1. Capitolo. Una gita a Parigi.
Roberto
è il direttore del Collegio.
Un
manager dalla faccia accogliente cui
i capelli brizzolati conferiscono un atteggiamento paterno.
Sempre
molto gentile e simpatico è disponibile
al dialogo che affronta sempre con tono pacato.
Ritiene
che la potenza del ragionamento sia sufficiente per avere un rapporto corretto
con quel manipolo di scatenati.
Sostanzialmente
ha ragione lui perché di fondo sono tutti dei bravi ragazzi: l’importante e
riuscire a dialogare.
Si
c’è stato qualche incidente come le battaglie d’acqua che scatenano gli istinti
più guerrieri.
Quella
volta Roberto si è arrabbiato molto.
Non
abbiamo capito perché.
“Mi
avete allagato il collegio” sbraita alzando in maniera inconsueta la voce.
In
fin dei conti è stata solo uno scontro un po’ inzuppato.
Al
massimo si sono infradiciati un po’ i contendenti.
Avrebbero
potuto lamentarsi, semmai, quelli del piano terra.
Sono
loro che hanno dovuto affrontare le bombe lanciate da quelli del primo piano in
evidente situazione di inferiorità.
Non
hanno fatto, invece, una grinza e pur bagnati fino alle midolla hanno risposto
al fuoco acquatico.
Abbiamo
comunque asciugato tutto anche se abbiamo dovuto faticare fino alle tre di
notte.
Il
giorno seguente si sono complimentate con noi perfino le signorine delle
pulizie.
Jean
de la Salade, chiamata così perché, quando ci serve in mensa, ci fa sempre fare
il bis dell’insalata, ha manifestato addirittura il suo entusiasmo:
”No
go mai visto dei pavimenti così neti!”
E’
anche lei veneta viene da Vigonza Pianiga.
Roberto
ha un sacco di idee, vorrebbe che il periodo passato al San Marco fosse
veramente formativo
“Sì
lo studio va bene, ma ci vuole un approfondimento culturale a tutto campo
perché la preparazione sia completa” sentenzia.
“Frequentate
gli appuntamenti culturali che Milano vi offre, c’è il Piccolo Teatro, c’è La
Scala, ci sono mille cineforum e conferenze, approfittatene! Fatti non foste
per viver come bruti” ci ripete sempre.
Lui
è assistente di storia dell’arte all’università.
L'interesse
verso le manifestazioni artistiche è sempre presente nei suoi discorsi.
In
quel periodo c’è una mostra a Parigi, al Petit Palais, di Pablo Picasso
l’autorevole maestro della pittura del novecento.
“Non
si può perdere una mostra di Picasso a Parigi.” afferma Roberto.
Sono
pienamente d’accordo.
“Ho
sentito parlare poco di Picasso ma molto di Parigi” confermo entusiasta.
Organizziamo
il viaggio.
“Si
può passare per Notre Dame du Haut” propone Benedetto che si professa esperto
navigatore.
“La
chiesa, progetta da Le Courbusier,
merita una visita” insiste Roberto.
“Basta
che non deviamo molto dalla strada per Parigi” precisa Bernardo molto
interessato dall’opera dell’architetto francese.
“Si
può andare a trovare Pietro ad Orval in Belgio” propone Roberto.
“Certamente”
ribadisce Benedetto, il quarto compagno di viaggio, non ponendosi neppure il
problema dell’itinerario.
Benedetto
è un ragazzo molto pio, viene dal Trentino è stato mio compagno di stanza.
Il
direttore ci racconta la storia di Pietro uno studente del San Marco che,
finiti gli studi in Lettere, ha deciso di farsi trappista ad Orval.
“Ad
Orval si mangia benissimo e si beve ancora meglio. I frati producono una birra
scura che quando la versi nel boccale fa una schiuma che si taglia con il
coltello.” soggiunge Benedetto che ha colto nel segno l’essenza della
religiosità dei trappisti.
Se
dobbiamo essere convinti, quello della birra scura è un argomento vincente.
C’è
però il problema economico.
“Cosa
costa andare a Parigi?” oso domandare per vedere se le mie finanze mi
consentono la vacanza.
“Siamo
quattro in macchina, la benzina si divide così il viaggio costa poco” risponde
prontamente Roberto
“A
Parigi andiamo a dormire in qualche pensioncina di poche stelle che costa pochi
franchi” soggiunge Benedetto
“A
mangiare si va a Saint Germain de Prés dove ci sono i ristorantini algerini che
costano come la mensa universitaria” conferma Bernardo.
Ho
appena ricevuto il mensile per pagare la retta del collegio.
“Bastano
i soldi della retta?” chiedo.
“C’è
n’è più che a sufficienza!” mi rispondono in coro.
“Allora
si parte! Poi per la retta qualcuno ci penserà?” concludo filosoficamente.
La
macchina di Roberto è una vecchia Peugeot rossa molto robusta, a suo dire, ma
molto vetusta a guardarla.
“Riusciranno
i nostri intrepidi avventurosi eroi a raggiungere Parigi?” ci chiediamo non
troppo preoccupati confidando nelle preghiere dei trappisti.
Tutti
lo sperano, ma pochi ci credono a guardare la faccia dei nostri compagni che ci
salutano alla partenza davanti al San Marco.
Cercare
la chiesa di Notre Dame du Haut è stata un’impresa.
Il
nostro navigatore Bernardo ha qualche difficoltà a leggere la cartina stradale.
Roberto
si fida più dei suoi sbiaditi ricordi che delle mappe lette male da Bernardo.
Si
sfiora quasi la rissa.
“Tanto
non abbiamo mica fretta.” esclama Roberto.
“E’
una vacanza che diamine! Mica dobbiamo fare le corse!” interviene Benedetto
“Non
dobbiamo arrivare primi a tutti i costi. Il viaggio fa parte della vacanza”
ripete Roberto.
Tutto
finisce lì.
L’impresa
di trovare la chiesa è ardua, ma ne vale la pena.
Partendo
da Milano puntiamo dritti verso Basilea.
La
chiesa spunta finalmente adagiata su di una pianura piatta nei pressi di
Ronchamp.
La
copertura della chiesa si nota da lontano.
Il
tetto della costruzione presenta una forma insolita.
Sembra
un cappello triangolare a larghe tese di un gigante originale.
Le
Courbusier ha pensato di far piovere la luce dall’alto ad illuminare la navata
e le cappelle laterali.
Gli
effetti sono suggestivi.
La
luce crea un suggestivo impatto col colore grigio del cemento armato che
riveste le pareti laterali.
In
quella atmosfera perdi per un attimo la dimensione terrena e ti senti collegato
direttamente al cielo.
Abbiamo
provato una grande emozione.
Ripartiamo.
Finalmente
arriviamo a Parigi.
Nella
metropoli francese tutto è grande: i Monumenti, i Musei, i Boulvard che corrono
lungo la Senna.
La
grande capitale resta seconda - fra le città che ho visto - solo a Roma la
capitale del mondo.
La
mostra di Picasso è un successo.
“Ci
sono almeno tre ore di coda da fare” constata Benedetto.
Pazientemente
Roberto si mette in fila, ma è da solo.
Noialtri
tre culturalmente meno raffinati non ci stiamo a perdere tre ore restando in
coda e preferiamo girovagare per la città. La grandiosità della metropoli si
presenta con la sua architettura imperiale.
I
viali maestosi e dritti a perdita d’occhio, i giardini regali, i Lungo Senna
romantici, l’arte racchiusa nei Musei ci fanno apprezzare questa città.
La
sera ci ritroviamo in Rue de la Huchette in un ristorante algerino allora di
moda a Parigi.
Sono
locali molto tipici e molto economici dove si beve il vino rosso algerino e si
gusta il cous cous. E’ un semolino servito con verdure e con delle
piccantissime salcicce arrostite chiamate meugez.
Mangio
col cappotto perché la tipicità del locale impedisce al proprietario di
sostituire alla finestra il vetro rotto che spiffera in una maniera esagerata.
“Me piasaria più caldo e manco folklor" mi lamento infreddolito.
Il
prossimo obiettivo è Orval.
Pur
non essendo molta la distanza chilometrica che separa questa cittadina da
Parigi, arriviamo in un altro mondo.
L’atmosfera
è opposta a quella della metropoli francese.
I
trappisti vivono isolati dal mondo esterno. Conducono una vita appartata anche
se hanno una foresteria che ospita i viaggiatori. Seguono il motto “ora et labora”.
Ad
ore impossibili si svegliano e pregano cantando le lodi di Dio e lavorando nei
campi.
Piero
ci accoglie con un sorriso terso. I suoi occhi chiari, incastonati in un volto
ascetico, emanano una luce particolare fatta di serenità e tranquillità con sé
stessi e con Dio.
“Benvenuti,
vi aspettavo” ci dice salutandoci fraternamente.
La
spiritualità prorompente da quei luoghi è mitigata dalle mangiate di burro
spalmato sul pane nero e dalle bevute di birra scura dalla schiuma che si
taglia con il coltello.
Valeva
la pena di fare quel viaggio per vedere quell’oasi di pace.
2. Capitolo. L’occupazione.
La
Cattolica sembra l’Università più tranquilla, quella inattaccabile da scioperi
e contestazioni dove si studia e ci si fa una posizione, come dice lo zio
Donato.
Non
è stato così.
Un
improvviso aumento delle tasse universitarie adottato senza consultare gli
organi rappresentativi degli studenti dà l’avvio alla protesta che covava
nell’aria.
L’occupazione
alla Cattolica: una cosa impensabile!
Eppure
è accaduto che un manipolo di giovani studenti che non sapevano, per la maggior
parte, che avrebbero dato vita al 68 si siano trovati a protestare contro
l’aumento delle tasse nell’Aula Magna.
Erano
convinti che a fermarsi una notte nell’Università con una occupazione simbolica
( da nulla!) l’avrebbero spuntata e avrebbero ottenuto la immediata revoca
della disposizione.
Il
Rettore, invece, non ci pensato su due volte ed ha chiamato i questurini per lo
sgombero dell’Aula Magna identificando gli occupanti e portandoli fuori a
braccia.
Manco
a dirlo gli amici del S. Marco ci sono tutti, salvo io che sono ricoverato in
Ospedale.
Il
caso ha voluto che io non sia stato presente nel momento più caldo
dell’occupazione dell’Università.
Forse
sarei diventato un contestatore sfegatato come alcuni amici fermati dalla
polizia mentre occupano l’Università.
La
storia influisce, senza che tu te ne accorga, nei tuoi comportamenti futuri.
Sei
un marionetta appesa ai fili dello svolgersi degli eventi.
Ho
approfittato del periodo, relativamente calmo per lo studio, dell’inizio
dell’anno accademico per farmi operare alle tonsille.
Mentre
me ne sto ricoverato all’Ospedale a Venezia ho notizia dell’occupazione che dà
l’inizio al 1968.
Capanna,
Pero, De Lillo sono tutti studenti modello con un libretto stracolmo di
centodieci e lode.
Alloggiano
tutti nei Collegi universitari.
Franceschini
è il rettore che deve gestire questa situazione incomprensibile per una
Università privata e soprattutto cattolica dove la disciplina e il principio di
autorità sono imprescindibili.
Le
scuole cattoliche sono famose.
Lì
non si sciopera.
Chi
vuole scioperare va in altre Facoltà.
Quella
occupazione ha spiazzato tutti.
Forse
quelli che si sono trovati più a disagio sono quegli occupanti che sono rimasti
stupiti della conclusione con tanto di sgombero da parte della forza pubblica.
L’identificazione
da parte della polizia di tutti coloro che hanno partecipato all’azione in
vista di provvedimenti repressivi ha scioccato la maggior parte di quegli
improvvisati rivoluzionari.
Quelli
che si sono fatti convincere ad occupare sono preoccupatissimi
Pensano,
infatti, che sia solo una questione di una legittima protesta per un aumento di
tasse e si meravigliano di questa reazione spropositata, inimmaginabile.
I
motivi più profondi della contestazione al sistema borghese e alla struttura
piramidale dell’Università sono noti solo ad una minoranza.
Il
rischio è quello di un’espulsione.
Un
dramma per gli amici del San Marco; forse devono cercarsi un altro alloggio.
“Chi
lo racconta a mio padre se mi cacciano dal Collegio” mormora Giampaolo
disperato “quello mi fucila”.
Hanno
occupato ma non hanno capito fino in fondo i motivi di questa occupazione.
“Dove andremo?” si interroga Max.
Fortunatamente
Franceschini è un pezzo di pane; si rende conto che non può colpire con
provvedimenti drastici i suoi studenti che hanno sì agito con grande
leggerezza, ma che in fondo sono dei bravi ragazzi.
L’espulsione
è riservata a coloro che hanno diretto le operazioni portando abilmente
l’assemblea ad approvare l’occupazione.
L’espulsione
di Capanna è un duro colpo ai contestatori, anche se Franceschini lo aiuterà,
pur non condividendo le sue idee, a proseguire gli studi alla Statale.
La
linea dura è successivamente perseguita dal nuovo rettore Lazzati.
I
collegi universitari vengono chiusi.
Gli
studenti dei collegi, le menti pensanti della Università, quelli che,
percentualmente, riportano medie altissime per potere sopravvivere alla
selezione del presalario vengono allontanati.
Loro,
proprio loro, hanno fornito supporto logistico agli occupanti nelle ore tarde
quando le assemblee sono meno numerose e le votazioni sono effettuate da poche
persone che si conoscono e si sa come votano.
Il
trasferimento dei collegi in zone più decentrate garantisce il ritorno alla
normalità.
3. Capitolo. Gio.
Max,
una giovane matricola di Lettere del S. Marco, gira per l’Università
accompagnato sempre da un gruppo di studentesse della sua Facoltà.
Le
matricole di Giurisprudenza sono per la maggior parte maschi.
Devo
dire che sono invidioso.
Nel
gruppo, in particolare, spicca una ragazza vestita sempre di verde.
Indossa
una gonna verde, una camicia verde, un maglione
verde e per finire una pelliccia di foca tinta di verde.
Lei
è veramente carina con i suoi occhi verdi e i capelli rosso-ramato.
I
capelli sono foltissimi divisi da una leggera riga in mezzo; una pettinatura
selvaggia e nel contempo ordinata che incornicia un viso sottile e delicato.
L’incarnato
è chiaro con leggere efelidi.
Non
un filo di trucco.
A
Max ho fatto vedere i sorci verdi durante i ludi.
Ho
pensato che quel suo assentire alle nostre aberranti indicazioni sia una presa
in giro.
La
cosa mi fa girare il cappello – quello blu notte della facoltà di
giurisprudenza – e quindi giù docce.
Per
questo la matricola vendicativa non mi vuole assolutamente presentare le sue
amiche.
Evidentemente
ignora i precetti evangelici che invocano il perdono per le offese ricevute.
Provo
una tattica di accerchiamento cercando di convincere un altro amico del gruppo
delle studentesse di lettere a me solidale.
Publio
è l’amico del S. Marco che frequenta il gruppo di Max. Non può rifiutarmi un
piacere.
Convinco
Publio ad organizzare una serata per uscire tutti assieme.
Il
loro gruppo più qualche amico del S. Marco.
Andiamo
al Souk. Il locale da ballo più frequentato dagli universitari.
Conosco
finalmente Gio.
“Voi
anziani cosa avete fatto a Max. E’ letteralmente terrorizzato quando vi vede”
mi dice.
Parliamo
tutta la sera di Max.
Io
tento di spiegare che in realtà siamo amici e che si tratta di un equivoco: lui
non ha capito lo spirito dei ludi.
E’
stata una serata interlocutoria.
Sicuramente
la conoscenza di quella ragazza ha lasciato il segno, non riesco a valutare
però fino a che punto.
Non
so cosa sia esattamente il colpo di fulmine, ma so per certo che voglio
rivedere Gio domani e poi ancora il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo
ancora.
Perché?
Semplice
perché la amo.
E’
dolce come un pus pus.
Dire
ti amo ad una persona per me è una cosa estremamente difficile e complicata.
Non
sono stato abituato a volere bene nel senso che nessuno mi ha insegnato ad
amare.
E’
difficile amare se hai vissuto situazioni emotivamente difficili dove è più naturale
porsi in guardia, in una situazione di difesa, piuttosto che in un
atteggiamento di abbandono o di fiducia.
Ma
cos’è l’amore?
Non
me lo sono mai chiesto prima d’ora perché ho sempre vissuto questo sentimento
in maniera istintiva senza pormi alcuna domanda ma seguendo semplicemente il
cuore.
Sono
come tutti gli emotivi: prima seguono i loro impulsi e poi, dopo qualche tempo,
si chiedono il perché dei loro comportamenti senza, però, avere rimpianti.
Chiedersi
se si è fatto bene e male non è rinnegare quello che si è fatto
Volere
bene ammette eccezioni o ripensamenti?
Bisogna
volere bene e basta.
Certo
devi trovare qualcuno che corrisponda al
tuo sentimento.
Il
volere bene è un valore troppo importante per essere volgarizzato o
minimizzato.
Il
voler bene è complicità, è fare le cose insieme, condividere ansie, dolcezze e
segreti.
Gli
sguardi, le attenzioni, la ricerca quotidiana dell’altro che ti coinvolge in
ogni cosa che fa, che dice e che pensa.
C’è
la possibilità che l’altro non condivida il tuo sentimento, non lo percepisca o
semplicemente non sia in sintonia o che abbia dei dubbi.
Allora
tutto sembra estremamente complicato, incerto, difficile, il tempo sembra non
trascorrere mai e si perde la gioia di vivere.
4. Capitolo. La contestazione.
Sono
segretario dell’Intesa Universitaria.
Non
ho capito ancora oggi perché ho accettato quella carica.
Mi
hanno convinto che è un dovere, per un fagiolo dei collegi universitari,
accettare.
Il
momento difficilissimo e nessuno è disposto a metterci la faccia.
Io
non sono impegnato.
Non
frequento movimenti od associazioni. Sono al di fuori della politica per
vocazione e per tradizione familiare.
Mio
padre non ha mai voluto partecipare attivamente ad una formazione politica.
La
sua esperienza militare fra fascisti e partigiani la riassume con la frase:
“Mi
contentavo tutti, aiutavo tutti; cusì i me lasava star.”
Io
non ho proprio idea di cosa voglia significare l’impegno in politica.
So
solo che l’Intesa raggruppa il maggior numero di studenti universitari in
Cattolica.
Sono
completamente ignaro, però, della sua linea politica, dei suoi rapporti con gli
altri partiti universitari, di quale strategia adottare in un momento così
delicato dove tutti cercano di fuggire da eventuali responsabilità.
Come
spesso capita in politica sono strumentalizzato da altri che vogliono riservare
la loro candidatura per tempi migliori.
Gli
amici insistono.
Accetto
senza entusiasmo con l’assicurazione menzognera che è un incarico compatibile
con lo studio.
Sono
veramente uno sprovveduto.
Non
so che la politica è un’arte che richiede una grandissima ambizione e una
notevole voglia o di comandare.
Bisogna
essere disponibili sempre, ma, soprattutto, ci vuole una precisa strategia, avere
dei contatti, sapere cosa si vuole raggiungere e potere contare su degli amici
che alle assemblee non ti lascino solo e che ti possano supportare con il loro
voto.
Io
sono qui per studiare e farmi una posizione, come dice lo zio Donato.
Come
segretario dell’intesa non ho riscosso - come dalle premesse è logico prevedere
- un grosso successo.
C’è
un tizio che tira le fila della mia segreteria.
Forse
adesso è diventato senatore, sicuramente professore universitario.
Lui
è molto più bravo di me a fare politica, a dire la frase giusta, a raccontare i
fatti della contestazione, ad interpretarli, a trarre una linea politica, a
fare promesse, a garantire sostegno, soprattutto a spingere un povero ingenuo a
prendersi un sacco di insolenze durante le assemblee.
Sono
anni difficili.
La
contestazione è alle porte.
La
Questura vigila sulle manifestazioni.
Largo
Agostino Gemelli è teatro di cariche della polizia sugli studenti che
manifestano.
In
questo clima dove il fumo dei lacrimogeni fa da contorno alle riunioni non è
facile gestire le assemblee infuocate dell’Intesa dove tutti urlano e se la
prendono col segretario.
E’
un’impresa per me disperata.
Fortunatamente
non persevero diabolicamente nell’errore. Pendo la scusa d’ipotetici problemi a
casa per dare le dimissioni.
-
- - - - - -
Sono
davanti alla vetrina di Figini a guardare i nuovi arrivi.
Quelle
scarpe nere, massicce, vistosamente luccicanti , spendenti nelle luci della
vetrina e soprattutto molto, molto
inglesi mi piacciono da morire.
Ho
deciso di comperarle con l’ultimo mensile appena arrivato da casa.
Sto
aspettando Clint che come al solito è in ritardo.
Come
fare a meno del mio consulente, novello arbiter elegantiarum?
Il
negozio ha le vetrine illuminate le scarpe sono lì in bella mostra.
La
gente cammina tranquilla alla ricerca dell’acquisto.
E’
la vita normale della città di sempre.
Ho
fatto il solito percorso che, attraverso un dedalo di stradine della vecchia
Milano, portano dalla Cattolica, passando per la Posta, al Duomo.
La
città è tranquilla, come al solito. Sento d’improvviso il rumore sordo di una
esplosione
Dopo
avere rinunciato all’acquisto mi dirigo verso la Piazza del Duomo.
Quando
giungo sotto le vetrine di Galtrucco percepisco una maggiore agitazione.
Noto
dei gruppi di persone che si stanno portando, in preda ad uno strano fermento,
verso il Palazzo Reale.
Penso
sia una manifestazione culturale ad attirare tanta attenzione; mi dirigo verso
quella direzione.
La
concitazione aumenta gradualmente mentre mi sposto.
Comincio
a vedere delle luci lampeggianti: sono macchine della polizia e della Croce
Rossa.
“Ci
sono stati feriti” mi dice una signora che trascina via lontano da quel posto
pericoloso una bambinetta bionda che, invece, vuole curiosare fra le macchine
della polizia.
“C’è
stato un incidente stradale?” chiedo.
“No!”
mi risponde decisa una anziana signora che con fatica, appoggiandosi al suo
bastone, cerca di avanzare velocemente per giungere in tempo per vedere
che cosa è successo.
“C’è
stato un attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Hanno ammazzato
sedici persone. Una strage.”
Non
ci posso credere: un attentato in Italia! ma chi può essere stato? e per conto
di chi?
Queste
domande se le sono poste migliaia di persone.
Sono
quelle che ho incontrato nella manifestazione il giorno dopo.
Ognuno
ha una sua risposta ognuno individua un nemico dello Stato.
“E’
stata l’estrema destra”.
“E’
stata l’estrema sinistra”.
L’importante
è che la gente sia scesa in piazza a dire: basta attentati, basta stragi.
Non
ci facciamo intimidire da nessuno.
I
manifestanti sono, nonostante qualche distinguo, per la legalità.
La
mobilitazione, con una numerosa presenza dei milanesi, ha evitato ulteriori
sbandamenti e tensioni.
L’importante
è proteggere il sistema democratico e le sue istituzioni da strategie che mirano
a spostare, attraverso la violenza, l’asse politico del paese.
La
giustizia farà luce sui colpevoli?
Il
gioco è intricato.
E’
stato l’anarchico Valpreda l’attentatore?
Sono
stati i neofascisti Freda e Ventura?
Che
ruolo ha avuto il colonnello La Bruna dei servizi segreti nella vicenda?
Il
commissario Juliano può risolvere l’intrigo?
E’
il mistero del gioco dei potenti che ti fanno credere quello che vogliono per
mantenere il controllo sui centri decisionali e sulle poltrone che contano.
Una
volta giocavano con le spade.
I
potenti per affermare la loro autorità sgozzavano gli avversari.
Oggi
i nuovi satrapi si divertono con la dinamite e per imporsi usano strategie più
complicate ammazzando degli innocenti che non sanno neanche perché sono stati
sacrificati.
I
potenti sono uomini spietati che non si fermano davanti a niente.
La
strage di Piazza Fontana vuole suscitare delle reazioni contro un ipotetico
estremismo opportunamente creato criptandone la matrice?
La
manovra fortunatamente non ha portato a soluzioni autoritarie.
Il
gioco del potere forte che vuol rafforzarsi usando il sistema della paura è
noto.
Si
vuole spingere la gente a legittimare svolte autoritarie per garantire la
propria sicurezza.
Il
tentativo è risultato perdente grazie alla decisa presa di posizione di chi non
accetta attentati alla democrazia e non ha paura.
5. Capitolo. Una cena romantica.
Il
periodo relativo all’ultima sessione di esami l’ho dovuto trascorrere fuori dal
collegio perché la permanenza massima è fino al quarto anno di corso.
Così
a novembre, con l’inizio delle lezioni, ho cercato una nuova sistemazione.
Ho
trovato casa con Roberto un ragazzone alto e robusto dal naso importante che
parla con un accento che tradisce le sue origini trentine.
La
nostra ospite è una arzilla vecchietta un po’ sdentata, molto folk, detta
familiarmente sfigatella nostra .
Per
arrotondare la magra pensione, affitta una stanza a due letti agli studenti in
una mansarda sotto i tetti.
Molto
bohemien!
Per
me va benissimo secondo il famoso motto meglio un tugurio in centro che una
villa in periferia.
La
stanza dell’appartamento ha il gran pregio di essere a due passi
dall’Università.
A
mezzogiorno la mensa è ancora gradevole, c’è molta gente.
La
sera, invece, l’Università si spopola perché la massa degli studenti è
ritornata a casa.
Si
fa strada un po’ di malinconia perciò quando è possibile, ossia quasi sempre,
chiedo ospitalità a Gio e alle sue amiche.
A
cena da Gio non si mangia gran che, ma è sempre bello ritrovarsi con altri
universitari.
Vive
con tre amiche vicino alla chiesa delle Grazie.
Naturalmente
non siamo mai andati a visitare l’ultima cena, perché per ammirare i monumenti
troppi vicini non si ha mai tempo o, meglio, ci si va domani.
Hanno
la precedenza le meraviglie lontane migliaia di chilometri dalla patria
dell’arte e della cultura.
Le
tre amiche sono anch’esse tre Grazie di simpatia nei confronti dei giovani
amici universitari.
Silvia
è la più alta, mora e carina è l’amica più cara di Gio.
Claudia
è una biondina fragile, ma determinata.
Eleonora
è una svizzera dai lunghi capelli neri, dura ed inflessibile è quella che detta
i ritmi per uno studio determinato. Non devo essergli molto simpatico.
E’stata
una fortuna perché così ho evitato di partecipare ad una festa noiosissima nel Canton
Ticino
Sono
tutte e tre studentesse di Lettere classiche destinate ad un futuro di
insegnamento.
Quella
sera ho preparato una deliziosa pasta con i bisi.
Non
ci sono in casa i risi da cucinare con i bisi così ho provveduto
con la pasta.
Cucinare
è un'arte non si può improvvisare.
Ho
voluto provare ugualmente basandomi su quello che ho visto fare a mia madre.
Per
fare la pasta coi bisi non basta, però, mettere la pasta ed i bisi
sul fuoco.
Ci
vuole il soffritto, magari bisogna preparare un po’ di brodo vegetale.
Se
non si sa nulla di cucina è meglio documentarsi con qualche libro semplice di
ricette.
Bisogna
mettere insieme gli ingredienti con la giusta scansione.
Non
si può mettere tutto sul fuoco contemporaneamente!
Nonostante
la minestra sia insapore ha avuto un successo insperato.
C’è
gradito commensale Scott Mec Kenzi da Pozzanca che per risparmiare invece di
venire in mensa con noi è da una settimana che si prepara lui il desinare.
Scott
ha il colorito pallido di chi per non soffrire il digiuno si fuma un pacchetto
di sigarette al giorno.
Mangia
pane e fagioli in scatola, in compenso col risparmio realizzato fuma come un
turco.
E’
svenuto dalla fame mentre in salotto la minestra sta cucinando.
Per
fortuna oltre al primo c’è anche una patata lessa, l’ultima di quelle cucinate
per la cena della sera prima, a dargli un po’ di calorie.
Non
sa resistere alla pasta coi bisi, una vera leccornia per lui, e continua
a chiedere il bis.
Iudica
a me deo è molto più distinto.
Lui
consuma tutti i pasti in mensa e si accontenta di un solo piatto di minestra.
Per
fortuna che sono arrivati Publio e il Nero.
Publio
ha appena ricevuto il mensile e come il solito si prodiga per finirlo nei primi
quindici giorni del mese.
Ha
acquistato da Peck una scelta di formaggi francesi che ha suscitato
l’entusiasmo dei commensali.
Non
hanno lasciato neppure la crosta.
Il
Nero è un sardo facilmente riconoscibile
per la pronuncia allungata delle vocali. La sua carnagione è scura. Viene da un
paesino della costa ovest. Studia lettere classiche.
Molto
attaccato alla sua terra ha portato una forma di pecorino e degli squisiti
dolcetti di pasta di mandorle (insuperabili!) che sua madre gli ha affidato.
I
sapori della sua terra sono un forte legame culinario che tenta di esorcizzare
una sua possibile fuga verso il continente.
Il
fuoco della contestazione si è spento, le tensioni si sono placate.
Sono
tornati i ritmi della vita universitaria di sempre.
Le
preoccupazioni per gli esami sono al centro di ogni discorso.
“Io
devo dare Filologia romanza” incomincia Silvia.
“Ho
la prova scritta di greco” segue il Nero.
“Non
capisco un benamato cavolo del testo di civile biennale” prosegue Scott Mec
Kenzi da Pozzanca
“E’
l’ultimo esame che mi manca per potermi laureare”.
Scott
ha persino contattato l’assistente di cattedra per farsi spiegare l’arcano di
quella monografia intricata che spazia fra storia del diritto e l’esame degli
istituti giuridici previsti dall’attuale normativa.
L’autore
che dovrebbe interpretare e chiarire il significato delle norme è riuscito nel
difficile intento di rendere la sua trattazione molto più complessa dello
stesso testo degli articoli.
“Magari
lo fanno presidente della Corte costituzionale per quella monografia” sorride
Iudica.
Persino
l’assistente ha confessato di non capire nulla (neppure lui!) di quel libro e
gli ha suggerito di tornare per consentirgli un approfondimento.
“Ma
vai a parlare col professore” gli suggerisce Publio “vedrai che riesci a
trovare la soluzione magari ti fa cambiare programma.”
Piccoli
problemi rispetto a quelli che la vita ci riserva ma che sono grandi problemi
per noi in questo periodo felice e spensierato degli studi universitari.
6. Capitolo. L’assistente spirituale.
L’assistente
spirituale del Collegio è uno psicologo che mi affascina con i suoi test.
Ti
fa disegnare degli alberi su di un foglio bianco ed a seconda di come li
disegni sa trarre delle informazioni importanti sul tuo carattere.
Decidiamo
con Gio di andare a sottoporci alla prova per conoscerci meglio.
A
dire la verità ho una sorta di pudore a svelare a qualcuno i miei segreti più
intimi.
L’assistente
li avrebbe sicuramente scoperti.
Io
disegno un albero spoglio con i rami ritti.
Il
tronco è piantato sul terreno senza radici.
Gli
stecchi sembrano braccia alzate imploranti.
Gio
disegna un albero armonioso.
Le
radici sono ben infisse nel terreno.
I
rami scompaiono nascosti da una rigoglioso tripudio di foglie.
Caro
don sei davvero bravo a fare dei test e a dare delle spiegazioni convincenti.
L’esperimento
che indovina la forza del grande amore, però, non l’hai ancora scoperto.
L’assistente
spirituale pensa che la mia amicizia con Gio sia destinata a non durare.
Lui
pensa che apparteniamo a due mondi diversi.
Sono
due mondi che secondo lui non si possono incontrare.
Sa
che Gio è figlia di un noto professionista che gode dei privilegi acquisiti con
la sua carriera.
Non
ignora che io appartengo alla piccola borghesia che ha il maggior capitale
nella voglia di fare.
Forse
ritiene inaccettabile la mia situazione familiare.
Ritiene
impossibile il nostro legame poiché le posizioni sociali sono differenti.
Sembra
di vivere ai tempi di Giulietta e Romeo.
Le
sue opinioni contrarie alle mie non mi hanno né spaventato né distolto dal mio
obiettivo di conquistare Gio.
Le
sue idee, leggermente reazionarie, anche se supportate da buoni motivi, non
hanno mai incrinato la mia stima. Semplicemente non le condivido.
E’
una persona sicuramente positiva e punto di riferimento per molti giovani
universitari.
La
religiosità esplode fortissima in occasione della prossima Pasqua.
Memore
degli insegnamenti avuti al liceo chiedo al don di partecipare agli esercizi
spirituali che l’Università ha organizzato ad Assisi.
Vuole
venire anche Gio e partiamo, avuto l’assenso dal don, con altri compagni di
collegio.
Il
respiro di Assisi mi coinvolge con la sua quiete.
Novelli
pellegrini ripercorriamo i luoghi vissuti da S. Francesco e da Santa Chiara.
Il
silenzio e la luce, che in Umbria sembra più tersa e più pulita, fanno bene
all’anima.
7. Capitolo. Lo cunto della rosa
I
milanesi lavorano duro tutta la settimana ma il week end lo vogliono trascorre
al mare o ai monti.
La
città che ci entusiasma durante i giorni di lavoro diventa dura da sopportare
nel fine settimana.
Anch’io
amo questa abitudine.
Una
delle mie gite preferite è passare il fine settimana a Pradeccolo.
Un
amico notaio concede a Franco un amico di Milano simpatico e amante della
compagnia e delle passeggiate in montagna l’uso di una baita arrampicata su un
crinale nei pressi del confine svizzero dalle parti del lago di Luino.
La
costruzione sorge isolata nel centro di una raduna.
C’è
solo un alberghetto ad un centinaio di metri.
L’arredamento
è molto spartano; tutto è ridotto all’essenziale; non c’è neppure l’acqua
corrente.
Ci
dividiamo i compiti.
Io
mi occupo della preparazione dei pasti pur non sapendo cucinare.
Non
mi va di lavare i piatti e preferisco cimentarmi ai fornelli.
Penso
che per cuocere le vivande non sia necessario conoscere le ricette, ma avere
della fantasia e seguire il tuo gusto.
Fare
da mangiare è uno dei divertimenti della vacanza.
La
gita giornaliera sui monti circostanti rende necessariamente il pasto di
mezzogiorno molto frugale.
Alla
sera la cena è diventata un rito.
L’importante
è non avere come commensali dei buongustai e abbondare nella spesa: pasta,
pomodoro, costate di cavallo e pecorino.
Franco
mangia di tutto senza protestare.
Viva
la dieta mediterranea.
C’è
da scegliere il vino.
Abbiamo
scoperto dei fiaschi di vino che il nostro ospite conserva gelosamente nella
cantina di casa.
Ne
assaggiamo uno e scopriamo che il suo abboccato è sicuramente più gradevole del
vino che compriamo al supermercato.
Con
quel vino anche i piatti più scadenti acquistano un sapore particolare.
E’
come avere un brutto quadro in una bella cornice.
Il
quadro sicuramente diventa automaticamente più interessante.
Franco
è destinato, nella divisione dei compiti, a lavare i piatti.
Non
si lamenta, è contento del suo ruolo perché preferisce aspettare il pranzo
leggendo un buon libro di storia; il giornale è un lusso dato che la rivendita
è distante una decina di chilometri.
Si
fa la vita dei montanari conservando gran parte delle abitudini cittadine.
Sveglia
alle ore nove poi su sulle montagne. Pradeccolo rappresenta tutto il contrario
della metropoli milanese.
Per
noi è un tuffo nella natura fuori dal frastuono di Milano. Nella metropoli non
cresce più l’erba. C’è poca natura e
tanto cemento. Tanta gente dappertutto ti soffoca; soprattutto manca il
silenzio.
Camminare
è impossibile.
Troppe
macchine invadono le periferie e il centro dotato di pochissime zone pedonali.
Il
rumore del traffico ti penetra nel cervello.
I
parchi sono pochi e affollati.
A
Pradeccolo, invece, le montagne sono lì a due passi fuori di casa.
Non
sono cime molto alte, ma i pendii sono di un verde riposante.
Franco
è un montanaro, conosce i sentieri, ha un passo sicuro.
Io
seguo a ruota, ma ho una resistenza più limitata.
I
sentieri sono quelli utilizzati dagli spalloni per il contrabbando di sigarette
e per trasportare in Svizzera i denari che non possono transitare legalmente
tramite banca per le restrizioni valutarie.
E’
vietato, infatti, trasportare liberamente i capitali all’estero.
Quel
giorno di maggio l'aria è profumata.
Le
viole sono spuntate.
Faccio
in fretta a raccoglierne un mazzetto perché ce ne sono dappertutto.
Le
ho prese per darle a Gio che è venuta con noi.
Sono
ispirato e compongo di getto una poesia.
“Dolce
i capelli al vento lasciava
coll’occhio
mirando se io la guardava
vedendo
che incerto muovevo i miei passi
gli
occhiali mi tolse ancor pria che parlassi.
Qual
incerta farfalla
si
posa sul fiore
fidando
soltanto sul di lui colore
alla
scaltra fanciulla dai rossi capelli
un
bacio le diedi dicendo oh quelli?
Felice
la bimba sorride all’anello
che
il tempo promette già bello.”
Ripongo
le viole in un bicchiere colorato che è l’unico recipiente un po’ carino.
-
- - - - - -
Quel
giorno di maggio la sveglia è suonata stranamente di buon ora perché di solito
si dorme ad oltranza.
Siamo
o non siamo venuti qui per rilassarci?
Oggi
arrivano Diana e Sergio due cari amici di Milano e tutto deve essere in ordine.
Diana
è un’entusiasta della vita sempre con mille idee e con tanta voglia di vedere
persone e scambiare esperienze.
Gli
occhi sempre sorridenti e comunicativi ispiratrice di cene, di giochi e di
progetti di vacanza tutto per stare insieme in serenità.
Parla
sempre di cinema e di teatro, che è la sua vera passione.
Ad
uno che se ne intende poco sembra più competente di un critico.
Chissà
se farà l’attrice?
Sergio
ha il viso tranquillo incorniciato da una barba curata. E’ un industriale
rampante che sa il fatto suo.
Gli
occhiali contribuiscono a dargli un’espressione riflessiva.
E’
il suo fedele compagno sempre pronto ad assecondarla nelle sue mille idee e
proposte soprattutto in questi momenti così delicati.
Diana
ha, infatti, un grosso pancione e si rilassa in un albergo lì vicino dove,
dice, si mangia benissimo.
Parla
del figlio che porta un grembo, sente che sarà un grande musicista.
Da
buona pianificatrice, nata sotto il segno dei gemelli Diana prevede: “Sarà
maschio, lo chiamerò Riccardo,
gli
racconterò lo cunto della rosa.”
“…..Il
bisnonno (di Riccardo), professore in lettere, da poco trascorsa l’unità
d’Italia, s’era imbarcato per la Sicilia per un incarico di insegnamento; già
da qualche tempo aveva preso alloggio nel paese quando una sera, passeggiando
per le vie odorose di fiori e di cibo, indugiò lo sguardo su un balcone e la
vide e la fissò per un interminabile respiro.
Lei
s’accorse e ricambiò il dono dello sguardo nascondendosi tra i capelli
d’arancio e melograno; lui non esitò e, come accade in quegli istanti in cui la
vita ti prende per mano, colse una rosa e la gettò sul balcone.
Poi
la notte ed il pudore li divisero.
Ti
chiederai se il nonno fosse un po’ ingenuo o se attendesse solo questo momento.
Vero
è che in Sicilia, a metà dell’ottocento, un simile affronto poteva forse essere
perdonato a un picciotto, ma non certo ad un uomo a un professore!
Così
la mattina seguente – proprio come nei romanzi veristi che spiegava a lezione –
i fratelli gli fecero visita e gli consegnarono l’avvertimento: “O ta mariti
o tinni vai.”
La
vita che è spesso così misteriosa posò gli occhi sul suo futuro e lo prese per
mano….”
Riccardo,
nipote memore della storia tramandata, ringrazierà l’amorosa rosa ad ogni
compleanno della sua mamma adorata.
Sono
belle quelle giornate in cui non si programma nulla ed il solo piacere è quello
di stare con le persone che amiamo.
Detesto
le novità.
La
vita ne riserva sempre di continuo; anche dove sembra non cambi nulla tutto si
trasforma in fretta senza che noi ce ne accorgiamo.
Ci
sono sempre troppe sorprese che ti costringono a stare in guardia a mantenere
alta la tensione.
E’
bello non pensare di fare nulla di nuovo, ma solo di godere del dolce far
niente e del conversare di cose di poco conto, ma non per questo meno
importanti.
Quando
sei con le persone che ami ti basta solo la loro presenza per essere felice.
8. Capitolo. La cinquecento grigio topo.
Franco
ha una cinquecento grigio topo che ha acquistato di seconda mano. Dice che la
vuole dare in permuta.
Per
lui è giunto il sospirato momento di acquistare la prima macchina nuova
fiammante.
La
vecchia Fiat è oramai sfruttata inverosimilmente dai precedenti proprietari.
A
me, che nulla capisco di motori, sembra, invece, un’occasione da non perdere.
E’
quello che posso permettermi dopo una lunga trattativa in famiglia.
“Cosa
ti te ne fa de na machina a Venezia?” dice lo zio Donato.
Non
è possibile convincere chi non vuole sentire ragioni.
“Tuti
ga na machina la vogio ancha mi!” rispondo determinato.
Lo
zio sa che ho appena superato l’esame per la patente di guida e non se la sente
di ribattere alla mia convincente logica.
Il
ragionamento è semplice se non compro una macchina a Venezia ho scarse
occasioni di guidare per cui la patente è stata conquistata per niente.
Per
fortuna non sa che ho rischiato un frontale per non avere dato la precedenza
alla prova per il rilascio della patente scatenando l’ira del Commissario della
Motorizzazione.
Alla
seconda prova non ho nessuno che accampava diritti inesistenti di precedenza così
sono riuscito a convincere l’esaminatore dei miei sicuri progressi.
Mi
sento un grande alla guida per le strade convulse di Milano di una macchina di
terza mano.
Sono
in realtà un pericolo pubblico.
La
partenza è scoppiettante.
Ad
inserire la prima da fermo non ci sono troppe difficoltà.
Innesto
lesto la seconda.
A
tal punto bisogna concentrarsi perché ci
vuole una accelerata per fare la doppietta e indi cambiare ingranando la terza.
Sono
lanciato e con un’altra doppietta inserisco la quarta per raggiungere la
velocità massima sulla circonvallazione.
Nel
traffico convulso della metropoli sono sempre in corsia di sorpasso.
La
velocità massima di cinquanta chilometri l’ora in città me lo consente.
Ci
sono delle piccole contrarietà superabili dall’entusiasmo.
Rimango
fermo quasi subito perché la batteria è priva d’acqua distillata, ma rimedio
subito ed imperterrito continuo la mia attività di guida.
Invito
Gio ad una gita sul lago di Como per provare la macchina in una trasferta un
po’ più impegnativa.
E’
la prima volta che mi avventuro fuori dalla cerchia della circonvallazione
cittadina.
Gio
deve avere un coraggio da leone ad accettare quell’invito o è molto innamorata
e non considera i rischi che corre.
La
macchina va poco, ma c’è una grande allegria. C’è anche Eleonora col Nero che
approfittano del passaggio.
“Falla
andare questa macchina." dicono continuando a prendermi in giro.
Finalmente
salgo su di uno svincolo ed in discesa posso lanciare la macchina a tutto gas.
Sono
talmente entusiasta della velocità raggiunta che non mi accorgo del segnale
stradale che fissa il limite di velocità a cinquanta l’ora.
La
sfortuna si accanisce perché proprio quando sto provando l’ebbrezza della
discesa una pattuglia della polizia stradale nascosta fra le frasche della
statale mi ingiunge di fermarmi.
Di
solito gli agenti non sono troppo benevoli con i giovani guidatori.
“Patente
e libretto” chiedono garbatamente.
“Ma
non si è accorto che c’è il limite di velocità sulle rampe in discesa?”
domandano col tono di chi è intenzionato a non mollare la preda.
E’
la mia prima contestazione di una infrazione al codice della strada, devo
abbozzare una difesa visto h sono un rampante giurista?
Per
fortuna me ne sto assolutamente zitto.
Sono
le ragazze che producono la difesa più brillante cercando di impietosire i duri
cerberi.
“Sia
buono signor agente; siamo giovani e squattrinati.” supplicano “Come può avere
superato i limiti una macchina che non va neanche a spingerla?”
La
difesa è convincente basata su un ragionamento logico che non fa una grinza.
A
volte è necessario inoltrare una supplica invece di protestare.
“Non è possibile multare per eccesso di
velocità una macchina come questa” mi dicono sorridendo gli agenti che hanno mutato
atteggiamento grazie alle mie postulanti.
I
duri poliziotti mi hanno graziato.
9. Capitolo. L’allunaggio.
Gio
è in vacanza a Milano Marittima, decido di andare a trascorrere lì il fine
settimana.
Non
mi è mai piaciuto avere rapporti telefonici se non per dire sto arrivando.
Perché
sentirsi per telefono anonimamente senza guardarsi negli occhi?
Con
una corsa in macchina puoi andare a vedere il tuo amore.
Ho
la cinquecento parcheggiata sul Ponte della libertà esposta al rischio vandali,
ma è difficile trovare un parcheggio al Garage Comunale; la domanda deve fare
il suo corso..
Non
mi resta che mettere in moto.
Se
tengo schiacciato a tavoletta l’acceleratore, la cinquecento grigia fumo di
Londra può toccare anche i centocinque di tachimetro.
Il
motore fa un rumore infernale e il vento che irrompe dal finestrino abbassato
contribuisce non poco ad aumentare il frastuono.
Sono
felice!
“
Sta tento Nicheto ale machine” mi ha detto mia madre.
“
Ti ga paura de tuto. Ma mi vado in treno” gli ho risposto io mentendo
per tranquillizzarla.
Non
ci sono macchine, la statale è stranamente deserta ed io pigio a tavoletta
l’acceleratore.
Una
Fiat Millecento nera che è davanti a me mette la freccia per girare alla sua
sinistra.
Continuando
a premere l’acceleratore mi sposto a destra per superarla.
Il
guidatore della Millecento ha in piena estate un cappello scuro calcato sul
capo.
Non
mi piacciono quelli che portano il cappello in macchina ritengo che non
sappiano guidare e mi danno un senso di insicurezza, ma non ho il tempo
necessario per prendere le mie precauzioni.
Il
cappelluto viaggiatore per prendere meglio la curva e girare in una stradina
laterale sita a sinistra si sposta improvvisamente a destra invadendo totalmente
la mia carreggiata.
Sterzo
improvvisamente sulla mia destra invadendo la corsia di emergenza
fortunatamente non occupata da veicoli.
La
sterzata brusca fa andare la macchina in testa coda e faccio due giri di valzer
prima di fermarmi definitivamente nel centro della strada.
In
quel momento la Romea, di solito invasa dal traffico degli autotreni, è
miracolosamente deserta.
Riesco
a spostarmi nella corsia di emergenza prima dell’arrivo di altre vetture.
Il
mio angelo custode mi ha protetto ancora una volta.
Una
signora dai capelli bianchi e l’aria serafica ha parcheggiato l’automobile
accanto alla mia per soccorrermi.
“Come ea va?” mi chiede preoccupata.
“Stago megio” sussurro ancora
rastornato rassicurandola.
“Ma
se el xe bianco cadaverico” mi dice preoccupata.
Riparto.
Devo arrivare al più presto a Milano Marittima dal mio amore.
Un
piccolo contrattempo non può di certo fermarmi.
-
- - - - - - - -
I
turisti della località di mare di solito pensano solo a prendere il sole ed a
bagnarsi nell'acqua salata o a fare delle passeggiate all’ombra della pineta.
I
pini marittimi coprono con un grande ombrello chi vuole ripararsi dai raggi
cocenti del sole di luglio e non vuole arrostire sdraiato sul lettino.
Nelle
ore più afose c’è un insolito movimento di persone: non si recano però alla
spiaggia o nella pineta.
I
mancati bagnanti si affrettano davanti alla televisione per accaparrarsi i
posti in prima fila.
Tutti
stanno aspettando un evento eccezionale:l’allunaggio.
Il
sogno di Giulio Verne si avvera.
L’uomo
partendo dalla terra è finalmente giunto sulla luna.
E’
il primo passo della scalata verso l’universo. “Gradatim conscendimus ad
astra”.
C’è
l’attesa di qualcosa che forse può cambiare il destino di tutti noi.
E’
la paura e l’attesa di scoprire un mondo sconosciuto che può essere amico o
ostile.
E’
meglio avventurasi nel cosmo alla ricerca di nuovi mondi o pensare al nostro
piccolo quotidiano su questa terra sempre più stretta?
All'apice
di una gara spaziale
tra URSS e Stati Uniti d'America,
ispirata dalla guerra fredda,
è lanciata in orbita la navetta spaziale.
Il
primo astronauta
a camminare sulla superficie lunare è Neil Armstrong, comandante dell'Apollo 11.
Io
sono lì attaccato alla televisione a guardare le fasi dello sbarco.
Provo
una profonda emozione quando l'equipaggio dell'Apollo 11 lascia una targa per
commemorare lo sbarco e fornire informazioni sulla visita ad ogni altro essere,
umano o meno, che la trovi.
Sulla targa c'è scritto:
Here men from the Planet Earth first set foot upon the
moon, July 1969, A.D. We came in peace for all mankind. (Qui, uomini dal pianeta Terra
posero piede sulla Luna per la prima volta, Luglio 1969 DC Siamo venuti in
pace, a nome di tutta l'umanità).
10.
Capitolo.
Chi stima compera.
Pochi
mesi dopo il compleanno che mi ha fatto passare nella maggiore età ricevo una
telefonata dallo zio Bepi.
“Adesso che
ti xe grando xe megio divider el Tintoreto” mi propone.
In
famiglia chiamiamo il Tintoretto la casa, prospiciente la fondamenta dei Mori,
del nonno Angelo e della nonna Roma. Esposta ad ovest la facciata gode del
privilegio di essere baciata dal sole per tutto il pomeriggio.
Non
ho mai conosciuto i due nonni paterni dato che sono morti qualche anno prima
della mia nascita per una mangiata di cozze infette.
Il
tifo se li è portati via entrambi in un baleno.
Nonno
Angelo doveva essere molto simpatico.
Il
papà mi ha narrato che suonava la tromba nella banda municipale.
Secondo
me, tutti i suonatori di tromba sono simpatici per definizione perché lo
strumento a fiato ti mette allegria e voglia di vivere.
Faceva
di professione l’albergatore o meglio prendeva in affitto degli alberghi di cui
curava la gestione e poi li cedeva realizzando un buon utile secondo i racconti
di mio padre.
Doveva
essere un girovago di carattere perché con questo sistema cambiava spesso
città.
Per
questi continui traslochi mio padre era nato a Serina nel bergamasco.
Il
nonno si deve essere stufato di girare quando la casa del Tintoretto era
rimasta libera.
Aveva
approfittato dell’occasione e si era trasferito a Venezia con tutta la
famiglia.
Abitava
al piano nobile, il secondo, affacciato sulla fondamenta dei Mori chiamata così
perché impreziosita dal bassorilievo dei mori posti a guardia della riva,
proprio all’angolo del palazzo, sulla sinistra guardando la facciata.
In
queste statue la tradizione popolare riconosce i tre mercanti levantini della
famiglia Mastelli.
Quello
d’angolo è il Sior Antonio Rioba, per lungo tempo il Pasquino di Venezia, che
diffondeva salaci punzecchiature contro i soprusi dei potenti.
Il
nonno lavorava nella bottega de biadarol sita a confine col Campo che
era di proprietà della famiglia di nonna Roma.
Era
questa una bella signora alta, dall’aria austera, come risulta dalle foto.
Ricordava
molto lo zio Bepi che doveva essere il suo figlio preferito.
I
commerci andavano bene, tanto che il nonno aveva potuto rilevare l’intera
proprietà dagli altri parenti.
L’intero
palazzo era rimasto in comunione ai due fratelli.
I
piani sono quattro; la divisione è semplice.
Vanno
assegnati due piani a testa.
Un
lotto comprende il primo ed il terzo piano, l’altro raggruppa il secondo e il
quarto livello.
Lo
zio mi propone di scegliere la porzione relativa al primo e al terzo piano
perché quest’ultimo è stato diviso in due appartamenti ristrutturati di
recente.
“Ti
pol ciapar un franco fitando” mi propone.
Io
sono un po’ romantico e preferisco avere il lotto relativo al secondo e al
quarto piano.
Il
piano nobile, anche se non è diviso e non è ristrutturato, è quello dove ha
abitato mio padre.
“No
se sa mai che ti trovi un quadro de Jacopo Robusti” mi confida lo zio
Donato che partecipa alla trattativa come mio consulente.
Lo
zio Bepi non si scompone: “ Va ben. Femo chi stima compra per decider”
conclude.
Pur
avendo superato l’esame di Istituzioni di diritto privato e di civile, che
prevede un corso monografico sulla compravendita, ignoro il sistema detto chi
stima compra.
“Facilissimo”
puntualizza lo zio Bepi ”chi offre di più se tien el pian che preferise”.
E’
il sistema della verità.
Chi
offre afferma che il valore dichiarato è quello che è disposto a corrispondere
per il bene desiderato.
E’
un principio elementare fissato nella pratica per risolvere in un minuto anche
le divisioni più complesse che la giustizia risolve in qualche decennio.
La
legge è fatta apposta per complicare le cose semplici.
Dai
litigi dei contendenti giudici,
avvocati, periti traggono il loro sostentamento più che dignitoso.
Per
accettare di risolvere la scelta divisionale col metodo del chi stima compera bisogna esser un po’ giocatori d’azzardo o un
po’ fatalisti o tutte e due le cose insieme o semplicemente saggi.
L’impegno
è quello di corrispondere immediatamente la differenza di valore fra i due beni
senza possibilità di cambiare idea.
Come
tutti i contratti fra persone che si rispettano basta una stretta di mano.
Ci
pensa poi il notaio a stipulare la divisione.
A
colpi di offerte da centomila lire ci contendiamo il piano nobile.
Alla
fine il mio desiderio di mantenere in proprietà l’appartamento dove è vissuto
mio padre viene meno perché il possesso del lotto richiede un conguaglio di un
milione e duecento mila lire che non sono in grado di sborsare.
Non
si può avere tutto nella vita!
Se
non puoi comprare l’unica soluzione ragionevole è vendere o accontentarsi del
lotto di minor valore.
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