CAPITOLO XII
IL DANNO AMBIENTALE.
Verificare
SOMMARIO: 1. La fattispecie di
danno ambientale prevista dall’art. 18, l. 349/1986.
1.1. La determinazione del danno.
1.2. Il diritto di informazione
sullo stato dell'ambiente.
2. La giurisdizione ordinaria.
2.1. La giurisdizione della Corte
dei Conti.
3. Le associazioni ambientaliste.
3.1. La legittimazione ad agire.
3.2. La costituzione di parte
civile nel processo penale.
3.3. L’interesse ad agire.
4. L'azione di risarcimento.
Soggetti attivi.
5. Condono edilizio e danno
ambientale.
6. Il potere di ordinanza
sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale.
1. La fattispecie di danno
ambientale prevista dall’art. 18, l. 349/1986.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 18.
Bibliografia Melchionna 1999.
Ai sensi dell’art. 18, l.
349/1986, si ha danno ambientale qualora si verifichi un qualunque fatto doloso
o colposo, in violazione di disposizioni di leggi o di provvedimenti adottati
in base a legge, che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno,
alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto od in parte.
Secondo la dottrina si ha
repsonsabilità per danno ambientale non solo quando si lede un vncolo
ambientale in senso stretto, ma anche quando viene violata uno dei ter settori
della legislazione ambientale in senso lato: la bellezza naturale; la difesa
dell’ambiente; l’urbanistica. (Assini N. 2005, 2402).
Tale norma ribadisce i principi
costituzionali e il principio dell’obbligo civilistico del risarcimento per
fatto illecito.
Esso obbliga l’autore del fatto
al risarcimento nei confronti dello Stato.
Nell'ordinamento
giuridico italiano la protezione dell'ambiente, bene che assurge a valore
primario e assoluto, è imposta dai precetti costituzionali di cui agli artt. 2,
3, 9, 32, 41 e 42 cost., mentre l'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, ha funzione
solo ricognitiva.
La
configurabilità dell'ambiente come bene giuridico e il diritto al pieno
risarcimento per la sua lesione in capo agli enti pubblici territoriali non
trova la sua fonte genetica in tale legge, bensì nella Carta costituzionale
considerata come diritto vigente e vivente nonché nella norma generale
dell'art. 2043 c.c.
(Cass. civ., sez.
III, 3.2.1998, n. 1087, UA, 1998, 721).
La giurisprudenza ha precisato le
condizioni per l’esperimento dell’azione di risarcimento affermando la
volontarietà dell’azione, sotto il profilo soggettivo, e la necessità che
sussista, sotto il profilo oggettivo, un danno concreto all’ambiente. Esso si
deve riflettere nella alterazione del modo di vivere dell’intera popolazione
del luogo compromesso.
In
tema di danno ambientale, sia per i fatti anteriori alla l. n. 349 del 1986,
regolati dal solo art. 2043 c.c., sia per i fatti successivi, disciplinati
dall'art. 18, l. 349/1986, non è sufficiente la modificazione, alterazione o
distruzione dell'ambiente naturale considerata da un mero punto di vista
obiettivo, nella sua materialità, ma occorre l'elemento soggettivo
intenzionale, che cioè la condotta sia dolosa o colposa, e, per la legge
speciale, qualificata dalla violazione di disposizioni di legge o di
provvedimenti adottati in base a legge.
Vige, altrimenti,
la causa esimente dell'esercizio legittimo di un diritto.
(Cass. civ., sez. III, 3.2.1998, n. 1087, RCP, 1999, 467).
In un primo tempo la
giurisprudenza non ha ritenuto indennizzabile di per se stesso il danno
all’immagine dell’ente locale, come rappresentante legittimo dell’ambiente in
cui esso esercita le sue funzioni.
L'azione di
risarcimento del danno può essere promossa soltanto quando sussista un
pregiudizio concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il
profilo dell'alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in
parte, dell'ambiente.
Non danno luogo a
risarcimento, di regola, violazioni meramente formali.
La
lesione dell'immagine dell'ente territoriale, nella specie Comune e Provincia,
il quale, dalla commissione di reati ambientali veda compromesso il prestigio
derivante dall'affidamento di compiti di controllo o gestione, costituisce
danno non risarcibile autonomamente.
In tale caso il
risarcimento deve essere riconosciuto soltanto quando sia stato concretamente
accertato il detto danno ambientale, al quale sia collegata, come aspetto non
patrimoniale, la menomazione del rilievo istituzionale dell'ente.
(Cass. pen., sez. III, 19.3.1992, CP, 1993, 1532).
Successivamente la giurisprudenza
ha cambiato indirizzo.
Anche
il discredito all'immagine di un ente può configurarsi come danno erariale e,
come tale, da risarcire da parte del dipendente che, con la propria, distorta
attività, lo ha provocato nell'esercizio di pubblici uffici, per raggiungere
suoi esclusivi interessi.
Bisogna,
infatti, considerare che, se pure a tale comportamento non corrisponde in
maniera diretta una riduzione del patrimonio dell'amministrazione, è però vero
che questa stessa si dovrà poi far carico della spesa utile al ripristino del
bene giuridico leso.
Il danno
all'immagine dell'ente, quindi, che comporti poi, come detto, una necessità di
spesa per il suo ripristino, arreca conseguenze negative ancora maggiori di
quante non ne produca la mancata attività lavorativa del dipendente e, come
queste, può ben essere quantificato.
(Corte Conti reg.
Umbria, sez. giurisd., 28.5.1998, n. 501, FP, 1999, f. 1, 426).
La dottrina ritiene, oramai,
insufficiente una dimensione nazionale della tutela auspicando l’istituzione di
un tribunale internazionale dell'ambiente e di una Alta autorità di controllo e
gestione ambientale (Melchionna B. 1999, 192).
1.1. La determinazione del
danno.
Legislazione c.p., art. 734 - l. 8.7.1986, n.
349, art. 18 - d.p.r. 28.1.1988, n. 63, art. 69.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
La dottrina ha sottolineato che
l’ambiente, pur non essendo un bene appropriabile, si presta ad essere valutato
in termini economici e , quindi, può essere ad esso un prezzo, in relazione al
valore di scambio e d’uso che esso assume (Dell’Anno P. 2000, 168).
Qualora non sia possibile una
precisa quantificazione del danno, il giudice ne determina l’ammontare in via
equitativa.
Il giudice deve comunque tenere
conto della gravità della colpa individuale, delle spese necessarie per il
ripristino e del profitto derivato al trasgressore dal suo comportamento di
danneggiamento dei beni ambientali.
Qualora più persone abbiano
concorso nel compiere lo stesso danno, ciascuno deve rispondere secondo la
propria responsabilità individuale.
La giurisprudenza ha ravvisato
l’ipotesi di danno ambientale nelle seguenti fattispecie.
E' legittima la
condanna generica, in sede penale, al risarcimento del danno ambientale, ai
sensi dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, in caso di accertata violazione di
norme anti-inquinamento, penalmente sanzionate, senza che, al fine predetto,
occorra che il titolare del diritto al risarcimento dia la prova dell'an
debeatur, bastando che il fatto illecito accertato sia potenzialmente
idoneo a produrre danno.
Nella
specie trattavasi di violazione dell'art. 21, 1° co., e 3 della l. 10.5.1976,
n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento, consistente
nello sversamento, nelle acque del torrente Bormida, di reflui di lavorazioni
industriali contenenti valori di pH superiori al consentito.
(Cass. pen., sez. III, 31.3.1994, CP, 1995, 1610).
E' legittima la
condanna generica, in sede penale, al risarcimento del danno ambientale, ai
sensi dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, in caso di accertata violazione di
norme anti - inquinamento, penalmente sanzionate, senza che, al fine predetto,
occorra che il titolare del diritto al risarcimento dia la prova dell'an
debeatur, bastando che il fatto illecito accertato sia potenzialmente
idoneo a produrre danno.
Il
risarcimento del danno ambientale è dovuto per avere realizzato una costruzione
senza concessione ed in violazione dell'art. 734, c.p., e della l. 8.8.1985, n.
431 e una discarica abusiva per lavori appaltati dal Ministero delle poste e
telecomunicazioni, concernenti la realizzazione di una stazione radio con
traliccio metallico e posa in opera di cavo coassiale in zona di alto valore
paesaggistico e storico.
(Cass. pen., sez. III, 18.4.1994, CP, 1995, 1932).
Solo
lo sversamento di reflui inquinanti oltre i limiti può comportare un danno
all'equilibrio ambientale risarcibile, ex art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, nel
senso di una compromissione, di una alterazione, di un deterioramento o, nei
casi più gravi, di una distruzione totale o parziale del sistema naturale
interessato; tale danno è sicuramente riscontrabile in caso di immissione di un
corpo ricettore di inquinanti chimici oltre la soglia ritenuta pericolosa dalla
legge.
(Cass. pen, sez. III, 10.11.1993, RGA,
1995, 91).
Ai fini della
esistenza di un danno ambientale, la l. 8.7.1986, n. 349, contempla anche
l'ipotesi della semplice alterazione di una delle componenti ambientali,
sicuramente riscontrabile nel caso di immissione in un corpo ricettore di
inquinanti chimici oltre la soglia ritenuta pericolosa dalla legge, tale da
giustificare addirittura la sanzione penale.
Nella specie la
suprema Corte ha osservato che per i ripetuti scarichi, alcuni contenenti
perfino mercurio, un danno ambientale era stato accertato e giustamente ne
erano stati considerati destinatari lo Stato e gli enti territoriali.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1993, CP, 1995, 1351).
E’ danno ambientale anche la
realizzazione di opere in contrasto con gli strumenti urbanistici.
Risultando
esteso il concetto di ambiente a problemi di conservazione del paesaggio urbano
e rurale nonché del carattere ambientale della città in rapporto al grande
sviluppo attuale degli insediamenti edilizi, le associazioni ambientaliste sono
legittimate, ex art. 18, 5° co., l. 8.7.1986, n. 349, a ricorrere avverso il
rilascio di concessioni edilizie.
(T.A.R. Toscana,
sez. I, 18.3.1994, n. 246, FA, 1994, 1523).
La prova del danno ambientale
deve riguardare il bene leso nel suo complesso a prescindere delle posizioni
giuridiche dei singoli danneggiati che sono valutate in maniera diversa ed in
separato giudizio.
Con riguardo ad
azione di risarcimento del danno ambientale, promossa da un comune a norma
dell'art. 18, l. 319 del 1986, nella prova dell'indicato danno bisogna
distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a
posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e
danno all'ambiente considerato un senso unitario, in cui il profilo
sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un
accertamento, che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, bensì della
compromissione dell'ambiente.
Deve essere
provata la lesione in sé del bene ambientale, la cui sussistenza è valutabile
solo attraverso accertamenti, eseguiti da qualificati organismi pubblici, in
presenza dei quali non può fondatamente rigettarsi la richiesta del danneggiato
di consulenza tecnica di ufficio, non sussistendo in ottemperanza di questi
all'onere della prova ed essendo la consulenza finalizzata alla verifica di
fatti essenziali per la decisione, rispetto ai quali essa si presenta come
strumento tecnicamente più funzionale ed efficace d'indagine.
Nella specie si
tratta di azione risarcitoria nei confronti di imprese che si assumono
responsabili di produzione, circolazione e sversamento di rifiuti speciali
industriali, senza l'adozione di idonee cautele.
(Cass. civ., sez.
I, 1.9.1995, n. 9211, DGA, 1998, 40).
1.1.1. Il ripristino dello
stato dei luoghi.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 14.
Bibliografia Cassese 2000 (2).
Nella sentenza di condanna, ove
possibile, il giudice ordina il ripristino dei beni ambientali, a spese del
responsabile.
1.2. Il diritto di
informazione sullo stato dell'ambiente.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 14.
Bibliografia Cassese 2000 (2).
Il diritto all’informazione
ambientale è sancito dall’art. 14, l. 8.7.1986, n. 349, che consente a chi ne
abbia interesse di acquisire ogni informazione propedeutica ad una successiva
fase di tutela.
Tale facoltà trova fondamento nel
più generale riconoscimento all’accesso al procedimento amministrativo sancito
dalla l. 241/1990 (Cassese S. 2000 (2), 1567).
Il particolare
diritto di informazione sullo stato dell'ambiente di cui all'art. 14, l.
8.7.1986 n. 349, costituisce un'ipotesi particolare del generale diritto di
accesso ai documenti amministrativi di cui alla l. 7.8.1990 n. 241.
Poiché
contro le determinazioni amministrative concernenti detto generale diritto di
accesso è prevista la giurisdizione del giudice amministrativo questa non può
che assorbire anche la cognizione delle particolari controversie aventi ad
oggetto determinazioni concernenti il diritto di informazione sullo stato
dell'ambiente.
In
materia di inquinamento atmosferico i dati che rilevano ai fini della tutela
ambientale sono esclusivamente quelli relativi a ciò che viene concretamente
disperso nell'atmosfera dall'impresa, in quanto soltanto tali dati attengono,
in base all'art. 14, l. 8.7.1986, n. 349 espressamente richiamato dall'art. 18,
d.p.r. 24.5.1988 n. 203, allo stato dell'ambiente e sono, pertanto, non solo
giuridicamente ma tecnicamente rilevanti rispetto all'oggetto del diritto di
accesso garantito dalle citate disposizioni; viceversa non altrettanto
rilevanti sono gli altri dati che stanno a monte della fase di emissione e che
riguardano il ciclo produttivo nonché le sostanze e le materie impiegate.
(T.A.R. Emilia
Romagna, sez. II, Bologna, 20.2.1992, n. 78, RGA, 1992, 888).
La
norma di cui all'art. 14, l. 8.7.1986, n. 349 si trova in rapporto di
specialità rispetto all'art. 22, l. 7.8.1990, n. 241 che estende il diritto di
accesso a ogni settore dell'attività amministrativa: in materia di informazione
ambientale non è perciò operante il rinvio alle disposizioni attuative della
legge sul procedimento amministrativo di cui agli art. 22, 3°, co., 24, 4° co.,
e 31.
(T.A.R. Sicilia
sez. II, Catania, 9.4.1991 n. 118, RGA 1992, 407).
La
posizione giuridica attribuita a tutti i cittadini dalla norma di cui all'art.
14, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349 in ordine all'acquisizione delle informazioni
relative all'ambiente costituisce diritto soggettivo pubblico, che può farsi
valere nel termine prescrizionale ordinario di 10 anni e indipendentemente
dall'impugnazione di un provvedimento.
(T.A.R. Sicilia
sez. II, Catania, 9.4.1991, n. 118, RAm, 1992, 492).
L'art. 14, 3°
co., l. 8.7.1986 n. 349, il quale prevede e disciplina il diritto di accesso
alle informazioni in materia ambientale, è da considerare norma speciale e,
come tale, non risulta assorbito dalle disposizioni di cui agli artt. 22 ss.
della successiva l. 7.8.1990, n. 241.
Anche
se non sono stati ancora emanati i regolamenti necessari per la disciplina
dell'esercizio e per la limitazione del diritto generale di accesso ai
documenti amministrativi, è ammissibile il ricorso previsto dall'art. 25, l.
241 del 1990, contro il diniego dell'amministrazione di fornire le informazioni
in materia ambientale.
Nella specie, i
risultati delle analisi di potabilità delle acque erogate dall'acquedotto
comunale, sono state richieste dal ricorrente in base a diritto assicurato da
disposizione sostanziale di legge diversa e speciale.
(Cons. giust.
amm. Sicilia, 21.11.1991 n. 476, FI, 1992, III, 354).
La
posizione giuridica attribuita a tutti i cittadini dalla norma di cui all'art.
14, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349, in ordine all'acquisizione delle informazioni
relative all'ambiente costituisce diritto soggettivo pubblico, che può farsi
valere nel termine prescrizionale ordinario di 10 anni e indipendentemente
dall'impugnazione di un provvedimento.
(T.A.R. Sicilia
sez. II, Catania, 9.4.1991, n. 118, T.A.R., 1991, I, 2056).
Il diritto
di informazione sullo stato dell'ambiente si configura attualmente come
un'ipotesi particolare del diritto di accesso ai documenti, diritto peraltro
finalizzato non solo a dare attuazione al più generale diritto
all'informazione, ma anche al diritto di partecipazione al procedimento e al
diritto di difesa in giudizio.
La norma di cui
all'art. 14, l. 8.7.1986, n. 349 si trova in rapporto di specialità rispetto
all'art. 22, l. 7.8.1990, n. 241, che introduce il diritto di accesso in via
generale con riferimento ad ogni settore dell'attività amministrativa, con la
conseguenza dell'immediata operatività ed esercitabilità dell'anzidetto diritto
di informazione sullo stato dell'ambiente, essendo al riguardo inoperante il
rinvio alle disposizioni attuative, di cui agli art. 22, 3° co., 24, 4° co. e
31 della stessa legge n. 241, che dovranno disciplinarne le modalità di
esercizio.
(T.A.R. Sicilia
sez. II, Catania, 9.4.1991, n. 118, T.A.R., 1991, I, 2056).
Il diritto all’informazione trova
supporto nelle Direttive Cee e ulteriore regolamentazione nel d.lg. 24.2.1997,
n. 39, che individua le possibili situazioni che legittimano l’esclusione dalla
possibilità di accesso.
La nozione di
"azione investigativa preliminare" di cui all'art. 3, n. 2 terzo
trattino della direttiva del Consiglio Cee 7 6.1990 n. 313, concernente la
libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente, dev'essere
interpretata nel senso che comprende una procedura amministrativa come quella
di cui all'art. 7 n. 1 sub 2) dell'Umweltinformationgesetz - legge sulle
informazioni in materia di ambiente, dell'8.7.1994 - meramente preparatoria di
una misura amministrativa, solo nell'ipotesi in cui essa preceda immediatamente
un procedimento contenzioso o quasi contenzioso e nasca dall'esigenza di
acquisire prove o di istruire un procedimento prima che si apra la fase
processuale vera e propria.
L'art. 2, lett.
a), della direttiva del Consiglio Cee 7.6.1990, n. 313, concernente la libertà
di accesso all'informazione in materia di ambiente dev'essere interpretato nel
senso che esso si applica ad una presa di posizione adottata da un'Autorità
amministrativa competente in materia di conservazione del paesaggio nell'ambito
della sua partecipazione ad una procedura di approvazione di progetti di costruzione,
se la detta presa di posizione è tale da incidere, relativamente agli interessi
alla tutela dell'ambiente, sulla decisione di approvazione di tali progetti.
(Corte giustizia
CE, 17.6.1998, n. 321, CS, 1999, II, 92).
2. La giurisdizione ordinaria.
Legislazione cost., artt. 5, 9, 25, 32, 103,
2° co., - l. 8.7.1986, n. 349, art. 18.
Bibliografia Centofanti 2005 (2).
La giurisdizione in materia di
danno ambientale è attribuita dalla l. 349/1986 al giudice ordinario
(Centofanti N. 2005 (2), 1207).
2.
Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al
giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all'art. 22 del
d.p.r. 10.1.1957, n. 3.
3. L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo”
3. L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo”
(art.
18, l. 349/1986).
Il compimento del fatto dannoso obbliga l’autore al risarcimento nei confronti dello Stato.
Qualora non sia possibile una
precisa quantificazione del danno, il giudice ne determina l’ammontare in via
equitativa.
6. Il giudice,
ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina
l'ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa
individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito
dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni
ambientali.
(art. 18, l. 349/1986).
(art. 18, l. 349/1986).
Il giudice deve comunque tenere
conto della gravità della colpa individuale, delle spese necessarie per il
ripristino e del profitto derivato al trasgressore dal comportamento con il
quale ha danneggiato i beni ambientali.
Qualora più persone abbiano
concorso nel compiere lo stesso danno, ciascuno deve rispondere secondo la
propria responsabilità individuale. Ove possibile, il giudice ordina il
ripristino dei beni ambientali, a spese del responsabile, nella sentenza di
condanna.
Si applicano le disposizioni
dell’art. 69 del d.p.r. 28.1.1988, n. 63 per riscuotere i crediti in favore
dello Stato risultanti dalle sentenze di condanna.
2.1. La giurisdizione della Corte
dei Conti.
La Corte dei Conti è stata
tradizionalmente competente all’accertamento della responsabilità contabile per
danno erariale comprendendo anche il danno all’ambiente.
Appartiene alla cognizione della
Corte dei conti quale giudice contabile - per l'affermazione della conseguente
responsabilità amministrativa - l'accertamento del danno provocato
dall'inquinamento delle acque del mare (nella specie, del Mar Tirreno:
inquinamento derivante dagli scarichi dei residui di biossido di titanio
prodotto dagli stabilimenti di Scarlino della " Montedison s.p.a. ").
Corte Conti, sez. riun., 16
giugno 1984, n. 378
Foro amm. 1985, 613
Il legislatore con la l.
8.7.1986, n. 349, ha escluso che la fattispecie di danno ambientale sia
emanazione dell’istituto del danno erariale, eliminando, quindi, la relativa
competenza della Corte dei conti e attribuendola al giudice ordinario.
Non è
fondata, in relazione agli artt. 5, 25, e 103, 2° co., cost., la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, nella parte in
cui attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario l'intera materia del
risarcimento del danno ambientale, facendo salva la giurisdizione della Corte
dei conti solo in alcune limitate ipotesi di responsabilità amministrativa.
Nel nostro
ordinamento giuridico la protezione dell'ambiente è imposta da precetti
costituzionali, ex artt. 9 e 32, ed assurge a valore primario ed assoluto.
L'ambiente è un
bene immateriale unitario, ancorché costituito da una pluralità di componenti.
La protezione
ambientale è preordinata alla salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo
vive.
Il danno
all'ambiente è correttamente inserito nell'ambito e nello schema della tutela
aquiliana.
La materia della
contabilità pubblica appare sufficientemente individuata nell'elemento
soggettivo che attiene alla natura pubblica dell'ente e nell'elemento oggettivo
che riguarda la qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della
gestione.
Peraltro, anche
in tale materia, la giurisdizione della Corte dei conti è solo tendenzialmente
generale e sono sempre possibili deroghe mediante apposite disposizioni
legislative.
La Corte dei
conti è titolare di giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica,
comprendente sia i giudizi di conto sia quelli di responsabilità a carico degli
impiegati e degli agenti contabili dello Stato e degli enti pubblici economici.
La materia della
contabilità pubblica è sufficientemente individuata nell'elemento soggettivo -
amministrazione pubblica soggetto passivo del danno - e nell'elemento oggettivo
- qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione.
Comunque
l'attribuzione di giurisdizione alla Corte dei conti postula puntuali
disposizioni legislative, tenuto conto che, in difetto di tali disposizioni, la
giurisdizione spetta al giudice ordinario, che normalmente conosce le
controversie in materia di diritti soggettivi.
L'art.
2043 c.c., a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione ha assunto una
nuova valenza come strumento per la protezione dei valori che essa prevede ed
assicura, tra cui ha rilievo precipuo il principio della solidarietà.
Non è fondata, in
riferimento agli artt. 5, 25, 103, 2° co., cost., la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 18, 2° co., l. 8.7.1986, n. 349 che ha attribuito alla
giurisdizione del giudice ordinario l'intera materia del risarcimento del danno
ambientale, facendo salva la giurisdizione della corte dei conti solo in alcune
limitate ipotesi di responsabilità amministrativa.
(Corte cost., 30.12.1987, n. 641, CS, 1987, II, 1925).
Nulla è innovato circa la
giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale, in altre parole per
quanto riguarda gli esborsi indebitamente sostenuti dagli enti medesimi.
L'azione di
responsabilità nei confronti di amministratori e funzionari degli enti
territoriali rientra nella giurisdizione contabile della Corte dei conti
soltanto per ciò che attiene al cosiddetto danno erariale, mentre, con
riferimento al danno urbanistico–ambientale, l'azione stessa è devoluta alla
cognizione del giudice ordinario, ex art. 18, l. 349 del 1986.
Nella specie si
tratta del danno ambientale addebitato al sindaco di un comune derivante da
lottizzazione abusiva della quale il Sindaco era stato riconosciuto
responsabile in sede penale.
(Cass. civ., Sez. U., 28.10.1998, n. 10733, DR, 1999, 313).
3. Le associazioni ambientaliste.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, artt. 12,
13, 18, 4°, 5° co.
Bibliografia Mantini Dell’Anno Verardi
Giampietro 1990.
L’art. 13, l. 8.7.1986, n. 349,
riconosce le associazioni ambientaliste che possiedano i requisiti da esso
previsti.
Esse devono essere presenti in
almeno cinque regioni ed avere finalità ambientali.
L'associazione
italiana per il W.W.F. è legittimata ex lege a stare in giudizio per la
tutela di interessi ambientali, in quanto essa è compresa nell'elenco delle
associazioni protezionistiche di cui agli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986 n. 349.
(T.A.R. Trentino
Alto Adige, sez. Bolzano, 22.6.1999, n. 194, T.A.R., 1999, I, 3279).
L'accertamento
della rappresentatività delle associazioni ambientalistiche ai fini della
liquidazione processuale delle stesse si basa su un duplice sistema, derivante
rispettivamente dagli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, il secondo dei quali
affida al giudice l'accertamento, caso per caso, della legittimazione.
(T.A.R. Veneto,
sez. II, 12.8.1998, n. 1414, RGA, 1999, 364).
Gli artt. 13 e
18, l. 8.7.1986, n. 349, hanno introdotto un duplice sistema di accertamento
del grado di rappresentatività delle associazioni ambientaliste, nel senso che
l'esistenza del potere di individuazione del Ministro non esclude il
concorrente potere del giudice di accertare, caso per caso, la sussistenza
della legittimazione dell'associazione che abbia proposto l'impugnativa
Sussiste alla
stregua del criterio individuato, la legittimazione ad agire del comitato
popolare per la verifica della compatibilità ambientale dell'International Foam
Italia nel giudizio concernente la realizzazione di impianto di deodorizzazione,
tenuto conto della finalità che tale comitato persegue e del particolare favore
che l'attuale momento storico-politico riserva alle associazioni di tutela
ambientale, intesa come tutela delle condizioni di vita della collettività
nell'ambiente.
(T.A.R. Veneto,
sez. II, 4.6.1998, n. 858, DRe, 1998, 873).
Il
Codacons e la Lega ambiente rientrano tra le associazioni di protezione
individuate dal Ministero dell'ambiente ai sensi dell'art. 18, 5° co., l.
8.7.1986, n. 349 e sono, pertanto, legittimati a proporre gravame
giurisdizionale a tutela dell'ambiente dinanzi al giudice amministrativo.
(T.A.R. Abruzzo,
sez. L'Aquila, 20.11.1996, n. 598, T.A.R., 1997, I, 217).
Va riconosciuta
alla Lega per l'abolizione della caccia la natura di Associazione
ambientalistica, ai sensi ed agli effetti dell'art. 13, l. 8.7.1986 n. 349, in
relazione agli artt. 12, n. 1, lett. c), e 18, nn. 4 e 5, della stessa legge,
atteso che, con riferimento agli elementi necessari per il richiesto
riconoscimento, quali individuati nei criteri applicativi dell'art. 13 cit.,
fissati nella delibera del Ministero dell'ambiente 25.1.1988, sono presenti
nella Lega medesima
Tale associazione
ha una struttura territoriale di livello nazionale, un ordinamento interno tale
da assicurare democraticità agli organi propri dell'associazione e una
concezione globalistica dell'ambiente, posto che il campo di interesse della
Lega, volto all'abolizione della caccia, alla difesa della fauna nonché alla
conservazione ed al ripristino, costituisce un unicum senz'altro esteso
e di interesse per la protezione dell'ambiente nella sua globalità.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 27.2.1996, n. 409, T.A.R., 1996, I, 804).
Le associazioni di protezione
ambientale hanno le seguenti facoltà, ai sensi dell’art. 18, 4°, 5° co.:
1) il potere di denunciare,
assieme ai cittadini, i fatti che danneggino i beni ambientali di cui siano a
conoscenza, con lo scopo di sollecitare l’intervento da parte dei soggetti
pubblici autorizzati;
2) il potere d’intervenire nei
giudizi per danno ambientale e di ricorrere al tribunale amministrativo per
l’annullamento di atti illegittimi (Mantini P. Dell’Anno P. Verardi C.
Giampietro F. 1990, 18).
Le seguenti associazioni di
protezione ambientale sono state individuate con decreti del Ministero
dell’ambiente: Agriturist; Amici della terra; Associazione Greenpeace;
Associazione Kronos 1991; Club Alpino Italiano; Federnatura; Fondo ambiente
italiano; Gruppi ricerca ecologica; Italia nostra; Lega ambiente; Lega italiana
per i diritti dell’animale; Lega italiana protezione uccelli; Mare vivo;
Touring Club Italiano; World Wildelife Fund.
Le
associazioni ambientalistiche riconosciute con decreto del Ministro dell'ambiente
sono legittimate ad agire in giudizio, in forza dell'art. 18, l. 8.7.1986, n.
349, per far valere interessi diffusi solo in quanto l'interesse all'ambiente
assume qualificazione normativa con riferimento e nei limiti tracciati
positivamente dalla l. 349 del 1986, ovvero da altre fonti legislative intese a
identificare beni ambientali in senso giuridico, con esclusione quindi degli
atti che abbiano una valenza meramente urbanistica, in quanto diretti
esclusivamente alla gestione del territorio, senza ricaduta alcuna su valori
ambientali.
(T.A.R. Marche,
29.7.1999, n. 917, T.A.R. 1999, I, 3990).
Alla luce del
combinato disposto degli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, la legittimazione
a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti
che si assumano illegittimi, spetta alle associazioni di protezione ambientale
che siano individuate con decreto del Ministro dell'ambiente, nonché alle
associazioni che, in base al grado di rappresentatività di interessi collettivi
connessi alla tutela ambientale, il giudice accerti, caso per caso, il possesso
dei requisiti predetti, con riferimento alla rilevanza esterna, da cui è
caratterizzata l'azione dell'associazione ed alla continuità dell'attività di
tutela ambientale svolta.
(Cons. Stato,
sez. VI, 7.2.1996, n. 182, FA, 1996, 589).
L'art.
18, 5° co., l. 349 del 1986 riconosce alle associazioni di protezione
ambientale espressamente individuate, con atto di accertamento avente effetti
costitutivi, nel decreto ministeriale emanato ai sensi dell'art. 13, 1° co., l.
8.7.1986, n. 349, un interesse individuale a ricorrere in sede di giurisdizione
amministrativa per l'annullamento di atti amministrativi illegittimi,
puntualizzandosi in esse la tutela di interessi diffusi e connettendosi a tali
interessi, per forza normativa, la garanzia propria degli interessi legittimi.
(T.A.R. Lazio,
sez. I, 21.9.1989, n. 1272, GI, 1992, III, 1, 516).
3.1. La legittimazione ad agire.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, artt. 12,
13, 18, 4°, 5° co.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
La sfera di legittimazione processuale
delle associazioni ambientaliste è stata via via estesa sia alle azione dinanzi
al giudice amministrativo contro gli atti adottati da regioni, province e
comuni sia in sede civile, consentendo la proposizione in via autonoma delle
azioni risarcitorie . in sostituzione delle province e dei comuni (Dell’Anno P.
2000, 178).
Per contro le associazioni, che
non presentino le caratteristiche definite dalla legge e che non siano
conseguentemente state riconosciute, non hanno alcuna legittimazione processuale.
L'Associazione
Pavia Monumentale non è legittimata ad agire avverso la concessione edilizia
che non leda direttamente situazioni giuridicamente rilevanti facenti capo
all'associazione stessa; inoltre, essa non soddisfa le due condizioni richieste
dagli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, secondo i quali l'eccezionale
legittimazione ad agire riconosciuta ex lege alle associazioni
ambientalistiche postula che le stesse agiscano a tutela di interessi
ambientali - e non storico artistici, come nel caso di specie - e che siano
riconosciute con apposito decreto del ministero dell'ambiente.
(T.A.R.
Lombardia, sez. II, Milano, 9.4.1998, n. 728, FA, 1998).
Ai sensi degli
artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349, alle associazioni ambientaliste
riconosciute è attribuita una legittimazione processuale, di natura eccezionale
e di stretta interpretazione, a tutela di un interesse ambientale rilevante in
base ad una norma specifica, onde tale legittimazione è esclusa quando
l'impugnazione o l'azione giurisdizionale promossa abbia per oggetto non già un
interesse ambientale o la protezione di beni ambientali in senso giuridico,
bensì atti a contenuto meramente urbanistico, diretti, cioè, all'esclusiva
gestione del territorio, senza alcun'incidenza sui valori ambientali.
In questo
contesto, dunque, la nozione di "ambiente" va desunta non dall'art.
82, d.p.r. 24.7.1977, n. 616 - norma, questa, precedente alla l. 349 del 1986 e
concernente soltanto il riparto delle competenze tra Stato e regioni in
soggetta materia, senza dar disciplina alcuna ai poteri processuali delle
associazioni ambientalistiche - né tampoco dall'art. 130 R, trattato Ce, nel
testo introdotto dall'art.438, trattato Maastricht - disposizione comunitaria
che regola le nuove competenze dell'Unione europea in materia di ambiente - né,
ancora, dall'art. 17, 46° co., l. 15.5.1997, n. 127, che si limita a ribadire
la possibilità per dette associazioni, nei soli limiti già stabiliti dall'art.
18, l. 349 del 1986, di adire il giudice amministrativo anche contro gli atti
di regioni, province e comuni.
(Cons.
Stato., sez. V, 10.3.1998, n. 278, FA, 1998, 708).
L'articolazione
territoriale di un'associazione ambientalista nazionale non ha autonoma
legittimazione processuale, neppure per l'impugnazione di un atto ad efficacia
territorialmente delimitata o per intervenire in un giudizio siffatto, in
quanto non è possibile applicarle l'art. 18, l. 8.7.1986 n. 349 - perché tale
disposizione riguarda l'associazione nazionale e non le sue articolazioni - né
il principio per cui si prescinde dall'art. 18 stesso se l'associazione si
connota per il suo concreto collegamento con il territorio.
Un'associazione
nazionale, come formalizzata dagli artt. 13 e 18, l. 349 del 1986, è portatrice
di interessi metaindividuali ben più ampi di quelli meramente locali ed è
vietata la sostituzione processuale fuori dai casi espressamente previsti.
(Cons.
Stato, sez. V, 29.7.1997, n. 854, FA, 1997, 1986).
Le
associazioni ambientaliste individuate con le modalità previste dall'art. 18,
l. 8.7.1986, n. 349, sono legittimate a ricorrere avverso atti amministrativi
adottati in violazione di norme urbanistiche ed edilizie, in quanto queste
abbiano valenza ambientale.
Detta ipotesi non
ricorre nel caso di richiesta di annullamento di concessione edilizia in centro
storico fondata su esclusivi profili edilizi.
(T.A.R. Emilia
Romagna, sez. Parma, 3.4.1996, n. 109, RGA, 1997, 140).
Il Movimento
Federativo Democratico Regione Umbria non risulta essere associazione di
protezione ambientale individuata con d.m. e come tale legittimata a
intervenire nei giudizi per danno ambientale e a ricorrere in sede
giurisdizionale amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi. (T.A.R.
Umbria, 19.8.1996, n. 304, RGU, 1997, 285).
E'
priva della legittimazione ad agire l'associazione ambientalista che non
presenti le caratteristiche definite dagli artt. 13 e 18, 5° co., l. 8.7.1986,
n. 349, consistenti nell'essere un'associazione nazionale, riconosciuta con
decreto del ministro per l'ambiente, presente in almeno cinque regioni.
(T.A.R. Veneto,
sez. II, 9.6.1992, n. 475, FA, 1993, 179).
3.2. La costituzione di parte
civile nel processo penale.
Legislazione c.p., artt. 185, 734 - c.p.p.,
artt. 74, 91, 666 - l. 8.8.1985, n. 431, art. 1, sexies - l.
8.7.1986, n. 349, artt. 13,
18, 3° co., n. 3.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
La giurisprudenza non è stata
unanime nell’affermare la possibilità che le associazioni ambientaliste possano
costituirsi parti civili nel giudizio penale.
Alcune sentenze lo hanno escluso.
In
carenza di dimostrazione di un concreto collegamento con l'area interessata
dall'edificazione del manufatto edilizio e dalla variante urbanistica, tale da
rendere localizzabile l'interesse esponenziale dell'associazione, non può
essere riconosciuta la legittimazione all'impugnativa al Codacons, associazione
non riconosciuta, dal Ministero dell'ambiente, ex artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n.
349 quale legittimata ad agire in giudizio a difesa degli interessi diffusi
correlati ai beni ambientali.
(T.A.R. Abruzzo,
sez. L'Aquila, 14.11.1994, n. 780, RGA, 1996, 101).
Le associazioni
ambientalistiche, anche se riconosciute ai sensi dell’art. 13 della l. 349 del
1986, non sono legittimate a costituirsi parti civili solo per la tutela del
loro interesse astratto e diffuso all'integrità dell'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 29.9.1992, FI, 1993, II, 475).
Altre hanno ammesso tale
possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale anche se è stata
limitata la loro azione nel senso che il loro è considerato come intervento ad
adiuvandum.
In materia di
danno ambientale, posto che questo non consiste solo in una
"compromissione dell'ambiente", in violazione delle leggi ambientali,
giusta quanto previsto dall'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, ma anche in una
"offesa della persona umana nella sua dimensione individuale e
sociale", come ritenuto dalla Corte cost. nelle sentenze n. 210 e 641 del
1987.
Ne
deriva che la legittimazione processuale non spetta solo ai soggetti pubblici,
come Stato, regioni, province, comuni, enti autonomi parchi nazionali, etc. -
in nome dell'ambiente come interesse pubblico - ma anche alla persona singola o
associata - in nome dell'ambiente come diritto soggettivo fondamentale di ogni
uomo.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, ANPP, 1996, 871).
In tema di
legittimazione degli enti e delle associazioni ecologistiche a costituirsi
parte civile, deve ritenersi che, quando l'interesse diffuso alla tutela
dell'ambiente non è astrattamente connotato, ma si concretizza in una
determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo,
diventando la ragione e, perciò, elemento costitutivo di esso, è ammissibile la
costituzione di parte civile di tale ente, sempre che dal reato sia derivata
una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito.
E', in primis,
configurabile, in capo alle associazioni ecologiste, la titolarità di un
diritto soggettivo e di un danno risarcibile, individuabile nella salubrità
dell'ambiente, sempre che una articolazione territoriale colleghi le
associazioni medesime ai beni lesi, sicché esse sono legittimate all'azione
aquiliana per la difesa del proprio diritto soggettivo alla tutela
dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente.
E', inoltre,
ipotizzabile la lesione del diritto della personalità dell'ente e la
conseguente facoltà delle associazioni di protezione ambientale di agire per il
risarcimento dei danni morali e materiali relativi all'offesa, diretta ed
immediata, dello scopo sociale, che costituisce la finalità propria del
sodalizio.
Nella specie la
Corte ha ritenuto che l'associazione Lega ambiente - ente esponenziale della
comunità in cui si trova il bene collettivo oggetto di lesione ed avente a
scopo la salvaguardia degli interessi lesi dal reato – fosse legittimata a
costituirsi parte civile, ai sensi dell'art. 185 c.p. e 74 c.p.p., sia per la
tutela del diritto collettivo all'ambiente salubre, sia per la protezione del
diritto della personalità in conseguenza del discredito derivante alla propria
sfera funzionale dalla condotta illecita.
(Cass. pen., sez. III, 26.9.1996, n. 8699, GP, 1998, III, 590).
Il disposto
dell'art. 18, 3° co., n. 3, l. 8 .7.1986, n. 349, in base al quale
"l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in
sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali
incidono i beni oggetto del fatto lesivo", e le associazioni ambientaliste
individuate ai sensi del precedente art. 13 "possono intervenire nei
giudizi per danno ambientale", non impedisce che le associazioni suddette,
in base alla disciplina dettata dagli artt. 91, ss. c.p.p., possano ugualmente
costituirsi parte civile.
L'interesse da
esse perseguito deve essere quello, genericamente inteso, all'ambiente, o
comunque un interesse che, in quanto caratterizzato da un mero collegamento con
l'interesse pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del sodalizio e
non risarcibile, ma sia invece un interesse che si concretizzi in una
determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo,
cessando così di essere comune alla generalità dei cittadini.
Il diritto di
costituirsi parte civile, onde ottenere il risarcimento del danno costituito
dalla lesione del diritto soggettivo inerente allo scopo da esse perseguito,
deve quindi riconoscersi alle associazioni ecologiste rispondenti alle suddette
caratteristiche e dotate di un'articolazione territoriale che li colleghi ai
beni lesi, quali, nella specie, la Lega ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 9.7.1996, n. 8699, ANPP, 1996, 871).
Le associazioni
di protezione dell'ambiente, ivi comprese quelle a carattere locale non
riconosciute ex art. 13, l. 349/1986, possono intervenire nel processo e
costituirsi parti civili, in quanto abbiano dato prova di continuità della loro
azione, aderenza al territorio, rilevanza del loro contributo, ma soprattutto
perché formazioni sociali nelle quali si svolge dinamicamente la personalità di
ogni uomo, titolare del diritto umano all'ambiente.
Nella
specie, in applicazione di tali principi, è stata riconosciuta la
legittimazione processuale dell'associazione WWF in un procedimento penale per
violazione dell'art. 734, c.p., e dell'art. 1, sexies, l. 8.8.1985, n. 431, in
relazione ad attività di coltivazione di una cava).
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, ANPP, 1996, 871).
L'associazione
Lega ambiente, quale ente esponenziale dell'interesse diffuso all'integrità
dell'ambiente, è legittimata a costituirsi parte civile e a richiedere il
risarcimento dei danni in un procedimento penale per inquinamento da rumore.
(Pret.
Castiglione Lago, 16.5.1996, RGU, 1996, 810).
L'art. 666,
c.p.p., attribuisce all'interessato la legittimazione ad instaurare il
procedimento di esecuzione.
Il termine
volutamente generico ed indeterminato si riferisce a qualsiasi soggetto, che
abbia partecipato o meno al giudizio di cognizione e sia titolare di situazioni
giuridiche soggettive alle quali potrebbe derivare un vantaggio o un
pregiudizio in seguito al consolidamento o alla rimozione di un determinato
deliberato.
Logicamente
il vantaggio alla propria sfera giuridica soggettiva non deve essere
necessariamente patrimoniale, ma può consistere in un qualsiasi risultato
positivo, sicché, trattandosi di enti esponenziali di interessi diffusi,
occorre considerare la disposizione dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349 ed i
presupposti su cui si fonda la legittimazione delle associazioni ambientaliste
a costituirsi parte civile quali il diritto soggettivo della personalità per un
ente radicato sul territorio.
(Cassazione
penale sez. III, 23.1.1996, n. 225, CP, 1997, 1418).
Le associazioni
individuate a norma dell'art. 13 della l. 349 del 1986 sono legittimate a
costituirsi parte civile nei confronti di imputati di reati produttivi di danno
ambientale, in quanto titolari di un vero e proprio diritto soggettivo alla
conservazione e alla integrità dell'ambiente.
Ne è conferma il
carattere "concorrente" dell'identica legittimazione spettante, per
espressa previsione di legge, allo Stato e agli altri enti territoriali.
(Pret. Velletri,
9.10.1992, GP, 1993, III, 490).
Le
associazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parte civile nei
procedimenti penali a carico dei soggetti che abbiano arrecato un danno
ambientale, a nulla rilevando lo schema processuale di correlazione tra
costituzione di parte civile e danno risarcibile, dato che è la legge stessa a
consentire la partecipazione ai giudizi per danno ambientale dei soggetti in
parola.
(Cass. pen., sez. III, 17.3.1992, GI, 1992, II, 465).
Alle associazioni
ambientaliste, in base all'art. 18, l. 349 del 1986, nei giudizi per i danni
patrimoniali è consentito solo un intervento ad adiuvandum, giacchè i
giudizi per l'ordinaria azione di danni possono essere promossi solo dallo
Stato e dagli enti territoriali.
(Pret. Catania,
22.11.1991, RGE, 1992, I, 530).
La dottrina appare sicuramente
sulla posizione di riconoscere la legittimazione alle associazioni
ambientaliste di costituirsi parte civile nel processo penale.
Essa tende a riconoscere ai
privati anche funzioni aventi una obiettiva connotazione pubblicistica
(Dell’Anno 2000, 180).
La giurisprudenza presume
acquisito ex lege il consenso dello Stato alla costituzione di parte
civile delle associazioni ambientaliste.
L'esercizio del
diritto e delle facoltà spettanti agli enti ed alle associazioni senza scopo di
lucro, aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, è subordinata
al consenso della persona offesa, che va acquisito nelle forme di cui all'art.
92, c.p.p.
La l. 8.7.1986,
n. 349, ha riconosciuto alle suddette associazioni, che perseguono il fine di
assecondare l'attività dello Stato nella salvaguardia dell'ambiente, la facoltà
di intervenire in giudizio tutte le volte in cui è in gioco il riconoscimento
del diritto al risarcimento dei danni conseguenti al pregiudizio reale o
potenziale che una certa condotta può arrecare all'ambiente, ovvero ad un suo
componente essenziale, qual è il territorio.
Lo stesso
ordinamento positivo offre un generalizzato e preventivo consenso dello Stato a
quelle associazioni che, come "Italia Nostra", possono far valere
dinanzi al giudice ordinario le loro istanze.
Fattispecie
relativa ai reati ex art. 20, l. 28.2.1985, n. 47 e 1 sexies, l. 8.8.1985, n.
431, nella quale il ricorrente aveva lamentato che la costituzione di parte
civile dell'associazione "Italia Nostra" era avvenuta senza il
consenso della persona offesa dal reato.
(Cass. pen., sez. V, 12.1.1996, n. 2361, CP, 1997, 499).
3.3. L’interesse ad agire.
Legislazione l. 29.10.1987, n. 441, artt. 1
ter, 2° co. e 3, 2° co.
Bibliografia Cassese 2000 (2).
Il ricorrente che voglia
impugnare gli atti amministrativi riguardanti provvedimenti che riguardano
l’ambiente, ad esempio la localizzazione di impianti industriali o di smaltimento
dei rifiuti deve documentare l’interesse sostanziale ad agire in giudizio e la
prova del danno ricevuto nella sfera dei propri interessi (Cassese S. 2000 (2),
1570).
Nel processo
amministrativo il soggetto che agisce in giudizio deve sempre specificare
l’interesse sostanziale di cui asserisce essere titolare e che assume essere
stato illegittimamente leso dal provvedimento impugnato, affinché il giudice
adito possa preliminarmente verificare se si tratta di un interesse tutelato, e
in quale misura, dal diritto vigente.
La legittimazione
ad insorgere contro la localizzazione di una discarica presuppone che
l’interessato precisi il suo concreto pregiudizio che ne deriva alla propria
sfera giuridica, pregiudizio che non è evincibile dalla mera appartenenza al
territorio comunale, dovendo, invece, ricollegarsi a situazioni ben
determinate, quale, ad esempio, la circostanza che la localizzazione
dell’impianto riduca il valore economico del fondo o dell’abitazione ubicati
nelle immediate vicinanze della discarica oppure la circostanza che le
prescrizioni dettate dall’autorità competente –per quanto attiene alle modo di
gestione dell’impianto – siano inidonee a salvaguardare la salute di chi vive
nelle vicinanze della discarica, sì da potere riconoscere al proprietario del
fondo o della casa finitimi, ovvero a chi vive o lavora in prossimità della
discarica, in interesse qualificato e differenziato a ricorrere per denunciare
l’illegittimità dell’atto di localizzazione dell’impianto.
(T.A.R. Piemonte,
sez. II, 23.6.1997, n. 355, T.A.R., 1997, 3021).
Un preteso
interesse legittimo diffuso alla tutela dell'ambiente non è sufficiente a
radicare un interesse all'impugnazione di una concessione edilizia, in assenza
di un concreto collegamento con l'area interessata all'edificazione.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 16.3.1993, n. 303, RGA, 1994, 275).
L'interesse
all'impugnazione in materia edilizia sussiste ogniqualvolta i provvedimenti che
consentono l'edificazione provochino una degradazione urbanistica, arrecando
quindi pregiudizio all'ambiente e non solo nei limiti in cui possa verificarsi
una sottrazione di area o di luce o di visuale panoramica; pertanto, nel caso
di provvedimento lesivo dell'integrità ambientale della zona, l'interesse va
riconosciuto non soltanto ai titolari del diritto reale di proprietà o di altri
diritti reali limitati o di diritti di credito (locazione, comodato) sugli
immobili confinanti con l'area interessata dall'illegittimo permesso di
costruzione, o comunque almeno su di essa prospicienti, bensì anche a tutti
coloro che siano residenti o domiciliati o comunque abitino nella zona in cui è
compresa tale area.
(T.A.R. Sicilia,
sez. II, Catania, 26.7.1991 n. 629, T.A.R., 1991, I, 3669).
La giurisprudenza riconosce,
parimenti, la qualifica di controinteressato solo a coloro che dall’atto
traggono un vantaggio personale e diretto.
Il
Ministro dell'ambiente non riveste la posizione di controinteressato in sede di
impugnazione giudiziale del piano regionale dei servizi di smaltimento dei rifiuti,
nonostante le funzioni di indirizzo e coordinamento nonché di gestione dei
fondi demandategli in materia dagli artt. 1 ter, 2° co. e 3, 2° co., l.
29.10.1987, n. 441, in quanto controinteressati sono solo i soggetti a cui
l'atto impugnato direttamente si riferisce e che, traendo da esso un vantaggio
personale e diretto giuridicamente rilevante, siano portatori di un interesse
sostanziale analogo e di segno contrario a quello del ricorrente.
(Cons. Stato,
sez. VI, 21.10.1996, n. 1379, RGA, 1997, 573).
Sebbene
il Coordinamento associazioni difesa ambiente e diritti utenti e consumatori -
Co.Da.Cons. abbia un interesse ad intervenire nei procedimenti di competenza
dell'Autorità garante per la concorrenza e per il mercato, ciò, tuttavia,
esclude che, al contempo, possa riconoscersi ad esso la qualità di
controinteressato e parte necessaria cui debba essere notificata l'impugnazione
degli atti dell'Autorità.
La posizione
fatta valere da questa associazione, invero, in nulla si differenzia da quella
comune a tutti i consumatori - in particolare a tutti gli utenti dei servizi
assicurativi - consistente nell'interesse al buon funzionamento del mercato
assicurativo in rigorosa applicazione di regole concorrenziali, per i quali il
pregiudizio derivante dall'annullamento dell'atto impugnato è eventuale e
indifferenziato.
(T.A.R. Lazio,
sez. I, 1.8.1995, n. 1474, FA, 1996, 1017).
Le funzioni di
indirizzo e coordinamento delle attività nonché di gestione dei fondi per la
realizzazione dei piani regionali di smaltimento rifiuti, demandate al ministro
dell'ambiente dagli art. 1-ter, e 3, l. 29.10.1987, n. 441, non valgono a
conferire al predetto ministro la posizione di controinteressato in sede di
impugnazione giudiziale del suddetto piano, dovendosi intendere per controinteressati
solo quei soggetti ai quali l'atto impugnato direttamente si riferisce, e che,
traendo da esso un vantaggio personale e diretto giuridicamente rilevante,
siano portatori di un interesse analogo e di senso contrario a quello del
ricorrente.
(Cons. Stato,
sez. IV, 16.1.1993, n. 40, FA, 1993, 74).
4. L'azione di risarcimento.
Soggetti attivi.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 18, 3°
co
Bibliografia Dell’Anno 2000.
E’ lo Stato, nonché gli enti
territoriali sui quali incidono i beni fatti oggetto del danno, che promuove
l’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede
penale.
Nel caso di costituzione delle
associazioni ambientaliste deve essere espresso il consenso dello Stato come
parte lesa dal reato (Dell’Anno P. 2000, 182).
Allo Stato va liquidato il danno
ambientale, mentre alle associazioni ambientaliste va liquidate solo le spese
sostenute nel giudizio.
La difficoltà di
differenziazione della componente individuale di ogni danno ambientale è
superabile in termini giuridici non solo allorché la domanda abbia per oggetto
una misura cautelare oppure il ripristino, ove possibile, dello stato dei
luoghi, sanzione che ha portata generale, ma anche quando si debba valutare e
quantificare in termini monetari il danno ambientale,
Il
"risarcimento" va attribuito ai soli soggetti pubblici, mentre i
singoli e le associazioni possono solo domandare la liquidazione delle spese e
degli onorari di difesa per l'attività promozionale svolta nel processo.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1996, n. 9837, ANPP, 1996, 871).
La
regione e, più in generale, gli enti territoriali sono legittimati a
costituirsi parte civile ai sensi dell'art. 18, l. 8.7.1986, n. 349, perché il
danno ambientale derivante dal reato incide sull'ambiente, come assetto
qualificato del territorio, il quale è elemento costitutivo di tali enti e
perciò oggetto di un loro diritto di personalità.
Non
sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni,
ancorché abbiano ottenuto il riconoscimento governativo, ex art. 13, l.
349/1986, quando l'interesse perseguito sia quello all'ambiente genericamente
inteso o comunque un interesse che, per essere caratterizzato da un mero
collegamento ideologico con l'interesse pubblico, resta un interesse diffuso,
come tale non proprio del sodalizio e perciò anche non risarcibile.
(Cass. pen., sez. III, 15.6.1993, CP, 1995, 1936).
Ai fini della
esistenza di un danno ambientale, la l. 8.7.1986, n. 349 contempla anche
l'ipotesi della semplice alterazione in una delle componenti ambientali,
sicuramente riscontrabile nel caso di immissione in un corpo ricettore di
inquinanti chimici oltre la soglia ritenuta pericolosa dalla legge, tale da
giustificare addirittura la sanzione penale.
La legittimazione
delle associazioni di protezione dell'ambiente, ex art. 18 l. 8 luglio 1986 n.
349, in ordine al danno ambientale, ha fini meramente processuali di impulso e
controllo sociale.
Tali associazioni
possono domandare al giudice civile in sede autonoma o al giudice penale nel
caso di costituzione di parte civile il ripristino della situazione dei luoghi
a spese dell'obbligato, ove sia naturalmente possibile.
Le stesse
associazioni, invece, non possono ottenere la liquidazione del danno ambientale
in termini monetari, ex art. 18 l. n. 349 del 1986, in quanto tale liquidazione
va operata a favore dello Stato e di altri enti pubblici territoriali e non è
concepibile una corresponsione di un risarcimento di danni di natura pubblica a
favore di organismi non pubblici, mentre il diritto al rimborso delle spese
processuali è del tutto legittimo, in quanto l'intervento delle associazioni è
previsto dalla legge e le spese seguono la soccombenza a favore di tutti i
soggetti comunque legittimati a far valere la domanda.
(Cass.
penale sez. III, 10.11.1993, RPE, 1995, 372).
E'
legittimato al risarcimento del danno ambientale, ai sensi dell'art. 18, 3°
co., l. 8.7.1986, n. 349, il solo ente territoriale offeso nell'ambiente come
assetto del territorio, che è, appunto elemento costitutivo dell'ente stesso.
(Cass. pen., sez. III, 13.11.1992, RGE, 1993, 275).
La regione può
costituirsi parte civile nel procedimento penale contro gli autori di fatti
produttivi di danno ambientale, per esercitare in quella sede l'azione di
risarcimento; pertanto, l'art. 18, 1°, 3° co., l. 8.7.1986, n. 349, non è in
contrasto con gli artt. 5, 9, 24 e 117 della cost., in quanto la circostanza
che spetti allo Stato il risarcimento del cosiddetto danno ambientale non
preclude alla regione di costituirsi parte civile contro gli autori di un fatto
delittuoso, che abbia inciso su beni siti in territorio regionale.
(Corte Cost., 12.4.1990, n. 195, CS, 1990, II, 675).
5. Condono edilizio e danno
ambientale.
Legislazione
l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 - l. 28.2.1985, n. 47,
art. 32 - l. 23.12.1996, n. 662, art. 2, 46° co.
Bibliografia Centofanti 1998.
La concessione in sanatoria regolarizza
ad ogni effetto la costruzione delle opere eseguite che devono perciò essere
considerate conformi alla suddetta disciplina urbanistica ed edilizia.
Il rilascio del provvedimento
concessorio esclude la applicabilità delle sanzioni amministrative, penali e
fiscali previste per la violazione della normativa stessa, ma non impedisce in
alcun modo la applicabilità delle sanzioni previste per lo stesso fatto -
realizzazione del manufatto - da normative che tutelino interessi diversi.
La giurisprudenza ha escluso che
la presentazione della domanda di sanatoria produca la sospensione del
procedimento volto ad applicare l'indennità di cui all'art. 15, l. 25.6.1939,
n. 1497 o del successivo processo di fronte al Tribunale amministrativo
regionale in seguito all'impugnativa dell'atto di applicazione dell'indennità.
L'indennità di cui all'art. 15,
l. 29.6.1939, n. 1497, è diretta a colpire la manomissione del territorio
operata dall'intervento abusivo, al fine di reintegrare il valore patrimoniale
del bene pubblico compromesso dall'intervento dannoso (Centofanti N. 1998, 72).
Essa differisce dall'oblazione di
cui all'art. 34, l. 28.2.1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le sanzioni
pecuniarie legate all'illecito urbanistico.
In
base all'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, e alla luce del carattere innovativo
dell'art. 2, 46° co., l. 23.12.1996, n. 662, l'indennità risarcitoria per le
opere abusive oggetto di condono è dovuta anche qualora sia intervenuto, da
parte dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli paesaggistici, parere
favorevole, ex art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, su un'opera dannosa per
l'ambiente, ma ritenuta non assolutamente incompatibile con la tutela del
vincolo sulla base di una valutazione comparativa degli interessi pubblici e
privati coinvolti.
L'indennità
suddetta non è invece dovuta e gli eventuali provvedimenti in tal senso assunti
sono illegittimi, qualora il parere favorevole venga rilasciato per un'opera
che non configuri alcun danno ambientale.
(T.A.R. Lazio
sez. II, 21.6.1999, n. 1531, FA, 1999, 1856).
L’art. 2, 46° co., l. 23.12.1996,
n. 662 espressamente dispone che il versamento dell'oblazione non esime
dall'applicazione della indennità di cui all'art. 15, l. n. 1497 del 1939.
La norma, inoltre, attribuisce al
Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro per i
lavori pubblici, la fissazione dei parametri e delle modalità per la
determinazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 15, l. 1497/1939,
con riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali
oggetto di vincolo.
6. Il potere di ordinanza
sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale.
Il provvedimento adottato dal
sindaco e dai Responsabili dei settori specifici, ai sensi dell'art. 14, d.lg.
5 febbraio 1997, n. 22, dell'art. 54 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, con il quale
si ordina di provvedere alla rimozione, all'avvio, al recupero o allo
smaltimento dei rifiuti giacenti nel terreno, mediante anche la recinzione
metallica, entro 30 giorni dalla notifica, decorsi i quali si procederà in
danno dei proprietari con il recupero delle somme anticipate è una ordinanza
sindacale contingibile e urgente in materia igienico-sanitaria e ambientale, la
cui misura sanzionatoria è eventuale, ai sensi dell'art. 54 comma 4 d.lg. n.
267 del 2000.
Il regime delle impugnazioni
avverso le ordinanze in parola è devoluto alla giurisdizione del g.a.
Le ordinanze sindacali in materia
di igiene e sanità, di cui all'art. 54 del citato D.Lgs. 267 del 2000 (come quella
in esame) devono essere precedute dalla comunicazione di avvio di cui al detto
art.7 quando costituiscono l'atto conclusivo di un procedimento compatibile con
tale comunicazione(cfr. Cons. Stato, Sez.V, 9 febbraio 2001,n.580), mentre la
comunicazione non va data quando sussistano ragioni di impedimento derivanti da
particolari esigenze di celerità del procedimento atteso il grave pericolo e
danno imminente (cfr. Tar Toscana, Sez. II, 14 febbraio 2000, n.168; idem,
Sez.III, 23 marzo 2001, n. 616).
Nel caso di
specie, dallo stesso provvedimento impugnato non emerge il riferimento ad un
pericolo imminente, ma risulta che il Comune ha già provveduto alla bonifica
relativa alle aree interne del complesso IACP; l'ordine adottato dal Sindaco
con l'atto impugnato è volto alla bonifica delle aree esterne di proprietà dei
privati e rappresenta la parte conclusiva del più complesso procedimento di
recupero delle aree (già avviato dal Comune) che, come tale, deve essere
assistito dalle garanzie partecipative allo stesso da parte degli interessati.
(T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 3.2.2005, n. 764, FATAR, 2005, f. 2, 467).
(T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 3.2.2005, n. 764, FATAR, 2005, f. 2, 467).
L'ordinanza-ingiunzione di
pagamento avente le caratteristiche di cui all'art. 22 ss. l. n. 689 del 1981 è
invece ricorribile al giudice oridnario.
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