CAPITOLO III I
vincoli nella pianificazione generale comunale.
SOMMARIO: 33. Il
contenuto del piano regolatore generale.
34. La zonizzazione.
35. La localizzazione.
35.1. La
localizzazione di opere realizzate da amministrazioni statali.
36. Il procedimento
di formazione. L’informazione. Le osservazioni.
37. Le opposizioni.
38. Il recepimento
delle osservazioni e l’obbligo di ripubblicazione del piano.
39. L’accesso al
procedimento di formazione.
39.1. Le varianti
agli strumenti urbanistici nel caso di approvazione di progetto di opera
pubblica.
39.2. La
partecipazione al procedimento.
39.3. Il silenzio
sull’approvazione di variante di p.r.g.
40. I vincoli
conformativi nella pianificazione generale comunale.
40.1. Vincoli
derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali.
40.2. L’accesso.
41. I vincoli che
rinviano l’edificazione alla pianificazione esecutiva.
42. I vincoli
espropriativi.
43. I criteri di
distinzione fra vincoli conformativi e quelli destinati all’espropriazione.
44. La illegittimità
dei vincoli e tempo indeterminato.
44.1. Il vincolo quinquennale.
45. Gli effetti
della decadenza del vincolo.
46. La reiterazione
dei vincoli de iure e de facto.
47. La
partecipazione al procedimento.
48. La
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
49. Il rilascio del
permesso di costruire in presenza di vincoli di piano.
33. Il contenuto del piano regolatore
generale. La zonizzazione. La localizzazione.
LEGISLAZIONE: l.
urb., artt. 7, 11, 18, 30.
Il contenuto del
piano regolatore generale è determinato dall’art. 7 della l. 1150/1942, che
fissa tassativamente gli elementi che costituiscono lo strumento principale
della programmazione urbanistica comunale.
L’indicazione
legislativa è quella di un piano di larga massima che incide nelle scelte
fondamentali del territorio e che rinvia per le scelte di dettaglio alla
pianificazione esecutiva.
Il piano regolatore
generale deve considerare la totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare
essenzialmente:
1) la rete delle
principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei
relativi impianti;
2) la divisione in
zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate
all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei
caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree
destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da
riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di
interesse collettivo o sociale;
5) i vincoli da
osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per
l'attuazione del piano
(art. 7, l.
17.8.1942, n. 1150).
Tali indicazioni
sono state disattese nella pratica poiché, concretizzando una pianificazione
rigida, il piano regolatore ha disciplinato minuziosamente l’assetto del
territorio e la pianificazione esecutiva si è trovata costretta in maglie
troppo rigide.
La legge
urbanistica non prevede gli elaborati che devono costituire il provvedimento di
adozione del piano da parte dell’ente locale, salvo la relazione finanziaria.
Il rapporto
fondamentale fra programmazione e strumenti finanziari è disciplinato dall'art.
30 della l. urb. che contribuisce a dare alle scelte di piano il necessario
contenuto di concretezza:
Il piano regolatore
generale, agli effetti del primo comma dell'art. 18, ed i piani
particolareggiati previsti dall'art. 13 devono essere corredati di un piano
finanziario formato dal comune e approvato, oltre che dai normali organi di
tutela, dai ministri dell'interno e delle finanze
(art. 30, l.
17.8.1942, n. 1150).
Evidentemente è
estremamente improbabile riuscire a programmare economicamente, con sufficiente
autorevolezza, delle scelte che si devono esprimere per un periodo di tempo
illimitato, anche se la previsione finanziaria è richiesta solo per
l’acquisizione delle aree.
La funzione della
previsione di massima della spesa è quella di tradurre in realtà economica e di
dimostrare concretamente la possibilità di realizzazione del piano regolatore,
senza peraltro che essa costituisca oggi un elemento per mezzo del quale deve
essere dimostrata la possibilità economica del Comune di realizzare il piano in
ogni sua parte
(Mengoli 2003, 98).
Il dettato
legislativo è stato, comunque, minimizzato dalla giurisprudenza, che ha reso le
scelte di piano meramente indicatorie.
La relazione
finanziaria non è un elemento essenziale del piano regolatore generale e delle
sue varianti, potendo anche sopravvenire in un momento successivo, allorquando
il comune debba deliberare circa l'espropriazione delle aree private, ai sensi
dell'art. 18 della l. 17.8.1942, n. 1150
(T.A.R. Campania,
sez. Salerno, 10.7.1991, n. 232, T.A.R., 1991, I, 3144).
Da questo
minimizzare la relazione economica inerente al piano dirivano le contraddizioni
della pianificazione urbanistica.
Essa diventa spesso
il libro delle buone intenzioni che frena la stessa realizzazione del piano.
La mancanza di una
pianificazione economica strettamente connessa a quella territoriale impedisce
la stessa verifica pragmatica del piano.
Le scelte
urbanistiche se non sono supportate dalla disponibilità finanziaria diventano
irrealizzabili ed assumono solo una posizione di vincolo a tempo indeterminato.
Le politiche
sociali di servizi pubblici possono trovare soluzione solo se le
amministrazioni pubbliche recepiscono i finanziamenti necessari per la
realizzazione delle scelte, che l’indirizzo politico enuncia senza però curarsi
minimamente dei tempi pratici di attuazione.
L’atteggiamento
riduttivo dell’importanza della programmazione economica è rimasto anche quando
la legislazione ha imposto nell'ambito della normativa di piano di prevedere
l’indennizzo, come nel caso di reiterazione dei vincoli espropriativi.
Non è necessaria la
contestualità tra piano finanziario per far fronte agli indennizzi, conseguenti
al rinnovo dei vincoli di localizzazione, e piano regolatore o variante allo
stesso piano
(Cons. St. A Pl., 22.12.1999, n. 24, FA, 1999,
2383).
La legislazione
regionale ha normato tale materia richiedendo: la relazione illustrativa, gli
elaborati grafici e le norme di attuazione (Mengoli 2003, 103).
La relazione
illustrativa contiene, oltre ad una analisi del tessuto urbanistico ed edilizio
esistente, le ragioni che motivano le scelte di piano.
Vi sono esposti i
motivi che determinano la collocazione delle varie zone (quali il centro
storico, le zone di completamento, le zone di espansione, ecc.,) e la
localizzazione delle infrastrutture, dei servizi e delle principali opere
pubbliche.
Gli elaborati
grafici - attraverso la simbologia grafica che caratterizza gli spazi -
traducono la relazione illustrativa nella rappresentazione cartolare.
E’ comunque
applicabile il principio di specialità per cui, in caso di contrasto apparente
tra disposizioni coesistenti rispettivamente contenute nelle norme tecniche di
attuazione e nelle norme grafiche si applica quella che ha un contenuto più
preciso e dettagliato
(Assini e Mantini
1997, 274).
Le norme di
attuazione dettano disposizioni specifiche che regolano gli interventi in
materia di urbanizzazione, distanze, indici di edificabilità, volumetria, ecc.
Al posto di optare
per una normativa di larga massima che fissi solo le decisioni programmatorie
di largo respiro - viabilità, zone a standard, zone agricole - la legislazione
regionale ha scelto una normativa rigida di dettaglio.
La legislazione
regionale, pur nelle sue differenziate e molteplici articolazioni, delinea un
contenuto del p.r.g. sempre più caratterizzato da disposizioni e previsioni di
dettaglio, e le stesse amministrazioni comunali concepiscono lo strumento
urbanistico generale come volto a disciplinare non solo l’assetto urbanistico
del territorio, ma anche al tipologia edilizia, le distanze e le altezze per
ogni singola zona
(Assini e Mantini
1997, 290).
34. La
zonizzazione.
LEGISLAZIONE: l. 1150/1942, art. 7.
Il piano
regolatore generale è lo strumento territoriale a carattere generale che ha
funzione programmatoria e vincolante sulla destinazione delle aree, in attesa
che l'amministrazione giunga all'attuazione del piano (Bassani 1996, 29).
Nell'esercizio
di questa funzione l'amministrazione comunale opera con assoluta
discrezionalità sulle scelte da compiere, non essendo ammesso alcun sindacato
giurisdizionale sul contenuto di quelle che riguardano il merito del
provvedimento.
Rientra nelle
scelte di merito insindacabili dell'amministrazione comunale, in sede di
zonizzazione tramite piano regolatore generale, destinare un'area a verde e a
servizi, così modificando la destinazione urbanistica precedente
Sono censurabili
sotto il profilo della legittimità presso il giudice amministrativo solo le
procedure di approvazione per verificare la regolarità del procedimento ovvero
la logicità e la attendibilità degli obiettivi che la pianificazione stessa
deve perseguire.
L'approvazione
della variante generale al piano regolatore generale non può esaurirsi in
singole votazioni frazionate riferite alle singole zone, ma deve
necessariamente comprendere anche una fase conclusiva comportante l'esame, la
discussione, la votazione e l'approvazione del documento pianificatorio nel suo
complesso - fattispecie nella quale, correttamente, si è proceduto alla
votazione separata e frazionata di due tavole di zonizzazione, senza la
presenza di quei consiglieri che di volta in volta potevano astrattamente ritenersi
interessati, ma omettendo la fase conclusiva sopra descritta
La dottrina ha
diviso le prescrizioni contenute nel piano, distinguendo le zonizzazioni dalle
localizzazioni.
Sono considerate
zonizzazioni quelle prescrizioni di piano che suddividono in zone il territorio
comunale, precisando le caratteristiche di ogni singolo comparto.
Esse hanno natura
conformativa, perché definiscono quelle che sono le caratteristiche delle opere
da realizzare nella zona.
Poiché hanno
contenuto conformativo della proprietà privata i vincoli aventi la funzione di
definire per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie
connesse al diritto dominicale, mentre hanno contenuto espropriativo, stante la
loro portata ablatoria, i vincoli incidenti su beni determinati in funzione
della localizzazione puntuale di un'opera pubblica.
Rientra tra i
vincoli della prima specie la destinazione a verde pubblico urbano e
comprensoriale di un'area di proprietà privata disposta in sede di variante al
piano regolatore generale, atteso che tale classificazione, per lo strumento in
cui è contenuta, è espressione del potere di pianificazione.
E’, pertanto,
escluso che, ai fini indennitari, il regime urbanistico dell'area suddetta
debba essere accertato risalendo ad una pianificazione anteriore non più
attuale
(Cass. Civ., sez. I, 28.11.2001, n. 15114, GCM,
2001, 2040).
Ad esempio, sono
delimitate le zone destinate alla residenza e quelle riservate all'industria.
Vengono inoltre
determinati i vincoli ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di
quelle di carattere storico, ambientale e paesistico, ai sensi dell'art. 7
della l. 1150/1942.
Successivamente,
con d. m. 2.4.1968 sono fissati gli standard urbanistici di ciascuna zona,
stabilendo le opere minime indispensabili di urbanizzazione.
Le norme di
zonizzazione hanno natura cogente, come tutti i limiti che la pubblica
amministrazione dà all'attività dei privati, e trovano un supporto normativo
nell’art. 11, l. urb., che impone l'obbligo ai proprietari degli immobili di
osservare nelle costruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono
indicate nel piano.
La zonizzazione
detta prescrizioni a carattere programmatico che, per essere tradotte in
pratica, abbisognano di ulteriori specifiche disposizioni.
Le norme di
zonizzazione non hanno natura ablatoria, in quanto la pubblica amministrazione
impone delle direttive ai privati, senza acquisire gli immobili che, di norma,
anzi, ottengono dalle prescrizioni di zona una rendita di posizione.
La zonizzazione ha
in ogni modo un rilievo fondamentale nel procedimento espropriativo poiché essa
determina la misura della indennità, accertando nella sua ultima definizione la
natura dell’area e distinguendo chiaramente se essa è agricola o edificabile.
La zonizzazione è
determinata dallo strumento urbanistico generale, ma può essere decisa anche da
quello attuativo se esso contestualmente determina una variante di piano.
L'accertamento
delle possibilità legali ed effettive di edificazione di un'area ai fini della
determinazione dell'indennità di esproprio va effettuato tenendo conto non solo
della destinazione attribuita all'area dal piano regolatore generale o dal
piano di fabbricazione, ma anche delle varianti apportate in sede di
"zonizzazione" del territorio da strumenti urbanistici generali,
quali il piano per l'edilizia economica e popolare.
Essi rivestono,
riguardo alla destinazione impressa all'area dal piano di fabbricazione, la
duplice, contemporanea efficacia di strumento attuativo di terzo livello;
mentre non può tenersi alcun conto delle varianti apportate al piano generale
allo specifico scopo di realizzare l'opera che viene contestualmente approvata
(varianti cosiddette attuative), giacché tali varianti costituiscono fonte di
vincolo preordinato all'esproprio e pertanto non può ad esse essere
riconosciuta alcuna incidenza in sede di accertamento della vocazione
edificatoria
35. La
localizzazione.
LEGISLAZIONE: l.
urb., art. 7, n. 1, n. 3, n. 4 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 12.
L’amministrazione
comunale ha la piena competenza nella localizzazione delle opere pubbliche
ossia essa ha la funzione di scegliere le zone di piano nelle quali esse devono
essere eseguite.
Con la
localizzazione l'amministrazione comunale opera una scelta programmatoria
indicando le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare
le opere di interesse pubblico; in tal senso i vincoli di localizzazione
differiscono dai vincoli posti dalla zonizzazione.
I vincoli di piano
regolatore generale si distinguono in vincoli di mera inedificabilità, detti
anche vincoli strumentali, che non preludono ad alcun esproprio futuro, ma si
limitano a differire la possibilità di edificare ad un momento successivo al
compimento di una certa attività di programmazione-pianificazione (come nel
caso di obbligo di piano attuativo) e vincoli preordinati all'espropriazione,
detti anche vincoli sostanziali o di localizzazione, che identificano il luogo
in cui sono destinate a sorgere opere pubbliche e che si sostanziano in una
sorta di "prenotazione" di espropriazione
( T.A.R. Veneto,
30.3.1996, n. 513, T.A.R., 1996, I, 1892).
Attraverso la
delibera di localizzazione si identificano la rete delle principali vie di
comunicazione stradale, ferroviaria e di navigazione e dei relativi impianti,
le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a determinate
servitù, le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad
opere ed impianti di interesse collettivo o sociale previste, ex art. 7, n. 1,
n. 3, n. 4 della legge urbanistica.
La delibera di
localizzazione non è censurabile nel merito, ma solo sotto il profilo della
legittimità da parte del giudice amministrativo.
La specificazione
dell’opera non è ritenuta necessaria dalla giurisprudenza; non è, pertanto,
necessaria una variante di piano per specificare la tipologia dell’opera
pubblica da realizzare.
Non occorre
l'approvazione di una variante al piano regolatore generale ai fini della
localizzazione di aree per attrezzature urbane di interesse generale che
risulti conforme alle previsioni del piano.
Nella specie si
trattava di area destinata alla costruzione di una caserma dei Vigili del
fuoco.
(Cons.giust.amm.
Sicilia, sez. giurisd., 22.9.1999, n. 391, GBLT, 2000, 159).
Nel caso si
debba cambiare la destinazione dell’area per giungere a localizzare un’opera è
necessario procedere con una variante di piano; in tal caso la giurisprudenza
sottolinea la necessità di una puntuale motivazione.
La deliberazione
comunale dei vincoli di localizzazione partecipa della natura del piano regolatore
(in parte atto generale e in parte atto normativo); pertanto è sufficiente la
motivazione desumibile dall'esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la
redazione del piano.
Inoltre è
sufficiente, per la giustificazione della variante, l'esigenza di conformare lo
strumento urbanistico alle norme sui rapporti tra spazi destinati agli
insediamenti, residenziali e produttivi, a spazi pubblici o destinati alle
attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi
(Cons. St., A. Pl., 22.12.1999, n. 24, FA,
1999, 2383).
La
localizzazione è il necessario presupposto del procedimento ablatorio. Con la
localizzazione l'amministrazione opera una scelta programmatoria gestionale
indicando, scegliendole fra quelle disponibili, le aree, non importa se
edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico.
Le localizzazioni
disciplinano soprattutto la scelta urbanistica delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, gli impianti, opere per interventi di dimensione
sovracomunale; le attrezzature, impianti, interventi ed opere di interesse
pubblico e generale
(Assini e Mantini
1997, 251).
Le disposizioni
aventi natura localizzatoria hanno, quindi, in sé un contenuto ablatorio che,
nell'impianto della legge urbanistica, non discende direttamente
dall'approvazione del piano regolatore, ma dai piani particolareggiati, o,
comunque, da quelli aventi natura attuativa: - come il piano di zona per
l'edilizia economico popolare - ovvero da una successiva dichiarazione di
pubblica utilità od indifferibilità ed urgenza dei lavori.
La mera indicazione
nel piano regolatore non consente, quindi l’avvio della procedura
espropriativa.
La deliberazione di
localizzazione di un intervento pubblico, non contenendo ancora la
dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle
relative opere, pur se intervenuta nel termine quinquennale di vigenza del
p.r.g., non è in grado di soddisfare l'esigenza posta dall'art. 2, l.
19.11.1968, n. 1187, giacché solo l'approvazione del progetto esecutivo, con la
contestuale dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza
dell'opera, è in grado di imporre il vincolo espropriativo opponibile
all'espropriando
(Cons. St., sez. IV, 30.5.2002, n. 3007, FACDS,
2002, 1214).
Nel caso di
inclusione di un compendio immobiliare in un piano regolatore generale che ne
contempli la destinazione a centro scolastico, con rinvio alle disposizioni del
piano particolareggiato per l'individuazione puntuale del singolo edificio o
degli edifici destinati a soddisfare lo specifico interesse pubblico, non è
possibile configurare una dichiarazione di pubblica utilità implicita idonea ad
avviare il procedimento espropriativo in assenza di una attuazione specifica
del programma di edilizia scolastica.
E’ necessaria,
infatti, la preventiva l'adozione di un piano particolareggiato o di un decreto
di vincolo dell'edificio ai sensi dell'art. 14 l. 641 del 1967
(Trib. Sondrio,
31.5.2000, FI, 2000, I, 2832).
La
localizzazione trova fondamento nelle scelte portate dal p.r.g., solamente se
l’opera corrisponde alle previsioni dello strumento urbanistico o di una sua
variante può essere disposta la dichiarazione di pubblica utilità.
Essa che sarà
addirittura implicita qualora si tratti di uno strumento urbanistico attuativo,
come, ad esempio, nel caso del piano particolareggiato o del piano di zona per
l’edilizia economico popolare, art. 12, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
35.1. La localizzazione di opere
realizzate da amministrazioni statali.
LEGISLAZIONE:
d.p.r. 18.4.1994, n. 383, art. 3.
La funzione
comunale in materia di localizzazione viene però esercitata dallo Stato nel
caso di opere che siano realizzate da amministrazioni statali.
L'intesa tra Stato
e regioni prevista dall'art. 81, d.p.r. 24.7.1977, n. 616, per l'accertamento
di conformità alle prescrizioni del piano regolatore generale delle opere da
realizzare da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio
statale, non occorre per le opere destinate alla difesa nazionale, alla quale
sono equiparate le sedi di servizio dell'Arma dei carabinieri.
La localizzazione
di dette opere è di esclusiva competenza degli organi statali
(T.A.R. Trentino
Alto Adige Trento, 28.10.1998, n. 432, T.A.R. 1998, I, 4413).
L'art. 2 della l.
537/1993 ha consentito l'emanazione del regolamento di localizzazione delle
opere pubbliche approvato con d.p.r. 383/1994 che prevede, in caso di
difformità delle opere dagli strumenti urbanistici, la convocazione di una
conferenza di servizi cui partecipano la regione, i comuni, le amministrazioni
dello Stato interessate, nonché gli enti tenuti ad adottare atti di intesa.
La conferenza dei servizi prevista dall’art. 3, d.p.r.
18.4.1994, n. 383, convocata per la localizzazione di un'opera pubblica di
interesse statale non conforme agli strumenti urbanistici vigenti,
pronunciandosi all'unanimità, può apportare al progetto le opportune
modificazioni, purché queste non comportino uno stravolgimento del progetto
esecutivo originario. Quei partecipanti che non intendono approvarle devono
espressamente e chiaramente motivare il proprio dissenso
(Cons. St., sez.
IV, 24.2.2000, n. 1002, RGU, 2001, 195 nota Nicoletti).
In mancanza di
approvazione all'unanimità l’amministrazione interessata può chiedere che si
proceda ad approvazione con decreto del Presidente della Repubblica, come
previsto dall'art. 81, 4° co. del d.p.r. 616/1977 (Mengoli 2003, 882).
Se l'intesa non si
realizza entro novanta giorni dalla data di ricevimento da parte delle regioni
del programma di intervento, e il Consiglio dei Ministri ritiene che si debba
procedere in difformità dalla previsione degli strumenti urbanistici, si
provvede sentita la commissione interparlamentare per le questioni regionali
con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio
dei Ministri su proposta del Ministro o dei Ministri competenti per materia
(Art. 81, 4° co. del d.p.r. 616/1977).
L'intesa è un
provvedimento amministrativo soggetto alle normali impugnative.
Le disposizioni aventi natura localizzatoria, difformemente da quelle che comportano la zonizzazione del territorio comunale, hanno in sé un contenuto ablatorio che, nell'impianto della legge urbanistica, è determinato dalla imposizione del vincolo.
Le disposizioni aventi natura localizzatoria, difformemente da quelle che comportano la zonizzazione del territorio comunale, hanno in sé un contenuto ablatorio che, nell'impianto della legge urbanistica, è determinato dalla imposizione del vincolo.
In sede di adozione
dei p.r.g. i vincoli imposti possono essere di mera inedificabilità, detti
anche vincoli strumentali, e vincoli preordinati alla espropriazione, detti
anche vincoli sostanziali o di localizzazione.
I primi non
preludono ad alcun esproprio futuro, ma si limitano a differire la possibilità
di edificare ad un momento successivo al compimento di una certa attività di
programmazione o pianificazione (come nel caso di obbligo di piano attuativo),
mentre i secondi identificano il luogo in cui sono destinate a sorgere opere
pubbliche e si sostanziano in una sorta di "prenotazione" di
espropriazione.
Pertanto gli
effetti che si verificano alla scadenza del piano regolatore sono diversi a
seconda che si tratti di vincoli sostanziali o di vincoli strumentali, in
quanto, nel primo caso, l'area risulterà priva di specifica destinazione, nel
secondo, riprenderà vigenza la destinazione preesistente, in tutta la sua
pienezza
(T.A.R. Sicilia
Palermo, sez. II, 4.10.2001, n. 1366, CI, 2001, 1711).
La pianificazione
generale non comporta la dichiarazione di pubblica utilità.
Essa non deriva
direttamente dall'approvazione del piano regolatore, ma dai piani
particolareggiati o comunque aventi natura attuativa - come il piano di zona
per l'edilizia economico popolare - ovvero da una successiva dichiarazione di
pubblica utilità od indifferibilità ed urgenza dei lavori.
36. Il procedimento di formazione.
L’informazione. Le osservazioni.
LEGISLAZIONE: l.
1150/1942, artt. 8, 9, 10.
Il procedimento
di formazione del piano regolatore è disciplinato dagli artt. 8, 9, 10, l.
1150/1942.
La legislazione
regionale impone ai comuni il dovere di informazione sulle procedure di
formazione degli strumenti urbanistici per favorire la partecipazione dei
soggetti interessati.
14. Il comune,
nell'esercizio delle funzioni trasferite, deve assicurare
un'adeguata
informazione ai cittadini in merito alla definizione delle scelte
urbanistiche e la
trasparenza dell'azione amministrativa, disponendo la
tempestiva
pubblicazione su almeno un quotidiano o un periodico a diffusione
locale di appositi
avvisi riguardanti:
a) l'avvio del
procedimento di formazione dello strumento urbanistico generale e
delle sue varianti,
stabilendo il termine entro il quale chiunque ne abbia
interesse possa
presentare istanze ai fini della determinazione delle scelte
urbanistiche;
b) l'avvenuta
adozione del piano e delle sue varianti, nonché il deposito presso
la segreteria
comunale, volto a consentire la loro conoscenza e la presentazione
di osservazioni;
c) l'efficacia del
piano e delle sue varianti ai sensi del comma 21
(Art. 3, 14° co.,
l.r. Lombardia 5.1.2000, n. 1).
La giurisprudenza
ha affermato che il dovere di informazione, dopo l’entrata in vigore della l.r.
Lombardia 5.1.2000, n. 1, è costitutivo nell’ambito del procedimento di
formazione con conseguente annullamento del procedimento (T.A.R. Lombardia
Milano , sez. II, 3.6.2003, n. 2415).
La dottrina
conferma che l’inosservanza determina l’illegittimità dell’atto amministrativo.
In caso di mancata
notizia con tempestiva pubblicazione su almeno un quotidiano la deliberazione è
da ritenersi illegittima per violazione di legge e, come tale, annullabile.
L’annullamento, essendo stato causato dalla mancata pubblicazione dell’avviso
di avvio di procedimento, comporta la necessità di rinnovare tutti gli atti
conseguenti sino alla deliberazione di adozione compresa
(Boccella 2003, 1736)
Il procedimento di
formazione prevede la partecipazione obbligatoria dei soggetti aventi interesse
alla approvazione dello strumento urbanistico che possono presentare
osservazioni al progetto stesso.
Esso si articola:
nella delibera di
adozione del piano, soggetta al controllo di legittimità;
nel deposito
presso la segreteria comunale per consentire, attraverso la presa visione, la
presentazione delle osservazioni;
nella delibera di
risposta alle osservazioni e di definitiva adozione della variante, con la
conseguente trasmissione degli atti alla regione che è preposta
all’approvazione del piano.
Gli atti sono
immediatamente impugnabili, poiché immediatamente lesivi.
Trattandosi di
provvedimento pianificatorio a contenuto generale non sussistono soggetti cui
attribuire natura di controinteressati, quindi non vi è obbligo di notifica
delle osservazioni a terzi.
Il piano
regolatore comunale ha natura di atto amministrativo generale, ciò esclude la
configurabilità di posizioni di controinteressato in capo a quei soggetti,
anche nominativamente individuati, che siano avvantaggiati dalle previsioni del
piano medesimo o le cui osservazioni sono state accolte
(T.A.R. Umbria,
7.6.2002, n. 389, FATAR, 2002, 2861 nota Montefusco).
I privati possono
quindi intervenire nella fase della formazione dello strumento urbanistico,
partecipandovi attivamente con i rimedi delle osservazioni e delle opposizioni.
Nella legislazione
regionale tutti i soggetti interessati sono legittimati a proporle,
configurando l’istituto come una sorta di partecipazione collaborativa alla
predisposizione dello strumento urbanistico generale
(Assini e Mantini
1997, 300).
La natura dei due
strumenti è diversa.
Per quanto riguarda
le prime sussiste una certa tendenza da parte della giurisprudenza a ritenerle
mera forma di civica collaborazione, tanto che non occorre una motivazione
specifica per respingerle. Sulle opposizioni il comune deve, invece,
pronunciarsi con un provvedimento motivato.
Le osservazioni
presentate dai privati interessati all'adozione di un piano regolatore
generale, costituiscono forme di collaborazione alla formazione degli strumenti
urbanistici e non rimedi a tutela degli interessati, sicché il Comune non è
tenuto a confutare analiticamente e specificamente tutte le argomentazioni
contenute nelle osservazioni; pertanto, al fine di non tenere conto di alcune
osservazioni, è sufficiente evidenziare il loro contrasto con gli interessi o
le linee portanti del piano regolatore
(T.A.R. Lombardia
Milano, sez. II, 27.9.2002, n. 3826, FATAR, 2002, 2801, 3122 nota
Leonardi).
La reiezione delle
osservazioni può essere motivata ob relationem con le controdeduzioni
del comune, essendo sufficiente che le controdeduzioni, ancorché sintetiche, siano
idonee a dimostrare che si è tenuto presente l'apporto collaborativo e critico
dei privati.
Le osservazioni dei
proprietari dei terreni interessati alla predisposizione d'un piano regolatore
generale - se si vuole evitare l'inutilità dello strumento partecipativo in
esame - impongono alla amministrazione comunale l'obbligo di motivarne
l'eventuale rigetto.
Con le osservazioni
da essi presentate al piano regolatore generale, i privati interessati
partecipano in sostanza alla formazione del piano stesso, e pertanto
l'amministrazione comunale è obbligata a motivarne l'eventuale rigetto
adeguatamente - facendo almeno riferimento al fatto che dette osservazioni
contrastano con le linee fondamentali del piano regolatore - così che,
nell'interesse reale della popolazione, sia assicurata l'adozione di soluzioni
urbanistiche, oltre che legittime, anche opportune e razionali.
Nella specie, si è
ritenuto che l'amministrazione è tenuta a rispondere alle osservazioni
relativamente alle linee logiche e normative tenute presenti nel piano, non con
semplice riferimento agli interessi fatti valere, aventi forzatamente e
logicamente natura privata
(T.A.R. Liguria,
sez. I, 26.11.2002, n. 1153, GM, 2003, 561).
La motivazione di
rigetto delle osservazioni dei privati al piano regolatore generale può essere
sintetica e non necessariamente riferita alle singole osservazioni, risultando
sufficiente che il comune, dopo averle esaminate, le ritenga in contrasto con
gli interessi e le considerazioni generali posti a base del p.r.g.
(T.A.R. Trentino
Alto Adige Trento, 13.5.2000, n. 155, FA, 2000, 2780).
La delibera di
recepimento delle osservazioni non può essere in contrasto con precedenti
determinazioni del comune, pena l’illegittimità del provvedimento.
È illegittima la
deliberazione con la quale la giunta comunale, che in un primo tempo aveva
manifestato la volontà di non condividere le proposte regionali di modifica del
piano regolatore generale, recepisce le osservazioni per non ritardare
l'entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico; tale decisione, infatti,
soddisfa le esigenze di celerità, ma priva il procedimento degli
approfondimenti e delle analisi che la situazione avrebbe richiesto
(T.A.R. Lombardia
Milano, sez. II, 10.6.2002, n. 2441, FATAR, 2002, 1896).
L’accoglimento
delle osservazioni deve essere motivato con riferimento agli interessi
contrapposti che sottintendono la pianificazione.
La motivazione deve
essere particolarmente puntuale qualora vi siano delle aspettative dei
proprietari in relazione a provvedimenti lottizzatori già approvati
dall’amministrazione.
È illegittima la
delibera di adozione di un piano regolatore generale, nella parte in cui
vincola a verde pubblico aree già destinate ad edilizia residenziale, in
accoglimento parziale delle osservazioni di terzi volte ad ottenere lo stralcio
delle previsioni lottizzatorie, senza motivazione o con la mera indicazione
della nuova destinazione d'uso o sul rilievo che la stessa persegua la
salvaguardia del territorio comunale, dovendo, l'accoglimento delle
osservazioni predette, essere motivato da ragioni idonee a render conto della
compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti
(T.A.R. Lombardia
Milano, sez. I, 6.3.2002, n. 973, FATAR, 2002, 815).
È illegittima, per
carenza istruttoria, la delibera di adozione di piano regolatore generale, ove
il provvedimento si riveli complessivamente approssimativo ed inadeguato
nell'elaborazione, in relazione alle osservazioni puntuali e concrete svolte
dalla commissione edilizia
(T.A.R. Campania
Napoli, sez. I, 6.6.2000, n. 1863, FA, 2000, 2864)
È illegittima la
delibera con cui l'amministrazione rigetta osservazioni di privati al piano
regolatore generale in itinere con la semplice motivazione di un
generico interesse privato
(Cons.giust.amm.
Sicilia, sez. giurisd., 11.10.1999, n. 417, GBLT, 2000, 166).
37. Le opposizioni.
LEGISLAZIONE: l.
1150/1942, art. 9.
Le
opposizioni, che spettano solo ai proprietari degli immobili compresi nel piano
stesso, hanno carattere di veri e propri rimedi giuridici, in quanto obbligano
l'autorità competente ad esaminarle ed a decidere sulle stesse, ex l.
1150/1942, art. 9.
Le osservazioni e
le opposizioni al piano regolatore generale di un comune si riferiscono a due
concentrici livelli di interessi: le osservazioni, infatti, si concretano in
suggerimenti di modifica o delle linee generali del piano o di previsioni
specifiche di esso che incidono su situazioni di interesse diffuso su tutti i
residenti nella zona.
Le opposizioni,
invece, si concretano in vere e proprie censure a specifiche previsioni
urbanistiche che, riguardando in modo diretto l'opponente, incidono su
posizioni di interesse legittimo del proprietario leso dall'atto di
pianificazione e non rientrano quindi nel modello partecipativo, ma costituiscono
esercizio di un vero e proprio interesse partecipativo.
(Cons.giust.amm.
Sicilia, 1.6.1993, n. 227, CS, 1993, I, 795).
La giurisprudenza
tende a dare una risposta sempre più univoca in ordine al contenuto delle
motivazioni che devono concretizzare l’atto che respinge sia le osservazioni
sia le opposizioni al piano.
Le osservazioni ed
opposizioni non possono, però, essere respinte con una pura formula di stile
che, sia per la schematica astrattezza del testuo, sia per il fatto di potersi,
in pratica, riferire a qualsiasi rilievo, pone nella assoluta impossibilità di
chiarire se l'amministrazione abbia effettivamente valutato il rilievo
presentato e quindi si sia determinata a respingerlo proprio ai fini di quel
pubblico interesse che essa asserisce di volere tutelare.
E’, invece,
necessaria una adeguata e puntuale motivazione.
Legittimamente
l'amministrazione, nell'accogliere solo in parte le osservazioni presentate da
un privato, accorda una limitata edificabilità ad una porzione ridotta dell'area
di proprietà di quest'ultimo destinata a verde e parco pubblico, motivando tale
scelta con la volontà di colmare, seppure in parte, il sacrificio imposto al
proprietario stesso nell'interesse della collettività
(Cons. St., sez. IV, 1.7.1992, n. 654, GC,
1993, I, 284).
Secondo la dottrina
le osservazioni, poiché si rivolgono contro un atto non ancora perfetto, sono
dei semplici mezzi istruttori che non pregiudicano i futuri rimedi
giurisdizionali.
38. Il recepimento delle osservazioni
e l’obbligo di ripubblicazione del piano.
LEGISLAZIONE: l.
1150/1942, art. 9.
La giurisprudenza
ha fissato i criteri per definire, quando le osservazioni e le opposizioni
vengano recepite, se sussiste la necessità di ripubblicare il piano, con la
medesima procedura, e di porlo a disposizione del pubblico per nuove eventuali
osservazioni, ai sensi dell’art. 9 della l. 1150/1942.
La giurisprudenza
ritiene che, nel procedimento di formazione dei piani regolatori, la
pubblicazione prevista dall'art. 9 della l. 17.8.1942, n. 1150, è finalizzata
alla presentazione, da parte dei soggetti interessati al progetto di piano, di
osservazioni che hanno solamente una funzione collaborativa.
Queste non sono
richieste nelle successive fasi del procedimento, anche se il piano regolatore
generale originario viene modificato in sede di approvazione (Cons. St., Sez.
IV, 7.12.2000, n. 6507. Cons. St., Sez. IV, 16.3.1998, n. 437).
Solo in particolari
casi, qualora le variazioni introdotte siano di rilevante entità, conseguenti a
scelte dell'Amministrazione che approva il progetto di piano e tali da
configurare una nuova adozione dello strumento in itinere, la
giurisprudenza ammette che possano riaprirsi i termini per la presentazione di
nuove osservazioni da parte dei privati.
Nel procedimento di
formazione dei piani regolatori, la pubblicazione prevista dall'art. 9, l.
17.8.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione, da parte dei soggetti
interessati al progetto di piano, di osservazioni che hanno funzione
collaborativa e non sono richieste nelle successive fasi del procedimento,
anche se il piano regolatore generale originario viene modificato in sede di
approvazione regionale.
Solo in particolari
casi, qualora le variazioni introdotte siano di rilevante entità, conseguenti a
scelte dell'amministrazione che approva il progetto di piano e tali da
configurare una nuova adozione dello strumento in itinere, si può configurare
la riapertura dei termini per la presentazione delle nuove osservazioni da
parte dei privati
(Cons. St., Sez. IV,
20.11.2000, n. 6178).
La giurisprudenza
ha escluso la necessità di ripubblicazione dello strumento urbanistico adottato
quando il progetto originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di
osservazioni, anche nel caso in cui esse incidano sulle posizioni giuridiche di
altri.
Non è richiesta
la pubblicazione qualora la Regione abbia basato il suo intervento correttivo
per ridefinire, in primo luogo, le esigenze abitative e le capacità insediative
produttive previste dal piano.
La pubblicità non è
richiesta neppure qualora la Regione abbia adottato altri interventi per
salvaguardare valori archeologici, paesistici e ambientali presenti sul
territorio comunale, e anche per adeguare, in talune zone, le aree destinate a
verde pubblico e a servizi pubblici agli indici stabiliti dal d.m. 2.4.1968, n.
1444.
Il mancato rispetto
dei parametri di cui al d.m. n. 1444 del 1968, rende l’intervento
indispensabile per apportare le integrazioni ritenute necessarie e pervenire a
una dotazione pro capite effettivamente godibile di 24 mq/abitante,
secondo quanto prescritto dall'art. 4, 3° co., d.m. 2.4.1968, n. 1444.
Di ciascuna misura
deve essere dato conto attraverso l'indicazione dei criteri, dei parametri e
delle fonti normative che giustificano gli interventi, sia in ordine al
fabbisogno abitativo, in rapporto alla popolazione residenziale e stagionale;
sia per le previsioni riferite alle attività produttive industriali e
artigianali, ritenute non commisurate alle obiettive possibilità di sviluppo del
settore; sia per la tutela del paesaggio, dei complessi storici, ambientali e
archeologici, con riferimento, in particolare, ai vincoli già esistenti su
tutto il territorio comunale e alla esigenza di tutela di un patrimonio
archeologico di particolare rilievo.
Non sussite una
sostanziale modifica del piano adottato e quindi la necessità di una nuova
pubblicazione qualora gli interventi decisi dalla Regione non provengano da
scelte discrezionali, ma siano tutti diretti alla salvaguardia di valori
vincolanti sotto l’aspetto normativo ai quali l'ente sovraordinato abbia
ritenuto di adeguare le previsioni dello strumento urbanistico sottoposto alla
sua approvazione (Cons. St., sez. IV, 25.9.2002, n. 4902).
Nel procedimento di
formazione dei piani regolatori generali, la pubblicazione, prevista dall'art.
9 della l. 17.8.1942, n. 1150, è finalizzata alla presentazione di osservazioni
al progetto di piano adottato dal comune, ma non è richiesta per le successive
fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a
seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni; pertanto, non è necessaria la
ripubblicazione del piano regolatore, allorché il comune prenda atto della
approvazione regionale, con modificazioni, del piano medesimo
(Cons. St., sez. IV, 21.11.1992, n. 958, FA,
1992).
E’ valutata con
maggiore rigore l’esigenza di ripubblicazione del piano qualora il
provvedimento di accoglimento riguardi le modifiche presentate non dalla
regione, ma da soggetti non proprietari dell’area interessata.
L'accoglimento di
un'osservazione ad un piano regolatore generale in itinere che sia stata
presentata da un soggetto diverso dal proprietario dell'area interessata e che
possa arrecare a questo un nocumento rende necessaria una ripubblicazione del
piano, al fine di permettere alla proprietà di presentare a sua volta memorie
ed osservazioni al riguardo
(T.A.R. Lombardia Brescia, 3.6.2003, n. 826).
La l.r.
Lombardia 51/1975 ha escluso la necessità di ripubblicazione (Assini e Mantini
1997, 304).
La giurisprudenza
anche in presenza della normativa regionale si ispira ai principi generali
richiedendo la ripubblicazione in caso di sostanziali modifiche.
Nel caso in cui il
Comune, a seguito dell'adozione di piano regolatore generale, accolga
osservazioni formulate da privati, l'obbligo di ripubblicazione della
deliberazione si pone solo nel caso in cui le osservazioni accolte comportino
una profonda modifica dei criteri posti a base del piano già adottato, mentre
negli altri casi la deliberazione comunale non implica volontà di modifica
immediata del piano, costituendo una proposta di modifica d'ufficio rivolta
alla Regione
(T.A.R. Lombardia
Milano, sez. II, 9.4.2002, n. 1393, FATAR, 2002, 1167).
La legislazione
regionale della provincia di Trento prevede, invece, un vero e proprio
subprocedimento amministrativo avente ad oggetto l'esame delle osservazioni
(T.A.R. Trento, 17.12.1991, n. 447, FA, 1992, 589).
Il piano con le
controdeduzioni comunali è poi trasmesso agli organi regionali competenti.
Trattandosi di atto
complesso cui partecipano il comune e la regione, la mancata trasmissione
impedisce la rituale conclusione del procedimento.
La legislazione
regionale ha trasferito alle province la competenza relativa all’approvazione
dei piani regolatori comunali; ad esempio la l. r. Emilia Romagna 30.1.1995, n.
6, ha affidato tale compito alla giunta provinciale.
È manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 97, 117 e 128 cost., la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 11, l. r. Emilia Romagna 30.1.1995, n. 6,
sotto il profilo che, nella parte in cui attribuisce la competenza ad approvare
i piani regolatori alla giunta provinciale anziché ai consigli provinciali,
finirebbe per porre una norma sull'organizzazione interna degli enti locali che
trascende dalla materia urbanistica riservata dall'art. 117 cost. alla
competenza legislativa regionale
(T.A.R. Emilia
Romagna Bologna, sez. I, 21.9.1999, n. 418, T.A.R., 1999, I, 4377).
39. L’accesso al procedimento di
formazione.
LEGISLAZIONE: l.
7.8.1990, n. 241, artt. 7, 24, 2° co.
La legge
sull'accesso al procedimento amministrativo ha escluso la possibilità di
partecipare al procedimento di formazione dei piani urbanistici.
Tale divieto è
stato esteso dalla giurisprudenza anche ai consiglieri comunali, sebbene
l’indirizzo non sia conforme.
Un consigliere
comunale non è titolare del diritto di accesso o di visione degli elaborati
progettuali relativi ad una variante al piano regolatore generale quando detti
elaboratori non siano stati ancora recepiti dalla giunta, rimanendo così al
livello di mero studio preliminare
(T.A.R. Umbria,
21.12.1994, n. 899, T.A.R., 1995, I, 692).
Un altro
indirizzo giurisprudenziale, invece, riconosce ai consiglieri comunali la
facoltà di consultare la documentazione preparatoria alla redazione del piano
al fine di esercitare la loro funzione.
Sussiste il diritto
del consigliere comunale alla visione ed all'accesso alla documentazione
relativa alla fase preparatoria della revisione del piano regolatore generale
(T.A.R. Liguria,
sez. I, 3.12.1994, n. 448, T.A.R., 1995, I, 613).
Non è comunque
stato modificato il sistema di intervento dei privati dopo l'adozione dello
strumento da parte del consiglio comunale.
Il d.p.r.
27.6.1992, n. 352 approva il Regolamento che disciplina le modalità di
esercizio nei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti
amministrativi, ai sensi dell'art. 24, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241.
Questa normativa
consente la attuazione del più generale diritto, sancito dagli artt. 7 e ss.,
l. 241/1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo, che consiste
nel prendere visione degli atti compiuti dall'amministrazione e nel poterne
estrarre copia.
Soggetto attivo del
diritto è chiunque abbia un interesse per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti; rispetto al testo legislativo il regolamento
definisce ulteriormente tale interesse che deve essere personale e concreto,
fatte salve le richieste di accesso di portatori di interessi pubblici e
diffusi quali amministrazioni, associazioni e comitati.
Emerge
dall'identificazione del soggetto anche l'ipotetico contenuto delle domande di
accesso.
Il privato che
vuole esercitare il diritto all’accesso, ad esempio per prendere visione della
documentazione nella fase formativa di uno strumento urbanistico, non si
troverà in una posizione giuridica dissimile da quella prevista dall'art. 9
della l. urb., che prevede la possibilità di prendere in visione, presso gli
uffici comunali, il progetto di piano.
Il comune non può sottrarsi
all'obbligo di consentire la visione del progetto di piano, neppure nella fase
di nuova pubblicazione dovuta a modifiche richieste dalla regione, in sede di
approvazione.
La giurisprudenza
ha invece escluso la possibilità di accedere alle osservazioni presentate da
privati prima che esse siano state valutate nella delibera con cui il comune
presenta le sue controdeduzioni, salvo uno specifico interesse da qualificare
nella domanda di accesso.
Resta, comunque, il
dubbio di come il richiedente possa specificare il suo interesse non conoscendo
ovviamente il contenuto delle osservazioni presentate da altri soggetti.
È legittimo il
diniego di accesso alle osservazioni presentate dai cittadini allo strumento
urbanistico adottato, motivato sul fatto che a tale richiesta il comune avrebbe
provveduto solo dopo l'avvenuta esecutività dell'atto consiliare di
controdeduzione alle osservazioni stesse, in quanto il richiedente, al pari di
tutti gli altri cittadini, ben può prendere visione del piano regolatore
adottato e presentare le proprie osservazioni, mentre non ha alcun interesse ad
effettuare l'esame demandato dalla legge al consiglio comunale, laddove non ne
indichi uno qualificato e, anzi, indichi l'accesso come fine e non come mezzo
di tutela
(Cons. St., sez. V, 23.5.1997, n. 549, FA,
1997, 1399).
L'art. 24, 6° co.,
l. 241/1990, che non consente l'accesso agli atti preparatori dei provvedimenti
di pianificazione, non modifica, anzi lascia pienamente in vigore, le altre
disposizioni di legge - come appunto la legge urbanistica - che disciplinano
già un procedimento di accesso.
Della l. 241/1990
si può utilizzare il nuovo sistema di tutela presso la giustizia
amministrativa.
La richiesta di
accesso può essere evasa direttamente, in via informale, mediante l'esibizione
del documento o la estrazione di copia, ovvero in via formale mediante un
procedimento puntualmente previsto dal regolamento, che inizia con rituale
domanda e finisce con un provvedimento di diniego nei casi di esclusione da
tale diritto.
Essi sono
tassativamente previsti, ad esempio, per la sicurezza e difesa nazionale, per
ragioni di politica monetaria, per ragioni di ordine pubblico o sicurezza di
terzi ovvero per salvaguardare esigenze di riservatezza dell'amministrazione.
Il procedimento di
accesso è affidato al responsabile del procedimento amministrativo, individuato
ai sensi dell'art. 4 della l. 241/1990.
Contro le
determinazioni amministrative concernenti l'accesso o contro il silenzio
rifiuto che si forma nei trenta giorni successivi alla presentazione della
richiesta, può essere presentato ricorso, entro trenta giorni, al T.A.R. che
decide in camera di consiglio, in termini abbreviati, ai sensi dell'art. 25, l.
241/1990.
Questa azione ad
exhibendum è stata espressamente riconosciuta, in tema di accesso, ai
procedimenti pianificatori dalla giurisprudenza.
Le decisioni dei
T.A.R. hanno testualmente affermato che la pretesa di prendere visione degli
atti del procedimento - di cui sono titolari coloro che collaborano alla
formazione dello strumento di pianificazione urbanistica - costituisce
concettualmente una species della più generale facoltà di intervento
contemplata dall'art. 9, l. 7.8.1990, n. 241 e alla quale è correlato naturaliter
il diritto di visione enunciato dal successivo art. 10, lett. a), l. 241/1990:
Con riguardo agli
atti di formazione di uno strumento urbanistico primario, la cui visione era
già garantita dall'art. 9, l. 17.8.1942, n. 1150, può essere esperita l'actio
ad exhibendum di cui all'art. 25, 5° co., l. 241/1990
(T.A.R. Lombardia,
Brescia, 27.11.1991, n. 905, RGE, 1992, 176).
39.1. Le varianti agli strumenti
urbanistici nel caso di approvazione di progetto di opera pubblica.
LEGISLAZIONE: d. lg. 18.8.2000, n.
267, artt. 42, 2° co., lett. b), e 48 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, artt. 10, 2° co., 19
- d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co. lett. g), art. 1, 1° co. lett. q).
Il t.u. espr. pone delle modifiche
sostanziali alla procedura di variante di piano regolatore.
Queste procedure, che modificano i
vincoli di piano, sono redatte sovente per porre in essere procedimenti
ablatori al fine di realizzare le opere previste dal piano.
Per la variante di piano contenente
anche vincoli espropriativi si applicano le regole generali che impongono il
procedimento di adozione di variante che ricalca lo schema del procedimento di
approvazione del p.r.g. (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002,
179).
Le novità riguardano le varianti
portate dall’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica.
Se l’opera da realizzare non risulta
conforme alle previsioni urbanistiche, l’approvazione del suo progetto
definitivo da parte del consiglio comunale costituisce adozione di variante
allo strumento urbanistico, art. 19, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
1. Quando l'opera da realizzare non
risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore
può essere disposta con le forme di cui all'art. 10, comma 1, ovvero con le
modalità di cui ai commi seguenti. (L)
2. L'approvazione del progetto
preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale, costituisce adozione
della variante allo strumento urbanistico. (L)
3. Se l'opera non è di competenza
comunale, l'atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte
della autorità competente è trasmesso al consiglio comunale, che può disporre
l'adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico. (L)
(art. 19,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° co. lett. q), d.lg. 302/2002).
In tal modo la norma, richiedendo
l’intervento del consiglio comunale, modifica la competenza all’approvazione
del progetto definitivo che era attribuita dagli artt. 42, 2° co., lett. b), e
48, d. lg. 18.8.2000, n. 267, alla giunta.
La dottrina nota che si tratta di
una modifica implicita, vietata in quanto la normativa può solo dettare
disposizioni abrogative esplicite.
Lo stesso legislatore aveva
prescritto nell’art. 1, 4° co., d. lg. 18.8.2000, n. 267 – ricalcando una
disposizione già introdotta con la l. 142/1990 – che il t.u. sugli enti locali
non possa essere modificato mediante abrogazione implicita, per
incompatibilità, ma solo mediante disposizioni espresse
(Carbone 2001, 1265).
L’approvazione del progetto di opera
pubblica sollecita, quindi, l’approvazione di una variante che avviene
successivamente e per effetto del progetto; essa è approvata contestualmente a
questo e richiede una forma particolare di pubblicità.
E’ da notare che l’approvazione
della variante può scaturire dall’approvazione del progetto preliminare oltre
che dal progetto definitivo, consentendo un maggior lasso di tempo tra
l’approvazione del progetto e la realizzazione delle opere (Conti 2003, 259).
Per effettuare un miglior
coordinamento con le disposizioni impositive di vincoli, l’art. 10, 2° co.,
d.p.r. 302/2001, sost. art. 1, 1° co. lett. g), d.lg. 302/2002, afferma che il
vincolo può essere direttamente imposto attraverso l’approvazione della
variante semplificata allo strumento urbanistico.
39.2. La partecipazione al
procedimento.
LEGISLAZIONE: d.p.r. 8.6.2001, n.
327, artt. 16, 17, 18 - d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co. lett. o).
Nel caso in cui l’opera da
realizzare non risulti conforme alle previsioni urbanistiche, la presentazione
del progetto dell’opera pubblica deve avvenire attraverso le forme di
partecipazione del proprietario del terreno su cui l’opera deve sorgere, art.
18, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Poiché, infatti, al proprietario non
sono assicurate le garanzie partecipate previste in sede di approvazione dello
strumento urbanistico la localizzazione dell’opera pubblica deve avvenire in
contraddittorio.
Le garanzie partecipative in sede di
presentazione del progetto di opera pubblica sono, peraltro, garantite anche
qualora l’opera sia conforme alle disposizioni di piano
4. Al proprietario dell'area ove è
prevista la realizzazione dell'opera è inviato l'avviso dell'avvio del
procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1, con l'indicazione del
nominativo del responsabile del procedimento. (L)
omissis
9. L'autorità espropriante non è
tenuta a dare alcuna comunicazione a chi non risulti proprietario del bene. (L)
10. Il proprietario e ogni altro
interessato possono formulare osservazioni al responsabile del procedimento,
nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dalla
pubblicazione dell'avviso. (L)
(Art. 16,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° co. lett. o), d.lg. 302/2002).
Il proprietario può formulare
osservazioni sia sulla localizzazione sia sugli aspetti tecnici e dimensionali
dell’opera (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 167).
Egli deve essere notiziato della
data in cui il progetto definitivo è stato approvato, ex art. 17, d.p.r.
8.6.2001, n. 327.
39.3. Il silenzio sull’approvazione
di variante di p.r.g.
LEGISLAZIONE:
l. 24.11.2000, n. 340, all. 1, n. 13 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, artt. 9, 5°
co., 19, 4° co. - d.lg. 302/2002, art. 1, 1° co., lett. f), art. 1, 1° co.
lett. q), d.lg. 302/2002).
Anticipando il t.u. sul procedimento
per la formazione dei piani attuativi, previsto dalla l. 24.11.2000, n. 340,
all. 1, n. 13, il t.u. sulle espropriazioni disciplina due fattispecie di
silenzio assenso in materia urbanistica.
La prima ipotesi di silenzio assenso
regionale è relativa all’approvazione di variante del piano urbanistico
generale nel caso di opera pubblica non conforme alle previsioni di p.r.g., ex
art. 19, 4° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
L’approvazione del progetto di opera
pubblica o di pubblica utilità da parte del consiglio comunale comporta,
infatti, variante al piano regolatore.
Il silenzio della regione o
dell’ente competente all’approvazione, protratto per 90 giorni dalla ricezione
della delibera del consiglio che adotta il piano, equivale ad assenso dopo che
il consiglio comunale ne disponga l’efficacia.
4. Nei casi previsti dai commi 2 e
3, se la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano
urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di
novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio
comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la
determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone
l'efficacia. (L)
(art. 19,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° co. lett. q), d.lg. 302/2002).
La seconda ipotesi di silenzio
assenso riguarda la modifica del tipo di opera programmata, ex art. 9, 5° co.,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Nel corso della durata quinquennale
del vincolo il consiglio comunale può motivatamente deliberare il cambiamento
di tipologia dell’opera pubblica.
La regione o l’ente preposto
all’approvazione deve manifestare il proprio dissenso entro 90 giorni dalla
ricezione della delibera comunale.
Nel caso di silenzio si forma
l’assenso sulla delibera trasmessa, il consiglio comunale ne dispone
successivamente l’efficacia.
Tale ipotesi modifica l’art. 1, 4°
co., l. 1/1978, ora abrogata.
Esso prevede la possibilità di
approvare opere pubbliche senza variare il piano urbanistico, quando siano
destinate a servizi pubblici, anche se con diversa destinazione.
A seguito di detta modifica, dal
1.1.2002 nel caso di varianti, non considerate finora come tali, si deve
modificare il piano urbanistico attraverso l’approvazione da parte del
consiglio comunale del progetto definitivo dell’opera programmata.
5. Nel corso dei cinque anni di
durata del vincolo preordinato all'esproprio, il Consiglio comunale può
motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato
opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste
nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l'ente da questa
delegato all'approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il
proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione
della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione,
si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una
successiva seduta ne dispone l'efficacia. (L) 6. Salvo quanto previsto dal
comma 6, nulla è innovato in ordine alla normativa statale o regionale sulla
adozione e sulla approvazione degli strumenti urbanistici. (L)
(art. 9, 5°
co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327, mod. art. 1, 1° co. lett. f), d.lg. 302/2002).
40. I vincoli conformativi nella
pianificazione generale comunale.
LEGISLAZIONE: l. urb., art. 40.
L’art. 40 della l. urb. ha posto il
principio della non indennizzabilità dei vincoli di piano.
Alla pianificazione urbanistica è
riconosciuto, infatti, il potere conformativo della proprietà che è esercitato
senza che l’amministrazione debba corrispondere alcun indennizzo.
Nessun indennizzo è dovuto per le
limitazioni ed i vincoli previsti dal piano regolatore generale nonché per le
limitazioni e per gli oneri relativi all'allineamento edilizio delle nuove
costruzioni.
Non è dovuta indennità neppure per
la servitù di pubblico passaggio che il Comune creda di imporre sulle aree di
portici delle nuove costruzioni e di quelle esistenti. Rimangono a carico del
Comune la costruzione e manutenzione del pavimento e la illuminazione dei
portici soggetti alla predetta servitù
(art. 40, l.
urb., mod. art. 5, l. 19.11.1968, n. 1187).
I vincoli conformativi sorgono dalla
zonizzazione del territorio comunale contenuta negli strumenti urbanistici
comunali.
L’effetto della pianificazione
generale è quello di dividere in zone il territorio.
Essa definisce i limiti e le
caratteristiche dell’edificabilità dei terreni siti nelle diverse zone secondo
criteri omogenei per ciascuna di queste.
La dottrina esclude che la
destinazione di zona possa configurare un vincolo preordinato all'esproprio e
dunque di durata quinquennale; infatti, non sussistendo alcun impedimento a che
alle necessità collettive ivi perseguite si provveda mediante soluzioni diverse
da quelle proprietarie, i vincoli in questione possono ricomprendersi tra
quelli che, secondo la decisione della Corte cost. n. 179 del 1999, importano
una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua
pubblico-privata.
La destinazione a servizi relativi
alle zone residenziali, ad esempio, comporta l'attribuzione al suolo di una
vocazione edificatoria ancorché specifica la cui realizzazione è attuabile
anche da privati.
Pertanto, la relativa zonizzazione
urbanistica non costituisce vincolo preordinato irreversibilmente
all'espropriazione; neppure comporta l'inedificabilità assoluta; né, tanto
meno, svuota di contenuto - azzerandolo economicamente in termini di valore di
scambio - il diritto dominicale.
Si tratta, invece, di una prescrizione
diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, in quanto inerente alla
potestà conformativa propria dello strumento urbanistico, la cui validità è a
tempo indeterminato.
I vincoli conformativi pongono
limitazioni alle proprietà che vi ricadono che la peculiare elasticità del
diritto consente, comprimendo le facoltà ed i poteri che nella loro posizione
dovrebbero sussistere e limitando la portata e la fruibilità di essa nell’interesse
pubblico. In effetti gli strumenti di pianificazione urbana qualificano lo
stesso diritto dominicale, determinando le possibilità legali di edificazione e
il valore economico del suolo in maniera proporzionale all’edificabilità
(Forte 2002, 316).
Il potere conformativo, che deve
essere adeguatamente motivato, è certamente potere di vincolo, ma nel contempo
accerta la rendita che viene attribuita dal piano alle aree oggetto di
espansione edilizia.
Il legislatore ha da sempre ritenuto
che la normativa di vincolo non sia soggetta ad indennizzo, essendo evidente
che ogni scelta programmatoria sarebbe, in caso contrario, paralizzata dal
costo economico.
Il vincolo conformativo acclara la
destinazione di inedificabilità dell’area per la sua stessa conformazione.
In tema di determinazione
dell'indennità d'espropriazione, con riguardo ad un'area compresa in zona
urbanistica destinata a verde sportivo, di cui va ritenuta l'inedificabilità in
forza di un vincolo a carattere conformativo, disposto nel quadro della
ripartizione del territorio comunale in conformità a criteri generali e
astratti, vale l'equiparazione, stabilita dall'art. 5 bis, 4° co., l. n. 359
del 1992, ai terreni agricoli
(Cass. Civ., sez. I, 21.9.2001, n. 11932,
UA, 2001, 1307).
L’equivoco è evidente poiché in una
zona edificabile vi sono lotti che nel comparto sono destinati a
inedificabilità, quali strade o verde pubblico o servizi, per una scelta
assolutamente discrezionale dell’amministrazione.
Tale scelta privilegia un ambito
piuttosto che un altro di una medesima zona che di fatto è omogenea.
La logica vuole che i vincoli
conformativi incidano su tutto in comparto attribuendo degli indici di
edificabilità media.
Dopo di che le proprietà presentano
un progetto comune dividendosi la cubatura realizzabile su tutto il lotto.
I principi costituzionali prevedono
un congruo indennizzo per ogni limitazione al diritto di proprietà e sanciscono
il pieno rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini.
La normativa deve evitare che alla
creazione di rendite di posizione, che automaticamente si formano per le altre
aree che si collocano libere da vincoli sul mercato, faccia riscontro
l'espropriazione senza indennizzo.
40.1. Vincoli derivanti da atti diversi
dai piani urbanistici generali.
LEGISLAZIONE:
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 10 - d.lg. 27.12.2002, n. 302, art. 1, 1° lett.
g).
La giurisprudenza precedente
all’entrata in vigore del t.u. espr. non consente che la conferenza di servizi
possa comportare alcuna variante allo strumento urbanistico generale vigente.
Nel caso di difformità urbanistica
dell'opera il progetto richiede il previo assenso del consiglio comunale, non
essendo sufficiente il consenso del Sindaco, in sede di conferenza di servizi.
In una fattispecie relativa all’art.
1, 8° co., l. 424 del 1989, la giurisprudenza ha precisato che la conferenza si
esprime, nel rispetto delle disposizioni relative ai vincoli archeologici,
ambientali, storici, artistici e territoriali e che l'approvazione assunta
all'unanimità dei componenti la conferenza sostituisce ad ogni effetto gli atti
di intesa, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti
dalle leggi statali e regionali.
La sentenza rileva che manca
un'espressa previsione, per cui la determinazione assunta dalla conferenza di
servizi assuma significato ed effetto di variante urbanistica; al contrario, la
norma prevede un puntuale obbligo di rispetto delle disposizioni relative alle
prescrizioni territoriali. Pertanto, a tal fine, è insufficiente la
partecipazione ed il consenso del Sindaco.
La disposizione secondo la quale le
determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi sostituiscono a tutti
gli effetti i concerti, le intese e i nulla - osta, non vale a riconoscere alla
conferenza poteri di deroga rispetto agli atti amministrativi generali vigenti
né il potere d'introdurre varianti urbanistiche
(Cons. St.,
sez. IV, 7.7.2000, n. 3830, FA, 2000, 2603. Conforme Cons. St., Sez. V,
7.3.2000, n. 1078).
L'approvazione assunta all'unanimità
dei componenti la conferenza sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i
pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti dalle leggi
statali e regionali.
Un'eguale dizione, successivamente
ripresa dal comma 2 dell'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241 - che
afferma come le determinazioni concordate nella conferenza sostituiscono a
tutti gli effetti i concerti, le intese, i nulla - osta e gli assensi richiesti
- è stata interpretata nel senso che tale disposizione non comporta poteri di
deroga rispetto agli atti amministrativi generali vigenti (Cons. St. sez. I,
5.11.1997, n. 1622).
Il t.u. espr. consente che il
vincolo preordinato all’esproprio non sia imposto con un atto di pianificazione
urbanistica generale od attuativa, ex art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost.
art. 1, 1° lett. g), d.lg. del 27.12.2002, n. 302.
Il vincolo preordinato all’esproprio
può essere imposto, infatti, con una conferenza di servizi, un accordo di
programma o un’intesa.
Tali atti vanno considerati come
atti che producono gli stessi effetti del p.r.g., producendo variante allo
strumento urbanistico vigente (Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti
2002, 125).
1. Se la realizzazione di un'opera
pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale,
il vincolo preordinato all'esproprio può essere disposto, ove espressamente se
ne dia atto, su richiesta dell'interessato ai sensi dell'articolo 14, comma 4,
della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero su iniziativa dell'amministrazione
competente all'approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi,
un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura
territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al
piano urbanistico. (L)
2. Il vincolo può essere altresì
disposto, dandosene espressamente atto, con il ricorso alla variante
semplificata al piano urbanistico da realizzare, anche su richiesta
dell'interessato, con le modalità e secondo le procedure di cui all'articolo
19, commi 2 e seguenti. (L)
3. Per le opere per le quali sia già
intervenuto, in conformità alla normativa vigente, uno dei provvedimenti di cui
ai commi 1 e 2 prima della data di entrata in vigore del presente testo unico,
il vincolo si intende apposto, anche qualora non ne sia stato dato
esplicitamente atto. (L)
(art. 10,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° lett. g), d.lg. del 27.12.2002, n.
302).
40.2. L’accesso.
LEGISLAZIONE:
l. 241/1990, art. 8, 2° e 3° co. - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 11 - d.lg.
27.12.2002, n. 302, art. 1, 1° lett. h).
Nell’elaborazione dell’art. 11,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, si afferma il principio che il proprietario oggetto di
esproprio può accedere al procedimento sin dalla fase della pianificazione
territoriale, recependo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente.
Fin dalla fase dell’istituzione del
vincolo preordinato all’esproprio - che si concretizza con l’approvazione del
piano urbanistico generale, ex art. 9, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, anche se manca
ancora la dichiarazione di pubblica utilità - può essere esercitato il diritto
di accesso.
L’obbligo di consentire il diritto
d’accesso non sussiste nel caso di adozione ex novo di uno strumento
urbanistico o variante generale, ma sussiste nel caso in cui sia
in corso l’adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di
un’opera pubblica, anche nell’ipotesi che la variante sia adottata mediante
conferenza di servizi o accordo di programma che comporti variante allo
strumento urbanistico, art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Le disposizioni dell’art. 11, d.p.r.
8.6.2001, n. 327, valgono a rendere quanto più possibile tempestiva e
significativa la partecipazione del proprietario, senza rallentamenti
procedimentali, senza peraltro eliminare le disposizioni che già regolano le
modalità di partecipazione procedimentale degli interessati alle fasi di
adozione e approvazione degli strumenti urbanistici
(Volpe 2001, 69).
Al proprietario, che risulti tale
dai registri catastali, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento venti
giorni prima dell’adozione.
1. Al proprietario, del bene sul
quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio, va inviato
l'avviso dell'avvio del procedimento:
a) nel caso di adozione di una
variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera
pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;
b) nei casi previsti dall'articolo
10, comma 1, almeno venti giorni prima dell'emanazione dell'atto se ciò risulti
compatibile con le esigenze di celerità del procedimento. (L) (2)
2. L'avviso di avvio del
procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere
previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia
superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da
affiggere all'albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili
da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione
nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o
Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al
vincolo. L'avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere
consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i
successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall'autorità
espropriante ai fini delle definitive determinazioni. (L)
3. La disposizione di cui al comma 2
non si applica ai fini dell'approvazione del progetto preliminare delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi ricompresi nei programmi
attuativi dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443. (L)
4. Ai fini dell'avviso dell'avvio
del procedimento delle conferenze di servizi in materia di lavori pubblici, si
osservano le forme previste dal decreto del Presidente della Repubblica 21
dicembre 1999, n. 554 . (L)
5. Salvo quanto previsto dal comma
2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di
partecipazione del proprietario dell'area e di altri interessati nelle fasi di
adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici. (L)
(art. 11,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, sost. art. 1, 1° lett. h), d.lg. del 27.12.2002, n.
302).
Il diritto all’accesso consente due
distinte forme di tutela.
La prima sotto il profilo
procedimentale fa sì che la mancata comunicazione vizi l’intera procedura,
consentendo l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.
La seconda forma di intervento si
sviluppa sul provvedimento con il quale l’amministrazione recepisce,
motivandole, le osservazioni presentate nella fase di accesso del procedimento.
Le osservazioni sono valutate ai
fini dell’approvazione della variante degli strumenti urbanistici o nell’approvazione
del progetto dell'opera pubblica che si intende realizzare e le relative
determinazioni possono essere sottoposte al vaglio della giustizia
amministrativa.
Naturalmente il proprietario può
censurare le scelte anche sotto il profilo urbanistico seguendo le norme che
consentono di portare osservazioni e opposizioni al piano urbanistico (Pagliari
1999, 106).
Il t.u. espr., in linea con la
costante giurisprudenza, distingue fra la comunicazione personale la
comunicazione nei procedimenti di massa, ossia nei casi in cui vi siano più di
cinquanta destinatari (Conti 2003, 256)
La giurisprudenza ha osservato che
nei procedimenti di massa l'avviso del procedimento non può essere notificato
personalmente ai singoli soggetti espropriandi, dato l’elevato numero di
soggetti interessati.
In tal caso trova applicazione
l'art. 8, 3° co., l. 241 del 1990, sui procedimenti di massa, secondo cui
qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia
possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a
rendere noti gli elementi di cui al l'art. 8, 2° co., l. 241 del 1990, mediante
forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione
medesima.
Il procedimento di cui all'art. 6,
l. 18.4.1962, n. 167, in materia di interventi di edilizia economica e
popolare, il quale si articola in una serie di fasi prodromiche alla
dichiarazione di pubblica utilità implicita, garantisce adeguatamente le
esigenze del giusto procedimento espresse in termini generali dalla l.
7.8.1990, n. 241.
Nella fattispecie il consiglio
rileva che l'art. 8, l. 7.8.1990, n. 241, consente forme alternative alla
comunicazione individuale dell'avvio di procedimento nel caso di rilevante
numero degli interessati.
(Cons. St.,
sez. IV, 15.12.2000, n. 6684, GI, 2001, 609).
Tale norma è stata definita dalla
Adunanza plenaria di chiusura dell'ordinamento il quale, in presenza di ipotesi
marginali di procedimenti di massa, ove sussista un pericolo concreto di
pregiudizio all'interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento sollecito
del procedimento indipendentemente dalla comunicazione personale, con
applicazione soggetta al controllo giurisdizionale.
L'art. 8, 3° co., l. 241 del 1990,
applicabile anche in materia espropriativa, consente l'adozione di forme di
pubblicità sostitutive della comunicazione individuale laddove quest'ultima,
per il numero dei destinatari, risulti impossibile o particolarmente gravosa.
Nel caso di procedimenti
espropriativi che concernono un numero indeterminato di interessati è
applicabile l'art. 8, l. 7.8.1990 n. 241 che nell'ipotesi di procedimenti di
massa, ai fini del sollecito svolgimento del procedimento amministrativo,
consente di provvedere agli adempimenti partecipativi con forme di pubblicità
idonee di volta in volta scelte dall'amministrazione, indipendentemente dalla
comunicazione personale agli interessati
(Cons. St., A. Pl., 15.9.1999, n.
14, GI, 2000, 412, nota Verzaro).
Nel caso di comunicazioni di massa
fra le comunicazioni in forma collettiva è previsto l’inserimento della
comunicazione nel sito informatico. L’avviso di avvio del procedimento deve
contenere del luogo e delle modalità di consultazione del piano e del progetto
nonché i termini per la presentazione delle osservazioni.
41. I vincoli che rinviano alla
pianificazione esecutiva.
LEGISLAZIONE: l. 19.11.1968, n.
1187, art. 2.
Altro vincolo conformativo della
proprietà è quello che limita l’edificazione all’approvazione della
pianificazione attuativa di iniziativa comunale o privata.
Un consolidato orientamento
giurisprudenziale afferma che l'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, si riferisce a
tutti i vincoli di piano sia sostanziali - ossia preordinati all'espropriazione
- sia formali - che limitano l'edificabilità al fine di meglio definire in
futuro la disciplina della zona, tra cui rientra il vincolo di piano
particolareggiato.
Dalla decadenza del vincolo di piano
particolareggiato per scadenza del previsto quinquennio non possono che
derivare i medesimi effetti, essendo sia i vincoli sostanziali sia quelli
formali rivolti alla tutela dei medesimi valori urbanistici e le aree da essi
interessate soggiacciono comunque ai limiti di edificabilità di cui all'art. 4, l. 28.1.1997, n. 10 (Cons. St., sez. IV, 28.1.1987 n.49. Cons. St., sez.
V, 28.1.1992, n. 82. Cons. St., sez. V, 23.11.1996, n. 1413, e Cons. St., sez.
V, 30.10.1997, n.1225).
La giurisprudenza consente
l’impugnativa della lesione solo dopo che il proprietario abbia presentato una
domanda di permesso di costruire cui l’amministrazione abbia risposto
negativamente.
La prescrizione di piano regolatore
generale che sottopone un'area ad un vincolo di previa pianificazione
urbanistica attuativa, pur costituendo una disposizione puntuale di natura
provvedimentale in relazione alla perimetrazione della specifica porzione del
territorio comunale cui si riferisce, non può essere di norma considerata ex
se quale atto immediatamente lesivo, potendo la lesività apprezzarsi solo
con riferimento ad un preciso tipo di intervento che si intenda realizzare
(T.A.R. Lombardia Brescia,
6.12.2002, n. 2206).
Secondo i principi generali che
sanciscono la durata quinquennale del vincolo anche quello imposto dalla
pianificazione esecutiva decade dopo il termine di rito.
L'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, si
riferisce a tutti i vincoli di piano sia sostanziali, preordinati
all'espropriazione, sia formali, che limitano l'edificabilità al fine di meglio
definire in futuro la disciplina della zona, tra cui rientra il vincolo di
piano particolareggiato, non essendovi nel testo della disposizione alcuna
distinzione che consenta di ritenere il contrario.
Dalla decadenza del vincolo di piano
particolareggiato per scadenza del previsto quinquennio non possono che
derivare i medesimi effetti, essendo sia vincoli sostanziali e che quelli
formali rivolti alla tutela dei medesimi valori urbanistici e le relative aree
soggiacciono comunque ai limiti di edificabilità di cui all'art. 4, l.
28.1.1977, n. 10
(Cons. St., sez. V, 2.10.2002, n.
5178, FACDS, 2002, 2415).
42. I vincoli espropriativi.
LEGISLAZIONE: l. 1187/1968, art. 2.
La localizzazione di aree destinate
a servizi o di opere pubbliche, effettuata dagli strumenti urbanistici generali
e da quelli attuativi, con adeguata motivazione, impone un vincolo di
destinazione che toglie alla proprietà la possibilità di esercitare lo ius
aedificandi e la rende oggetto del successivo procedimento espropriativo.
E' illegittima la previsione del
piano regolatore generale che pone un vincolo preordinato all'espropriazione
privo di sufficiente specificazione in ordine al servizio localizzabile
nell'area interessata
(T.A.R. Piemonte, sez. I, 25.2.1998,
n. 62, RGE, 1998, 449).
La differenza fra i vincoli
conformativi e quelli espropriativi è evidente, poiché i primi non
necessariamente comportano la qualifica del bene come oggetto del procedimento
di espropriazione, ma - conformando le modalità di esercizio del diritto di
proprietà - lasciano il proprietario nella condizione di gestire la eventuale
trasformazione dell’immobile.
Si distinguono le prescrizioni
urbanistiche generali, riguardanti cioè tutti i beni ricompresi in una data
zona, da quelle speciali, relative a singoli beni, affermandosi che le prime
sono esercizio del potere pianificatorio, mentre le seconde, quando determinano
la soggezione all’espropriazione o l’impossibilità dell’edificazione,
costituiscono dei vincoli urbanistici compressivi del diritto di proprietà con
le conseguenze evidenziate dalla Corte costituzionale.
La differenza è assolutamente
evidente sotto il profilo giuridico: nel primo caso, infatti, il proprietario
si trova a disposizione un bene con una destinazione urbanistica, più o meno interessante,
ma tale, comunque, da consentire l’effettivo esercizio del diritto di
proprietà; nel secondo caso, invece, il proprietario non è nelle condizioni di
esercitare il proprio diritto perché la disciplina del bene ha reso l’esercizio
del diritto di proprietà, se non impossibile, privo, comunque, di reale utilità
(Pagliari 1999, 88).
Con l’imposizione del vincolo
espropriativo non vi è alcuna compressione dei diritti del proprietario fino
all’espletamento della procedura ablatoria; ma i vincoli vietano ad esso di
realizzare opere in contrasto con le localizzazioni effettuate dal piano.
I vincoli di tipo espropriativo
derivano dalla localizzazione nello stesso territorio comunale di opere,
strade, servizi, per i quali sono espressamente indicate le aree sulle quali
essi dovranno sorgere, con preordinazione all’esproprio, analogamente a ciò che
accade per gli spazi che gli strumenti stessi o la legge riservano all’uso
pubblico ovvero vietano comunque di edificare in ragione della loro posizione,
precludendo ogni utilizzabilità privata ai fini edificatori delle aree stesse.
(Forte 2002, 316).
In una fattispecie specifica di
imposizione di vincolo relativo alla realizzazione di servizi pubblici in aree
residenziali nel p.r.g. di Bari, la giurisprudenza ha ravvisato il vincolo
espropriativo.
Ai sensi dell’art. 40, 1° e 3° co.,
delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale di Bari, le
zone residenziali sono destinate alle abitazioni ed ai servizi di seguito
specificati: "asili nido, scuole materne, scuole dell'obbligo; il
successivo art. 52 prevede che "le aree per i servizi delle residenze sono
destinate esclusivamente alle attività elencate nel precedente articolo 40, 3°
co., e sono riservate all'intervento pubblico".
Una tale riserva alla mano pubblica
della facoltà di realizzare i predetti servizi pubblici non lascia dubbi sulla
natura della destinazione di piano quale vincolo preordinato
all'espropriazione.
Pertanto, il decorso infruttuoso del
quinquennio, ex art. 2, n. 1187/68, determina la cessazione di efficacia della
destinazione di zona che impone il vincolo urbanistico, con l'ulteriore
conseguenza che l'approvazione del progetto dell'opera pubblica risulta priva
della necessaria conformità urbanistica.
La decadenza del vincolo preordinato
all'espropriazione comporta il difetto del necessario presupposto della
conformità dell'opera pubblica alle previsioni del piano urbanistico vigente,
con la conseguenza che l'approvazione del progetto dell'opera pubblica risulta
priva della necessaria conformità urbanistica
(Cons. Stato, sez. IV, 8.6.2000, n.
3248, FA, 2000, 2119).
Il proprietario utilizza il bene e
si assume ogni responsabilità riguardo alla sua conduzione poiché il vincolo
non comporta nessuna gestione di tipo pubblicistico fino all’espletamento del
procedimento ablatorio:
L'assoggettamento di un bene ad un
vincolo preordinato all'espropriazione non implica alcun immediato
spossessamento, né tampoco la cessazione di tutte le facoltà e le
responsabilità ad esso connesse - vicende, queste, che si potranno verificare
solo se ed in quanto si verificherà l'ipotizzata ablazione - per cui il
proprietario è tenuto ad adempiere agli oneri che la pubblica amministrazione
impone sul bene stesso, prima o indipendentemente dalla procedura
espropriativa.
Nella specie, è legittimo l'ordine
di un comune al proprietario affinché questi provveda all'ordinaria
manutenzione di una strada privata, a nulla rilevando che la nuova destinazione
urbanistica di zona stabilisca la futura espropriazione della strada per la
costruzione di opere di viabilità pubblica.
(Cons. St.,
sez. V, 27.2.1998, n. 199, FA, 1998, 440).
43. I criteri di distinzione fra
vincoli conformativi e quelli destinati all’espropriazione.
LEGISLAZIONE:
l. 17.8.1942 n. 1150, artt. 7, 2° co., n. 1, n. 2, n. 3, n. 4, 13 - d.m.
2.4.1968 n. 1444, art. 2.
L’inedificabilità dei suoli è
disposta dalle disposizioni di p.r.g.
Esse identificano le parti del
territorio comunale destinate alla realizzazione di opere, impianti,
attrezzature pubbliche o di interesse generale.
Le previsioni del piano regolatore
generale, pur preparando ad un’acquisizione alla pubblica amministrazione delle
aree ivi comprese, sono programmatiche.
La dottrina rileva l’incertezza
giurisprudenziale nella classificazione dei vincoli e propone un criterio di
differenziazione che appare eccessivamente discrezionale.
La medesima destinazione di zona a
servizi pubblici è stata qualificata dal Consiglio di Stato sia alla stregua di
un vincolo destinato all’esproprio sia a quella di un vincolo conformativo, e
quindi sottratto alla categoria delle limitazioni espropriative.
La diversa qualificazione del
vincolo a fronte della medesima destinazione di zona è derivata dalla rilevanza
riconosciuta dal giudice amministrativo alla differente scelta di politica del
territorio, emergente dalla disciplina contenuta nelle norme tecniche di
attuazione, in relazione alle modalità d realizzazione della previsione di
piano
(Iacovone 2002, 247).
Un indirizzo giurisprudenziale
enuncia tra i vincoli conformativi delle facoltà del proprietario, prima tra
tutte l'edificazione, quelli imposti dalla legge e quelli stabiliti dal piano
regolatore.
I suoli inseriti in zona F, secondo
gli standard indicati dall’art. 2, d.m. 2.4.1968, n. 1444, e comprendente
"le parti del territorio destinate ad attrezzature e impianti di interesse
generale", sono da considerare non edificabili, e indennizzabili a valore
agricolo.
Uguali considerazioni valgono per le
zone del territorio comunale destinate a verde pubblico ed attrezzature
pubbliche.
Esse non rientrano tra le specifiche
destinazioni delle singole aree del comprensorio, cui va attribuito carattere
espropriativo, e, non essendo soggette al procedimento ablatorio, non è
prevista per loro la corresponsione dell'indennità.
La relativa previsione, infatti, ha
natura di conformazione, siccome connessa alla ripartizione del territorio in
conformità a criteri generali e predeterminati.
Il vincolo impresso su aree private
destinate a servizi relativi alle zone residenziali sulle quali lo strumento
urbanistico consenta interventi riguardanti il verde di quartiere nonché la
costruzione, secondo precisi indici di fabbricabilità fondiaria, altezze e
rapporti di copertura, di asili nido, edifici scolastici, nonché attrezzature
di interesse comune - religiose, culturali, sociali, amministrative, per pubblici
servizi - ha natura conformativa e non espropriativa.
Nella specie, il tribunale - sul
presupposto della durata indeterminata dei vincoli conformativi - ha escluso
l'esistenza di un obbligo in capo all'amministrazione di provvedere alla
ritipizzazione dei suoli per infruttuoso decorso del quinquennio
dall'approvazione del Piano
(T.A.R. Puglia Bari, sez. II,
21.10.2002, n. 4632, FATAR, 2002, 3382).
La giurisprudenza considera vincoli
conformativi anche quelli che impongono delle fasce di rispetto alle opere
previste dal p.r.g. come, ad esempio, i vincoli di rispetto per la sede
stradale.
La destinazione dell'area a fascia
di rispetto della sede viaria non costituisce una utilizzazione a fini pubblici
dell'area né introduce un vincolo preordinato a futura espropriazione, ma
integra un vincolo di natura conformativa costituente un limite
all'edificabilità dell'area che la amministrazione può imporre nell'esercizio
dei suoi poteri ampiamente discrezionali in tema di pianificazione del
territorio, trovando la sua giustificazione nella esigenza di tutela del
superiore interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I,
6.6.2003, n. 3722).
La giurisprudenza ha affermato che
non sono vincoli preordinati alla espropriazione o comportanti inedificabilità
assoluta quelli per i quali la edificazione è subordinata alla approvazione di
strumento urbanistico attuativo di secondo livello.
Il verde attrezzato a servizi
pubblici da realizzare sulla base di uno strumento attuativo costituisce
vincolo urbanistico conformativo, la cui efficacia permane a tempo
indeterminato
(Cons. St.,
sez. V, 6.10.2000, n. 5327, UA, 2001, 318 nota VIRGA).
Il problema è allora quello di
identificare, tra i vincoli di inedificabilità, quelli che debbano considerarsi
preordinati all'ablazione, e quelli che, viceversa, per una loro inerenza al
bene, siano conformativi della proprietà, rilevando solo questi ultimi alla
determinazione del valore ai fini indennitari.
I vincoli conformativi sono stati
posti dalla legge a tutela di interessi superindividuali, che non incidono sul
valore del bene - quali il vincolo paesaggistico, il vincolo storico-artistico,
il vincolo di rispetto stradale.
In primo luogo devono considerarsi i
vincoli connessi alla ripartizione del territorio comunale in zone omogenee.
In tali ipotesi la previsione di
piano regolatore l'inedificabilità, ma non equivale ad un vincolo preordinato
ad esproprio, essendo diversamente identificabile tale momento con
l'approvazione del piano attuativo, o del progetto dell'opera pubblica,
comunque con la dichiarazione di pubblica utilità.
L'assimilazione degli spazi
destinati ad attrezzature e servizi pubblici alla zonizzazione del territorio
non può riguardare, però, tutti gli interventi pubblici previsti dal piano
regolatore.
La previsione del vincolo
conformativo è per sua natura generale, e risponde a scelte dettate dalla
programmazione a grandi linee del territorio nelle sue direttrici di sviluppo e
comunicazione, essendo condizionata, al più, dalle caratteristiche
fisico-geografiche dell'estensione territoriale sulla quale il piano si trova
ad operare.
Nelle ipotesi delle localizzazioni,
invece, rientrano i vincoli imposti dal piano regolatore che comportano la
riduzione delle facoltà di godimento e di disposizione in conformità a criteri
predeterminati da esigenze obiettive, condizionate dalle caratteristiche
fisiche del territorio.
Esse riguardano l'allocazione sul
territorio comunale di particolari opere pubbliche, come quelle previste
dall'art. 7, 2° co., l. 17.8.1942 n. 1150, rispettivamente al n. 3 - aree
destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù - al
n. 4 - aree destinate ad edifici pubblici.
Alla divisione in zone ed alla loro
caratterizzazione si riferisce l'art. 7, 2° co., l. 17.8.1942 n. 1150, n. 2; la
norma fa emergere il carattere conformativo della ripartizione funzionale del
territorio comunale in contrapposizione a quello espropriativo della
localizzazione.
I collegamenti stradali sono
previsti dall'art. 7, 2° co., l. 17.8.1942 n. 1150 n. 2, n. 1 - vie di
comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili ed i rispettivi impianti -
nell'indicazione dei contenuti del p.r.g.; per lo strumento di attuazione
dispone l'art. 13, l. 1150/1942, stabilendo che il piano particolareggiato deve
indicare le reti stradali di ciascuna zona.
Si tratta di opere a servizio delle
singole zone che, rientrando nel novero delle previsioni particolari, è da
ritenere determinino l'ablazione dei suoli necessari alla loro realizzazione.
Premesso che il piano regolatore
generale contiene di regola il programma generale di sviluppo urbanistico, e
che le previsioni, necessariamente generiche, in esso contenute, sono
condizionate dalle caratteristiche fisico - geografiche del territorio
comunale, la destinazione di parti del territorio a determinati usi, pur
preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta
estranea alla vicenda espropriativa.
Non si può escludere, in particolari
casi, che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni
dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dal piano generale,
l'indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale, art. 7,
2° co., n. 1, l. 17.8.1942 n. 1150, pur comportando un vincolo di
inedificabilità delle parti del territorio interessate, non concreta un vincolo
preordinato ad esproprio.
A meno che tale destinazione non sia
assimilabile all'indicazione delle reti stradali all'interno e a servizio delle
singole zone, art. 13, l. 1150 del 1942, di regola rimesse allo strumento di
attuazione, e come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, a
carattere espropriativo.
(Cass. Civ.,
sez. I, 7.12.2001, n. 15519, GCM, 2001, 2115)
44. La illegittimità dei vincoli a tempo
indeterminato.
LEGISLAZIONE:
l. urb., art. 7 - l. 19.11.1968, n. 1187, art. 2.
La Corte costituzionale ha
dichiarato l'illegittimità dell’art. 7 della l. urb., che prevede la
possibilità di istituire vincoli senza indennizzo, a tempo indeterminato.
Per essere in sintonia col sistema,
le disposizioni di piano devono trovare attuazione entro termini precisi, in
modo che il potere ablatorio della pubblica amministrazione si accompagni alla
corresponsione del risarcimento entro termini ben definiti (Corte cost.,
29.5.1968, n. 55, RGE, 1968, 777).
Per rispondere alle censure della
Corte il legislatore ha approvato la l. 1187/1968 che dispone la perdita di
efficacia dei vincoli di piano qualora non siano emanati i relativi piani
attuativi ovvero non sia perfezionato l'esproprio delle aree interessate al
vincolo entro cinque anni dalla approvazione dello strumento urbanistico.
La norma stabilisce che le
indicazioni di Piano regolatore che incidono su beni determinati e che
assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione o ne
comportano l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni
dalla data di approvazione dello strumento urbanistico non sono stati adottati
i relativi piani particolareggiati.
I vincoli cui fa riferimento la
prefata normativa sono quelli che imprimono al bene limitazioni tali da
svuotare di contenuto il relativo diritto di proprietà; capaci, quindi, di
incidere sul godimento in modo così profondo da renderlo inutilizzabile ai fini
cui naturalmente è preordinato o da causare un azzeramento del relativo valore
di scambio.
Le indicazioni di piano regolatore
generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i
beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che
comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni
dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati
approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di
lottizzazione convenzionati.
L'efficacia dei vincoli predetti non
può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati
e di lottizzazione.
Per i piani regolatori generali
approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge, il
termine di cinque anni di cui al precedente comma decorre dalla predetta data
(art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187).
I comuni, nella maggior parte dei
casi, non hanno disposto la programmazione esecutiva per tutte le aree
vincolate ed il legislatore è stato costretto all'emanazione di numerose leggi
tampone fino all'approvazione della legge sul regime dei suoli.
Secondo alcuni autori essa ha
comportato il superamento delle obiezioni fatte dalla Corte costituzionale in
quanto l'attività edificatoria è subordinata alla concessione rilasciata dalla
pubblica autorità.
Non vi sono vincoli che colpiscono
la proprietà fondiaria poiché è impossibile esercitare lo ius aedificandi
prima del rilascio della concessione edilizia ovvero dell'esercizio del potere
programmatorio comunale attraverso il programma pluriennale di attuazione
(Predieri 1977, 337).
Altri autori ritengono che, pur con
l'entrata in vigore della legge sul regime dei suoli, il sistema non sia
affatto perequato, rimanendo di fatto il vincolo senza indennizzo a tempo
indeterminato, poiché lo ius aedificandi, pur con la nuova legislazione,
rimane in capo alla proprietà fondiaria.
Lo stesso problema si ponge fino a
che la strumentazione urbanistica non dia, attraverso gli strumenti esecutivi,
attuazione ai piani generali nei termini di legge, procedendo ove del caso
all’esproprio.
La Corte costituzionale ha
avvalorato questa impostazione affermando che il principio del vincolo
quinquennale fissato dalla l. 1187/1968 deve intendersi tuttora vigente, mentre
la giustizia amministrativa ha dato delle ulteriori indicazioni in ordine agli
effetti che derivano dalla scadenza del termine quinquennale dei vincoli.
44.1. Il vincolo quinquennale.
LEGISLAZIONE: l. 10/1977, art. 4, 8°
co. - d.p.r. 327/2001, art. 9, 3° co., 10.
Il comune, con la approvazione dello
strumento urbanistico generale, determina il sorgere del vincolo all’esproprio
per le aree da destinare a servizi o opere pubbliche.
Solo da quel momento può essere
legittimamente iniziato il procedimento ablatorio.
I tempi per la realizzazione
dell’opera non possono essere indeterminati, ma il procedimento, in ossequio al
principio di legalità, deve rispettare delle scansioni temporali ben precise.
Il d.p.r. 8.6.2001, n. 327, all’art.
9, disciplina gli effetti espropriativi dei vincoli dei piani regolatori
generali fissando la loro durata in cinque anni.
1. Un bene è sottoposto al vincolo
preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del
piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la
realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità. (L)
2. Il vincolo preordinato
all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere
emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità
dell'opera. (L)
3. Se non è tempestivamente
dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio
decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 9 del testo
unico in materia edilizia approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione
del 24 maggio 2001 (1). (L)
(Art. 9,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, mod. art. 1, 1° co., lett. f), d.lg. 302/2002).
Lo stesso vincolo quinquennale può
essere disposto, riconoscendone espressamente la natura mediante un atto di
approvazione di progetto di opera pubblica che abbia natura di variante allo
strumento urbanistico, come, ad esempio, tramite un provvedimento della conferenza
di servizi, ex art. 10, d.p.r. 8.6.2001, n. 327 (Conti 2003, 256).
Se, nel termine di cinque anni dalla
approvazione del vincolo, non viene emanata la dichiarazione di pubblica
utilità, il vincolo decade, ex art. 9, 3° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
In tal caso il privato, liberato dal
vincolo, può realizzare gli interventi consentitigli dalla normativa in carenza
di pianificazione urbanistica.
L’art. 9, d.p.r. 380/2001, che sost.
l’art. 4, 8° co., l. 10/1977, fissa, in carenza di tale normativa, dei limiti
rigorosi.
Fuori dal perimetro dei centro
abitato, infatti, l’edificazione a scopo residenziale non può superare l'indice
di metri cubi 0,03 per metro quadrato di area edificabile, mentre, nell'ambito
del centro abitato, sono consentite soltanto opere di restauro o di risanamento
conservativo, di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento
statico o di risanamento igienico.
La disposizione ha valore di norma
quadro per il legislatore regionale.
45. Gli effetti della decadenza del
vincolo.
LEGISLAZIONE: l. 10/1977, art. 4 - d.p.r. 380/2001, art. 9.
In mancanza di un provvedimento di
pianificazione che determini, dopo la decadenza del vincolo di piano, la
destinazione urbanistica dell’area ed il suo indice di edificabilità si pone la
possibilità di due alternative praticabili.
Una prima teoria prevede la
inedificabilità assoluta, una seconda la completa liberalizzazione
dell’attività costruttiva.
Prima che il legislatore
intervenisse a disciplinare questa ipotesi la giurisprudenza si era incaricata
di escludere la teoria della inedificabilità assoluta.
La teoria prevalente privilegiava
l’edificabilità con qualche temperamento.
La giurisprudenza richiedeva,
infatti, che l’edificazione del suolo avvenisse secondo i limiti previsti dal
codice civile del regolamento edilizio comunale ove esistente e, tutt’al più
nel rispetto degli standard, fissati dall'art. 17 l.6.8.1967, n.765.
L’impostazione finiva però per
sacrificare le esigenze della programmazione dello sviluppo del territorio,
privilegiando le ragioni economiche del proprietario.
Essa consentiva, infatti, uno
sviluppo edilizio dei suoli libero da qualsiasi limitazione funzionale e
qualitativa che non fosse immediatamente desumibile dalla disciplina
civilistica e dagli standard urbanistici imposti dalla legge (Mandanaro 2003,
1192).
Le aree interessate al vincolo
decaduto sono ora soggette alla disciplina prevista dall'art. 9, d.p.r.
380/2001, che abroga l’art. 4, l. 10/1977, per i comuni sprovvisti degli
strumenti urbanistici generali.
La edificazione può avvenire qualora
le disposizioni di piano, siano considerate decadute, secondo gli indici
fissati dallo stesso articolo che prevede per l'edificazione residenziale
l'indice dello 0,03 metri cubi per ogni metro quadrato di area edificabile,
consentendo opere di restauro conservativo per gli edifici già costruiti e
opere in cui il rapporto della superficie coperta non sia superiore ad un
decimo dell'area di proprietà.
L'inutile decorso del termine
quinquennale del vincolo del piano regolatore generale preordinato alla
espropriazione o l'annullamento in sede giurisdizionale della relativa
previsione di piano implicano che l'area interessata dall'atto impositivo del
vincolo, successivamente scaduto, risulta sprovvista di una regolamentazione
urbanistica, essendo abrogata la disciplina preesistente all'imposizione del
vincolo stesso ed essendo divenuta inefficace quella sopravvenuta, recata da
quest'ultimo, per cui l'area medesima va assoggettata alla disciplina che
l'art. 5, ultimo co., l. 28.1.1977 n. 10, detta per i comuni sprovvisti di
strumenti urbanistici generali
(T.A.R. Veneto, sez. I, 4.11.2002,
n. 6207, FATAR, 2002, 3574).
Scaduto infruttuosamente il
quinquennio, la cessazione di efficacia del vincolo urbanistico comporta il
venire meno della sua esecutività e della sua sussistenza quale previsione
urbanistica, cui corrisponde la necessaria riespansione delle ordinarie facoltà
del diritto di proprietà, nei limiti dell'art. 9, d.p.r. 380/2001, che abroga
l’art. 4, l. 10/1977 (Sandulli 1993, 128).
Così, ad esempio, la presenza di un
vincolo a parco, oramai decaduto, rende illegittima la delibera di approvazione
del progetto del parco ed i conseguenti atti ablatori (Cons. St., sez. IV,
3.12.1990, n. 941, RGE, 1990, 90).
La giurisprudenza precisa che il
termine massimo di cinque anni per la durata di ogni vincolo che comporti
l'inedificabilità dei suoli, previsto dall'art. 2, l. 1187 del 1968, si applica
ai vincoli di qualsiasi specie, sia sostanziali che strumentali; tra questi
ultimi è da annoverarsi quello che impone la subordinazione della edificabilità
alla formazione di un piano esecutivo.
Il principio vale perciò anche in
riferimento ai programmi pluriennali di attuazione, soprattutto quando, come
nella specie, la parte privata abbia chiesto invano l'inclusione della propria
area nel programma e il comune sia rimasto inerte al riguardo (Cons. St., sez.
V, 22.10.1992, n. 1058, GC, 1993, I, 820).
Altra giurisprudenza legittima, pur
con l'intervenuta decadenza, l'attuazione delle previsioni di piano, purché il
proprietario, nei cui confronti il vincolo non è più opponibile, consenta la
realizzazione dell'opera pubblica o sia acquiescente alla sua esecuzione; essa
in tal caso non può essere considerata abusiva, pur in presenza della
sopravvenuta decadenza del vincolo (Cons. St., sez. IV, 20.3.1992, n. 254, RGE,
1992, 441).
46. La reiterazione dei vincoli de iure e de facto.
LEGISLAZIONE:
l. urb., art. 8 - l. 10/1977, art. 4 - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 9 - d.lg.
302/2002, art. 1, 1° co., lett. f).
I vincoli di piano che hanno perso
efficacia per il decorso di un quinquennio dalla loro imposizione possono
essere reiterati, nonostante le critiche della dottrina che ritiene il sistema
contrario all’obbligo del pagamento immediato dell’indennizzo.
Il riconosciuto potere di
reiterazione dei vincoli veniva ancora una volta a frustrare il principio del
necessario indennizzo del divieto di edificabilità a tempo indeterminato
(Sandulli 1993, 128).
Il t.u. espr. rinnova
legislativamente il principio della reiterazione dei vincoli, essi sono, però,
soggetti al pagamento dell’indennizzo con le modalità fissate dall’art. 39,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, vedi Cap. IV, n. 51.
4. Il vincolo preordinato
all'esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con
la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle
esigenze di soddisfacimento degli standard. (L)
(Art. 9, d.p.r.
8.6.2001, n. 327, mod. art. 1, 1° co., lett. f), d.lg. 302/2002).
La delibera impositiva dei vincoli
deve congruamente motivare l’asserita necessità e il pubblico interesse che
giustificano la riproposizione del vincolo e deve riportare le ragioni della
loro mancata attuazione.
La deliberazione deve osservare la
procedura prevista per l'adozione degli atti pianificatori quali ad esempio il
deposito del progetto, la ricezione delle osservazioni e delle opposizioni da
parte dei privati, pena l'illegittimità
(Cons. St.,
sez. V, 28.1.1992, n. 82, RGE, 1992, 86).
Una tutela ancora minore ha il
privato qualora il comune non si preoccupi di reiterare il vincolo. In tal modo
le aree comprese nel perimetro dei centri abitati passano, per effetto della
caducazione del vincolo, da un regime di inedificabilità temporanea ad un
regime di inedificabilità permanente, dati gli indici ridottissimi di
edificabilità, di cui all'art. 9, d.p.r. 380/2001, che abroga l’art. 4, l.
10/1977.
Teoricamente i comuni sono obbligati
a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che ricopra l'intero territorio
e di conseguenza si ritiene che l'inedificabilità, prevista dall’art. 9, d.p.r.
380/2001, sia solo provvisoria.
In caso di inerzia del comune
nell’adottare la nuova programmazione il privato può sempre promuovere gli
interventi sostitutivi della regione, ai sensi dell’art. 8, l. urb., oppure
agire in via giurisdizionale, seguendo il procedimento del silenzio rifiuto,
per fare acclarare l'obbligo del comune di provvedere alla disciplina
urbanistica della zona.
L'amministrazione comunale ha
l'obbligo di provvedere sulla diffida a dotarsi di una nuova pianificazione
urbanistica.
Il silenzio serbato sulla stessa
deve essere dichiarato illegittimo.
La decadenza del vincolo di inedificabilità
comporta per la amministrazione comunale l'obbligo di reintegrare la disciplina
urbanistica della area già interessata dal vincolo decaduto.
Ne discende che il comune deve
rinnovare, con le modalità, le formalità e le garanzie proprie del metodo
pianificatorio, la scelta della destinazione dell'area, fermo restando che la
eventuale reiterazione del vincolo richiede una puntuale valutazione sulla
persistenza della specifica esigenza pubblica comparata con l'interesse del
privato già gravato inutilmente dal vincolo rimasto inattuato per oltre un
quinquennio.
Tale obbligo può essere assolto
esclusivamente attraverso una variante generale, sia attraverso una variante
specifica, sia verso una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono
all'amministrazione comunale di verificare la persistenza della compatibilità
delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del
territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina
di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse
(Cons. St.,
sez. IV, 17.4.2003, n. 2015, FACDS, 2003, 1280).
Il comune è obbligato a procedere
alla nuova pianificazione dell'area rimasta priva di disciplina urbanistica
(Cons. St., sez. V, 21.5.1999, n. 593. Cons. St., sez. IV, 27.12.2001, n.
6415).
Tale obbligo può essere assolto sia
attraverso una variante specifica, sia attraverso una variante generale, che
sono gli unici strumenti che consentono all'amministrazione comunale di
verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree
situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi
informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze
di pubblico interesse (Cons. St., sez. IV, 12.6.1995, n. 439).
Da tale obbligo il comune non è
esonerato per l'applicabilità, nei casi in questione, della disciplina dettata
dall'articolo 4, ultimo comma, lett. a) e b) della l. 28.1.1977, n. 10, la
quale ha invero natura provvisoria, non può sostituirsi alla disciplina che la
legge affida alle responsabili valutazioni del Comune (Cass. civ., sez. I,
6.11.1998, n. 1158).
La giurisprudenza considera
illegittimo il silenzio serbato dall'amministrazione comunale sulla diffida con
consequenziale assegnazione al predetto ente locale di un termine, decorrente
dalla comunicazione ovvero dalla notifica, se anteriore, della presente
decisione per provvedere alla nuova destinazione urbanistica della zona. La
sentenza di condanna può, inoltre, nominare, in caso di ulteriore inadempienza,
un commissario ad acta, cui il ricorrente può rivolgersi direttamente,
una volta fatto constare formalmente l'avvenuto inutile decorso del tempo.
La giurisprudenza, peraltro, ritiene
che petti sempre al comune, discrezionalmente, la scelta della nuova
destinazione da imprimere all'area, mediante adeguata motivazione (Cons. St.,
sez. IV, 28.2.1992, n. 226, RGE, 1992, 410).
47. La partecipazione al procedimento.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241,
art. 7.
La delibera deve prevedere che
l’indennizzo venga quantificato contestualmente alla reiterazione del vincolo
scaduto.
Essa ha una duplice funzione:
pianificatoria, per ciò che concerne l'aspetto generale di sistemazione del
territorio, ed anche espropriativa, incidendo immediatamente sul diritto
soggettivo del proprietario inciso, cui è riconosciuto il contestuale diritto
all'indennizzo. Questi effetti presuppongono la notificazione espressa e
personale del provvedimento.
La giurisprudenza prevede che tale
procedimento sia soggetto alla legge sull’accesso.
La conseguenza della mancata
comunicazione dell'atto all'interessato, comporta pertanto, la possibilità per
quest'ultimo di impugnare la riproposizione del vincolo al momento della
conoscenza legale dello stesso, termine rispetto al quale il ricorso risulta
tempestivo.
L'Amministrazione deve dovuto
motivare diffusamente gli interessi coinvolti nel procedimento.
L'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, che
pone l'obbligo della comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo
ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre
effetti diretti, ha innestato nell'attività amministrativa un elemento di
riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell'introduzione nel
procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui
alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei
confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad
excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente
difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della
democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti
amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella
misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire.
L'obbligo della p.a. di dare
comunicazione dell'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7, l. 7.8.1990, n.
241, sussiste anche in caso di dichiarazione di p.u. implicita nell'approvazione
del progetto di opere pubbliche, ex art. 1, l. 3.1.1978, n. 1
(Cons. St.,
A. P., 15.9.1999, n. 14, FI, 1999, III, 529).
L'assenza di un'idonea motivazione,
non rinvenibile nemmeno per relationem negli atti impugnati, determina
l'illegittimità degli atti impugnati, sotto il profilo della mancata
partecipazione per l’assenza della comunicazione prevista dall'art. 7 della l.
41/90.
L'art. 7 della L. 241/90 sull'avviso
del procedimento è espressione di un principio generale dell'ordinamento
giuridico e si applica anche in materia espropriativa; nell'attuale contesto
normativo diretto a garantire la partecipazione non ha valore una
partecipazione differita.
L'amministrazione comunale deve
avviare e concludere il procedimento diretto alla localizzazione dell'opera e
dell'approvazione del progetto consentendo ai soggetti interessati di
partecipare fattivamente a tale determinazione.
L'amministrazione comunale che
proceda alla reiterazione di un vincolo a contenuto sostanzialmente
espropriativo ha l'obbligo di comunicare tempestivamente l'avvio del
procedimento ai soggetti potenzialmente interessati. La mancata comunicazione
dell'avvio del procedimento comporta la possibilità per i soggetti lesi di
impugnare la riproposizione del vincolo.
Il termine per la proposizione del
ricorso decorre dal momento della conoscenza legale della reiterazione del
vincolo.
A seguito della sentenza della C.
cost. n. 179 del 1999, la p.a. che proceda alla reiterazione di un vincolo
urbanistico a contenuto sostanzialmente espropriativo deve quantificare
l'indennizzo riconosciuto al privato, contestualmente alla reiterazione del
vincolo.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 1.2.2001,
n. 89, CI, 2001, 605).
48. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo.
LEGISLAZIONE: l. 4.8.1955, n. 848,
prot. add. n. 1, art. 1.
La Corte europea dei diritti
dell’uomo ha valutato il regime dei vincoli di piano fissato dal legislatore
italiano, ponendo i criteri per ritenere lo stesso conforme all'art. 1 del
protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei Diritti dell'uomo del
20.3.1952, ratificata con l. 4.8.1955, n. 848.
Il discrimen sta nella
possibilità che l’amministrazione preposta al vincolo dia al proprietario la
facoltà di realizzare le sue aspettative nell’ambito di una programmazione
urbanistica che gli consenta di intervenire in tempi che non limitino il suo
diritto (Rossi 2001, 2000).
Il Governo italiano è stato assolto
nel caso di un vincolo ultraventennale nel corso del quale l’interessato
avrebbe avuto la possibilità di convenzionarsi con il comune.
Va esclusa la violazione del
principio del rispetto della proprietà, ex art. 1 del protocollo addizionale n.
1 alla convenzione europea dei Diritti dell'Uomo firmato a Parigi il 20.3.1952,
se l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del privato risponda - con un
giudizio che compete alla Corte - alle esigenze dell'interesse generale.
Nel caso di specie la ricorrente, in
lite fin dal 1965 con il comune, avrebbe potuto dal 1974 in poi concludere una
convenzione di lottizzazione: tale possibilità è stata ritenuta sufficiente ad
assicurare la tutela del diritto al rispetto dei beni
(Corte europea dir. uomo, 2.8.2001, RGE,
2002, I, 293).
Il Governo italiano è stato, invece,
condannato nel caso di un vincolo più volte rinnovato senza che il propietario
abbia avuto la possibilità di intervento sul suo immobile.
Sussiste violazione del principio
del rispetto della proprietà, secondo quanto previsto dall'art. 1 del
protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei Diritti dell'uomo
(firmato a Parigi il 20.3.1952), qualora vi sia una continua rinnovazione dei
vincoli su aree.
Tale comportamento, pur non potendo
essere assimilato ad una privazione della proprietà, può violare il giusto
equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi a
salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo.
Nel caso di specie, un vincolo
protrattosi per 33 anni senza indennizzi e con sola utilizzabilità agricola con
una completa incertezza sull'utilizzazione edilizia del bene ha generato un
peso speciale ed esorbitante, con violazione del principio del rispetto della
proprietà; lo Stato italiano ed il ricorrente sono stati quindi invitati a
raggiungere un accordo che possa dare al privato equa soddisfazione, ex art. 41
della convenzione
(Corte europea dir. uomo, 2.8.2001, RIDPC,
2001, 1259).
La dottrina ritiene che i principi
enunciati dalla Corte Europea, diretti a condannare un vincolo
ultraquinquennale non indennizzato, siano recepiti dalla previsione dell'art.
39, d.p.r. 327/2001.
La norma, infatti, soddisfa le
esigenze di un giusto equilibrio fra gli interessi pubblici e quelli privati
(Caringella, De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 490).
49. Il rilascio del permesso di costruire in presenza
di vincoli di piano.
LEGISLAZIONE:
d.p.r.380/2001, art. 9 - l. 10/1977, art. 4.
L’istituzione dei vincoli di piano e
il rilascio del provvedimento autorizzatorio per la realizzazione un intervento
edilizio sono due procedimenti autonomi i cui effetti sono strettamente
connessi.
L’istituzione del vincolo determina
come conseguenza obbligatoria il diniego alla richiesta di permesso di
costruire che contrasti con detta imposizione.
La risposta alla domanda di
costruzione acquista in ogni caso rilevanza diversa in rapporto alle varie fasi
in cui l’atto programmatorio può trovarsi.
Nella fase di adozione del piano si
devono applicare le misure di salvaguardia.
Ove la domanda di autorizzazione
edilizia contrasti con il nuovo piano adottato e non ancora definitivamente
approvato, ai sensi della l. n. 1902 del 1952, deve essere emanato un
provvedimento cautelare di sospensione di ogni determinazione al riguardo
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II,
3.2.2003, n. 192, FATAR, 2003, 389).
Fino alla data dell’adozione del
piano deve applicarsi la normativa in vigore e, quindi, la risposta alla
domanda di costruire deve ad essa rapportarsi.
È illegittimo il diniego di concessione
edilizia motivato facendo riferimento ad un vincolo non ancora apposto al
momento di adozione dell'atto che limita lo ius aedificandi del
ricorrente.
Nel caso di specie non determina la
costituzione di un vincolo preordinato alla espropriazione la deliberazione
consiliare che ha disposto una semplice localizzazione di massima dei parcheggi
senza che la stessa abbia disposto l'approvazione del piano con effetto di
variante allo strumento urbanistico.
(T.A.R. Sicilia Catania, sez. I,
1.10.2002, n. 1653, FATAR, 2002, 3410).
La giurisprudenza ha precisato che
il vincolo imposto successivamente al rilascio di un provvedimento
autorizzatorio è illegittimo, a meno che il comune non dimostri, con
un’adeguata motivazione, le ragioni che hanno indotto ad introdurre detta
variante di piano in contrasto colle precedenti determinazioni
dell’amministrazione.
Il permesso di costruire non ha
natura recettizia essendo di per sè idoneo a produrre gli effetti suoi propri
fin dalla data della sua emanazione, indipendentemente dalla comunicazione
all'interessato.
L'acquisita validità del titolo
edilizio alla data della emissione del documento formale comporta
conseguentemente l'illegittimità del vincolo di inedificabilità impresso al
lotto di terreno in questione dal nuovo piano regolatore generale, perchè
adottato successivamente.
Risulta pertanto illegittimo il
provvedimento di diniego secondo cui il permesso di costruire non può più
essere operativo in quanto ormai superato dalla nuova destinazione vincolata
del lotto di terreno.
L'acquisita validità del titolo
edilizio alla data della emissione del documento formale comporta
l'illegittimità del vincolo di inedificabilità impresso al lotto di terreno in
questione dal nuovo piano regolatore generale, quando quest'ultimo sia stato
adottato successivamente
(T.A.R. Liguria, sez. I, 11.3.2003,
n. 279).
Nella fase di durata del piano il
diniego non può essere che motivato col contrasto alle disposizioni di piano.
La giurisprudenza precisa che i vizi
del piano non possono supportare l’impugnazione del provvedimento di rilascio
di permesso di costruire.
Tra disposizione di p.r.g. che
impone un vincolo di destinazione e diniego di concessione edilizia non
intercorre nessun rapporto di presupposizione, poiché il primo, atto complesso
di pianificazione urbanistica, scaturisce da un procedimento autonomo e
separato rispetto al secondo che è posto in essere non solo successivamente, ma
a procedimento di pianificazione già concluso.
E' inammissibile l'impugnativa del
diniego di concessione edilizia, prospettandone un vizio derivato dalla
disposizione, ritenuta illegittima ma inoppugnabile, di piano regolatore che ha
imposto un vincolo e di cui il primo costituisce esecuzione
(Cons. St.,
sez. IV, 25.3.2003, n. 1546).
Nel caso in cui il vincolo sia
decaduto non può negarsi il rilascio del provvedimento richiesto.
Nel caso in cui il vincolo di
inedificabilità previsto dal piano regolatore vigente sia decaduto per decorso
del termine quinquennale ai sensi della l. n. 1187 del 1968, il diniego di
autorizzazione non può fondarsi sul contrasto con tale piano
(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II,
3.2.2003, n. 192, FATAR, 2003, 389).
Il rilascio del permesso di
costruire è in ogni modo limitato oltre che dai parametri di edificabilità
imposti per le zone bianche di p.r.g. dall’art. 9, d.p.r.380/2001, che abroga
l’art. 4, l. 10/1977, dalla esistenza delle opere di urbanizzazione.
La cessazione del vincolo di un'area
ad una specifica destinazione di uso, impressale dallo strumento urbanistico,
non può in alcun caso essere assimilata all'inesistenza del piano regolatore;
per questo il sindaco, di fronte ad un'istanza di concessione edilizia, non si
può limitare al controllo degli standard generali, ex art. 4, l. 28.1.1977, n.
10, in quanto la concessione è lo stesso subordinata all'esistenza delle opere
di urbanizzazione primaria o alla previsione comunale della loro costruzione
entro un triennio o all'impegno del privato di costruirle contemporaneamente
con l'opera progettata, senza l'obbligo di rilasciare la concessione stessa
sulla base delle sole disposizioni dell'art. 4, l. 28.1.1977, n. 10
(Cons. St., sez. V, 4.8.2000, n.
4295, FA, 2000, 2660).
La giurisprudenza ritiene, quindi,
congruo il provvedimento di diniego di permesso di costruire parametrato
secondo indici di piano della zona di cui fa parte integrante il lotto il cui
vincolo sia scaduto.
L'inutile decorso del termine quinquennale
del vincolo del piano regolatore, preordinato all'espropriazione, implica che
l'area interessata risulta sprovvista di una regolamentazione urbanistica,
essendo abrogata quella preesistente al vincolo stesso ed essendo divenuta
inefficace quella recata da quest'ultimo, onde l'area resta soggetta alla
disciplina che l'art. 4, ult. co., l. 28.1.1977, n. 10, detta per i comuni
sprovvisti di strumenti urbanistici generali.
Pertanto, è legittimo il diniego di
rilascio di concessione edilizia, per un'area all'interno del perimetro del
centro abitato, fin quando a quest'ultima non sia impressa una nuova
destinazione di zona che ne consenta l'ulteriore uso a fini edificatori
(Cons. St.,
sez. V, 25.9.1998, n. 1326, FA, 1998, 2360).
La giurisprudenza ha limitato la
definizione dei vincoli urbanistici disciplinati dall'art. 2 della l. 1187/68 e
del principio della temporaneità che ne determina la relativa perdita di
efficacia legittimando quindi il diniego del permesso di costruire pur dopo la
scadenza del vincolo.
I vincoli a tempo determinato sono,
infatti, soltanto quelli che incidono su beni specifici assoggettandoli a
vincoli preordinati all'espropriazione ed a vincoli che ne comportano
l'inedificabilità.
Essi, dunque, svuotano il contenuto
del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo
inutilizzabile rispetto alla sua
destinazione naturale ovvero
diminuendo in modo significativo il suo valore di scambio. La previsione di una
determinata tipologia urbanistica, come quella del restuaro, invece, non è un
vincolo preordinato all'espropriazione né comportante l'inedificabilità
assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente
l'attività edilizia che è destinata a perdurare nel tempo.
I vincoli previsti nel caso di area
in cui sono consentiti esclusivamente interventi di restauro e ristrutturazione
interna, nonché di manutenzione ordinaria e straordinaria dei fabbricati
esistenti, non sono qualificabili come vincoli di inedificabilità assoluta,
comportando la possibilità di un utilizzo del potere edificatorio in senso
conservativo, pertanto non è applicabile l'art. 2 l. 19.11.1968, n. 1187,
secondo il quale decorso il termine quinquennale si avrebbe decadenza del
vincolo; tale norma è applicabile soltanto nel caso di vincoli che incidono su
beni determinati, preordinandone l'espropriazione o comportandone
l'inedificabilità, vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà
incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile ovvero
diminuendone in modo significativo il valore di scambio.
La previsione di una determinata
tipologia urbanistica, invece, è una prescrizione diretta a regolare
concretamente l'attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa
propria dello strumento generale, la cui validità è a tempo indeterminato, come
espressamente stabilito dall'art. 11, l. 17.8.1942, n. 1150.
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I,
6.3.2003, n. 734. Cons. St., sez. V, 6.10.2000, n. 5326. Cons. St., sez. V, 24.11.97, n.
1357).
La giurisprudenza ha posto dei
limiti alla possibilità di porre dei vincoli di piano che di fatto non
permettono il rilascio di un provvedimento autorizzatorio. Essi, infatti,
devono essere considerati compatibili con l’esercizio delle facoltà attribuite
alla proprietà.
E’ stato sancito che il
completamento della recinzione di un fondo non può essere impedito
dall'esistenza di una previsione vincolistica del piano regolatore, in quanto
il legittimo esercizio dello ius excludendi alios, di per sé, non
contrasta con detta previsione.
Esso, infatti, non ha per fine
quello di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle
norme urbanistiche e non limita in alcun modo l'amministrazione nell'esercizio
dei poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono.
Il legittimo esercizio dello ius
excludendi alios non contrasta di per sé con la previsione vincolistica del
piano regolatore interessante l'area in questione, non avendo per fine quello
di imprimere all'area una destinazione diversa da quella prevista dalle norme
urbanistiche e non limitando in alcun modo l'amministrazione nell'esercizio dei
poteri, eventualmente ablativi, che dal vincolo discendono; pertanto, è
illegittimo il diniego della concessione edilizia per la realizzazione di un
cancello di recinzione di un fondo, motivato in ragione della collocazione di
tale opera in zona destinata dal piano di recupero a verde pubblico
(T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II,
24.2.2003, n. 351. T.A.R. Milano, sez. II, 20.5.1993 n. 334).
Nessun commento:
Posta un commento