1. Capitolo. La laurea.
Discuto
la tesi di laurea dal titolo il “Bilancio del Comune” col professore che ho più
apprezzato alla facoltà di Giurisprudenza: Feliciano Benvenuti.
E’
docente di diritto amministrativo. Mi affascina questa branchia del diritto che
studia l’azione della pubblica amministrazione ed i rapporti di questa con i
cittadini.
Feliciano
Benvenuti alto, distinto, sornione, orgoglioso delle sue origini venete fa parte
di quella schiera di studiosi che sostengono l’autonomia degli enti locali
preferendola alla concezione statalista e centralista, allora vigente, basata
sul controllo degli atti comunali da parte dell’autorità statale.
Lavoro
indefessamente a questo progetto che sostiene, con grande lungimiranza, una
maggiore autonomia dei poteri locali consentendo ai cittadini di contare di più
nelle scelte che riguardano il loro territorio.
Lo
studio dei rapporti fra cittadino e amministrazione pubblica mi sembra
fondamentale per la stessa costruzione di una società più giusta.
Sono
affascinato, inoltre, dal modo di affrontare i problemi del professore.
“Perché
sapete il professore è come un violinista che sente gli allievi suonare il suo
amato strumento” dice il maestro “Lui sta lì a sentire e se quelli stonano gli
si rizzano i capelli ed è costretto a tapparsi le orecchie. Occorre con
pazienza indirizzarli ad uno studio più intenso e corretto.”
Racconto
la lezione, appena ascoltata, per filo e per segno a Gio che si stupisce del
mio interesse per questa materia.
Feliciano
Benvenuti non è un semplice giurista è uno studioso di grande livello che per
intuizione, capacità ed umanità è al di sopra di una spanna a tutti gli altri.
Quando
hai la fortuna di conoscere queste grandi personalità devi avere il coraggio di
seguirle.
Sono
quei giuristi che sanno vedere, al di là dalle singole specifiche norme, gli
aspetti più generali del sistema.
Sono
quegli uomini che hanno tracciano le linee evolutive dei rapporti fra cittadino
e amministrazione e li hanno orientati in senso paritario.
“L’egemonia
della amministrazione deve, inevitabilmente, trovare bilanciamento nel
riconoscimento dei diritti dei cittadini” insegna il maestro “I diritti dei
privati, violati da un’azione amministrativa ingiusta, devono ottenere un
congruo risarcimento.”
Mi
chiedo, a volte, come mai queste vicende procedurali, spesso noiosissime, mi
appassionino tanto.
Bah!
I misteri della vita.
Mi
presento il giorno della discussione con la mia tesi sottobraccio.
E’
stata confezionata artigianalmente con una copertina morbida.
La
rilegatura a spirale in plastica è infilata nei fori praticati nel margine di
ogni pagina.
Il
volume si nota decisamente per l’evidente contrasto con quelli con copertina
rigida, rilegati in brossura con il titolo ed il nome del relatore in bella
evidenza.
Il
colore oro delle scritte spicca sullo sfondo blu della copertina.
La
mia sembra la tesi di uno studente assistito dalla S. Vincenzo.
L’impaginazione
è proprio modesta.
Mi
presento alla discussione indossando un vestito di seta blu notte che mi sta a
pennello.
L’abito
conferisce al mio manoscritto una maggiore dignità.
Ho
acquistato l’abito a Venezia da Tonon, il mio sarto preferito; è l’ultimo degli
arbiter elegantiarum.
Voglio
fare la mia bella figura con Gio.
Il
professore è veneziano come me. Lo si capisce da alcuni intercalari che usa nel
discorrere e per la esse dolce al posto della zeta.
La
discussione è stata memorabile. Sprofondato a mio agio nella scomoda sedia del
laureando ho trovato un insolito vigore nell’affrontare i temi cari al
Benvenuti che ho rielaborato nella tesi.
Forse
anche l’eleganza dell’abito che Tonon mi ha tagliato alla perfezione ha
contribuito al mio successo.
“Il
bilancio è l’atto fondamentale per riaffermare l’autonomia comunale contro il
centralismo statale” ribadisco e mi infervoro.
I
discorsi più aridi si animano quando sono trattati da un maestro. Lui è
riuscito a trasmettere anche a me le sue idee innovative.
Un
curriculum universitario non brillantissimo, ma decoroso, si conclude
con una stretta di mano e con la consegna dell’anello di laurea della Cattolica.
“El
resta fra sti barbari pieni de schei o el torna a Venezia?” mi chiede alla
fine della cerimonia.
Sarei
rimasto fra i barbari arricchiti, ma non ho trovato lavoro perché non sono
milite esente.
“Torno,
torno a casa” rispondo.
-
- - - - - -
Ho
provato a cercare un lavoro a Milano.
Antonio
mi ha presentano un notaio che stipula gli atti di mutuo con la banca dove lui lavora.
I
facili guadagni che il comune sentimento popolare attribuisce al possesso del
sigillo notarile mi fanno istintivamente ricercare la possibilità di svolgere
una professione che può o non può piacere ma che sembra promettere un futuro
agiato.
Non
mi scoraggiano le paventate difficoltà
del percorso per intraprendere questa carriera.
Arrivo
puntuale all’appuntamento.
Vengo
fatto accomodare nel suo studio grigio da una segreteria dall’aria triste che
emerge da una scrivania sommersa dai fascicoli degli atti da stipulare.
Il
notaio mi si presenta con un’aria smunta.
Emerge
stancamente dalla penombra della sua stanza.
E’
longilineo, pallido, macilento con una faccia smagrita dalle lunghe ore passate
in studio senza allegria.
Non
ha un profilo atletico.
L’ultima
volta che ha fatto una partita a tennis deve essere stata durante gli studi
alla Statale.
Il
suo fisico leggermente ingobbito dimostra di più dei quarantacinque anni che
gli sono accreditati dall’Antonio.
Mi
parla subito di soldi.
“E’
un lavoro il nostro dove, diversamente da quello che si crede, si guadagna
poco.
C’è
tanto lavoro da fare e ci vuole spirito di sacrificio” mi sussurra con un filo
di voce.
Non
mi spiega quale è la sua attività prevalente: se redige atti di costituzione di
società o se si dedica esclusivamente alle compravendite immobiliari.
Il
professionista mi propone, se voglio, di cominciare a frequentare lo studio. Devo
solo pensarci.
Il
povero notaio mi fa molta pena! La sua aria depressa e l’atmosfera tetra
dello studio mi scoraggia dall’iniziare la pratica per esercitare quella
professione.
A
dire la verità vorrei intraprendere quel lavoro per rimediare ai danni che un
professionista molto cialtrone mi ha provocato fregandosene delle leggi dello
Stato.
Molti
notai purtroppo pensano di fare, col potere che dà loro il sigillo, quello che
credono.
D’altronde,
come dice il signor Biondo, il marito della signora Emma, a mettersi contro i
potenti i poveri diavoli ci perdono sempre e chi ci guadagna al massimo sono
gli avvocati.
Fallito
il tentativo col notaio, vengo contattato da una primaria Banca Nazionale.
La
Cattolica ha inviato prontamente la segnalazione della mia laurea a tutti gli
enti e imprese interessate all’assunzione di giovani laureati in
giurisprudenza.
Sono
orgoglioso del fatto che i miei studi interessino a qualcuno.
Il
funzionario che mi viene incontro è rotondetto, piccolotto, spigliato,
brillante e soprattutto entusiasta della sua attività di bancario. Nutre un
vero amore per la sua Banca.
Mi
sembra strano che abbiano pensato a me perché il posto che mi propongono è
molto interessante.
Che
sia stato raccomandato dall’Antonio un amico di Franco con cui condivido
l’amore per Pradeccolo?
Devo
lavorare nella segreteria della Direzione generale di Milano.
“Sede
di lavoro” chiedo “ è Milano?”
“Sì”
mi risponde “Almeno per i primi tempi. Ma lei è a disposizione della Direzione Generale
e quindi se c’è bisogno della sua esperienza in un’altra sede deve essere
disposto al trasferimento.”
Mi
diverte molto il fatto di trasferirmi e considero con interesse questo
progetto.
“Lei,
ad esempio,” prosegue “è disposto a trasferirsi a Palermo?”
Pur
non avendo nulla contro i siciliani, che fra l’altro mi sono molto simpatici,
questa proposta mi lascia sconcertato.
“Palermo?
Andare a Palermo?” ripeto fra me e me.
“
Ma perché devo andare proprio a Palermo?”
Il
funzionario mi guarda interrogativo.
Io
sono abituato a decidere in tutta fretta perché sono un istintivo e perché
difficilmente cambio idea.
Sono
troppo mentalmente rigido.
Sono
poco disposto a cambiare sulle cose cui tengo.
Palermo
è troppo lontana dai miei affetti e soprattutto mi sembra che sia difficile
mantenere i contatti con il mio vissuto cui sono troppo legato.
“No
grazie “ rispondo “ Palermo è troppo distante”.
Il
funzionario mi guarda stupefatto, incredulo che qualcuno possa rispondere
negativamente a quella proposta.
“Ci
pensi” mi dice “ Non lasci perdere questa occasione.”
Un'occasione
di lavoro io, in verità, l’avrei avuta perché all’ufficio legale della
Commercio e Industria, la banca di Antonio, cercano un giovane laureato da
affiancare ad un vecchio funzionario prossimo alla pensione.
Il
sogno di tutti i laureati: entrare nell’ufficio legale di una banca.
Lavoro,
stipendio e carriera assicurati, almeno sulla carta, senza sbattersi molto per
costruirsi una attività libero professionale.
“C’è
l'ha l’esenzione da militare?” mi chiede il solerte funzionario.
“Sono
figlio unico di madre vedova.” rispondo
“Non
basta, deve avere l’esenzione!” mi replica perentorio.
Mi
rendo conto che senza quel pezzo di carta la laurea non serve molto a trovare
una occupazione.
Devo
ritornare a Venezia per procurarmi l’esenzione facendo presente la mia
situazione familiare
La
ricerca di un’occupazione, anche nella capitale Italiana del pieno impiego,
senza l’esenzione dal servizio militare è un’utopia.
Rispondo
sicuro a Benvenuti.
“
Torno, torno” ripeto tra me è
una scelta imposta dalle circostanze tornare a Venezia.
“Se
vedemo alora“ mi risponde.
-
- - - - - -
Sono
tornato a Venezia.
Rialto
sta cambiando profondamente: il mercato che è il suo simbolo si sta via via
riducendo.
I
banchi di frutta e verdura, che arrivavano un tempo ad inerpicarsi fino ai
primi gradini di pietra d’Istria del ponte, hanno ceduto il posto ai banchi più
asettici che vendono specialità veneziane.
Sono
oggetti di vetro che vengono da chissà dove - forse dalla Cina dove la mano
d’opera costa meno rispetto a Murano.
E’
l’ora del turismo mordi e fuggi che sta sostituendo la clientela di lusso del
Gritti o dell’Excelsior.
Questo
turismo si accontenta di ricordini a prezzi contenuti, per rammentare quelle poche
ore passate a Venezia. Non gli interessa di scoprire, con un soggiorno di
almeno qualche giorno, la storia, l’arte, i musei, lo svolgersi della vita e
dei divertimenti dei veneziani.
Gli
abitanti stanno inesorabilmente diminuendo. Le abitazioni cambiano rapidamente
destinazione e si trasformano in alberghi ed in sedi di imprese e di centri
servizi.
Chi
ha colto per tempo questo cambiamento ha trasformato la propria attività
dedicandosi al turismo.
I
residenti che vivono di lavori a reddito fisso si sono trasferiti in terra
ferma..
A
Mestre le case sono più confortevoli e costano molto meno.
Venezia
sta cambiando radicalmente. Molte delle abitazioni che rimangono sono
trasformate in seconde case e sono occupate per periodi sempre più brevi.
Turisti,
turisti, turisti! Una vera nube di cavallette che ama Venezia solo per potere
dire di avere scattato una foto con i colombi in piazza San Marco o di avere
attraversato in gondola il Canal Grande.
Tutto
è in funzione di questo grande business senza alcuna voglia di
contenerlo, facendo perdere alla città gran parte del suo ritmo normale di
vita. Incroci torme di persone di giorno, ma non c’è più nessuno alla sera.
Restano
aperti solo pochi locali frequentati dagli ultimi abitanti. Alle nove si
chiude.
2. Capitolo. Il corso di tedesco.
Se
non ha mai studiato tedesco, puoi imparare qualche parola facendo un corso
estivo a Vienna?
Forse?
purché a Vienna non ci siano romani!
Questa
condizione , però, è praticamente irrealizzabile.
Vienna
è piena di cittadini dell’urbe.
A
Vienna sono andato col Paolo.
Ho
fatto quel viaggio senza Gio perché è partita per le vacanze in Spagna per una
vacanza in famiglia.
A
Vienna il corso di tedesco senza Gio è una noia mortale.
Non
ho nessuna voglia di studiare delle parole interminabili così gutturali e con
quella pronuncia così dura.
Ci
sono andato effettivamente per la voglia di fare un giro fuori di casa in
mancanza di Gio.
Lì
ho trovato Mario o meglio er Mario.
Statura
normale, capelli scuri, occhi intelligenti il giovane studente di lettere
antiche, cultore di greco e latino ha l’entusiasmo degli universitari che hanno
vissuto il millenovecentosessantaotto.
Er
Mario
er meio de Roma è un esperto frequentatore dell’Ufficio IX.
Questo
ufficio è preposto alla concessione di borse di studio per ricerche all’estero
che dovrebbero far crescere il livello della cultura italiana a spese del
contribuente.
“Che
me frega, inoltro na domanda, la ricerca l’ho fatta in du giorni e me faccio na
vacanza gratis!” mi spiega er Mario condensando in una frase
un’eternità di saggezza.
Il
fortunato lavora a due passi dall’Ufficio IX del Ministero della pubblica
Istruzione.
Per
lui frequentare le stanze del potere Ministeriale e informarsi di tutto ciò che
può riservare un qualche beneficio è un gioco da ragazzi.
Basta munirsi del modulo giusto, cercare un
professore che ti dia un lavoro da fare nella lingua estera prescelta,
compilare un bel mucchio di scartoffie e la pratica è presto impostata.
A
tal punto è sufficiente controllare che il documento non finisca sepolto negli
archivi del Ministero e il solerte funzionario dell’Ufficio IX dopo l’ennesimo
sollecito deve assegnarti una bella borsa di studio.
Basta
andare alla Tesoreria per assicurarsi che il modulo di impegno di spesa sia
arrivato puntualmente e la pratica è conclusa.
Era
così difficile assicurasi una vacanza di istruzione a Vienna?
Solo
che i romani, almeno quelli che ho conosciuto io, continuano a parlare in
romanesco anche a Vienna durante le lezioni di tedesco.
Chi
li frequenta inevitabilmente preferisce parlare nella lingua di Trastevere che
esercitarsi nel linguaggio dei barbari.
Solo
a parlare in romanesco ci si sente più allegri.
Non
è solo la lingua, ma la cultura e l’umanità profonda dei romani che ti infonde
il buon umore.
Io
dimentico presto che sono a Vienna a mie spese per studiare una nuova lingua.
Mi
dedico ad apprendere il romanesco facendo il verso a er Mario ogni
qualvolta apre bocca parlando in vernacolo.
Er
Mario ci racconta di Roma e del suo amore per la Città eterna.
Mi
parla soprattutto della Roma segreta.
Quella
città sconosciuta ai più ma non ai romani de Roma che amano ogni lapide,
ogni vicolo ed ogni scorcio inconsueto di panorama.
“Ve
porto io a vedé Roma. Polentoni impuniti!” sorridendo ripete er
Mario.
L’amore
per la sua città traspare ogni volta che la nomina.
Anche
se gli parlo in un dialetto romanesco imbastardito sa che non lo faccio per
prenderlo in giro ma per un grande affetto che mi lega ai romani ed alla loro
città eterna.
Er
Mario è uno studente lavoratore. Fa qualche supplenza alzandosi alle quattro di
mattina per insegnare ad Acquapendente ed ha un lavoro a tempo parziale perché
vuole sposarsi con una ragazza de borgata e vuole realizzare un gruzzolo
che gli consenta di mettere su famiglia.
Mi
racconta che ha trovato un lavoro all’Ufficio de sinistrati de guerra.
“Ma
come?” gli domando scandalizzato “se la guera xe finia vinticinque ani
fa?”
Sono
proprio un cretino a non capire che a Roma non ci si deve meravigliare di
nulla.
C’è,
invece, da stupirsi che non ci sia un ufficio per risarcire le spese della
spedizione di guerra sostenute dai Crociati per la liberazione del santo
sepolcro!
“Che te credi? C’è un sacco de lavoro da fa”
mi ripete er Mario “ armeno fino a quando me sposo.”
Capisco
che il lavoro burocratico non serve tanto per risolvere il problema dei
sinistrati.
La
costituzione dell’Ufficio de sinistrati de guerra serve soprattutto per risolvere i problemi
economici dei dipendenti che sono stati assunti in gran numero per costituirlo.
E se il lavoro finisse?
Che fine farebbero quei lavoratori?
3. Capitolo. Il primo ricorso.
Appena
tornato a casa inizio subito la mia missione per ottenere l’esenzione dal
servizio militare.
Ho
letto e riletto il bando appeso in bella mostra all’Ufficio Leva.
Apprendo
che sono esentati dal servizio militare
i figli unici di madre vedova.
Evviva non si parte!
Devo
far valere le mie buone ragioni.
Sono
o non sono un brillante dottore in giurisprudenza laureato alla famosa
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano?
Non
ho voglia di svolgere il servizio militare.
Non
mi va di rimandare le scelte che sto per fare.
Non
sento come impellente l’obbligo di servire la patria.
Tanto
più che la legge riconosce la possibilità di chiedere l’esenzione a chi si
trova come me in una precaria situazione familiare.
Perché
devo andare a fare il servizio di leva?
Non
sono sufficientemente patriota.
Forse
ho sottovalutato le possibili nefaste evoluzioni della guerra fredda.
I
rapporti fra i due blocchi americano e sovietico sono tesi.
Il
fatto che i missili americani ad Aviano sono puntati sul vicino confine non
risveglia in me il desidero di partire.
La
presenza in Iugoslavia di Tito ed il fatto che un muro tagli in due la città di
Gorizia dividendola da Nova Gorica non fa nascere in me istinti guerrieri.
Sono
semplicemente innamorato ed ho paura che un’eccessiva lontananza possa
incrinare la mia storia d’amore.
Sono
o non sono figlio unico di madre vedova?
Sono
o non sono unico sostegno della famiglia?
Le
clausole del bando parlano chiaro ho un “interesse legittimo” al ricorso alla
Commissione di Leva.
Il
colonnelloAmato, amico di famiglia, mi ha consigliato di partire, perché il
servizio militare è formativo.
“La naia xe un perditempo” ripete lo zio
Donato col suo veneziano stentato.
La
vita mi ha formato fin troppo.
In
Carnia a presidiare i patri confini ci andrò un’altra volta.
Prendo
carta e penna e redigo il ricorso.
Aspetto
con fiducia l’esito.
Passano
pochi giorni.
Arrivano
due carabinieri siciliani, capelli neri, occhi scuri e baffi spioventi.
“Accertamenti
dobbiamo svolgere. E’ la prassi.” dicono.
I
documenti e le visure catastali non bastano, occorrono anche gli accertamenti
per verificare che la mia presenza sia necessaria per garantire il sostentamento
alla famiglia.
Sono
molto cortesi, ma scrupolosi. Vogliono sapere come stanno effettivamente le
cose.
Sono
stato estremamente convincente ed ho dimostrato che sono indispensabile a mia
madre.
Non
posso andare a mille chilometri di distanza sul fronte.
Mio
padre ha fatto la campagna di Russia (forse anche per questo se n’è andato
troppo presto).
“Gavemo
già dà!” abbiamo già dato il nostro contributo alla patria ripeto.
Mia
madre, che pensa ad una cartolina precetto immediata, si dispera.
“Nicheto
no sta andar via!”
I
carabinieri imperturbabili di fronte alla sceneggiata, che neanche Merola
avrebbe saputo mettere in scena meglio, in un battibaleno tolgono il disturbo,
“Abbiamo
capito.” dicono “Fatto abbiamo il verbale! La commissione
deciderà.”
Attendo
con ansia l’esito degli accertamenti che devono approdare in commissione; solo
questa decide sull’esonero.
Essa
deve anche tenere conto della quota di persone che devono essere scartate
perché di solito le reclute risultano essere più numerose dei posti disponibili
nelle caserme.
Occorre
avere anche un po’ di fortuna
Suona
il postino. “Posta. Portaletere!”
“Buta
el cestin fa presto” dico a mia madre mentre attendo con ansia la missiva.
E’
un’usanza veneziana - dato che gli ascensori e le portinerie sono molto pochi –
quella di calare dalla finestra un cestino di vimini per evitare di scendere le
scale.
Con
questo collaudato sistema si può facilmente far giungere piccoli oggetti come
la corrispondenza ai piani superiori senza disturbarsi a scendere per ritirarla
personalmente.
Spero
solo che non sia la cartolina precetto.
Fortunatamente,
invece, arriva la decisione della Commissione di Leva.
“Il
ricorso è accolto” grido entusiasta.
Il
mio angelo custode mi ha protetto un’altra volta.
E’
stato un momento di felicità intensa.
Non
ho mai capito se è stato merito delle argomentazioni, ricche di dottrina e
giurisprudenza, svolte nel mio ricorso o del contingente troppo numeroso in
quel reclutamento.
-
- - - - - -
Mi
invento un lavoro.
In
mancanza di meglio faccio pratica per il concorso di procuratore legale presso
lo studio dell’avv. Graco.
L’avvocato
è un uomo molto anziano. Ha la consuetudine di appoggiarsi ad un bastone
d’ebano col pomolo d’argento.
Non
è molto alto, tarchiato, porta un monocolo che usa quando deve leggere un
documento.
E’
soprattutto un amico fraterno di mio nonno, lo deve avere assistito, in
gioventù, nei suoi affari.
L’avv.
Graco l’ho visto poche volte.
In
quelle rare occasioni di incontro non ho mai visto clienti frequentare lo studio.
Li
ho sempre pensati vecchissimi come lui o forse più.
Nella
prima visita gli sono stato presentato dallo zio Donato.
Lui
è sicuro che il legale avrà una particolare attenzione nei confronti del nevodo
di Nicola.
Lo
studio è buio come l’antro della sibilla cumana.
L’avvocato
è avvolto nella penombra rotta da una lampada da tavolo.
La
scrivania è sgombra di pratiche.
Tutto
è molto ordinato.
“Te
ciapo perché di xe nevodo de Nicola” mi dice con una voce che viene
dall’oltre tomba “ ma mi lavoro poco: te dago la firma giusto per la
pratica, per far l’esame”.
A
parlare del nonno Nicola l’avv. Graco sembra ringiovanire.
Gli
pare di rivivere gli anni della sua gioventù quando faceva in quattro salti le
ripide scale veneziane e attraversava il ponte di Rialto in un battibaleno per
arrivare in tribunale.
Ora
invece attraversare il ponte è un viaggio da programmare con cura perché la
partenza è certa ma l’arrivo richiede impegno.
La
visita è più un incontro per rinnovare ricordi che per trattare un futuro
lavoro da praticante legale.
“Quando
poso tornar? Come devo fare la pratica per prepararme all’esame de procurator?”
gli domando.
“Torna
la prosima setimana che te spiego” mi risponde senza troppa convinzione.
Nella
seconda visita all’avv. Graco affronto la lezione più breve della mia vita.
La
materia è il diritto processuale civile.
“Per
far un proceso” mi dice con una voce ancora più flebile di quella usata
nell’altra occasione “ bisogna far na citassion, ossia ciamar in causa la
controparte.
La
citassion la se porta a l'uficial giudisiario e pò la se porta in canceleria
del giudice.” A questo
punto l’avv. Graco si prende una breve pausa per riflettere sulla procedura.
“
Po se porta la nota de iscrision de la causa a ruolo.”L’avvocato è soddisfatto della esauriente spiegazione.
“E
po se principia con le udienze.” Conclude.
Ho
rivisto l’avvocato in udienza per ottenere le firme per la frequenza alla
pratica. Uno sfratto e un’opposizone a decreto ingiuntivo.
Il
numero minimo per avere la certificazione necessaria.
L’avvocato
non vuol sentire parlare di praticanti che frequentino lo studio e che si
intromettano nelle sue vicende quotidiane.
Questi
giovani possono turbare con le loro domande e con la loro voglia di innovare le
sue antiche abitudini.
Possono
spiare i suoi clienti.
C’è
da chiedersi se ci siano dei clienti che frequentino quello studio?
Magari
l’avvocato fa finta di averne per giustificare la sua presenza in
quell’ufficio, per andare via da casa, per allontanarsi, magari, da una moglie
noiosa.
I
praticanti possono forse rubargli i clienti o insinuare il dubbio che lui,
l’avvocato, è vecchio, non è più in linea con le nuove normative e combina solo
dei gran casini.
Fatto
sta che io la mia pratica l’ho svolta preso la Querini Stampalia o la Marciana
a studiare in attesa di qualche concorso o di qualche buona idea per trovare
lavoro.
Mi
ricordo dell’invito di Benvenuti:
”Se
vedemo a Venezia”.
“Perché”
mi chiedo “non sentir cosa me dise el megio professor dela Catolica?”
Quello
che ho più amato per la sua umanità e per il suo modo di interpretare il
diritto e per le sue intuizioni.
Telefono
e sono ricevuto subito.
E’
noto che le persone molto impegnate sono sempre molto libere e disponibili.
“El
profesor xe drio bever un cafè” mi dice la premurosa segretaria “ se el
vol el pol andar in Fondamenta.”
Feliciano
è seduto attorniato dai suoi assistenti al barino della Fondamenta dei
Tolentini.
“Ecco
l’appiedato” mi dice sorridendo “ Ga visto che xe gavemo trovà a Venezia”
e mi racconta subito una delle sue famose storielle.
Mi
ritrovo in uno degli studi legali più famosi e prestigiosi del Veneto.
Il
mio primo compito è un ricorso elettorale.
Immerso
in un mare di carte trovo ospitalità nella biblioteca dello studio che si
affaccia sul Rio dei Tolentini.
Il
lavoro del praticante non è un lavoro duro, ma richiede molta pazienza e una
grande grinta di volere emergere.
Bisogna
dedicare allo studio tutto il tempo disponibile per raccogliere i frutto
dell’attesa solo dopo parecchi anni.
Io
sono un impaziente per natura.
Non
ho la voglia di aspettare.
Voglio
avere la possibilità di sposarmi subito.
Alla
prima occasione presento la domanda di lavoro.
L’impiego
sicuro per garantirmi un’esistenza serena lo trovo presso una associazione sindacale
di datori di lavoro.
La
frequenza dello studio Benvenuti è stata una malleveria eccezionale.
Voglio
proprio sposarmi.
Rinuncio
senza troppi patemi alla professione forense.
Nella
vita, però, non devi perdere le occasioni che ti si presentano.
Quando
hai la fortuna di conoscere una persona che è nettamente al di sopra, come
spessore, a tutti gli altri che la circondano non puoi permetterti di fartela
scappare.
Non pensare che non ce la fai e che non sei
all’altezza.
Non
accampare scuse e cercare la via più comoda non devi nasconderti fra le anse
del fiume della vita.
Devi
buttarti nella corrente e andare avanti fiducioso.
Ricordarti
del motto del poeta “memento audere semper” e credici.
Non
farti distogliere dai tuoi sogni!
4. Capitolo. L’Associazione aziendale.
L’avere
portato a termine un pur breve esperienza nel notissimo studio Benvenuti è un
biglietto da visita di grande importanza.
Sono
assunto al primo colloquio in una Associazione aziendale.
Non
capisco che sono un pazzo ad andarmene.
Ho
la possibilità di lavorare con un grande giurista, posso solo imparare e
accrescere la mia professionalità.
Non
ha senso andarsene dopo pochi mesi.
D’altra
parte perché devo esitare?
Ho
in tasca, d’altronde, l’esenzione dal servizio di leva e ho un grande amore nel
cuore.
Devo
mettere in discussione tutto per una ipotetica sia pur interessante carriera?
Ho
sempre ragionato col cuore e mai con la testa.
Era
una decisione così sballata?
E’
stata una soluzione presa dopo avere
valutato i pro e i contro rispondendo sinceramente alla domanda:
“Ma
io cosa voglio veramente fare?”
Alla
fine ho seguito, magari inconsciamente, il mio istinto per raggiungere i miei
obiettivi prioritari.
Il
lavoro che mi propongono è interessante.
Si
tratta di svolgere una attività di consulenza per le imprese associate.
La
sede prestigiosa è sita in un palazzo nobile veneziano.
La
proprietaria ne ha affittato una parte all’Associazione.
La
casa è di grande rappresentanza; lo scalone di accesso in marmo incute
rispettoso timore.
La
porzione di immobile affittato è quella meno importante.
Anche
la parte meno nobile trasuda,
ugualmente, la potenza di appartenere ad un figlio prediletto della
Serenissima Repubblica.
Le
problematiche che si affrontano in Associazione sono reali non teoriche come
gli studi universitari appena conclusi.
I
miei compiti iniziali sono di collaborare alla trasmissione delle notizie che
arrivano dall’Associazione nazionale.
Devo
occuparmi delle eventuali problematiche che possono incontrare le imprese
associate.
Vertenze
di lavoro, consulenza sugli appalti pubblici, problematiche fiscali e
assistenza nei rapporti con la pubblica amministrazione sono le mie precipue
attività.
C’è
un grande lavoro di collegamento con l’associazione Nazionale per seguire le
leggi che rivestono un grande interesse per la categoria.
E’
un momento di notevole fermento nella produzione legislativa.
I
frutti della contestazione del 1968 hanno fatto seguire importanti provvedimenti
di riforma che hanno mutato profondamente degli equilibri che sembravano oramai
consolidati.
La
legge di riforma dell’equo canone spaventa gli stessi proponenti che l’hanno
firmata.
Alcuni
si affrettano a vendere gli appartamenti che fino a quel momento locavano.
La
legge di riforma della casa introduce l’esproprio con riferimento al valore
agricolo abbattendo il sistema dell’indennità.
Questa
non è più rapportata al valore venale ma è parametrato al valore agricolo dei beni
maggiorato con alcuni coefficienti che risultano penalizzanti per la proprietà
fondiaria.
Lo
scontro è forte.
Gli
amministratori di alcune aziende pensano di avere nuove opportunità di lavoro
con gli ingenti stanziamenti per l’edilizia popolare.
Chi
si ritrova, invece, proprietario di un patrimonio di aree da gestire nel tempo
si vede possibile soggetto passivo di espropriazioni a prezzi contenuti.
Scrivo
il mio primo articolo su Nuova Rassegna.
Il
titolo Appunti sui piani di zona è molto interessante, solo per gli addetti ai
lavori, per le problematiche che solleva.
E'
un’esperienza che mi coinvolge.
Chissà
se proseguirò in questi studi?
5. Capitolo. L’esame.
Odio
il telefono.
Preferisco
vedere le persone negli occhi e parlarci di persona.
Faccio
il pendolare del fine settimana per incontrarmi con Gio.
Il
tragitto da Venezia a Cremona con una cinquecento è un vero rally.
L’autostrada
finisce a Brescia.
Per
rendere il tragitto più breve percorro la statale che parte da Desenzano e
taglia la pianura padana obliquamente fino a Cremona.
E’
una pianura stranamente poco popolata rispetto a quella veneta dove le case
coloniche si contendono poche pertiche di terra.
D’estate
la pianura è una distesa unica di granturco.
Industrie
ce ne sono poche, salvo qualche calzificio che ammorba l’aria nel mantovano.
D’inverno
una fitta nebbia incombe terrorizzando l’automobilista.
Bisogna
partire durante le ore calde del giorno perché al mattino presto e alla sera le
strade sono pericolose.
La
cortina di aria umida è un vero muro che impedisce una visuale superiore a
venti metri e viaggiare in automobile vuol dire rischiare l’incidente.
A
dire la verità più della nebbia mi spaventa l’occhio indagatore del Professore.
E’
un primario chirurgo dal piglio molto deciso.
E’
un professionista che sa che se sbaglia qualcuno può rimetterci la vita.
La
sua casa è calda ed ospitale.
La
Titti è una madre gentile e sorridente che mi dà fiducia.
E’
rossa di capelli. Un bel rosso ambrato che incornicia il volto sottile coperto
di efelidi.
Ha
un corpo giovanile e scattante che non dimostra la sua età, indossa dei calzoni
lunghi al posto della normale gonna.
Le
altre due figlie sono troppo preoccupate della loro esistenza normale per
accorgersi che ci sono anch’io.
Una
casa felice e una famiglia numerosa che contrasta con la mia composta di due
sole persone.
Ad
un suono del campanello che Titti tiene a portata di mano entra nella stanza da
pranzo una cameriera robustotta.
Incomincia
a servire un gustoso antipasto a base di salame cremonese, con una piccolissima
quantità d’aglio che lo caratterizza, e di culaccia morbida che si scioglie in
bocca.
La
calda ospitalità della casa contrasta con il piglio indagatore del Professore
che in certi momenti mi fa sentire a disagio
“Ma
cosa ci viene a fare questo qui a Cremona?” sembra che pensi.
Giudico
la sua curiosità eccessiva.
“Cosa
vuoi fare nella vita?” inizia a chiedere.
La
sua voce è senza inflessioni dialettali.
L’italiano
è sicuramente più austero del dialetto, soprattutto di quello veneto che tutto
stempera nella sua dolce cantilena.
Per
fortuna la cameriera ha portato la seconda bottiglia di lambrusco
La
temperatura corporea aumenta sciogliendo il gelo dell’interrogatorio.
“Ma io veramente sto lavorando, penso che vi
siano prospettive di carriera una volta che ho conseguito l’idoneità alla
professione legale.” per essere più convincente non parlo mai in venezian,
tradendo le glorie del nostro leon.
Mi
vien da pensare alle assicurazioni che Padre Bertolotto mi ha fatto dopo avere
ricevuto una richiesta di notizie sul mio conto.
“El
xe un bon fio diligente laureato e che attualmente el ga una ocupasion”; anche
se l’ha giurato dubito in quei momenti che abbia risposto positivamente.
Forse
le sue assicurazioni non sono bastate!
Dopo
i marubini in brodo l’atmosfera si riscalda ancora un pochino o sono io che
prendo più coraggio.
La
sostanza del brodo fatto con i tre bolliti di manzo, vitello e cappone mi ha
dato la giusta energia.
Non
posso dare torto al Professore.
Non
posso essere per lui un buon partito.
Mi
sono presentato da solo non ci sono con me né il nonno Nicola né mio padre
Giani.
Se
fossero qui mi sentirei certamente più sicuro.
Loro
sì avrebbero portato nella discussione degli argomenti più convincenti.
Vengo,
inoltre, da un ambiente lontano e non conosciuto in palese contrasto col motto:
moglie e buoi dei paesi tuoi.
Chi
vanta radici contadine tende a rispettare caparbiamente questo proverbio.
Il
mio angelo custode mi sta aiutando e intuisco, anche se sono solo, che non ho
paura di nessuno e che sono pronto ad affrontare ogni domanda.
Dopo
il cotechino con le lenticchie mi sento un leone e rispondo con disinvoltura
alle domande sul mio futuro.
Nelle
situazioni più delicate di solito acquisto una freddezza innaturale per il mio
carattere passionale e risulto di solito convincente e determinato.
Spero
di avere superato la prova dell’esame di famiglia.
6. Capitolo. L’anello.
Pierone
è un’amante di alpinismo e di sci.
E’
un ragazzone alto e un po’ troppo robusto per apparire di primo acchito un
crodaiolo.
Lui
sembra piuttosto una buona forchetta.
I
suoi occhi chiari ispirano simpatia.
Studia
Economia e Commercio a Milano.
Ci
conosciamo a Cervinia sulle piste di sci.
Scendiamo
insieme dal Piccolo Cervino fino alla partenza della funivia che ti porta a
Plan Maison.
La
sciata è diretta senza soste. Ti fa salire il cuore in gola e ti fa scendere l’acido
lattico nelle gambe
Mi
racconta che è figlio di un orefice di Valenza Po.
“Vieni
a trovarmi in laboratorio se vuoi fare un regalo a Gio.” mi dice sorridendo.
E’
sicuro di avere trovato un nuovo cliente.
Oramai
sono stipendiato e non ho problemi; i soldi mi scorrono nelle tasche a fiumi.
In
banca ho depositato un milione e duecento mila lire.
Tutti
i mesi arriva puntuale lo stipendio e a casa di mia madre non spendo quasi
nulla per vivere.
Parto
con Gio per Valenza Po da Cremona nonostante che il tempo non sia clemente.
L’aria
sa di neve.
Naturalmente
ignoro che quella zona del Piemonte è famosa per le nevicate improvvise.
“Prendi
pure la mia macchina, ha le chiodate. Non si sa mai.” dice la Titti.
Sono
un po’ restio a guidare una macchina che non conosco. Il viaggio è breve.
“La
Prinz della mamma è una bomba ed è più sicura della cinquecento, se per caso
nevica! Prendila, che arriviamo in un lampo.” mi dice Gio.
All’andata
non ci sono problemi in un baleno giungiamo a Valenza Po.
La
Prinz si mangia letteralmente l’asfalto: non sono abituato a correre così, ma
mi ci abituo subito.
Il
laboratorio di Pierone è uno scintillio di gioielli.
Cerco
un diamante per Gio.
Non
ho che l’imbarazzo della scelta.
Ce
ne sono di tutti i tipi e per tutte le tasche.
Mi
sembra di essere un povero accattone con i miei sudati risparmi si compra solo
una pietra molto modesta.
Antonio,
papà di Pierone, un uomo che sa fare il suo mestiere, sempre intento a
rimirarsi le sue gemme con un monocolo che si rigira tra le mani.
“
Guarda questo diamante di cinque grani, un po’ più di un carato, non è un
meraviglia?” mi tenta suadente.
“Prendilo
è un ottimo investimento oltre che un prezioso regalo.” mi consiglia.
C’è
solo un problema costa un milioneduecentomila lire.
Una
vera fortuna.
Tutti
i miei risparmi depositati sul conto corrente.
“No ti vorà far el caìa adeso?” ripeto
tra me e me.
“Va
bene lo prendo” decido soddisfatto
Un
anello val bene un bacio!
Il tempo promette neve; vorrei partire in
fretta.
Andiamo
a fare colazione a Valenza.
“Si
mangia benissimo.” mi assicura Pierone che conosce un posto super.
Il
tempo peggiora, la neve comincia a scendere copiosa.
“Non
ti preoccupare, lo svincolo dell’autostrada è a pochi chilometri e si arriva in
un baleno. Lì la strada è sicuramente libera dalla neve.”
Indugiamo
ancora un po’.
La
neve fiocca copiosamente.
Dopo
il dolce partiamo in fretta.
Lo
svincolo è lì, ma la strada è oramai ingombra di neve.
Alla
base della deviazione per lo svincolo c’è una coda sospetta.
“Un
camion a rimorchio si è messo di traverso. Non si riesce a spostarlo. Forse
bisogna attendere fino a sera l’arrivo della gru.
C’è
un altro svincolo a una decina di chilometri.” mi informa un agente della
stradale che dirige il traffico.
Forse
ce la facciamo, andiamo più avanti.
“Proviamo!
Non possiamo stare qui ad aspettare la gru” suggerisce Gio.
La
macchina ha le chiodate.
Io
sono un veneziano che di macchine capisce poco e di chiodate ancor meno.
Non
so, tapino, che sulla neve fresca le chiodate vanno fino ad un certo punto.
Se
le ruote sprofondano nella neve son dolori.
Dopo
pochi chilometri il telaio della macchina, che è bassissima, incomincia ad
entrare in contatto col fondo nevoso della strada.
Bisogna
continuare ad andare sempre con una velocità moderata senza fermarsi perché la
neve può saldarsi col longherone della vettura ed incollarla alla strada.
Una
prima volta la Prinz si arresta.
La
campagna tutta bianca di neve è insolitamente deserta e avvolta da un silenzio
ovattato.
Ci
vuole la forza di Ercole per smuovere la macchina.
Sono
costretto a scendere e a spingere mentre Gio passa al posto di guida.
Salgo
su di corsa mentre l’autista improvvisata ingrana la marcia.
Finalmente
dopo le sette fatiche lo svincolo appare affiorando da un paesaggio irreale.
Arriviamo
in ritardassimo a Cremona dove non è
sceso un fiocco.
“Dove
siete stati? Cosa avete fatto?”
La
Titti non ha mai creduto ad una parola del nostro racconto.
7. Capitolo. La festa.
La
prova è stata superata non so se per merito mio o per la determinazione di Gio.
Per
i genitori è arduo mettersi contro una figlia testarda.
Scegliere
è una cosa estremamente difficile .
Quando
hai imboccato una strada non è sempre facile tornare indietro.
Io
ho sempre seguito la voce del cuore.
Spesso
mio interrogo sulle mie scelte. Sono
estremamente critico, dubbioso se quella effettuata sia stata la scelta giusta.
Non
mi sono mai pentito; se scegli col cuore non puoi avere rimpianti.
I
preparativi per il matrimonio fervono.
Tutto
deve essere fatto secondo i crismi.
Ci
sono tante persone da invitare .
Bisogna
risolvere il difficile problema di fare coesistere l’impegno cristiano con
l’aspetto mondano .
La
voglia di festeggiare è preminente.
Il
binomio non è inconciliabile.
“Basta
fare due celebrazioni una religiosa e l’altra festaiola” suggerisce la Titti.
I
due aspetti della cerimonia possono convivere basta avere una regista
prodigiosa.
La
Titti è la migliore su piazza per potere organizzare una grande festa di nozze.
E’
una persona speciale. Non passa inosservata.
Non
c’è pericolo che stia zitta. Dice sempre quello che pensa.
Parte
sempre in quarta, ma è capace anche di cambiare idea.
La
sua presenza è indispensabile. E’ una persona difficile da sostituire.
Come
faremmo se non ci fosse lei a dirigere le operazioni con la sua voglia di
vivere, la sua allegria, il suo entusiasmo e il suo sorriso?
La
lista degli invitati alle nozze è una cosa complicata.
Scegliere
chi invitare e chi no è sempre un problema.
Per
risolverlo basta invitare tutti, così non si fa torto a nessuno.
Le
nozze non devono essere noiose.
L’allegria
comporta la partecipazione di un congruo numero di persone.
Se
le persone sono troppe è sufficiente dividere in due i gruppi.
Una
festa pagana per i meno intimi.
Una
ricorrenza religiosa per i più vicini.
Se
qualcuno ha piacere di partecipare a tutte e due le celebrazioni va benissimo!
Le
nozze sono un’occasione di gioia non solo degli sposi ma anche dei genitori che
raggiungono un traguardo importante della loro vita.
E’
deciso.
Il
rito del matrimonio è fissato per la domenica. La festa è anticipata al sabato
sera.
La
Titti non può rinunciare a festeggiare il matrimonio con musica e danze.
Gio
precisa “I nostri amici ci saranno tutti”.
E’
bello fare una festa di nozze invitando tutti quelli che ami.
Una
celebrazione ristretta è volere limitare la tua felicità che per essere grande
deve essere condivisa.
Gli
amici di Titti e del professore sono numerosi.
Una
sequela interminabile di professori, primari, avvocati, commercialisti e anche
qualche industriale.
C’è
anche la zia Marta, al sorella saggia e lo zio Giovanni il fratello play boy
del professore.
La
zia Marta è la più anziana dei tre.
Ha
il viso largo incorniciato dai capelli bianchissimi tenuti a crocchia sul capo
da uno spillone.
La
sua espressione è serena.
Sul
suo volto aleggia sempre un sorriso benevolo anche se non ha avuto una vita
tranquilla.
Lo
zio Pino le ha procurato non pochi problemi.
La
sua pazienza le ha fatto superare le difficoltà della vita .
Ora
le cose si sono aggiustate e può godere una relativa tranquillità.
Giovanni
è il fratellino più piccolo. Quarantaquattrenne, alto, atletico, determinato, professionista
rampante, Giovanni ti ispira subito simpatia e fiducia per il suo approccio
franco e cordiale.
In
gioventù ha avuto un successo strepitoso con le donne dovuto al suo carattere,
al suo fisico, al suo passato di atleta.
Le
medaglie ai nazionali nella staffetta quattro per quattrocento e nei cento
metri ostacoli e la sua fama di duro dovuta al fatto di essersi difeso strenuamente
nell’affermare il ritorno di Trieste all’Italia sono un passaporto sicuro per
essere conteso da un numero esagerato di biondone.
A Brescia ci furono
diverse manifestazioni irredentiste, dopo l’uccisione di un giovane triestino,
Pietro Addobati il 5 novembre
1953.
In quel frangente Giovanni nel parteciparvi si trovò ad essere contestato da
alcuni che la pensavano diversamente.
Per uscire
dall’impiccio dicono che a furia di cazzottoni ne stese un discreto numero e
riuscì a cavare lui e i suoi amici dai pasticci aumentando così, come patriota
risoluto, la sua fama.
E’
vissuto lungo tempo fuori casa per frequentare la facoltà di Medicina lontano
dagli occhi vigili della mamma Aurelia e di nonno Cesare, tenaci agricoltrici,
attenti alle tradizioni campestri che non gli hanno mai imposto una buona
moglie con forza seguendo le tradizioni più antiche.
Lui
che attendeva una direttiva precisa non vedendosi spronato alla fatidica scelta,
seguendo il suo istinto un po’ farfallone, si è fatto adescare dalle femmine
che lo assediavano senza pensarci troppo.
Per
quando riguarda il matrimonio, però, non si è dimostrato così determinato e non
ha saputo decidere in fretta.
Per
un lungo periodo ha collezionato figli e amori un po’ dappertutto dall’Italia
alla Svezia senza mai venire meno alla sua fama di dongiovanni.
Solo
poco tempo fa ha compiuto la sua scelta impalmando una bresciana doc della
Valsabbia.
Figlia
di industriali, la moglie è completamente diversa dal suo immaginario femminile
ed incarna tutti i requisiti di una ottima compagna dei paesi suoi.
Riuscirà
Giovanni a reggere questo vincolo visto che per lungo tempo non si è mai voluto
vincolare?
Alla
festa quella sera ci sono tutti quelli della Cremona che conta.
Non
si può mancare al matrimonio della figlia maggiore del Professore.
Bisogna
esserci se non altro per non essere tagliati fuori dai commenti del giorno dopo
al bar della Balde dove tutti gli avvenimenti più importanti sono analizzati
nei più piccoli dettagli.
La
società canottieri adagiata lungo il fiume è il ritrovo preferito per
raccontare i fatti del giorno.
Il
tempo di fare una partita a tennis e assaporare una consa e sai già
tutti i fatti più interessanti.
Se
partecipi ai commenti portando notizie di prima mano puoi dimostrare di essere bene informato.
In
una città dove ci si conosce tutti, se non si è stati invitati è segno che si
conta poco.
Gio
è splendida fior tra i fiori del suo vestito di tulle e aspetta gli ospiti.
Io
sono al suo fianco con un vestito da cerimonia che mi ha confezionato Tonon e
mi sento più sicuro perché un abito che calza a pennello ti dà una sicurezza in
più.
In
realtà mi sento un po’ a disagio perché conosco un decimo degli invitati.
“Tu
saluta e sorridi” mi rassicura Gio.
Sono
venuti molti miei parenti: mia madre con la Lina, la zia Bice, Donato e Renzo,
Clint e Delphi, Mimmo da Milano a cugina Titti dal sud, le signorine Luce da
Venezia. Ci sono persone che non vedo da anni, ma che hanno voluto partecipare
della nostra felicità. Molti amici dei tempi dell’Università.
I
compagni di scuola della Gio ci sono tutti, sono legati da una profonda
amicizia e sono festaioli, non mancano per nessuna ragione al mondo.
Non
vedo Marcello. Marcello - l’inappuntabile, l’immarcescibile, l’imprevedibile,
l’incomprensibile, l’irraccontabile, l’inossidabile, l’instancabile,
l’invincibile, l’insuperabile organizzatore di set cinematografici dove attori
consumati dalla tensione del ciak danno sotto la sua provvida guida il meglio
di sé stessi. L’incontenibile
presentatore di cineforum dove del film viene raccontato ogni minimo dettaglio,
anche quello che nessuno vuole sapere, affinché
si sviluppi un dibattito pacato e irrazionale su problemi che non
esistono, ma che servono per giustificare il successivo gigantesco
pantagruelico rinfresco che compensa ampiamente la partecipazione alla
proiezione.
Non
c’è. Strano che non sia venuto sapendo che c’è un buffet splendido ed una
orchestrina per ballare.
Non
è da lui farsi scappare una simile occasione.
A
meno che non sia a dieta o che sia scappato per una crociera a sorpresa lungo
il Morbasco?
I
miei amletici dubbi vengono fugati da una Miriam magrissima, elegantissima con
due profondi occhi sorridenti.
Indossa
quindici collane e cinque bracciali. I gioielli sono in oro massiccio per non
dare nell’occhio.
L’eleganza
nel parlare equivale ad un’innata sicurezza nel guidare e alla inconsueta
leggerezza nel ballare che la rendono la mia guidatrice e ballerina preferita.
“Marcello
avrebbe voluto tanto venire. Non voleva perdere la festa e invece sta male, ha
la febbre, non può alzarsi dal letto!” mi dice con un sorriso amaro che
contrasta che suo mite carattere.
Peccato!
Ci rifaremo al matrimonio del prossimo compagno di scuola.
Un’orchestrina inizia a suonare e i musici ci invitano ad
aprire le danze. Musica e risate.
Cosa
c’è di meglio di una sana allegria per affrontare serenamente le difficoltà del
vivere.
Gli
avvenimenti che ti cambiano la vita devono essere celebrati perché di essi
rimanga più marcato il ricordo.
Nessun commento:
Posta un commento