pontifex Maximus Roccus I” così strepitano gli anziani mentre il re dei
ludi appare affacciato alla finestra del Collegio.
Tutti
devono, naturalmente a capo chino in segno di assoluta devozione, applaudire il
pontifex benedicente.
E’
l’inizio di un corso intensivo su come affrontare la vita da matricola.
“Minus quam merda” questo siete matricole
gridano impietosi nelle nostre orecchie.
Alle
sette del mattino siano costretti a seguire, dopo un brusco risveglio, un corso
di ginnastica nel giardino fuori del collegio immerso nelle nebbie ambrosiane.
E’
consentito frequentare le lezioni in Università, ma si deve essere presenti per
seguire i corsi organizzati all’interno del collegio dagli anziani.
Ce
ne sono molti: tutti utilissimi.
Il
corso di “figologia comparata”, introduce ai rapporti con le giovani
studentesse, quello di “igiene”, spiega
dettagliatamente come utilizzare la carta igienica e tenere pulito il bagno e i
corsi sportivi, introducono alle competizioni agonistiche.
Quei
simpaticoni degli anziani hanno, infatti, organizzato gare di nuoto nel
corridoio, incontri di pugilato e di scherma contro l’uomo ombra, e alla fine
una veglia di preghiera al seguito di uno scatenato muezin che parla un
arabo italianizzato.
“Alalì
alalà che cosa faccio qua?” ripete il coro delle matricole.
Tutti
devono seguire le parole del maestro prostrando la testa fino a toccare il
pavimento nella direzione di non si sa quale Mecca.
Chi
si permette di contestare o solo di non essere partecipe ai ludi è accompagnato
a suon di fischi ed urla alla giusta punizione.
“Doccia…
Doccia….” ripete ossessivo il coro degli anziani.
Ogni
operazione è condita da un chiasso indiavolato.
Il
tono di voce è quello urlato; la musica assordante e continua è quella dei fischietti.
Per
completare la giornata c’è la passeggiata per il centro di Milano. E’ d’obbligo
la vestizione.
Quell’anno
il costume adottato è quello del diavolo. Un paio di corna sulla testa, due ali
nere giganti sulle spalle, quella destra è volutamente più grande di quella
sinistra, ed una tunica rosso fuoco di plastica lunga fino ai polpacci con una
coda nera tenuta all’insù da un’anima in fil di ferro.
Non
è finita qui perché i diavoli devono cantare lungo tutto il tragitto
accompagnati, come al solito, dal rintronante stridio.
“Noi
siamo i diavoli del san Marco, pene tremende attendon noi che non sappiamo
neppure parlar
e
tanto meno tabacar….”
E’
una prova dura, ma ne vale la pena perché gli anziani poi si faranno in quattro
per dare ai nuovi amici tutta l’assistenza possibile, aiutandoli nella scelta
del piano di studi e nel labirinto delle pratiche universitarie.
La
comunità universitaria è un ambiente elitario. Chi è ammesso entra in una
cerchia che detiene una posizione culturalmente dominante che può essere
economicamente importante.
I
collegi universitari sono la naturale fucina dei più giovani talenti; i
pensionati sono collocati vicino all’Università, a stretto contatto con i
docenti; chi li frequenta è messo nelle migliori condizioni per svolgere con
profitto i corsi e per laurearsi.
8. Capitolo. Gli amici del San Marco.
I
ragazzi del San Marco provengono da ogni parte d’Italia.
Clint
è un valdostano che cambia espressione del viso e apparentemente umore ogni
cinque secondi.
Ha
un viso irregolare incorniciato da una barbetta che lo rende più vecchio della
sua età .
Gli
occhi furbi e vivaci denotano la sua innata curiosità.
Dividiamo
la stessa stanza.
Clint
ha una carattere molto socievole, ma non ammette angherie.
Ai
ludi ha reagito malissimo. Siccome è arrivato qualche giorno più tardi, tutti
si sono accaniti su di lui perché lo ritenevano un raccomandato che voleva fare
il furbo.
Il
montanaro, invece di starsene zitto, ha per contro mandato gli anziani a quel
paese non condividendo lo spirito dei ludi.
Si
è creato un corto circuito evidente ed è mancato un niente al fatto che la
nuova matricola se ne ritornasse nella sua amata valle o che si cercasse
un’altra sistemazione a Milano.
Sono
diventato suo amico solo dopo qualche tempo. Siamo inseparabili.
Chi
non accetta la prova iniziatica dei ludi è visto molto male in collegio ed è
destinato a rimanere ai margini della vita della comunità.
Il
valdostano è, invece, un ragazzo semplice che
si è integrato abbastanza facilmente.
Proviene
da una famiglia molto potente della Valle. Si dice che i suoi parenti abbiano
fatto causa allo Stato per via di una modesta montagna di cui rivendica la
proprietà.
Fa
molto colpo che Clint possa essere proprietario di un’intera montagna!
Di
fatto lui in montagna, come tutti i componenti della sua famiglia, lavora duro.
Quando
gli altri si divertono e sciano nei periodi delle feste loro sono lì alla
sciovia di famiglia.
Neppure
il pranzo di Natale impedisce di fare i turni di lavoro come i normali
dipendenti.
L’unico
suo relax è il suo amore.
Delfina
è una valdostana dal dolce carattere e dalla voce soave che ama cantare Montagnes
Valdotenes.
Non
può che essere così.
Un
valligiano non può che amare chi, come lui, ha nel cuore le montagne della
Valle.
Quelle
vette ti mettono un senso di inferiorità quando, per vederle stagliarsi verso
il cielo, sei costretto ad alzare la testa all’insù per scorgere le cime che si
innalzano su quella valle angusta.
Le
discussioni con Clint sono su tutto: sulla vita, sulla politica e sull’amore.
Sono
conversazioni che non finiscono mai se ad esse partecipano, come capita sempre,
Publio, Rudy e Ragazzo Borghese.
Publio
è un pugliese doc, alto e atletico dal temperamento flemmatico.
Per
lui l’amicizia è tutto. Un amico non deve mai dire di no.
Lo
chiamiamo così per celebrare le sue narici importanti che ricordano quelle di
Publio Ovidio Nasone.
Ha
tutti i requisiti dell’uomo del sud: il riferimento al clan familiare, il culto
dell’amicizia e la voglia di prendere le cose con calma. Lo studio per lui è un
optional.
Publio
prende la vita con filosofia: “Quello che non si può fare oggi si può sempre
fare domani” è il suo motto.
Ogni
occasione è buona per fare tutt’altro, ma è un amico sincero che tutti vogliono
avere.
Rudi
il rosso è il classico ribelle, piccolo di statura, colorito olivastro, occhi
scuri e penetranti.
E’
sempre insoddisfatto, manda tutti a quel paese, fa delle interminabili
discussioni con Clint.
“Va
fan culo” è l’immancabile conclusione visto che non sono mai d’accordo su
nulla.
Restano
entrambi delle loro idee per poi ricominciare il giorno seguente.
Rudi
ti conquista col fascino della sua cultura. E’ un piacere ascoltarlo recitare
le poesie di Pavese.
“La
muraglia di fronte che acceca il cortile
ha il sapore bambino che ricorda la stalla:” è
la nostra preferita.
Anche
se deve essere sempre esagerato e sopra le righe ritrova la sua dolcezza nella
poesia.
Anche
Ragazzo Borghese viene dal sud, alto e allampanato ha una concezione sfinterica
della vita.
E’
un uomo di sinistra, ma, lo sento, finirà per lavorare alla Confindustria.
Amicizia
Amicizia è un toscanaccio simpatico con gli occhi stralunati parla mettendo
velocissime le parole una a fianco dell’altra tanto che devi mettere una
attenzione esagerata per seguire i suoi discorsi.
Sempre
pronto a scherzare e a parlare della sua Versilia .
Cavallo
pazzo è il più studioso, metodico e paziente è sempre inchiodato sui libri.
Passa
tutta la giornata in Collegio seduto alla scrivania intento a ripetere pagine e
pagine di diritto privato.
Per
lui l’Università non è un’esperienza di vita, è un unico momento di studio.
Ha
come unico obiettivo quello di vincere il concorso di notaio al primo turno e
seguire il mestiere di suo padre per ammucchiare una montagna di soldi.
El
Busset viene dalla Lunigiana . I suoi occhi sorridenti ispirano una sua
naturale simpatia accentuata dal suo parlare in vernacolo e dal gusto per la
battuta e per l’amore per le lettere.
Parla
in rima. “Eran Donato e Donatella amanti” così inizia la sua poesia più
celebrata dove narra del presunto amore di due amici.
Il
Marchese di Ruffia è un tipo distintissimo. Per sopperire al suo fisico non
proprio longilineo si veste con cura meticolosa. Non l’ho mai visto girare, non solo per le
aule dell’Università, ma neanche per le stanze del Collegio senza giacca e
cravatta.
Un
giorno passeggiando per i chiostri della Cattolica mi sento chiamare da
Padovano il chierico.
“Cosa
fai tu qui?” Gli domando meravigliato.
“So
venio via dai Padri“ mi dice “La tonega no xe la me strada”.
Ricordiamo
i tempi del liceo ed i foglietti che ci siamo scambiati per quel famoso compito
di greco che mi aveva creato qualche piccolo problema. Padovano mi relaziona
sulle ultime novità della cronaca dell’Istituto.
Sempre
la stessa vita tranquilla scandita dai soliti ritmi di sempre. L’unica novità
riguarda il Padre Cuor di Leone.
Il
predicatore degli esercizi spirituali, quello che ci teneva col fiato sospeso a
guardare la lampadina che si accendeva e spegneva. Il predicatore che ci parlava
di vita e di morte, di peccato e di pentimento.
Padre
Cuor di Leone ha restituito la tonaca e si è sposato. La cosa mi ha turbato.
Rifletto
sulla caducità delle cose umane.
“Ciao
se vedemo” mi dice e scompare fra i molti studenti che affollano i chiostri.
9. Capitolo. Un amico a Milano.
Mimmo
Morandi è il parente di Milano che mi ha trovato posto al collegio.
Lui
è un signore distinto grigio di capelli coll’occhio furbo ed indagatore.
Fiorenza,
sua moglie, è una signora della buona
società milanese dai modi cortesi e dalle abitudini borghesi.
Casa a posto, famiglia a posto, tutto in ordine.
Non
un pelo fuori posto.
“Se
vuoi venirci a trovare qualche volta” mi dicono “fatti sentire”.
Mi
ha fatto piacere sapere che qualcuno vuole vedermi lì in terra meneghina.
A
dire la verità le mie relazioni sociali a Venezia, salvo la zia Bice, lo zio
Pasquale e la mamma di Roberto, sono state veramente contenute, pertanto,
apprezzo questo invito.
Mimmo
è un tipo un po’ particolare, mi rendo conto che bisogna seguirlo per il suo
verso.
Esercita
la professione di avvocato a Milano. Mi porta a vedere il suo studio in Via
Dante in un palazzo molto austero.
L’ascensore
vetusto fa un rumore strano di ferraglia.
Non
ce ne sono molti a Venezia di ascensori, ma quello più che un nuovo strumento
di progresso sembra un pezzo di antiquariato.
Dà
la sensazione di non reggere al peso, ansima quando ci porta allo studio che è al
primo piano.
Chissà
se ce la farà ad arrivare ai piani più alti!
Nei
locali non c’è l’atmosfera professionale concitata che ci si può aspettare in
una metropoli capitale degli affari d’Italia.
C’è,
invece, un clima molto familiare, a volte c’è anche Camilla una cokerina molto
simpatica e socievole che, sin dalla prima volta che mi ha visto, mi fa sempre
molti complimenti.
A
prima vista non sembra che ci sia un grande lavoro da fare.
A
casa Mimmo mi fa vedere i suoi quadri.
Il
mio senso estetico ne resta subito offeso, ma mi rendo conto che non posso dire
ad alta voce le mie impressioni.
“Cosa
ne pensi?” mi chiede.
Le
lezioni di storia dell'arte di padre Mazzobon mi sono servite.
Ricordo
che devo improvvisare qualcosa, devo dire tutto quello che viene in mente sul
quadro.
Così
ho fatto in quell’occasione valutando ogni elemento dell’opera come positivo.
“Il
senso cromatico è buono.
La
prospettiva c’è.
Il
senso della profondità si percepisce chiaramente.
Il
segno è sicuro e incisivo” commento da perfetto critico d’arte.
Padre
Mazzobon mi avrebbe valutato più che sufficiente.
Si
tratta di una natura morta che rappresenta due bottiglie ed un bicchiere
adagiati su di un tavolo spoglio che un ragazzino di prima media insicuro nel
disegno avrebbe potuto realizzare con più incisività.
Mimmo
scuote la testa quasi a non crederci che sarei riuscito a superare lo scoglio
della sua domanda.
Il
commento è positivo: “Si vede che sei una persona educata” mi dice e passa ad
un’altra opera.
Mimmo,
quando vado a trovarlo, si interessa dei programmi dei miei studi.
“Devi
studiare di più” inevitabilmente mi dice “anche se sei abbastanza a posto con
gli esami”.
Mi
suggerisce di intraprendere una carriera nella pubblica amministrazione perché,
dice lui, si lavora poco e si guadagna molto.
La
cosa mi interessa parecchio.
Mi
sconsiglia l’esercizio dell’avvocatura.
“Il
mio studio lavora poco” mi dice a scoraggiare ogni mia richiesta.
Devo
dire che mi attira esercitare la professione forense.
Se,
però, devo affrontare una difficoltà esagerata e rimanere sulle spese per
alcuni anni fuori casa mi viene da mollare subito secondo la legge del minimo
sforzo per ottenere il massimo risultato.
“Perché
nessuno è contento di quello che fa?” gli chiedo.
Lui
non mi risponde e fa spallucce.
Sua
moglie Fiorenza è un’ottima cuoca prepara sempre un arrotolato di spinaci
delizioso.
Con
le due figlie Marta e Maria sembra una famiglia felice.
Le
due figlie hanno le identiche iniziali del padre m.m.
Mimmo
si compiace molto del fatto che sia il nome che il cognome suo e delle figlie
inizino con la stessa consonante.
“Mica
potevo farlo anche con mia moglie “ quasi si scusa.
Effettivamente,
conoscendolo un po’, c’è da meravigliarsi che non si sia sposato con una donna
il cui nome iniziasse con la m.
Maria
è più tranquilla e pacata.
Ama
la casa e la vita tranquilla, passa il suo tempo a fare lavori domestici. Cosa
incredibile per una milanese lavora a maglia.
Marta,
invece, è un’entusiasta della vita. Sempre con idee nuove e progetti diversi.
Marta,
a differenza della sorella, fa di tutto pur di non restare a casa.
Ha
l’hobby dell’arredamento. E’ veramente brava a trovare soluzioni geniali ad
inventare sempre qualcosa di nuovo.
Questo
suo attivismo piace poco a suo padre che, da buon meridionale, vuole le figlie
a casa ad occuparsi esclusivamente della famiglia.
10.
Capitolo.
Lisa dagli occhi blu
Il
Marianum e l’Augustinianum sono i due collegi universitari principali della
Cattolica.
Chi
li frequenta deve avere una media elevata.
E’
obbligatoria per usufruire del presalario.
Chi
non ha delle possibilità economiche impegnandosi a fondo può farsi
un’istruzione.
Nei
collegi si studia duramente sempre.
Ci
sono studenti che hanno vissuto lì per i quattro anni del corso di laurea e
sono stati solo una volta in Piazza Duomo che dista in linea d’aria poco più di
trecento metri.
Di
Milano loro non conoscono né cinema né teatro né sale da ballo.
Per
loro esiste solo lo studio matto e disperato.
C’è
solo un’occasione che i collegiali vivono con grande allegria: il carnevale
ambrosiano.
In
quell’occasione i collegi si trasformano e per una sera lo studio è bandito. Il
divertimento è d’obbligo.
Tutti
si scatenano in danze frenetiche fino a tarda sera.
Gli
studenti dell’ultimo anno di corso fanno i padroni di casa e si curano
dell’organizzazione.
E’
il loro ultimo saluto alla vita universitaria che sta per finire.
La
festa per loro è il commiato agli anni spensierati della Università.
Sanno
che ora li attende l’esperienza più impegnativa della vita quotidiana.
Gli
universitari dei collegi maschili, come da tradizione, invitano le studentesse
dei collegi femminili.
Al
San Marco, che è uno dei collegi che
ruotano intorno alla Cattolica, usano in quell’occasione celebrare la festa
della matricola.
Dopo
tante angherie gli anziani si riconciliano ufficialmente con le matricole
ammettendole al loro livello.
Quell’anno
quelli del San Marco vogliono organizzare la migliore delle feste delle
matricole.
Si
potrebbe, per dare un tono alla festa, invitare un cantante.
Ma
chi?
“Non vi preoccupate che ci penso io”
ci rassicura Mario.
Mario
è un campano verace. Ha un disturbo uditivo che corregge con l’uso di appositi
strumenti.
“Aspetta
che metto le orecchie “ dice sorridendo mentre inforca un paio di occhiali.
Lui
si compiace ad assicurare il suo interessamento a favore degli amici per la
buona riuscita della festa
E’
parente alla lontana di Mario Tessuto, cantante di gran moda di una canzone di
successo: “Lisa dagli occhi blu”.
Non
so cosa abbia fatto per convincere Mario Tessuto, sta di fatto che il celebre
cantautore è venuto accompagnato da alcuni elementi del suo complesso.
Noi
del San Marco quell’anno abbiamo organizzato la migliore delle feste
universitarie mai viste in Cattolica.
Chi
dice che gli ambienti religiosi sono bacchettoni e conservatori?
Non
ho mai visto gli amici del san Marco in forma così smagliante.
La
vestizione è stata un’operazione collettiva. Chi ha due giacche scure ne cede
una, chi ha due camicie bianche ne offre una a chi usa solo maglioni a collo
alto e chi ha più di una cravatta di gala ne fa un prestito temporaneo a chi
non ne ha mai indossate.
Il Nero, che indossa sempre maglioni neri,
sfoggia una immacolata camicia bianca traforata comperata apposta il giorno
prima alla Camiceria Zebedia e un’impeccabile cravatta blu acquistata per
l’occasione da Bardelli in Via Torino.
Una
parte cospicua del mensile è andata per spese di vestiario, ma noblesse
oblige.
La
consulenza del Marchese di Ruffia è stata provvidenziale.
Il
suo look è impeccabile è stato di esempio per tutti.
Anche
Luridini , famoso per non essersi mai cambiato una camicia a fiori per una
decina di giorni, è tirato a lucido.
Non
è mai stata consumata tanta acqua di colonia come in quella occasione!
Le
matricole si devono fare vedere prima dagli anziani per ottenere
l’autorizzazione a scendere nella sala colazioni adibita a locale delle feste.
“Così
va bene.” Si complimenta il Marchese.
“
Giacca sgualcita. Stirare!” s’infuria l’arbiter
elegantiarum.
Bisogna
fare in modo che l’abbigliamento degli ospiti sia in linea con l’importanza della festa.
Il
buffet è invitante.
Un
tripudio di tramezzini, tartine e dolci di ogni tipo sono adagiati
elegantemente sui tavoli da ping pong rivestiti con una tovaglia rosso fiamma.
Tutti
si sono tassati per la riuscita di questa festa.
Ne
va dell’onore del San Marco che deve superare nell’organizzazione i collegi più
blasonati.
Ci
sono tutti gli studenti del Marianum e dell’Augustinianum che non lesinano i
loro complimenti più sinceri.
E’
la festa dell’allegria e dell’amicizia che, quando si è universitari, ha un
sapore particolare.
“Eran
Donato e Donatella amanti” celebra el Busset poeta ufficiale fisso sempre su
quella poesia.
Al
San Marco si balla sotto lo sguardo benedicente di Padre Agostino.
L’ambiente
universitario è un’oasi di tranquillità, non sussistono tensioni apparenti.
Queste
feste e la pratica dei ludi esorcizzano grosse tensioni sociali.
Che
sia proprio così?
Siamo
alla vigilia del 68 e il fuoco della contestazione cova sotto le ceneri di una
calma apparente.
L’università
sta diventando sempre più scuola di massa e tutto ciò che rappresenta l’emblema
di una società tranquilla ed ordinata sta per essere travolto.
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