1.1
PARTE PRIMA LA
PIANIFICAZIONE
CAPITOLO II I vincoli alla
proprietà privata disposti dalla pianificazione sovracomunale.
SOMMARIO:
7. Il piano territoriale di coordinamento.
8. Il
contenuto. Gli effetti.
9. Le
funzioni regionali in materia.
10.
Il piano territoriale regionale.
11.
La procedura di formazione.
12.
La difformità delle disposizioni di piano regolatore rispetto al piano
territoriale regionale.
13.
Il piano territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della
provincia.
14.
Gli effetti. La tutela.
15. I
limiti alle disposizioni del piano provinciale.
16.
La procedura di formazione nella legislazione regionale dell’Emilia Romagna.
17.
La procedura di formazione nella legislazione regionale della Lombardia.
18.
Il piano territoriale paesistico.
19.
Le questioni di costituzionalità.
20.
La procedura di approvazione. La partecipazione dei comuni.
21.
L’obbligatorietà del piano paesistico.
22.
Gli effetti dell’approvazione. Il recepimento da parte dei comuni. 22.1.
L'applicazione delle misure di salvaguardia.
23.
Il piano di bacino.
24. I
parchi nazionali.
25. I
parchi regionali.
26.
La legislazione regionale della Lombardia. Il piano territoriale di
coordinamento del parco.
27.
La procedura per l'approvazione dei piani dei parchi. La fase amministrativa.
28.
La procedura per l'approvazione dei piani dei parchi. La fase legislativa
eventuale.
29. I
rapporti con gli strumenti di pianificazione territoriale.
30.
Le misure di salvaguardia.
31.
La non indennizzabilità del vincolo di interesse storico o ambientale.
32.
La conformità ai principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
7. Il piano
territoriale di coordinamento.
LEGISLAZIONE: l. urb. 1150/1942, artt. 5, 6.
La programmazione sovracomunale ha
come obiettivo la sistemazione complessiva del territorio e riguarda tutta
l’area considerata; mentre la programmazione settoriale persegue finalità
specifiche di assetto e, di conseguenza, prende in considerazione solo le zone
del territorio da esse interessate, secondo gli indirizzi di quella generale
cui deve necessariamente conformarsi.
La dottrina, rilevando la
connessione fra programmazione economica e assetto territoriale, afferma che la
gestione del territorio deve partire dalla pianificazione generale (Abbamonte
1998, 812).
I piani territoriali istituiti
dagli artt. 5, 6 della legge urbanistica del 1942 trovano, di fatto, attuazione
solo dopo che la pianificazione urbanistica comunale è stata realizzata nella
quasi totalità dei comuni.
Il
piano territoriale è strumento di indirizzo generale della politica del
territorio che autorità diverse adottano al fine di sovrapporre alla
pianificazione comunale determinazioni di carattere e portata di direttive,
scaturenti da una più globale problematica valutazione complessiva del
territorio in quanto assunto e preso in considerazione su più larga scala ed
estensione
(Assini
2000, 77).
Viene alterato così dai fatti il
processo logico che vuole prima uno strumento generale programmatico di
intervento sul territorio e poi la programmazione settoriale comunale.
I piani si possono definire a
livello regionale, sovralocale, comunale, classificandoli in rapporto
all’ambito territoriale compreso nella programmazione,
Si può, inoltre, definire la
pianificazione: come progettuale, determinativa o pianificazione-provvedimento,
a seconda della specificità delle previsioni.
La classificazione più diffusa
distingue, comunque, la pianificazione di direttive, quella operativa e quella
di attuazione. Essa comprende i criteri della rilevanza del territorio, dei
destinatari, dell’analiticità delle previsioni e dell’efficacia dei piani.
La prima comprende i piani di ampia
estensione spaziale, che contengono essenzialmente direttive generali, rivolte
alle pubbliche autorità, par la programmazione del territorio; la seconda si
riferisce ai piani che hanno lo scopo di realizzare le previsioni dei
precedenti a livello comunale, vedi il piano regolatore generale; la terza è
costituita dai piani che stabiliscono prescrizioni più precise per zone
infracomunali, vedi il piano particolareggiato
In
particolare, alla base di tale classificazione sussiste l’idea che la
pianificazione attinente al territorio si snodi in una sequenza gradualistica
di comandi sempre meno astratti e sempre più concreti nella quale i vari piani
sono collegati da relazioni di sovra-sottordinazione, nel senso che quelli a
scala più ridotta risultano vincolati a quelli a scala più ampia
(Sciullo
1996, 139).
In relazione ai destinatari si può
chiamare autopianificazione, eteropianificazione e pianificazione
plurisoggettiva.
La prima definizione si utilizza
qualora il piano riguardi soggetti che ne sono gli autori; la seconda nel caso
di altri soggetti pubblici, l’ultima per i destinatari privati.
La dottrina critica la abbondanza
di normative che finisce, nella sovrapposizione di enti addetti alla gestione
del territorio, per creare una completa confusione.
La pluralità di enti dà origine,
infatti, inevitabilmente a una pluralità di ordinamenti che, se mal coordinati,
determinano uno stato di incertezza e paralizzano anche attività minime
essenziali per gli utenti.
Esistono
vaste zone del territorio nazionale che - soggette, come tutte, alla disciplina
urbanistica - rientrano contemporaneamente tra le aree dei parchi naturali (
nazionali o regionali), nonché di interesse paesistico oppure
storico-artistico-archeologico (e tra poco, dovrebbero sovrapporsi anche i
piani di bacino, previsti dalla legge sulla difesa del suolo). In tali casi,
anche per aprire una finestra, il proprietario di un fabbricato dovrebbe
ottenere quattro diverse e defatiganti autorizzazioni (concessione edilizia,
nulla osta dell’Ente parco, l’autorizzazione paesistica regionale e
l’autorizzazione della Sovrintendenza ai beni architettonici o archeologici)
(D’Angelo
1997, 169).
8. Il contenuto.
Gli effetti.
LEGISLAZIONE: l. urb. 1150/1942, art. 5.
Il piano territoriale di
coordinamento nasce colla legge urbanistica, essendo previsto dall'art. 5 della
l. 1150/ 1942, allo scopo di inquadrare la programmazione urbanistica comunale
nelle scelte strategiche operate su un più vasto ambito territoriale (Breganze
1996, 242).
Il contenuto del piano è
determinato dalla l. urb.
Allo
scopo di orientare o coordinare l'attività urbanistica da svolgere in determinate
parti del territorio nazionale, il ministero dei lavori pubblici ha facoltà di
provvedere, su parere del consiglio superiore dei lavori pubblici, alla
compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di
ogni singolo piano.
Nella
formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel
territorio considerato, in rapporto principalmente:
a)
alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali
vincoli o limitazioni di legge;
b)
alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi od impianti di
particolare natura ed importanza;
c)
alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie,
elettriche, navigabili esistenti e in programma.
I
piani, elaborati d'intesa con le altre amministrazioni interessate e previo
parere del consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati per decreto
reale su proposta del ministro per i lavori pubblici, di concerto col ministro
per le comunicazioni, quando interessino impianti ferroviari, e col ministro
per le corporazioni, ai fini della sistemazione delle zone industriali nel
territorio nazionale.
Il
decreto di approvazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del regno, e,
allo scopo di dare ordine e disciplina anche all'attività privata, un esemplare
del piano approvato deve essere depositato, a libera visione del pubblico,
presso ogni comune il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte,
nell'ambito del piano medesimo
(art.
5, l. 17.8.1942, n. 1150).
Nel piano devono stabilirsi le
direttive da seguire nella programmazione territoriale, principalmente in
rapporto alle zone da riservare a speciali destinazioni o soggette a vincoli o
a limitazioni di legge; alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi
o di impianti di particolare natura o importanza; alla rete delle principali
linee di comunicazione, stradali, ferroviarie, elettriche (Morbidelli 1991, 9).
La l. urb. non ha previsto alcun
effetto in ordine all’approvazione del piano, esprimendo ai comuni un generico
invito al recepimento non sanzionato, in sede di approvazione dei piani:
Il
piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato e può
essere variato con decreto reale previa la osservanza della procedura che sarà
stabilita dal regolamento di esecuzione della presente legge.
I
comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell'ambito di un
piano territoriale di coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il
rispettivo piano regolatore comunale
(art.
5, l. 17.8.1942, n. 1150).
Effetti sostanzialmente diversi
derivano dalla legislazione regionale, che impone agli strumenti urbanistici
comunali di adeguarsi alle disposizioni di piano e, quindi, vieta il rilascio
di permessi di costruire in contrasto con tali disposizioni.
Le
disposizioni del piano territoriale regionale di coordinamento prevalgono su
quelle del piano regolatore generale, essendo quindi del tutto irrilevante in
senso contrario che il piano regolatore generale di un comune sia successivo al
piano territoriale regionale di coordinamento
(T.A.R.
Veneto, sez. II, 29.5.1995, n. 876, FA, 1996, 194).
Da tali funzioni scaturiscono
effetti diversi.
La funzione programmatoria del
piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, ad
adeguarsi alle sue disposizioni.
Le indicazioni, aventi carattere
precettivo, comportano di norma l’adozione delle misure di salvaguardia.
Il piano può avere una disciplina
prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle
disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione
sulle domande di permesso di costruire per due anni dalla data di approvazione
del progetto di piano regionale (l.r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, art. 7).
La giurisprudenza ha ravvisato un
limite alla apposizione dei vincoli di piano.
Non è, infatti, possibile vietare
la manutenzione sugli immobili già edificati perché si concreterebbe una
limitazione del diritto del proprietario, che il provvedimento amministrativo,
in carenza di una apposita disposizione di legge, non può porre.
E'
costituzionalmente illegittimo l'art. 17, 3° co., l. r. Campania 35 del 1987,
di approvazione del piano urbanistico-territoriale dell'area
sorrentino-amalfitana, nella parte in cui vieta interventi edilizi anche di
manutenzione ordinaria e straordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/a,
realizzati successivamente al 1955, e consente solo interventi di manutenzione
ordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/b realizzati successivamente al
1955.
Detta
norma, infatti, introducendo un divieto generalizzato, assoluto e
indiscriminato di interventi di conservazione e manutenzione delle costruzioni
legittimamente esistenti, non si uniforma ai principi generali in tema di
generale ammissibilità delle opere edilizie di manutenzione degli edifici
esistenti in zone paesisticamente protette, desumibili dagli artt. 1, 1 ter
e 1 quinquies della l. 431 del 1985
(Corte
cost., 29.12.1995, n. 529, RGE, 1996, I, 3).
Alcune regioni hanno disposto la sospensione
del rilascio del permesso di costruire in attesa dell’adeguamento dei piani
urbanistici comunali, assegnando ai comuni un arco di tempo di 180 giorni per
adeguare il proprio piano regolatore generale alle prescrizioni introdotte dal
piano urbanistico territoriale.
In via sostitutiva è previsto
l'intervento della provincia, ente delegato competente.
Le norme hanno superato le censure di illegittimità sottoposte alla Consulta.
Le norme hanno superato le censure di illegittimità sottoposte alla Consulta.
E'
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con
riferimento agli artt. 117, 3 e 43 cost., degli artt. 5 e 35 della l.r.
Campania che hanno disposto la sospensione del rilascio di concessioni edilizie
assegnando ai comuni un arco di tempo di 180 giorni per adeguare il proprio
piano regolatore generale alle prescrizioni introdotte dal piano urbanistico
territoriale e prevedendo in mancanza l'intervento della provincia, ente
delegato competente.
Questi
articoli, né violano l'art. 117 sotto il profilo del contrasto con il principio
desumibile dalle leggi statali di principio, nel senso della non vincolatività
nei confronti dei cittadini delle prescrizioni contenute nel piano
territoriale, né violano gli artt. 3 e 42 cost., sotto il profilo di una
ingiusta compressione del diritto di proprietà, in quanto il divieto di
rilascio di concessione ha durata limitata nel tempo
(T.A.R.
Campania, sez. III, Napoli, 26.4.1995, n. 181, GM, 1996, 112).
Se il legislatore regionale ha
fissato termini perentori per l’adozione del piano territoriale di
coordinamento le attività che rimangono in salvaguardia fino a detto termine
possono legittimamente esercitarsi in caso di inadempimento nell’approvazione
dello strumento urbanistico richiesto.
Ove
il legislatore regionale abbia consentito determinate attività edilizie,
subordinando parte di esse all'esecutività di un Piano territoriale di
coordinamento da adottarsi entro un certo termine, tale termine deve ritenersi
perentorio
(T.A.R.
Sicilia Catania, sez. I, 3.7.2001, n. 1315).
9. Le funzioni regionali
in materia.
LEGISLAZIONE: l. r. Lombardia
15.4.1975, n. 51, artt. 6, 7.
Il trasferimento alle regioni delle
funzioni in materia di urbanistica e di opere pubbliche di interesse regionale,
ai sensi dell'art. 117 della costituzione, inizia col d.p.r. 8/1972.
Questo è completato dal d.p.r.
616/1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative riguardanti
l'approvazione degli strumenti urbanistici sovracomunali e di quelli generali
ed attuativi, il rilascio di concessioni urbanistiche ed in deroga ed i
provvedimenti repressivi, le competenze in materia di espropriazione per
pubblica utilità.
Con le funzioni sono trasferiti gli
uffici periferici del Ministero dei lavori pubblici: il Genio civile, il
Provveditorato opere pubbliche, comprese le sezioni urbanistiche istituite
presso i provveditorati.
Allo Stato è riservata la funzione di indirizzare e di coordinare nelle linee fondamentali l'assetto del territorio nazionale e quella di disciplinare le aree sismiche.
Allo Stato è riservata la funzione di indirizzare e di coordinare nelle linee fondamentali l'assetto del territorio nazionale e quella di disciplinare le aree sismiche.
Le regioni hanno regolato i
contenuti del piano, dando nuovi effetti alla programmazione territoriale ed
imponendo un diverso ruolo alle amministrazioni che operano sul territorio.
La l. r. Lombardia 15.4.1975, n.
51, all’art. 6 prevede che il piano abbia come contenuto obbligatorio:
l’indicazione delle opere pubbliche e degli impianti necessari per servizi di
interesse regionale, l’indicazione degli ambiti territoriali da destinare a
indirizzi speciali e di quelli da riservare a parchi naturali (Pagano 1975,
21).
Da tali funzioni scaturiscono
effetti diversi.
La funzione programmatoria del
piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, ad
adeguarsi alle sue disposizioni.
Le prescrizioni aventi carattere
esecutivo comportano di norma l’adozione delle misure di salvaguardia.
Il piano può avere una disciplina
prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle
disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione
sulle domande di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 7 della l. r.
Lombardia 15.4.1975, n. 51 e mod.
I piani attuativi delle aree
individuate di interesse regionale nei piani territoriali sono soggetti alla
approvazione regionale, non applicandosi le semplificazioni procedurali
previste dall'art. 24 della l. 47/1985.
10. Il piano
territoriale regionale.
LEGISLAZIONE: l. r. Lombardia
15.4.1975, n. 51, artt. 4, 7, 8.
Il piano territoriale costituisce
atto di indirizzo e coordinamento proprio della regione, che ne è responsabile
dal punto di vista formale e sostanziale, in quanto esso viene prima adottato
dal consiglio regionale, su proposta della giunta, e, dopo la pubblicazione e
l'esame delle osservazioni, esso viene emanato con legge regionale, ai sensi
degli artt. 4 e 8, 1° co., l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51. (T.A.R. Lombardia,
sez. II, Milano, 21.12.1992, n. 792, T.A.R., 1993, I, 469).
Il potere regionale di adottare ed
approvare i piani territoriali regionali ed i relativi stralci è riaffermato
dalla legislazione regionale anche dopo l’ulteriore trasferimento delle
funzioni urbanistiche alle province, ex art. 3, 2° co., l. r. Lombardia
5.1.2000, n. 1.
Effetti sostanzialmente diversi
derivano dalla legislazione regionale che impone agli strumenti urbanistici
comunali di adeguarsi alle disposizioni di piano e, quindi, vieta il rilascio
di concessioni edilizie in contrasto con tali disposizioni.
Le
disposizioni del piano territoriale regionale di coordinamento prevalgono su
quelle del piano regolatore generale, essendo quindi del tutto irrilevante in
senso contrario che il piano regolatore generale di un comune sia successivo al
piano territoriale regionale di coordinamento
(T.A.R.
Veneto, sez. II, 29.5.1995, n. 876, FA, 1996, 194).
La funzione programmatoria del
piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, che
devono recepire le sue disposizioni.
Le indicazioni, aventi carattere
precettivo, comportano l’adozione delle misure di salvaguardia.
Tale carattere è stato ribadito
dalla legge Galasso.
L'art.
1 bis della l. 8.8.1985, n. 431, ha reso i piani territoriali paesistici
di cui all'art. 5, l. 29.6.1939, n. 1497, assolutamente equivalenti ai piani
territoriali urbanistici; di conseguenza è possibile che i piani territoriali
di coordinamento, di cui all'art. 5 della Legge urbanistica, si facciano carico
anche di esigenze di tutela paesaggistica, imponendo vincoli di inedificabilità
assoluta
(T.A.R.
Marche, 22.3.1991, n. 134, FA, 1991, 3045).
Il piano ha una disciplina
prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici. In tal caso, a
tutela delle disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni
determinazione sulle domande di concessione edilizia, ai sensi dell’art. 7
della l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51 (Pagano 1975, 21).
Il piano urbanistico territoriale
non esplica direttamente la sua efficacia nei confronti delle singole proprietà
fondiarie, ma esso è esclusivamente rivolto alle amministrazioni pubbliche
territoriali che sono tenute all'adeguamento dei rispettivi strumenti
urbanistici a detto piano territoriale.
Il
piano urbanistico territoriale approvato con l. r. Campania 27.6.1987, n. 35 va
considerato, a tutti gli effetti, come un piano territoriale di coordinamento -
previsto dagli artt. 5 e 6 della l. 17.8.1942, n. 1150 - e si configura,
quindi, come strumento di indirizzo nonché di controllo inerente
all'utilizzazione del territorio, in grado di vincolare esclusivamente i
comuni; di conseguenza le prescrizioni urbanistiche del piano territoriale
stesso non possono ritenersi direttamente operative nei confronti dei privati
ed esse non impongono sui beni di questi ultimi vincoli immediati se non,
attraverso il recepimento del piano, quelli previsti dalla normativa
urbanistica di grado inferiore e di livello comunale
(T.A.R.
Campania, sez. III, Napoli, 6.8.1991, n. 248, FA, 1992, 1195. T.A.R.
Campania, sez. III, Napoli, 6.9.1993, n. 284, RGE, 1994, I, 362).
L’effetto precipuo
dell’approvazione consiste nella sospensione del rilascio del permesso di
costruire in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.
Alcune leggi regionali, ad esempio
la l. r. Campania 27.6.1987, n. 35, hanno assegnato ai comuni un arco di tempo
di 180 giorni per adeguare il proprio piano regolatore generale alle
prescrizioni introdotte dal piano urbanistico territoriale.
In via sostitutiva è previsto
l'intervento della provincia, ente delegato competente.
Le norme hanno superato le censure di illegittimità sottoposte alla Consulta.
Le norme hanno superato le censure di illegittimità sottoposte alla Consulta.
L'obbligo della temporaneità dei
vincoli urbanistici è, infatti, da considerare assolto quando la legge
stabilisce misure di salvaguardia, in attesa dell'emanazione di piani
regolatori comunali, prevedendo misure sostitutive nei confronti di enti
inadempienti.
La natura temporanea di tale misura
di salvaguardia è assicurata dal fatto che, in caso di inadempienza dei comuni,
entro un ragionevole limite temporale, è previsto il potere sostitutivo delle
comunità montane e delle province, salva l'ulteriore possibilità di intervento
del prefetto competente, mediante la nomina di un commissario.
E'
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con
riferimento agli artt. 117, 3 e 43 cost., degli artt. 5 e 35 della l. r.
Campania 27.6.1987, n. 35, che hanno
disposto la sospensione del rilascio di concessioni edilizie assegnando ai
comuni un arco di tempo di 180 giorni per adeguare il proprio piano regolatore
generale alle prescrizioni introdotte dal piano urbanistico territoriale e
prevedendo in mancanza l'intervento della provincia, ente delegato competente.
Questi articoli né violano l'art. 117 sotto il profilo del contrasto con il
principio desumibile dalle leggi statali di principio, nel senso della non
vincolatività nei confronti dei cittadini delle prescrizioni contenute nel
piano territoriale, né violano gli artt. 3 e 42 cost., sotto il profilo di una
ingiusta compressione del diritto di proprietà, in quanto il divieto di
rilascio di concessione ha durata limitata nel tempo
(T.A.R.
Campania, sez. III, Napoli, 26.4.1995, n. 181, GM, 1996, 112.
Corte cost., 7.11.1994, n. 379, CS, 1994, II, 1622).
Il piano, inoltre, può
legittimamente imporre vincoli di inedificabilità assoluta in presenza di
particolari e definite situazioni ambientali che si intendono tutelare.
Il
divieto di edificazione nella fascia costiera di cui all'art. 519, lett. f)
della l. r. Puglia, 31.5.1980, n. 56 non rappresenta una misura di
salvaguardia, ma un vincolo d'inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio
della concessione edilizia fino all'adozione del piano territoriale
(Cons. St., sez. V, 28.2.1995, n. 300, FA,
1995, 360).
La giurisprudenza ha ravvisato un
limite alla apposizione dei vincoli di piano considerando illegittimo il
divieto di manutenzione degli immobili già edificati.
E'
costituzionalmente illegittimo l'art. 17, 3° co., l. r. Campania 35 del 1987,
di approvazione del piano urbanistico-territoriale dell'area
sorrentino-amalfitana, nella parte in cui vieta interventi edilizi anche di
manutenzione ordinaria e straordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/a,
realizzati successivamente al 1955, e consente solo interventi di manutenzione
ordinaria su edifici esistenti nelle zone 1/b realizzati successivamente al
1955. Detta norma, infatti, introducendo un divieto generalizzato, assoluto e
indiscriminato di interventi di conservazione e manutenzione delle costruzioni
legittimamente esistenti, non si uniforma ai principi generali in tema di
generale ammissibilità delle opere edilizie di manutenzione degli edifici
esistenti in zone paesisticamente protette, desumibili dagli artt. 1, 1 ter
e 1 quinquies della l. 431 del 1985
(Corte
cost., 29.12.1995, n. 529, RGE, 1996, I, 3).
La legislazione regionale ha
unificato nel piano urbanistico territoriale le funzioni pianificatorie dei
piani territoriali di coordinamento e dei piani territoriali paesistici
riguardanti la salvaguardia ambientale che la giurisprudenza ha ritenuto
compatibili con i principi guida della legislazione statale.
L'art.
51, l. r. Puglia 31.5.1980, n. 56 - in estrinsecazione della competenza
legislativa diretta e concorrente di cui all'art. 177, 1° co., cost. in materia
di competenze pianificatorie trasferite alle regioni dall'art. 1, 4° co.,
d.p.r. 15.1.1972, n. 8, ha unificato nel c.d. piano urbanistico
territoriale-p.u.t., le funzioni pianificatorie dei piani territoriali di
coordinamento, ex art. 5, l. 17.8.1942, n. 1150, e dei piani territoriali
paesistici di cui all'art. 5, l. 29.6.1939, n. 1497 - ha introdotto, quale
normativa transitoria, veri e propri vincoli urbanistici aventi funzione sia di
misura di salvaguardia (intesa ad assicurare la immodificabilità delle zone ivi
contemplate) sia di temporanea inedificabilità assoluta di natura e carattere
urbanistico ancorché ad effetti (indiretti) di tutela paesistica e, lato
sensu, ambientale.
E’ da
escludere, pertanto, che detta disposizione normativa regionale possa
considerarsi incompatibile - e, quindi, abrogata per effetto dell'art 10, l.
10.2.1953, n. 62 - con la successiva legislazione statale, ex art. 1, l.
8.8.1985 n. 431.
Essa,
infatti, riguarda un oggetto diverso (vincoli urbanistici e non già
paesistici); essa è conforme, inoltre, ab origine alle finalità di
salvaguardia perseguite dall'art. 1 ter, l. 8.8.1985 n. 431.; essa, infine, non
introduce a regime un vincolo assoluto bensì temporaneo di inedificabilità,
quale misura di salvaguardia
(T.A.R.
Puglia Bari, sez. II, 15.3.1999, n. 111, FA, 1999, 1890).
11. La procedura di formazione.
LEGISLAZIONE:
l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51, art. 6 - l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, art.
3, 25° co.
Nella procedura di formazione del
piano territoriale di coordinamento regionale il comune ha un ruolo di incisiva
partecipazione alle scelte programmatorie attraverso lo strumento delle
osservazioni, al fine di contemperare gli interessi programmatori regionali con
quelli comunali, ex art. 6, l. r. Lombardia 15.4.1975, n. 51.
La legislazione successiva
introducendo il piano territoriale di coordinamento provinciale attribuisce, di
fatto, il piano regionale un ruolo di programmazione di massima.
Le scelte regionali trovano
concreta attuazione nello strumento pianificatorio provinciale più vicino alle
esigenze dei comuni, ex art. 3, 25° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Gli strumenti attuativi inerenti
alle aree individuate di interesse regionale nell’ambito dei piani territoriali
sono soggetti alla approvazione regionale, poiché non si possono applicare le
semplificazioni procedurali previste dall'art. 24 della l. 47/1985.
12. La difformità delle
disposizioni di piano regolatore rispetto al piano territoriale regionale.
LEGISLAZIONE: l. r. Veneto 27.6.1985, n. 61,, artt. 4, 5.
La funzione programmatoria del
piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, che
devono recepire le sue disposizioni, legittimando la regione ad intervenire per
modificare gli strumenti urbanistici che non vi si adeguino.
Tale potere si manifesta soprattutto
nella fase di approvazione delle varianti di piano.
In tale fase la regione può
intervenire con modifiche di ufficio per adeguare il piano ai suoi indirizzi.
La
regione, in sede di approvazione di piano regolatore generale o di una sua
variante, ha la facoltà di introdurre modificazioni finalizzate all'adeguamento
del piano agli standard, alla pianificazione territoriale di coordinamento
ovvero alle esigenze della programmazione di opere pubbliche di rilievo
ultracomunale, purché tali modifiche non alterino sostanzialmente
l'impostazione del piano così come adottato dal comune
(T.A.R.
Liguria, sez. I, 13.7.1994, n. 312, FA, 1994, 2474).
Assolutamente più complicato si
presenta l’intervento regionale per adeguare i piani prima approvati.
La giurisprudenza ha valutato gli
effetti delle disposizioni del piano territoriale di coordinamento regionale in
rapporto alla diversa pianificazione territoriale.
In tal caso è stato affermato che
la disposizione del piano territoriale non è vincolante e può essere disattesa
qualora l’opera pubblica oggetto dell’intervento abbia ottenuto il parere
positivo della conferenza di servizio che ha approvato l’intervento.
Sotto il profilo procedurale è
possibile censurare la difformità delle disposizioni del piano regionale solo
nel caso che sia stato impugnato prima il piano regolatore comunale, che si
ritiene difforme dai contenuti del piano ad esso sovraordinato.
Nella
regione Veneto, ai sensi degli art. 4 e 5 l. r. 27.6.1985, n. 61, il piano
territoriale regionale di coordinamento (p.t.r.c.) costituisce sì un piano
urbanistico, ma essenzialmente di direttiva ai comuni per la redazione dei loro
piani regolatori generali - ai fini, tra l'altro, dell'indicazione del sistema
delle infrastrutture -, onde esso non ha di per sé immediata rilevanza
all'esterno, in assenza di suo recepimento da parte dei comuni destinatari.
E’
legittima l'approvazione di un lotto autostradale il cui tracciato sia conforme
ai piani regolatori dei comuni interessati e difforme dal piano regionale territoriale
di coordinamento, le cui prescrizioni in materia hanno natura programmatica e
non vincolante.
Nella
specie, è inammissibile la deduzione in giudizio del difetto d'attuazione del
p.t.r.c., relativamente all'erronea localizzazione di un'autostrada, se non è
contestualmente impugnata la relativa statuizione del p.r.g. in contrasto con
il piano regionale
(Cons. St., sez. VI, 4.1.2002, n. 34, RGE,
2002, I, 713)
13. Il piano
territoriale di coordinamento provinciale. Le funzioni della provincia.
LEGISLAZIONE: l. 142/1990, artt. 14, 15 - d.lg. 18.8.2000, n. 267,
art. 20.
Gli artt. 19 e 20, d.lg. 18.8.2000,
n. 267, che mod. gli artt. 14 e 15, l. 142/1990, attribuiscono alla provincia
il ruolo di ente intermedio tra regione e comune, con funzioni di coordinamento
e di programmazione economica e territoriale ambientale.
Vengono attribuite alla provincia
le funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e dell’ambiente, di
tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, dei beni
culturali, della viabilità e dei trasporti, di protezione della flora e della
fauna, della caccia e della pesca, di protezione ambientale, dei rifiuti e
degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche, dei servizi
sanitari.
In particolare l’art. 20, d.lg.
18.8.2000, n. 267, conferma alla provincia i compiti di programmazione
territoriale.
1. La
provincia:
a)
raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni, ai fini della
programmazione economica, territoriale ed ambientale della regione;
b)
concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri
programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;
c)
formula e adotta, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma
regionale di sviluppo, propri programmi pluriennali sia di carattere generale
che settoriale e promuove il coordinamento dell'attività programmatoria dei
comuni.
2. La
provincia, inoltre, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione
della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano
territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto
del territorio e, in particolare, indica:
a) le
diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione
delle sue parti;
b) la
localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali
linee di comunicazione;
c) le
linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed
idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la
regimazione delle acque;
d) le
aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.
3. I
programmi pluriennali e il piano territoriale di coordinamento sono trasmessi
alla regione ai fini di accertarne la conformità agli indirizzi regionali della
programmazione socio-economica e territoriale
(art.
20, d.lg. 18.8.2000, n. 267).
E’ sancita la competenza
programmatoria della provincia (Fiale 1997, 71).
Le funzioni della provincia si
esercitano sia in campo economico, concorrendo a determinare il piano regionale
di sviluppo, sia in campo urbanistico, attraverso il piano territoriale di
coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio
provinciale.
Il
quadro che ne risulta è quello di un piccolo (al ridotto livello provinciale)
piano regionale territoriale di coordinamento, con una più attenta
considerazione delle tematiche ambientali e della tutela del suolo ed uno
stringersi dei rapporti tra pianificazione economica e territoriale
(Breganze
1996, 251).
Nel piano territoriale di
coordinamento provinciale vi è la presenza di prescrizioni e vincoli operativi,
che sono prevalenti sul piano regolatore comunale.
Questi attengono alla cura degli
interessi sovra comunali o di cui sia titolare comunque altra autorità: ad
esempio, i vincoli paesaggistici e ambientali.
I
limiti posti dall'art. 10, 2° co., l. 17.8.1942, n. 1150, alle modifiche atte a
mutare le caratteristiche essenziali del piano regolatore comunale adottato e i
suoi criteri d'impostazione, non riguardano le modifiche apportate per tutelare
il paesaggio e l'ambiente, che la regione è autorizzata ad imporre anche se
incidono in maniera determinante sul piano in questione
(Cons. St., sez. IV, 9.10.1997, n. 1101, UA,
1998, 408, nota DAMONTE).
Il piano regolatore comunale, così
come ogni altro strumento urbanistico, è frutto della concorrente ma autonoma
valutazione di due diverse autorità, quali il comune e la regione, preposte, di
norma, alla tutela di interessi non confliggenti, ma coordinabili anche in
relazione alle particolari attribuzioni che sono loro assegnate.
Sotto questo profilo, la
possibilità che intervengano modifiche d'ufficio, ai sensi dell'art. 10, 2°
co., lett. a), l. 17.8.1942, n. 1150, è indubbiamente correlata al rispetto
delle direttive riguardanti i contenuti principali del piano territoriale di
coordinamento, cioè alle previsioni dell’ art. 5, 2° co., lett. a), b), e c),
l. 17.8.1942, n. 1150.
Queste ultime riguardano le zone da
riservare a speciali destinazioni e quelle soggette a speciali vincoli o
limitazioni di legge, le località da scegliere come sedi di nuovi nuclei
edilizi o impianti di particolare importanza, la rete delle principali linee di
comunicazione.
Il
piano regolatore comunale, così come qualsivoglia strumento urbanistico è
frutto, di regola, della concorrente ma autonoma valutazione di due diverse
autorità, quale il comune e la regione, (e per essa, secondo la maggioranza
degli ordinamenti regionali, la giunta regionale); nell'ambito del relativo
procedimento, il ruolo del comune è preponderante, in quanto ad esso spetta
l'iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l'adozione
del progetto di piano; alla regione, invece, spetta non solo di negare
l'approvazione, ma anche di approvare il piano apportandogli, entro certi
limiti e condizioni, modifiche non accettate dal comune, così come prevede l'art.
10, l. 17.8.1942 n. 1150
(Cons.
St., sez. IV, 28.11.1994, n. 970, CS, 1994, I, 1520).
La natura di mera direttiva del
piano territoriale provinciale ha trovato conferma nell'art. 57, d.lg.
31.3.1998, n. 112.
La
regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di
coordinamento provinciale di cui all'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n.
142, assume il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della
protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa
del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione
delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le
amministrazioni, anche statali, competenti
(art.
57, d.lg. 31.3.1998, n. 112).
Dalla disposizione emerge con
chiarezza quali siano gli ambiti nei quali, sulla base della legge regionale e
previa intesa forte con le amministrazioni interessate, il piano in esame può
assumere valore e effetti di piano di tutela.
I settori indicati concernono, in
linea di larga massima, la funzione di protezione dell'ecosistema che la nuova
legge sulle autonomie locali tende a conferire alla provincia e non riguardano
affatto la precisa conformazione delle linee viarie all'interno dei diversi
comuni.
L'art. 15, 2° co., lett. b), l.
8.6.1990, n. 142, sost. art. 20, d.lg. 267/2000 si limita a indicare, come
oggetto proprio del piano territoriale di coordinamento, la localizzazione di
massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di
comunicazione.
Esula, evidentemente, dai contenuti
della disposizione appena trascritta un interesse pubblico diverso da quello
della configurazione di massima - assolutamente non precettiva per i singoli
tracciati stradali all'interno dei comuni - della rete viaria, in perfetta
sintonia con quanto prevede l'art. 5, 2° co., lett. c), della legge urbanistica
generale.
Il piano trova un limite
programmatorio negli indirizzi regionali e nel relativo piano territoriale di
coordinamento cui deve adeguarsi.
Si profila un’evidente necessaria
sovraordinazione fra la programmazione urbanistica predisposta a livello
provinciale e quella dei singoli comuni.
Ad esempio, se la provincia indica
nel suo territorio delle aree a vocazione industriale o artigianale il comune
deve prenderne atto e ridimensionare le sua autonomia pianificatoria.
4. La
legge regionale detta le procedure di approvazione, nonché norme che assicurino
il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani
territoriali di coordinamento.
5. Ai
fini del coordinamento e dell'approvazione degli strumenti di pianificazione
territoriale predisposti dai comuni, la provincia esercita le funzioni ad essa
attribuite dalla regione ed ha, in ogni caso, il compito di accertare la
compatibilità di detti strumenti con le previsioni del piano territoriale di
coordinamento.
6.
Gli enti e le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle rispettive
competenze, si conformano ai piani territoriali di coordinamento delle province
e tengono conto dei loro programmi pluriennali
(art.
20, d.lg. 18.8.2000, n. 267).
Il conferimento alle province di
competenze in materia di pianificazione territoriale non comporta alcuna
diminuzione delle funzioni demandate alle regioni.
Le prerogative provinciali,
infatti, devono essere esercitate nel rispetto delle indicazioni programmatiche
provenienti da atti o provvedimenti regionali.
L’attibuzione alla regione del
potere di approvazione o quanto meno di presa d’atto dei piani subordianti
delimita gli ordinamenti programmatori.
La norma riafferma come principale
il potere regionale cui deve conformarsi il pianificatore provinciale e quello
comunale.
La giurisprudenza ha ribadito che
il livello di programmazione territoriale provinciale è subordinato a quello
regionale.
L'art.
15 della l. 8.6.1990, n. 142, nella parte in cui prevede che ogni provincia
debba adottare un piano territoriale di coordinamento, non esclude la
subordinazione del piano provinciale alla pianificazione regionale; l’art. 15
della l. 142/1990, pertanto, non è in contrasto con l'art. 117 cost., perché i
piani urbanistici provinciali debbono comunque sottostare allo strumento di
coordinamento costituito dal piano regionale
(Corte
cost., 15.7.1991, n. 343, GI, 1992, I, 1, 206).
14. Gli effetti.
La tutela.
LEGISLAZIONE: l. r. Emilia Romagna,
30.1.1995, n. 6, art. 5.
Per garantire gli effetti derivanti
dalle disposizioni di piano territoriale di coordinamento provinciale,
eventualmente contrastanti con le disposizioni della pianificazione comunale, il
legislatore regionale è ricorso allo strumento delle misure di salvaguardia.
L’adozione del piano comporta la
sospensione di ogni attività che si ponga in contrasto collo stesso fino
all’approvazione della regione, art. 5, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6,
o fino al termine di due anni dalla pubblicazione del progetto di piano nel
B.U.R., ex art. 3, 37° co., l.r. Lombardia 1/2000.
Il comune è obbligato alla
sospensione di ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire che
siano in contrasto con le previsioni del piano provinciale.
Sorge il problema della necessità
che il provvedimento regionale trovi recepimento nella pianificazione comunale
entro un termine normalmente prefissato, pena la decadenza delle stesse misure.
Successivamente all’entrata in
vigore del piano, dopo l’approvazione regionale, vi è l’obbligo relativo per il
comune di adeguare allo stesso il proprio strumento urbanistico.
In linea con gli insegnamenti della
Corte costituzionale si pone il problema della durata dei vincoli imposti dal
piano territoriale provinciale, che la legislazione regionale supera con
l’introduzione di misure temporali di salvaguardia che garantiscono il rispetto
delle previsioni fino all’entrata in vigore del piano.
La possibilità diretta di impugnazione
è collegata alla efficacia del piano territoriale.
Secondo la legislazione regionale
che disciplina l’istituto il piano non è un mero programma di iniziative
economiche che non incide direttamente sulle posizioni giuridiche, ma esso, al
contrario, è destinato a condizionare le disposizioni di piano tuttora vigenti
attraverso le misure di salvaguardia.
In tal senso non sembra da
condividere l’orientamento della dottrina che esclude l’impugnabilità diretta
del piano.
In
quanto e se il piano territoriale provinciale non ha effetti immediati e
diretti, essendo qui essa ammessa soltanto in via incidentale in sede di
impugnazione del piano regolatore che recepisca i dettami e le previsioni del
piano territoriale
(Mengoli
2003, 86).
I comuni, il cui territorio sia
compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di
coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano
regolatore comunale, ai sensi dell’art. 6, 2° co., l. urb.
Per attribuire all’area la qualità
giuridica della destinazione ad uso industriale è necessario un provvedimento
espresso del comune.
La mancanza della delibera comunale
legittima il diniego sulla richiesta di permesso di costruire per una
destinazione non ancora recepita dallo strumento urbanistico comunale.
L’art.
6 della l. urb. impone all’amministrazione comunale solo l’obbligo giuridico di
provvedere alle necessarie modifiche, senza prevedere la sostituzione
automatica delle disposizioni dei piani territoriali di coordinamento - e,
quindi, dei piani regolatori delle aree e dei nuclei industriali - a quelle, in
contrasto, dei piani regolatori generali. Non essendo, quindi, ancora approvato
il piano comunale alla data della domanda, l’immobile in questione, come
giustamente osservato dalla Corte d’appello, non poteva considerarsi incluso in
zona industriale
(Cass., sez. II, 13.11. 1996, n. 941, RGE,
197, 467).
Per contro il cambiamento della
destinazione di un’area, prima idonea ad una determinata attività, portato
dalla pubblicazione del piano territoriale di coordinamento provinciale,
legittima il diniego da parte dell’amministrazione.
Il
piano territoriale di coordinamento provinciale non si pone quale mero
strumento urbanistico, ma come elemento pianificatorio atto a rimuovere o ad
impedire che in talune aree possano essere svolte attività non consentite in
quanto pericolose per l'ambiente.
La
mancata comunicazione all'amministrazione, in contrasto a quanto previsto
dall'art. 28, 7° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22, della campagna di attività costituisce
elemento utile al fine di escludere la natura di impianto mobile per il
trattamento dei rifiuti
(Cons. St., sez. V, 13.3.2002, n. 1501, RGE,
2002, I, 1096).
15. I limiti alle
disposizioni del piano provinciale.
LEGISLAZIONE: cost. artt. 5, 114, 115, 128 - l.
8.6.1990, n. 142, art. 15 - d.lg. 18.8.2000, n. 267, art. 20.
La giurisprudenza si è posta il
problema se il piano provinciale possa imporre soluzioni in ambiti di esclusiva
spettanza comunale o sostituire con scelte della Provincia quelle già
formalizzate in modo puntuale dai Comuni con proprie determinazioni.
L’orientamento prevalente riconosce
la natura di strumento di coordinamento e di indirizzo del piano territoriale
provinciale, non ammettendo la capacità di introdurre, per forza propria,
modificazioni nella pianificazione comunale.
Il
piano territoriale di coordinamento adottato dalla Provincia, ex art. 15, l.
8.6.1990, n. 142, sost. art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, ha natura di atto di
coordinamento e di indirizzo tipico della programmazione intermedia: pertanto,
con esso non possono introdursi nel piano regolatore generale comunale, con
forza innovativa e cogente, prescrizioni e vincoli privi di specifica causale
legislativa o non riferibili ad un'attribuzione riservata della provincia.
Ai
sensi dell'art. 57, d.lg. 31.3.31998, n. 112, il piano provinciale di
coordinamento ha un valore di direttiva in funzione della tutela
dell'ecosistema e dunque non può dettare prescrizioni concernenti la precisa
conformazione di linee viarie all'interno dei diversi comuni
(Cons. St., sez. IV, 20.3.2000, n. 1493, RGE,
2000, I, 1104).
Altra teoria ritiene che
l'articolazione della pianificazione territoriale urbanistica su più livelli -
quanto meno regionale, provinciale e comunale - determina, in ogni caso, una
sicura priorità dei contenuti dell'atto pianificatorio adottato dall'autorità
preposta al coordinamento su quelli previsti dall'ente pubblico collegato.
Per la legislazione regionale il
Piano territoriale regionale di coordinamento e il Piano territoriale
provinciale costituiscono il complesso di direttive, nonché di prescrizioni e
vincoli, da utilizzare per la redazione dei piani regolatori generali, ex art.
4, 3° co., l. r. Veneto n. 61/1985.
La teoria gradualistica della
pianificazione urbanistica - che si articola su più livelli - determina una
specie di predominio necessario, nella gestione del territorio, degli enti di
bacino più ampio rispetto al comune.
La teoria prevalente riconosce che
la pianificazione sovracomunale non può sottrarsi ai canoni costituzionali e
alle enunciazioni fondamentali della legge sulle autonomie locali.
È
costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 128 cost. e in
relazione all'art. 2, d.p.r. n. 616 del 1977, la legge della regione Piemonte
riapprovata il 5.10.1989 - recante norme a sostegno della promozione ed
incentivazione della ricettività turistica in occasione dei mondiali di calcio
1990.
Detta
legge lede la sfera dell'autonomia comunale, sottraendo indebitamente
competenze affidate ai comuni dalla normativa statale in materia urbanistica ed
edilizia
(Corte
cost., 4.4.1990, n. 157, RGE, 1990, I, 833).
Il principio della ripartizione
della Repubblica in Regioni, Comuni e Province, stabilito dall'art. 114 cost.,
trova, invero, logica corrispondenza nell'affermazione dell'autonomia di quegli
enti, secondo quanto ripetono sia l'art. 115 per le Regioni sia l'art. 128 per
Comuni e Province.
Si tratta cioè di enti il cui
riconoscimento da parte dell'ordinamento originario dello Stato trova ragione
nella comune inerenza con quest'ultimo, ex art. 5 cost., tale da determinare la
loro indiscussa natura di enti a fini generali.
Il governo del territorio è, in
definitiva, articolato su una pluralità di poteri, di sicura valenza politica,
insediati nelle rispettive comunità di riferimento e caratterizzati, peraltro,
dal principio di sussidiarietà che stabilisce la sostanziale riconducibilità
dell'intero complesso di scelte e di compiti relativi a una dimensione
territoriale all'ente preposto alla relativa comunità, art. 4, 3° co., lett.
a), l. 1.3.1997, n. 59.
Questo principio è ribadito dalla
disposizione contenuta nell'art. 13, d.lg. 267/2000, ai sensi della quale
spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la
popolazione ed il territorio comunale.
Le norme legislative assegnano da
sempre come compito primario al comune la regolamentazione e la cura del
relativo territorio, ex art. 4, l. 28.2.1985, n. 47.
16. La procedura di formazione nella legislazione
regionale dell’Emilia Romagna.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 9 - d.
lg. 30.3.1999, n. 96, art. 17 - l. 267/2000, art. 20, 4° co.
La dottrina rileva come il potere
attribuito alle province sia sottoposto al limite della partecipazione
obbligatoria dei comuni alla stesura del piano.
Sotto
un profilo generale, il piano territoriale di coordinamento della provincia
incontra due limiti: a monte della necessaria conformità dei piani agli
indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale; a
valle, della necessaria partecipazione dei comuni alla formulazione del piano
partecipazione obbligatoria dei comuni alle stesura del piano
(Assini
e Mantini 1997, 168).
La legislazione regionale deve
definire minuziosamente il procedimento di approvazione del piano.
Per le regioni che non hanno
legiferato è scattato l’intervento sostitutivo del governo che ha demandato
alle province le funzioni relative ai piani territoriali di coordinamento, ex
art. 17, d. lg. 30.3.1999, n. 96.
L’art. 20, 4° co., l. 267/2000, che
abroga l’art. 15, 4° co., l. 142/1990, prevede che la Provincia, nel redigere
il piano territoriale di coordinamento provinciale, chieda la cooperazione dei
Comuni e delle Comunità montane e la partecipazione delle organizzazioni
sindacali ed economiche e delle differenti realtà professionali, sociali e
culturali. Alla provincia è demandato, inoltre, il compito di specificare le
forme di consultazione e di verifica proponibili nei confronti delle
elaborazioni, art. 3, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
La fase preparatoria acquista una
valenza fondamentale poiché, se si realizza un reale coinvolgimento delle
amministrazioni comunali, si ottiene una maggiore attenzione delle stesse alla
successiva fase di adozione e di recepimento.
I meccanismi che si accontentano
del silenzio assenso delle amministrazioni comunali senza il loro
coinvolgimento scontano, in effetti, la troppo veloce elaborazione iniziale.
La fase del deposito del piano e
della sua pubblicità acquista la valenza di permettere alle amministrazioni
interessate, soprattutto in riferimento alle varianti proposte, di formulare
eventuali osservazioni.
La legislazione regionale ha
previsto che il piano sia adottato dalla Provincia che lo deposita presso la
propria sede e, inoltre, presso le sedi dei Comuni e delle Comunità montane
della provincia. Il deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino Ufficiale
della regione ed almeno su un quotidiano locale. Qualora il piano proponga la
variante ad uno strumento regionale di programmazione e di pianificazione
territoriale, esso deve essere depositato anche presso l’ufficio della
Presidenza del Consiglio regionale e presso le sedi delle altre amministrazioni
provinciali. L’avvenuto deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino
Ufficiale della regione e su un quotidiano locale, specificando lo strumento
regionale di cui si propone variante. La dottrina ha ritenuto che, in carenza
di disposizioni legislative espresse, la partecipazione dei privati sia
estranea ai contenuti del piano, che sono infatti diretti alle amministrazioni
comunali, pur essendo la stessa considerata ammissibile dalla legislazione
regionale (Mengoli 2003, 76).
La legislazione regionale appare,
invece, orientata ad ammettere la partecipazione dei privati, consentendo che
le amministrazioni pubbliche nonché i soggetti portatori degli interessi
pubblici e privati di cui all’art. 9, l. 7.8.1990, n. 241, cui possa derivare
un pregiudizio dal provvedimento, possano presentare alla Provincia
osservazioni, entro il termine di sessanta giorni dalla data dell’avviso
dell’avvenuto deposito, art. 3, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
Il piano, contemporaneamente al
deposito, viene trasmesso alla giunta regionale, che può sollevare obiezioni
sulla sua conformità al piano territoriale regionale e agli altri strumenti
della programmazione regionale entro centoventi giorni dalla data del
ricevimento, art. 3 l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
Trascorso tale termine perentorio
per la presentazione delle osservazioni, il piano si considera approvato dalla
giunta regionale ed eventuali riserve, presentate successivamente, non vengono
prese in considerazione.
La fase di approvazione si sdoppia
poiché le osservazioni presentate dalla giunta non chiudono il procedimento, ma
devono essere recepite dalla provincia per poi essere nuovamente trasmesse alla
regione per l’approvazione definitiva.
L’amministrazione provinciale
prende in esame, nei sessanta giorni successivi, le osservazioni presentate e
le riserve eventualmente sollevate dalla Giunta regionale.
L’amministrazione provinciale,
entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione
di osservazioni, deve decidere sulle stesse e sulle riserve eventualmente
espresse dalla Giunta regionale.
Il piano deve poi essere inviato
alla Giunta regionale per l’approvazione.
La Giunta regionale ha novanta
giorni di tempo, dal momento del ricevimento del piano, per approvarlo.
Essa ha la possibilità di apportare
d’ufficio le modifiche necessarie a renderlo conforme agli strumenti regionali
di programmazione e di pianificazione territoriale. Il piano, una volta
trascorso tale termine, si ritiene approvato secondo quanto deciso dalla
Provincia.
La giunta regionale, prima di
procedere all’approvazione, deve interpellare la competente commissione
consiliare, che deve pronunciarsi entro trenta giorni dal ricevimento della
proposta di delibera. Trascorso inutilmente tale termine, la giunta fa a meno
di tale parere.
Nel caso le province abbiano
proposto, motivatamente, varianti agli strumenti di programmazione territoriale
regionali, la giunta approva sia il piano provinciale sia le modifiche
apportate dopo aver ricevuto, per queste ultime, il parere conforme della
commissione competente.
Una volta approvato, il piano è
depositato presso la sede della amministrazione provinciale; esso è, quindi,
comunicato alle comunità montane ed ai comuni della provincia e successivamente
viene pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione.
Il piano diviene efficace dalla
data di pubblicazione, art. 3, l. r. Emilia Romagna, 30.1.1995, n. 6.
17. La procedura di formazione nella legislazione
regionale della Lombardia.
LEGISLAZIONE:
l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, art. 3.
Nel disciplinare il procedimento di
approvazione del piano territoriale di coordinamento provinciale la regione
Lombardia afferma il principio della concertazione, che è realizzato attraverso
l’istituzione della Conferenza dei comuni.
Essa ha funzioni consultive e
propositive nell’ambito delle materie trasferite alle province attinenti il
territorio e l’urbanistica, ex art. 3, 7° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Tale principio di concertazione è
ripreso dalla legislazione regionale nella fase della predisposizione dello
strumento urbanistico.
La provincia, infatti, deve
assicurare in tale fase la partecipazione attiva dei comuni, delle comunità
montane, degli altri enti locali e delle autonomie funzionali.
Essa deve accertare la coerenza
degli obiettivi di piano con le esigenze e le proposte formulate dagli enti
locali acquisite in via preventiva.
Sotto il profilo formale il piano
territoriale di coordinamento provinciale è adottato dalla provincia previo
parere obbligatorio della conferenza dei comuni, dal quale la provincia può
discostarsi in base a puntuale motivazione; il parere deve essere espresso
entro novanta giorni dalla richiesta, decorsi i quali si intende favorevole, ex
art. 3, 31° co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Il piano è depositato per trenta
giorni consecutivi presso la segreteria della provincia; contestualmente
all'inizio del deposito, il provvedimento di adozione, con l'indicazione della
sede presso la quale chiunque può prendere visione dei relativi elaborati, è
pubblicato per trenta giorni consecutivi nell'albo dei comuni e degli altri
enti locali interessati, nonché, a cura della provincia, sul BURL.
Entro trenta giorni dalla data di
pubblicazione sul BURL, chiunque vi abbia interesse può presentare alla
provincia le proprie osservazioni al piano.
Sotto il profilo procedurale il
provvedimento è censurabile presso la giustizia amministrativa da parte dei
privati poiché è immediatamente lesivo.
La provincia, contestualmente al
deposito del piano territoriale di coordinamento o sue varianti, lo trasmette
alla Giunta regionale che, entro centottanta giorni dal ricevimento degli atti,
ne verifica, garantendo in ogni modo il confronto con la provincia interessata,
la conformità alle disposizioni della l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1, la
coerenza con le linee generali di assetto del territorio regionale nonché con
gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali.
Decorso tale termine la provincia,
sentita la conferenza dei comuni, che si esprime entro sessanta giorni dalla
richiesta - all'infruttuosa scadenza dei quali il parere si intende favorevole
- decide sulle osservazioni presentate e procede all'approvazione definitiva.
Nel caso in cui la Regione ravvisi
elementi di incoerenza con le linee generali di assetto del territorio nonché
con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali, essa redige
osservazioni al piano.
La provincia provvede ai
conseguenti adeguamenti in sede di decisione sulle osservazioni e di
approvazione definitiva.
Il piano territoriale di
coordinamento provinciale acquista efficacia dalla data della sua pubblicazione
sul BURL, da effettuarsi a cura della provincia.
Il piano incide sulle posizioni
giuridiche dei proprietari delle aree in esso comprese a partire dalla data di
pubblicazione sul BURL della deliberazione di adozione del piano territoriale
di coordinamento provinciale fino all'approvazione del piano stesso.
Per due anni dalla medesima data di
pubblicazione, è vietata la realizzazione di interventi in contrasto con
specifiche previsioni del piano adottato inerenti agli aspetti di carattere
sovracomunale, salva espressa deroga da parte della provincia, ex art. 3, 37°
co., l. r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Qualora sia necessario, al fine di
conseguire gli obiettivi del piano territoriale di coordinamento provinciale, i
comuni interessati adeguano il proprio strumento urbanistico generale entro due
anni dalla data di approvazione del piano territoriale di coordinamento
provinciale secondo le procedure semplificate di cui all'art. 3 della l.r.
Lombardia 23/1997.
24. I parchi nazionali.
LEGISLAZIONE:
cost. art. 9 - l. 6.12.1991, n. 394, artt. 9, 12 - l. 23.3.2001, n. 93,
art. 8, 3° co.
I parchi
nazionali, individuati dal programma triennale Con decreto del Presidente della
Repubblica, sono istituiti e delimitati su proposta del Ministro dell’ambiente,
sentita la Regione.
In tale fase
non è, quindi, richiesta la partecipazione degli enti locali
Il rapporto
ente - territorio non consente di configurare il parco quale ente territoriale.
A differenza
degli enti tradizionalmente ricondotti a tale categoria (regioni, province,
comuni) il territorio soggetto alla potestà dell’ente parco non individua una collettività
dei cui interessi l’ente fosse esponenziale, al limite con il carattere della
generalità.
Al
contrario, l’ente - privo di reali collegamenti con le collettività residenti –
appariva piuttosto titolare d interessi di rilievo nazionale, spesso contrapposti
agli interessi delle collettività locali
(Desideri e
Fonderico 1998, 27).
La fase
iniziale del procedimento non prevede neppure la preventiva intesa con la
regione interessata come ribadisce la Corte cost. con riferimento alle
disposizioni in materia ambientale dettate dalla l. 23.3.2001, n. 93.
Non è
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, 3° co., l.
23.3.2001, n. 93, sollevata, in riferimento agli art. 5, 117 e 118 cost.
(questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla l. cost.
18.10.2001, n. 3), laddove promuove il procedimento per la costituzione del
Parco nazionale Costa teatina senza prevedere l'assenso o l'intesa con la reg.
Abruzzo.
La
competenza in ordine alla decisione iniziale per l'attivazione delle procedure
in vista della istituzione di Parchi nazionali appartiene allo Stato, attenendo
alla cura di un interesse non frazionabile e finalizzato alla tutela dei valori
di cui all'art. 9 cost.
Solo le
successive fasi procedurali richiedono modalità attuative che consentano
l'espressione di tutte le istanze costituzionalmente rilevanti, sia dello Stato
sia delle regioni, secondo il principio di leale cooperazione.
Il rigetto
della questione di costituzionalità rende superflua ogni pronuncia, di ammissibilità
e di merito, circa la richiesta sospensione dell'efficacia del provvedimento
legislativo denunciato
(Corte
cost., 18.10.2002, n. 422, GC, 2002, 3196
L’imposizione
del vincolo a parco tutela i valori del paesaggio riconosciuti dall’art. 9
cost., comprimendo in maniera determinante le facoltà della proprietà, che
trovano compensazione con la valorizzazione dell’ambiente.
L’Ente
Parco, la cui istituzione è regolamentata dall'art. 9, l. 394/1991, rientra nel
diritto pubblico, ha sede legale ed amministrativa nel territorio del parco ed
è sotto la vigilanza del Ministero dell’ambiente.
Organi
dell’Ente sono: il Presidente; il Consiglio direttivo; la Giunta esecutiva, che
può essere eletta su decisione del Consiglio direttivo; il vice Presidente, il
quale viene compreso, assieme al Presidente, fra i membri che formano la
Giunta; il Collegio dei Revisori dei conti.
L'obbligo di
stabilire la sede legale e amministrativa dell'ente Parco nel territorio del
parco stesso è introdotto dall'art. 9, 1° co. l. 6.12.1991, n. 394.
L'obbligo
deve ritenersi operante non soltanto per gli enti Parco di nuova istituzione,
ma anche per gli enti Parco già istituiti, nel rispetto del principio
fondamentale di territorialità stabilito in via generale dalla legge stessa
(T.A.R.
Lazio sez. II, 3.5.1995, n. 766, FA, 1996, 210).
L’Ente Parco
tutela i valori naturali ed ambientali mediante il piano per il Parco:
1. La tutela
dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente parco è perseguita
attraverso lo strumento del piano per il parco, di seguito denominato “piano”,
che deve, in particolare, disciplinare i seguenti contenuti:
a)
organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti
caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
b) vincoli,
destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con
riferimento alle varie aree o parti del piano;
c) sistemi
di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi,
accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli
anziani;
d) sistemi
di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco,
musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività
agro-turistiche;
e) indirizzi
e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale
in genere.
2. Il piano
suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve
integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b) riserve
generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie,
ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio.
Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la
realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi
di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse
opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del
primo comma dell'art. 31 della l. 5.8.1978, n. 457;
c) aree di
protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità
ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli
usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività
agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è
incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli
interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma
dell'art. 31 della citata legge n. 457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme
di piano sulle destinazioni d'uso;
d) aree di
promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più
estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono
consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e
finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività
locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori
(art. 12, l.
394/1991).
La scelta
dei territori da includere nella perimetrazione provvisoria del Parco
nazionale, che l'art. 34, l. 6.12.1991, n. 394 demanda al Ministero
dell'ambiente, concreta un'attività tecnico discrezionale insindacabile in sede
di giudizio di legittimità se non per palese illogicità o arbitrarietà della
scelta operata dall'amministrazione, di per sé inidonea a ricostruire l'iter
logico seguito dalla stessa (T.A.R. Lazio sez. II, 22.6.1995, n. 1093, FA,
1996, 218).
L’Ente
Parco, entro sei mesi dalla sua istituzione, deve predisporre il piano che deve
essere adottato entro i successivi quattro mesi, sentiti gli enti locali.
Il piano è
depositato presso le sedi dei Comuni, delle Comunità montane e delle Regioni
per 40 giorni.
E'
illegittimo il provvedimento di perimetrazione di un parco nazionale, ove non
sia stato acquisito, ai sensi dell'art. 34, 3° co. della l. 6.12.1991, n. 394,
il parere delle regioni interessate
(T.A.R.
Lazio, sez. II, 22.6.1995, n. 1092, DGA, 1996, 342)
Chiunque può
inviare osservazioni scritte entro i successivi 40 giorni e ad esse l’Ente deve
rispondere, esprimendo il proprio parere, entro i successivi 30 giorni.
La Regione,
in accordo con l’Ente Parco ed i Comuni, per quanto riguarda le disposizioni
del piano relative alle attrezzature e ai servizi che consentono la gestione
sociale del parco stesso, emana il provvedimento di approvazione entro 120
giorni dal ricevimento del piano e del parere sulle osservazioni presentate.
L’impugnazione
va proposta dal momento di pubblicazione nel BUR.
Il piano
territoriale di coordinamento del Parco nazionale del Mincio va impugnato nel
prescritto termine di decadenza, decorrenti dalla pubblicazione nel bollettino
ufficiale della regione dell'avviso di deposito del detto piano presso la
segreteria del consorzio del parco, anche da parte dell'utente di acqua
pubblica, tenuto ad osservare i vincoli stabiliti dal piano stesso
(Trib. sup.
acque, 2.10.1992, n. 64, CS, 1992, II, 1535).
Il piano,
ogni 10 anni, è modificato con la stessa procedura ed è aggiornato.
Esso
equivale ad una dichiarazione di interesse pubblico generale e gli interventi
in esso previsti assumono il carattere di indifferibilità ed urgenza.
Esso
sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali od
urbanistici ed ogni altro strumento di pianificazione.
Dal momento
della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul B.U.R. il piano è
immediatamente vincolante sia per le amministrazioni che per i privati, ex art.
12, l. 6.12.1991, n. 394.
La
protezione si estende anche alle aree contigue.
La nozione
di zona contigua di cui all'art. 32 della l. 6.12.1991, n. 394, sostituisce
quella di zona limitrofa, di cui all'art. 2 della l. 12.7.1923, n. 1511,
istitutiva del Parco nazionale d'Abruzzo, pur restando comune la funzione di
entrambe di assicurare tutela alle specie protette, garantendo la permanenza di
una disciplina controllata e limitata della caccia immediatamente al di fuori
del parco
(T.A.R.
Molise, 10.1.1996, n. 1, T.A.R., 1996, I, 999).
25. I parchi regionali.
LEGISLAZIONE:
l. 6.12.1991, n. 394, art. 22.
La legge
quadro sulle aree protette fissa, all’art. 22, le norme quadro cui deve
riferirsi la legislazione regionale, che deve definire la perimetrazione
provvisoria e le misure di salvaguardia, nonché il soggetto gestore e deve poi
indicare gli elementi del piano del parco e i principi del regolamento (Assini
e Mantini 1997, 881).
La normativa
regionale, pena la sua incostituzionalità, deve prevedere la partecipazione
degli enti locali al procedimento pianificatorio (Desideri e Fonderico 1998,
43).
E’ manifestamente
illegittimo l'art. 6, l. r. Campania 1.9.1993, n. 33 in riferimento all'art.
22, l. 6.12.1991, n. 394, evocato come parametro interposto, sia per l'omessa
previsione di forme di partecipazione degli enti locali territorialmente
coinvolti nel procedimento di istituzione delle aree naturali protette, sia per
l'omessa previsione dello strumento della conferenza specificamente incluso dal
legislatore statale tra i principi fondamentali della materia
(Corte
cost., 14.7.2000, n. 282, DGA, 2000, 584, nota Masini).
La
giurisprudenza richiede, comunque, l’attuazione del procedimento di
approvazione per ogni provvedimento che identifichi un’area soggetta a tale
normativa.
L'approvazione
del piano territoriale di ogni stazione di parco regionale, ai sensi dell'art.
9, l. r. Emilia Romagna, 2.4.1988, n. 11, deve essere preceduta, oltre che
dalla relativa delibera di adozione, da talune fasi procedimentali dirette in
particolare ad assicurare a chiunque, mediante il deposito per sessanta giorni
del piano adottato, la possibilità di presentare osservazioni e proposte
scritte
(T.A.R.
Emilia Romagna, sez. II, Bologna, 5.10.1991, n. 480, FA, 1992, 2764).
La dottrina
nota che la legislazione regionale nell’istituzione dei parchi prescinde da un
documento programmatico pianificatorio anche se individua le aree protette -
come ad esempio la l.r. Abruzzo 38/1996 - e difficilmente essa si inserisce
nella pianificazione territoriale, come fa, invece, la l.r. Toscana 49/1995
(Desideri e Fonderico 1998, 47).
26. La legislazione regionale della
Lombardia. Il piano territoriale di coordinamento del parco.
LEGISLAZIONE:
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 16. - l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32,
art. 6 - l.r. Lombardia 28.2.2000, n. 1, art. 1.
L’art. 16,
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, mod. art. 6, l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32,
classifica i parchi regionali in relazione alle specifiche finalità,
conseguenti ai rispettivi caratteri ambientali e territoriali.
La legge
individua le seguenti categorie:
a) parchi fluviali,
istituiti per tutelare gli ambienti rivieraschi dei principali corsi d'acqua
della regione nei loro tratti planiziali e pedemontani;
b) parchi
montani, istituiti per tutelare ambienti naturali ed antropici della montagna
lombarda;
c) parchi
agricoli, destinati al mantenimento ed alla valorizzazione dei tipici caratteri
ambientali e paesaggistici delle aree rurali;
d) parchi
forestali, finalizzati alla tutela, al miglioramento ed al potenziamento dei
boschi;
e) parchi di
cintura metropolitana, intesi quali zone di importanza strategica per
l'equilibrio ecologico dell'area metropolitana.
L’art. 10,
l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32, afferma che i parchi regionali possono essere
istituiti solo dopo una previa consultazione dei comuni, delle comunità montane
e delle province interessate, nelle forme previste dall'art. 22, comma 1, lett.
a) della legge 394/ 91, con legge regionale.
La legge
regionale istitutiva deve stabilire quelli che sono i vincoli di piano che per
finalità stesse perseguite dal parco sono molto stretti nel garantire il
rispetto del territorio.
I contenuti
della legge regionale devono definire:
a) la
delimitazione dell'area finalizzata all'applicazione delle misure di
salvaguardia;
b) l'ente
cui è affidata la gestione;
c) le
modalità e i termini per l'elaborazione delle proposte di piano del parco;
d) le norme
di salvaguardia da applicarsi fino alla pubblicazione della proposta di piano
territoriale;
e) le
strutture di direzione tecnica e le forme di partecipazione delle associazioni
e categorie economiche interessate alla vita del parco.
Gli
strumenti di pianificazione del parco naturale sono il piano territoriale di
coordinamento del parco, e il piano di gestione.
Il piano
territoriale di coordinamento del parco ha effetti di piano paesistico
coordinato, ex art. 57 del d. lg. 31.3.1998, n. 112, con i contenuti paesistici
del piano territoriale di coordinamento provinciale.
Il piano
territoriale deve essere elaborato con riferimento all'intero territorio dei
comuni interessati; in esso sono enunciati gli indirizzi a cui deve coordinarsi
la pianificazione territoriale delle parti di detto territorio esterne all'area
del parco.
I contenuti
del piano sono definiti dalla legge regionale.
4. Il piano
territoriale di coordinamento definisce:
a)
l'articolazione del relativo territorio in aree differenziate in base
all'utilizzo previsto dal relativo regime di tutela - ivi comprese eventuali
aree di riserva e monumenti naturali -, nonché l'eventuale individuazione delle
aree da destinare ad attrezzature di uso pubblico, anche ai sensi degli artt. 3
, lettera c), 4 e 5 del DM 2 aprile 1968, n. 1444;
b)
l'indicazione dei soggetti e delle procedure per la pianificazione territoriale
esecutiva e di dettaglio;
c)
l'individuazione delle aree e dei beni da acquisire in proprietà pubblica,
anche mediante espropriazione, per gli usi necessari al conseguimento delle
finalità del parco, nonché degli interventi di cui al secondo comma del
precedente art. 5;
d) i criteri
per la difesa e la gestione faunistica; nell'ambito delle riserve naturali e
delle aree a parco naturale identificate ai sensi del precedente art. 16 ter,
l'esercizio della caccia è vietato (omissis)
e) i tempi e
le modalità di cessazione delle attività esercitate nel parco, incompatibili
con l'assetto ambientale.
5. Il piano
territoriale del parco contiene in particolare le indicazioni di cui all'art.
8, terzo comma, lett. c), f), g), h), i), l), m), n) della l.r. 15 aprile 1975,
n. 51.
(Art. 17,
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.).
27. La procedura per l'approvazione
dei piani dei parchi. La fase amministrativa.
LEGISLAZIONE:
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 16. - l.r. Lombardia 8.11.1996, n. 32,
art. 6 - l.r. Lombardia 28.2.2000, n. 1, art. 1.
La l.r.
Lombardia 30.11.1983, n. 86, ha previsto un dettagliato speciale procedimento
per la formazione, l'adozione, la verifica e l'approvazione del piano
territoriale di coordinamento del Parco naturale, suddiviso in due fasi
autonome, aventi natura e finalità diverse: la prima è amministrativa, la
seconda è legislativa.
La fase
legislativa è solo eventuale poiché con modifiche introdotte con l’art. 1, l.
r. Lombardia 28.2.2000, n. 1, essa trova applicazione solo nel caso in cui il
piano territoriale di coordinamento rechi individuazione nell’ambito del parco
regionale delle zone costituenti parco naturale.
La prima
fase è esclusivamente amministrativa, con tutte le caratteristiche di giusto
procedimento, tendente a realizzare la partecipazione ed il concorso attivo di
molteplici interessi coinvolti, come apporto non solo meramente collaborativo,
ma con funzione anche garantistica del ruolo proprio dei comuni nella
pianificazione territoriale, in altre parole con il concorso attivo degli enti
locali, nonché con la facoltà di intervento di altri soggetti privati
interessati, ex artt. 16, 17, 18, 19 e 20, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86.
Per ogni
parco è formato un piano territoriale di coordinamento avente natura ed effetti
anche di piano territoriale regionale, ai sensi degli artt. 4 e 7 della l.r.
Lombardia 15.4.1975, n. 51, con la conseguenza della applicabilità, a decorrere
dalla data di pubblicazione del semplice progetto di piano, delle misure di
salvaguardia.
Da
sottolineare che il piano di coordinamento del parco sostituisce il piano
territoriale paesistico nei territori compresi nei parchi naturali e non ha
funzione di solo coordinamento per indirizzare le successive pianificazioni
sottordinate delle amministrazioni che hanno ulteriore competenza nella
materia.
Il piano del
parco non crea vincoli nei soli confronti delle amministrazioni come esercizio
di potere di indirizzo.
Esso
comporta immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i privati, ex
art. 18 l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, senza che si verifichi l'esigenza di
intermediazione di strumenti sottordinati al piano approvati con atto
amministrativo suscettibile di tutela giurisdizionale.
La proposta
di piano viene adottata con delibera dell'ente gestore.
Essa viene
pubblicata con le forme tipiche delle pianificazioni territoriali, al fine di
consentire la presentazione di osservazioni da parte di chiunque vi abbia
interesse ed è destinata ad essere trasmessa alla Giunta regionale insieme alle
osservazioni presentate e alle controdeduzioni dell'ente proponente, ex art. 19
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.
La Giunta
regionale della Lombardia, a sua volta, deve verificare la proposta di piano in
relazione alla coerenza con gli indirizzi di politica ambientale della Regione
ed ha il potere di deliberare le modifiche necessarie.
Essa procede
all'approvazione del piano territoriale di coordinamento o della relativa
variante con propria deliberazione soggetta a pubblicazione.
Qualora il
piano territoriale di coordinamento rechi l'individuazione, nell'ambito del
parco regionale, delle zone costituenti parco naturale di cui all'articolo 1,
1° co., lett. a) l.r. 30.11.1983, n. 86,, la Giunta regionale, completata la
verifica e a seguito dell'approvazione del piano territoriale di coordinamento,
trasmette al Consiglio regionale gli atti relativi all'individuazione
all'interno del parco regionale delle zone di parco naturale, nonché gli
elaborati recanti la disciplina delle medesime.
Il Consiglio
regionale provvede ad approvare con legge l'individuazione delle zone suddette
ed inoltre, con propria delibera, approva definitivamente, agli effetti
dell'art. 25, l. 394/1991, la disciplina di parco naturale di cui all'art.
16-ter, comma 2, l.r. 86/1983. avente valenza di piano territoriale regionale,
ex art. 19, 2° bis co., l.r. 86/1983, mod art. 1, l. r. 1/2000.
Sia la
delibera di adozione della proposta di piano del parco, formulata dall'ente
gestore - una volta pubblicata negli albi dei comuni e province interessate e
con avviso nel Bollettino Ufficiale della Regione, pubblicazione anteriore alla
trasmissione alla Giunta regionale - sia la delibera della Giunta regionale -
contenente le eventuali modifiche del piano - sono configurate come atti
adottati da organi amministrativi e nell'esercizio di attività amministrativa.
E’
qualificabile come provvedimento amministrativo sia quello della Giunta
regionale che approva il piano territoriale di coordinamento del parco sia
quello di trasmissione al Consiglio di individuazione del parco naturale.
Tali
provvedimenti sono soggetti secondo le regole generali i al sindacato del
giudice amministrativo che ha giurisdizione esclusiva in materia urbanistica.
Detti atti,
inoltre, sono suscettibili di ledere immediatamente, attraverso l'automatica
cogenza della salvaguardia, le posizioni dei soggetti interessati, che
soggiacciono alle previsioni del progetto di piano per gli effetti impeditivi
rispetto ad ogni intervento in contrasto.
Pertanto,
dette delibere non possono ritenersi sottratte al generale sindacato di
legittimità del giudice amministrativo.
28. La procedura per l'approvazione
dei piani dei parchi. La fase legislativa eventuale.
LEGISLAZIONE:
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 18.
La seconda
fase, avente natura legislativa attiene alla procedura di approvazione del
piano con legge regionale ed è solo eventuale nel caso si prevedano zone
costituenti parco naturale.
Essa inizia
dopo il compimento della verifica affidata alla Giunta, cui spetta in via
esclusiva un correlato potere amministrativo correttivo con l’introduzione di
modifiche al progetto di piano.
Solo con la
presentazione al Consiglio regionale del progetto di legge della Giunta
regionale, atto che assume il valore di formale iniziativa della legge di
approvazione del piano.
Così
configurate le due fasi, l'una amministrativa, con le garanzie proprie del
giusto procedimento e l'altra legislativa di mera approvazione del piano, quale
risultante a seguito delle modifiche adottate dalla Giunta regionale, ne
consegue che gli eventuali vizi della fase amministrativa di formazione,
adozione e modifiche del piano del parco non sono sanati né comunque coperti
dall'approvazione con legge regionale del piano stesso.
Tale
approvazione attiene ad un esame ed ad una valutazione di politica
territoriale-ambientale da parte dell'assemblea regionale.
Il
legislatore regionale ha sottratto il solo atto finale di approvazione ai
poteri amministrativi dell'ente gestore e della Giunta regionale.
In tal modo
si giunge ad una delibera legislativa di mera approvazione essenzialmente
politica con il connaturale concorso della volontà dell'intera rappresentanza
regionale e non della sola Giunta espressione di maggioranza.
La legge
regionale di mera approvazione del piano del parco non attribuisce al contenuto
del piano valore di legge e non assume il significato di conversione dell'atto
contenente la pianificazione del parco.
Pertanto,
sulla base delle predette considerazioni, gli eventuali vizi della delibera di
adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di
modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello
specifico procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e
partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale
sulle scelte amministrative che incidono su situazioni giuridiche soggettive.
Per tali
motivi è stata respinta la questione di legittimità costituzionale che, secondo
le censure formulate, sono destinate a paralizzare l’impugnazione
giurisdizionale degli atti amminsitrativi.
Non è
fondata, con riferimento agli art. 3, 24, 42, 97, 101, 2° co., e 113 cost., la
questione di legittimità costituzionale degli art. 15, 16, 17, 18, 19 e 20, l.
r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, e della l. r. Lombardia 29.4.1995, n. 39, nella
parte in cui prevedono l'approvazione con legge del piano territoriale di
coordinamento (PTC), e ne disciplinano il procedimento e gli effetti, in quanto
si basa su una interpretazione non esatta delle norme denunciate.
Queste,
invece, suscettibili di essere interpretate in senso conforme a Costituzione,
con conseguente esclusione di qualsiasi possibilità di violazione dei principi
costituzionali invocati, ivi compreso quello attinente alla tutela giurisdizionale
contro gli atti amministrativi relativi all'iter di formazione ed
adozione di piano territoriale.
Le norme
denunciate hanno previsto un dettagliato, speciale procedimento per la
formazione, l'adozione, la verifica e l'approvazione del piano territoriale di
coordinamento del parco naturale, suddiviso in due fasi autonome, aventi natura
e finalità diverse.
L'una,
amministrativa, con le garanzie proprie del giusto procedimento, e l'altra,
legislativa, di mera approvazione del piano.
La l.r. di mera
approvazione del piano del parco non attribuisce al contenuto del piano valore
di legge e non assume il significato di conversione dell'atto contenente la
pianificazione del parco.
Gli
eventuali vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente
gestore e della delibera di modifiche da parte della giunta regionale, nonché
le eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di
formazione, adozione, verifica e partecipazione non rimangono sottratti
all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che
incidono su situazioni giuridiche soggettive
(Corte
cost., 11.6.1999, n. 225, RGE, 1999, I, 915).
29. I rapporti con
gli strumenti di pianificazione territoriale.
LEGISLAZIONE:
l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86, art. 18.
Il piano territoriale di
coordinamento del parco deve rapportarsi con gli strumenti di pianificazione
sovracomunale e con quelli di pianificazione comunale.
Le esigenze di rispetto delle
finalità del parco sono prevalenti riguardo alle previsioni contenute in piani
territoriali di coordinamento comprensoriale, ove formati, o in piani
urbanistici delle Comunità montane.
La disciplina del territorio
compreso nel parco è demandata al piano territoriale del parco, art. 17, l.r.
Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.
Il parere del parco è obbligatorio
prima della adozione dei piani territoriali di coordinamento comprensoriale e
sui piani urbanistici delle comunità montane.
Il vincolo contenuto nel piano
territoriale del parco è prevalente rispetto alle disposizioni degli strumenti
urbanistici comunali.
La procedura di adeguamento è
prevista dalla legge regionale e è tutelata dall’applicazione obbligatoria
delle misure di salvaguardia.
4. Le
previsioni urbanistiche del piano del parco sono immediatamente vincolanti per
chiunque, sono recepite di diritto negli strumenti urbanistici generali dei
comuni interessati e sostituiscono eventuali previsioni difformi che vi fossero
contenute.
5. I
comuni apportano al proprio strumento urbanistico generale, entro sessanta
giorni dall'entrata in vigore del piano del parco, le correzioni conseguenti,
relativamente alle aree comprese nel parco stesso; entro due anni dalla stessa
data, i comuni procedono all'aggiornamento dello strumento urbanistico generale
relativamente alle aree esterne al parco, tenendo conto degli indirizzi
derivanti dal piano territoriale del parco, ai sensi del quinto comma del
precedente art. 17.
(Art.
18, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.).
30. Le misure di
salvaguardia.
LEGISLAZIONE:
l. 6.12.1991, n. 394, artt. 4, 22, 23 - l. r. Lombardia 30.11.1983 n. 86, art.
18.
Le misure di salvaguardia, che
consistono nella sospensione di ogni attività di modifica del territorio in
attesa della pianificazione disposta dal piano per il parco, sono previste in
rapporto a fasi diverse (Desideri e Fonderico 1998, 45).
L’art. 4, 9° co. della l. 394/1991
prevede l’adozione delle misure di salvaguardia in rapporto all’adozione del
programma delle aree protette.
Le misure di salvaguardia scattano
ancora quando è individuata l’area da destinare a protezione e,
successivamente, quando è realizzata la perimetrazione provvisoria del parco
regionale, ai sensi degli artt. 22 e 23 della l. 394/1991.
Le misure di salvaguardia scattano
in relazione alle fattispecie previste e non abbisognano dell’approvazione di
ulteriori strumenti pianificatori.
Ai
sensi dell'art. 6, 3° co. della L. reg. Toscana 13.12.1979, n. 61, istitutiva
del Parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, l'efficacia delle
misure di salvaguardia relative alla cessazione delle attività di cava in corso
non è subordinata all'approvazione del piano territoriale, essendo sufficiente
la sola sua adozione. Le misure di salvaguardia hanno efficacia temporanea e
perdono la forza vincolante se entro cinque anni dall'entrata in vigore del
piano territoriale di recupero non siano approvati i relativi piani di
gestione, quali atti secondari di pianificazione e programmazione
(Cons. St., sez. VI, 25.3.1996, n. 497, CS,
1996, I, 491).
La l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86
e mod., afferma che i piani territoriali di coordinamento dei parchi hanno
valore di piano territoriale regionale, con la conseguente applicabilità delle
misure di salvaguardia a far data dalla pubblicazione del progetto di piano
elaborato dagli enti parco.
6.
Dalla data di pubblicazione della proposta di piano o relativa variante cessano
di applicarsi le norme di salvaguardia previste dalla legge istitutiva ai sensi
dell'articolo 16, comma 1, lettera d) e, sino alla data di pubblicazione della
deliberazione della Giunta regionale di approvazione e comunque per il termine
massimo non prorogabile di diciotto mesi, è vietato ogni intervento in
contrasto con la proposta adottata dall'ente gestore; per le aree di cui
all'articolo 1, comma 1, lettera a) si applica il medesimo regime di
salvaguardia sino all'entrata in vigore della legge di approvazione di cui
all'articolo 19 e comunque per il termine massimo non prorogabile di
ventiquattro mesi.
6-bis
1. Qualora il piano territoriale di coordinamento del parco regionale non sia
approvato nel termine di diciotto mesi previsto dal comma precedente, spetta
all'ente gestore del parco stesso un indennizzo pari al venti per cento
dell'importo dei finanziamenti regionali corrisposti all'ente nell'anno
precedente, da corrispondersi a carico del bilancio regionale per la
realizzazione di opere di riqualificazione ambientale e paesistica.
6
ter. La giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare e su
conforme parere dell' ente gestore del parco, può autorizzare, in deroga al
regime proprio del parco, la realizzazione di opere pubbliche previste dalla
legislazione nazionale,che non possano essere diversamente localizzate, ferme
restando le specifiche procedure di legge previste per le opere di interesse
statale; la deliberazione di autorizzazione della giunta regionale stabilisce
le opere di ripristino o di recupero ambientale eventualmente necessarie,
nonché l'indennizzo per danni ambientali non ripristinabili o recuperabili
(Art.
18, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86 e mod.).
La salvaguardia per la proposta di
piano del parco, tuttavia, non è limitata a determinate previsioni che siano
dichiarate immediatamente prevalenti ed immediatamente vincolanti anche nei
confronti dei privati, come previsto invece per i semplici piani territoriali
regionali, ex art. 7, 5° co., in relazione alla lettera h), dell'art. 4, 1°
co., Lombardia 15.4.1975, n. 51.
Essa si estende ad ogni intervento
in contrasto con le previsioni della pubblicata proposta del piano del parco
naturale, nonché con le eventuali modifiche semplicemente deliberate in sede di
verifica del piano stesso da parte della Giunta regionale, ex art. 18, 6° co.,
seconda parte, l.r. Lombardia 30.11.1983, n. 86.
L'anzidetta salvaguardia si collega
temporalmente alle norme di salvaguardia anteriormente stabilite con la legge
regionale istitutiva di parchi naturali, ex art. 18, 6° co., prima parte, l.r.
Lombardia 30.11.1983, n. 86.
La salvaguardia del piano si
applica fino alla entrata in vigore della legge di approvazione del piano
territoriale del parco, e comunque per non oltre due anni dalla pubblicazione
nel Bollettino Ufficiale regionale dell'avviso di ricevimento da parte della
Giunta regionale della proposta di piano.
Nella
regione Lombardia, ex art. 16, 1° co., l. r. Lombardia 30.11.1983 n. 86, le
misure di salvaguardia relative ai piani territoriali di coordinamento dei
parchi hanno un'intensità maggiore di quelle previste per i semplici piani
territoriali, estendendosi a mente del successivo art. 18, 6° co., l. r.
Lombardia 30.11.1983 n. 86, ad ogni intervento contrastante con le previsioni
della proposta di piano - parco o delle modifiche introdotte dalla giunta
regionale
(Corte
cost., 11.6.1999, n. 225, UA, 1999, 1184, nota Manfredi).
La giurisprudenza ha precisato che
spetta allo Stato, e per esso al giudice amministrativo annullare le delibere
della Giunta regionale della Lombardia relative alla verifica e alle modifiche
del piano territoriale dei parchi naturali e dei parchi di cintura
metropolitana, in accoglimento di ricorsi proposti dai soggetti immediatamente
lesi dall'applicazione delle misure di salvaguardia.
I vizi della delibera di adozione
del piano del parco assunta dall'ente gestore e della delibera di modifiche da
parte della Giunta regionale, nonché le eventuali violazioni dello specifico
procedimento amministrativo di formazione, adozione, verifica e partecipazione,
non sono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative
che incidano immediatamente su posizioni giuridiche soggettive (Corte cost.,
11.6.1999, n. 226, UA, 1999, 839, nota Sempreviva).
31. La non
indennizzabilità del vincolo di interesse storico o ambientale.
1.2
LEGISLAZIONE: - l. 1.6.1939, n. 1089, art. 20 - d.lg.
29.10.1999, n. 490, art. 49 - d.lg. 22.1.2004, n. 41, art. 45.
I beni immobili privati qualificati
come bellezza naturale costituiscono, fin dall'origine, una categoria di
interesse pubblico in virtù delle particolari qualità, previste dalla legge,
che ad essi ineriscono.
Quando l'amministrazione impone
vincoli paesaggistici a tali beni, non ne modifica la qualità.
I vincoli non determinano alcuna
compressione del diritto sui beni colpiti, essendo connaturato a tali beni il
limite di fruibilità che deriva dalla loro stessa essenza. Il vincolo imposto
si è limitato solo ad evidenziare una loro naturale qualità.
Gli effetti del vincolo non sono
costitutivi, infatti, non sorgono ex nunc in virtù del provvedimento
amministrativo, ma sono tutelabili indipendentemente da questo.
I beni di interesse storico - artistico degli enti pubblici sono di per se stessi
assoggettati, senza la necessità di alcun accertamento costitutivo di
qualificazione, alla disciplina di tutela indiretta prevista dall’ art.
45, d.lg. 22.1.2004, n. 41, che mod. art. 49,
d.lg. 29.10.1999, n. 490, che mod. l’art. 20,
l. 1.6.1939, n. 1089.
I
beni di interesse storico e artistico di proprietà degli enti pubblici
territoriali sono di per sé stessi, e senza la necessità di alcun accertamento
costitutivo della qualificazione, automaticamente assoggettati al regime
proprio dei beni demaniali ed alla disciplina speciale di cui alla l. 1.6.1939,
n. 1089.
Senza
l'autorizzazione della competente soprintendenza, essi non possono essere
demoliti o modificati, e che la sospensione dei lavori, ordinata ai sensi
dell'art. 20, l. 1.6.1939, n. 1089, non è temporanea.
(T.A.R.
Umbria, 22.6.1994, n. 409, FA, 1994, 2496. Cons. St., sez. VI,
10.5.1996, n. 663, RGA, 1997, 925, nota Di Jorio).
Il provvedimento amministrativo
contribuisce ad accertare la natura stessa del bene senza diminuirne il suo
valore.
La
imposizione di vincoli da parte dell'Amministrazione non determina l'insorgenza
di un diritto costituzionalmente garantito all'indennizzo, senza che, però,
possa escludersi la legittimità di specifiche disposizioni prevedenti, caso per
caso, l'adozione di misure intese a ristorare il pregiudizio patito dai
titolari di diritti sui beni oggetto del vincolo
(Cass. 19.11.1998, n. 11713. Corte Cost.
29.5.1968, n. 56. Corte Cost. 4.7.1974, n.
202).
Conseguentemente la giurisprudenza
ha negato che il regime della temporaneità quinquennale del vincolo sia
applicabile ai beni di interesse storico o ambientale.
Il
vincolo panoramico non è soggetto alla disciplina della temporaneità ai sensi
dell'art. 2 della l. 19.11.1968, n. 1187, che è dichiaratamente applicabile ai
soli vincoli di piano regolatore, e di conseguenza non incorre nella decadenza
nel caso di mancata approvazione del piano particolareggiato nel termine del
quinquennio.
Il
vincolo è, infatti, correlato alla tutela del paesaggio in virtù delle
caratteristiche dei beni, ad esso sottoposti, che sin dall’origine devono
considerarsi naturalmente paesistici
(Cass.
12.6.1991, n. 6649).
Il sistema di tutela del paesaggio,
dell'ambiente, del patrimonio storico e artistico, giustificano l'affermazione
di limitazioni all'uso della proprietà dei beni vincolati, senza limitarne,
peraltro, la commerciabilità, o una redditività diversa da quella dello
sfruttamento edilizio, alla luce dell'equilibrio costituzionale tra gli
interessi in gioco, che vede alcune delle facoltà del diritto dominicale
recessive di fronte alle esigenza di salvaguardia dei valori culturali ed
ambientali, ex art. 9 cost., in attuazione della funzione sociale della
proprietà, ex art. 42, 2° co., cost.
Il vincolo paesaggistico ha
generalmente l'effetto di determinare un regime di inedificabilità relativa,
che comporta l'assoggettamento alla preventiva delibazione dell'autorità
proposta alla tutela del bene protetto, di ogni progetto concernente la
trasformazione e l'uso del bene, ex artt. 149 e 151, d. lg. 29.10.1999, n. 490.
La disciplina dell'uso del
territorio che comporta vincoli di inedificabilità è conforme ai principi della
Costituzione repubblicana.
La giurisprudenza costituzionale ha
elaborato la teorizzazione di un tipo di vincoli che non sono suscettibili di
indennizzo.
Sono quelli conformativi della
proprietà, configurabili per via di imposizioni a carattere generale e con
criteri predeterminati, che riguardano intere categorie di beni e che sono
connaturati al diritto stesso su quel bene, che nasce limitato (Corte
Cost.9.5.1968, nn. 55 e 56).
I beni immobili aventi valore
paesistico costituiscono una categoria originariamente di interesse pubblico,
la cui disciplina è estranea alla materia dell'espropriazione e dei relativi
indennizzi, di cui all'art. 42, 3° co., cost., rientrando, invece, a pieno
titolo nella disposizione di cui al precedente art. 42, 2° co., che affida alla
legge la disciplina dei modi di godimento della proprietà al fine di
assicurarne la funzione sociale.
Il
vincolo di inedificabilità contenuto in un piano territoriale paesistico, che
rivela una qualità insita nel bene, sì che la proprietà su di esso è da
intendere limitata fin dall'origine, è da considerare vincolo conformativo, non
soggetto a decadenza, che incide sul valore del bene in sede di determinazione
dell'indennizzo per un'eventuale espropriazione, tanto da rendere irrilevante
la definizione, sempre ai fini della valutazione del bene, del regime imposto
su di esso dalla disciplina urbanistica, che comunque è tenuta a uniformarsi
alla pianificazione paesistica
(Cass. Civ., sez. I, 19.7.2002, n. 10542, GCM,
2002, 1280. Corte cost. 13.7.1990 n. 327.
Corte cost. 9.5.1968 n. 55 e 56).
Per tali beni vincolati, il divieto
di ogni modificazione del territorio e di ogni opera edilizia, può protrarsi
senza indennizzo oltre il quinquennio sancito per la durata dei vincoli
urbanistici dall'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, e comunque anche oltre il
termine del 31.12.1986, assegnato, dall'art. 1 bis, l. n. 431 del 1985, alle
regioni per redigere i piani paesistici o i piani urbanistico territoriali,
qualora le regioni rimangano inerti.
L’art.
2 della l. 19.11.1968, n. 1187, propone la tra vincoli preordinati a esproprio
e vincoli che comportano l'inedificabilità, è da riferire, rispettivamente,
alle previsioni funzionali alla realizzazione dell'opera pubblica, con
imposizioni a titolo particolare su determinate aree, e alle situazioni di
temporanea neutralizzazione dello ius aedificandi in attesa di
successive regolamentazioni particolareggiate, applicate in via generale a
consistenti estensioni territoriali, nella logica della zonizzazione, sempre comunque
a previsioni di piano rese nell'esercizio del potere di pianificazione
(Cons. St., sez. VI, 20.9.2002, n. 4777, FACDS,
2002, 2147. Cass. civ, Sez. U., 23.4.2001, n. 173. Cass. civ, Sez. U., 15.3.1999, n. 2272).
32. La conformità ai
principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
LEGISLAZIONE:
l. 4.8.1952, n. 848.
La giurisprudenza non ravvisa una
violazione del diritto fondamentale della proprietà da parte della normativa
urbanistica e di tutela del paesaggio neppure in rapporto alla Convenzione
europea dei diritti dell'uomo.
La Convenzione europea dei diritti
dell'uomo, a parte il potere di espropriare per cause di pubblica utilità, fa
salvo il diritto degli Stati di disciplinare l'uso dei beni posseduti, in modo
conforme all'interesse generale, e non sembra che ciò precluda, ove lo
impongano le esigenze connesse alla protezione dei beni paesaggistici e
ambientali, oltre che all'interesse ad un ordinato sviluppo del territorio, una
compressione dello ius aedificandi.
Dalla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo, si coglie il principio di una necessaria proporzionalità tra
l'interesse pubblico perseguito e la proprietà privata, ma di sicuro non si
esclude che alla proprietà possa essere imposto un particolare sacrificio per
la salvaguardia di interessi paesaggistici e ambientali.
Sussiste
violazione del principio del rispetto della proprietà, secondo quanto previsto
dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei
Diritti dell'uomo firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificata con l.
4.8.1952, n. 848, qualora vi sia una continua rinnovazione dei vincoli su aree.
Tale
comportamento, pur non potendo essere assimilato ad una privazione della
proprietà, può violare il giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse
generale e gli imperativi a salvaguardia dei diritti fondamentali
dell'individuo.
Nel
caso di specie, un vincolo protrattosi per 33 anni, senza indennizzi e con la
sola utilizzabilità agricola, con una completa incertezza sull'utilizzazione edilizia
del bene, ha generato un peso speciale ed esorbitante, con violazione del
principio del rispetto della proprietà
(Corte
europea dir. uomo, 2.8.2001, GI, 2001, 387).
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