CAPITOLO IV L’indennizzo.
50. La
previsione di indennizzo per i vincoli scaduti nella giurisprudenza della Corte
costituzionale.
51.
L’indennizzo per i vincoli scaduti nella giurisprudenza.
51.1. Le
modalità dell’indennizzo per i vincoli scaduti, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n.
327.
52. I
vincoli e il procedimento ablatorio. Criteri per la determinazione
dell’indennità di esproprio. Rinvio.
50. La previsione di indennizzo per i
vincoli scaduti nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
LEGISLAZIONE: l. 17.8.1942, n. 1150, artt. 7, n.
2 – 3 - 4, 40 - l. 19.11.1968, n. 1187, art. 2, 1° co.
La questione
di legittimità costituzionale relativa alla reiterazione dei vincoli è stata successivamente
accolta dalla Corte costituzionale.
Essa è stata
proposta alla Corte dal Consiglio di Stato che ha rilevato la non manifesta
infondatezza della questione, richiedendo una determinazione espressa da parte
del legislatore dei casi in cui la reiterazione dei vincoli costituisca
espropriazione di valore e comporti, di conseguenza, la corresponsione
dell'indennizzo.
Il giudice
amministrativo, inoltre, ha affermato che devono essere previsti per legge i
criteri di determinazione dell'indennizzo stesso.
Non è
manifestamente infondata, e va pertanto rimessa alla Corte costituzionale, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, n. 2, 3, 4, 40, l.
17.8.1942, n. 1150 e dell'art. 2, 1° co., l. 19.11.1968, n. 1187, nella parte
in cui dette disposizioni, pur prevedendo la temporaneità dei vincoli previsti
dal piano regolatore, consentono la reiterazione di detti vincoli ancorché
divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio.
La mancata
determinazione per legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli
costituisce espropriazione di valore e comporta la corresponsione
dell'indennizzo, non appare conforme, sotto il profilo del difetto di
tassatività della fattispecie, alla riserva di legge di cui all'art. 42, 3°
co., cost., secondo il quale la proprietà privata può essere espropriata per
motivi di interesse generale nei casi previsti dalla legge.
La rilevata
mancanza di previsione con legge dei criteri di determinazione dell'indennizzo
impedisce la concreta attuazione dello stesso diritto all'indennizzo previsto
dal citato art. 42 cost..
La mancata
determinazione con legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli
costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo, così
attuando un bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, appare in
contrasto con gli artt. 97 cost. - in quanto deviazione del modello di buon
andamento della pianificazione urbanistica – 9, 2° co., e 32, 1° co., cost., ai
quali il regime degli standard, nella sua preordinazione forte alla tutela del
paesaggio e del diritto alla salute, appare principalmente riconducibile
(Cons. St, A. P., 25.9.1996, n. 20, RGE,
1997, 254).
La dottrina
ha aderito a questa impostazione della giustizia amministrativa e propone,
quindi, la corresponsione di un indennizzo alla scadenza del temine
quinquennale ovvero, quanto meno, l’approvazione di una relazione di massima
delle spese occorrenti per l’acquisizione delle aree (Lavitola 1998, 301).
La Corte
costituzionale ha accolto i rilievi formulati ed ha disposto l’indennizzo per i
vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni.
3.- Passando
all'esame delle questioni sollevate, occorre premettere che il problema di un
indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come alternativa non eludibile
tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima
dell'efficacia del vincolo (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del
1995) - si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:
- siano
preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente
espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di
rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante
imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni
determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del
1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n.
186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta,
qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore
dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto
speciale, sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);
- superino
la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non
irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da
parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo,
ove non intervenga l'espropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si
inizi la procedura attuativa (preordinata all'esproprio) attraverso
l'approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta
termini massimi di attuazione fissati dalla legge;
- superino
sotto un profilo quantitativo ("per la maggiore o minore incidenza che il
sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto": sentenza n. 6 del 1966)
la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta
regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla
funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione).
Nello stesso
tempo, occorre sottolineare l'indirizzo secondo cui "è propria della
potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su beni
individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti
adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche"
(sentenza n. 575 del 1989). Essendo i due requisiti della temporaneità e della
indennizzabilità tra loro alternativi, l'indeterminatezza temporale dei
vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo anche con diversa
destinazione o con altri mezzi, "è costituzionalmente legittima a
condizione che l'esercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili
con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati dalle sentenze n.
6 del 1966 e n. 55 del 1968" (sentenza n. 575 del 1989).
4.- La
giurisprudenza della Corte ha inoltre affermato che non sono inquadrabili negli
schemi dell'espropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di durata
i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, "in virtù della loro
localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo
coessenziale le qualità indicate dalla legge" (sentenze n. 417 del 1995;
n. 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza n.
55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988;
n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
Più in
generale si è ritenuto che la legge può non disporre indennizzi quando i modi
ed i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il completamento
attraverso un particolare procedimento amministrativo - attengano, con
carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo
(sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), ad intere categorie di beni, e per
ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione
indifferenziata di essi - anche per zone territoriali - ad un particolare
regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre
un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia
riguardo ai modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di
beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni hanno
rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.
Devono di
conseguenza essere considerati come normali e connaturati alla proprietà, quale
risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei
regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e
relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie
coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune
opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e
rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.
5.- Inoltre
è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema
ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non
necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i
vincoli che comportano una destinazione (anche di contenuto specifico)
realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non
comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa
pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità
di previa ablazione del bene.
Ciò può
essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che
gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e
servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi
nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica
privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa
riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi
per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o
per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di
operare in libero regime di economia di mercato.
6.- Sulla
base delle anzidette premesse può essere confermato che la reiterazione in via
amministrativa degli anzidetti vincoli decaduti (preordinati all'espropriazione
o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via
legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune
regioni a statuto speciale (v., per quest'ultimo profilo, sentenze n. 344 del
1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per sé
inammissibili dal punto di vista costituzionale. Infatti possono esistere
ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione procedimentale (con
adeguata motivazione) dell'amministrazione preposta alla gestione del
territorio o rispettivamente apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro
i limiti della non irragionevolezza e non arbitrarietà (v. sentenze n. 344 del
1995; nn. 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988).
Invece,
assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita
reiterazione o una proroga sine die o all'infinito (attraverso la
reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le
une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia
certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di
ragionevolezza (sentenza n. 344 del 1995). Ciò ovviamente in assenza di
previsione alternativa dell'indennizzo (sentenze n. 344 del 1995; n. 575 del
1989), e fermo, beninteso, che l'obbligo dell'indennizzo opera una volta
superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di
franchigia).
Del resto la
giurisprudenza amministrativa, a proposito della reiterazione dei vincoli, ha
delineato un diritto vivente (che deve essere tenuto presente per risolvere la
questione di legittimità costituzionale prospettata), secondo cui la
reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti per effetto del decorso del
termine può ritenersi legittima sul piano amministrativo se corredata da una
congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed
adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con
giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e
concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.
Da quanto
sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere separato e distinto
il profilo della ammissibilità e legittimità delle reiterazioni in via
amministrativa dei vincoli urbanistici c.d. espropriativi, attuate in
conformità ai principi ricavabili dalla giurisprudenza succitata, di modo che
la reiterazione può essere ritenuta giustificata dalle esigenze appositamente
valutate e motivate come attuali e persistenti: ciò non di
meno si realizza un obbligo indennitario.
Infatti, per
i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra delimitati),
l'obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo
periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di
regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime
transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli,
come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare
sul singolo, qualora non sia intervenuta l'espropriazione ovvero non siano
approvati i piani attuativi.
In altri
termini, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di
franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette
caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere
dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio
dell'attività preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei
piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.
Il potere
della pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione
dei progetti relativi alle esigenze generali (richiamate dalla ordinanza
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) non si può consumare per il
semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli urbanistici
innanzi delimitati, ove persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano
la realizzazione anche se per differenti finalità, per cui deve essere esclusa
in radice la denunciata violazione degli artt. 9, 32 e 97 della Costituzione.
Tuttavia,
negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in
contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione, e di
conseguenza ne deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale. Tale
dichiarazione non può tradursi in una sentenza caducatoria, posto che una
simile pronuncia colpirebbe nel complesso i poteri di programmazione del
territorio, che devono poter essere esercitati nonostante la intervenuta
scadenza dei vincoli, ferma la necessità di previsione di indennizzo.
8.- Neppure
si può ottenere in questa sede un completo adeguamento alla legalità
costituzionale mediante una pronuncia che provveda a fissare i criteri per la
concreta liquidazione del quantum dell'indennizzo nei casi sopra
specificati.
Per la
determinazione concreta dell'indennizzo in conseguenza della reiterazione di
vincoli urbanistici esistono molteplici variabili, che non possono essere
definite in sede di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza
additiva, in quanto detto indennizzo non è, nella quasi totalità dei casi (in
ciò sta la netta differenza rispetto alla diversa - anche per natura -
indennità di esproprio), rapportabile a perdita di proprietà.
Né può
essere utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato esclusivamente al
valore dell'immobile, in quanto il sacrificio subito consiste, nella maggior
parte dei casi, in una diminuzione di valore di scambio o di utilizzabilità.
Inoltre l'indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro (non
necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico)
per una serie di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del
bene immobile colpito, e deve essere commisurato o al mancato uso normale del
bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo
di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica
antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Alla luce
delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la illegittimità
costituzionale non dell'intero complesso normativo che consente la reiterazione
dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti
i casi di permanenza del vincolo urbanistico (preordinato all'espropriazione o
comportante l'assoluta inedificabilità) oltre i limiti di durata fissati dal
legislatore (quali indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli),
ove non risulti in modo inequivocabile l'inizio della procedura espropriativa.
Con la conseguenza che la reiterazione del vincolo deve comportare la
previsione di indennizzo nei sensi suindicati, restando al legislatore ogni
possibilità di intervento, anche attraverso procedure semplificate, per la concreta
liquidazione dell'indennizzo stesso.
Naturalmente
- occorre di nuovo sottolineare - non da qualsiasi reiterazione di vincolo
urbanistico discende un pregiudizio al soggetto titolare del bene e un
correlativo obbligo a carico dell'amministrazione di corrispondere un
indennizzo. Nell'ambito del modello indennitario si possono presentare una
pluralità di soluzioni astrattamente ipotizzabili, idonee ad assicurare un
serio ristoro a favore del soggetto che subisce il vincolo, in armonia con i
principi costituzionali, tra le quali il legislatore può operare una scelta.
Il
necessario intervento legislativo dovrà precisare le modalità di attuazione del
principio dell'indennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo nei sensi
sopra indicati, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro
patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione, e potrà esercitare
scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra
misure alternative riparatorie anche in forma specifica (v. ordinanza n. 165
del 1998), mediante offerta ed assegnazione di altre aree idonee alle esigenze
del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v., come esempio di misura
sostitutiva di indennità, art. 30, primo e secondo comma, della legge 28
febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante altri sistemi compensativi che non
penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su
beni determinati.
9.-
L'esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità
di liquidazione dell'indennizzo non esclude che - anche in caso di persistente
mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e
parametri per la liquidazione delle indennità - il giudice competente sulla
richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia
urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa
ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni
indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito
dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
10.- In
conclusione restano al di fuori dell'ambito dell'indennizzabilità i vincoli
incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie
di beni - ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici -, i vincoli derivanti
da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i
vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso
l'iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non
superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non
eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente
sopportabile.
Pertanto
deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 7, n. 2, 3 e 4, e 40 della l. 17.8.1942, n. 1150 (Legge
urbanistica) e 2, 1° co., della l. 19.11.1968, n. 1187 (Modifiche ed
integrazioni alla legge urbanistica 17.8.1942, n. 1150), nella parte in cui
consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti,
preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la
previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in
conformità ai principi sopra richiamati.
p.q.m
la Corte
costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della l. 17.8.1942, n. 1150 (Legge
urbanistica) e 2, 1° co., della l. 19.11.1968, n. 1187 (Modifiche ed
integrazioni alla legge urbanistica 17.8.1942, n. 1150), nella parte in cui
consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti,
preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la
previsione di indennizzo
(Corte cost., 20.5.1999, n. 179, GD,
1999, n. 22, 133).
La Corte
precisa i caratteri che devono distinguere il vincolo perché possa essere
soggetto ad indennizzo.
1. Il
vincolo deve essere preordinato all’espropriazione o avere carattere
espropriativo. Esso deve provocare come effetto pratico uno svuotamento di
rilevante entità ed incisività del contenuto della proprietà stessa, mediante
imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare - su
beni determinati - comportanti inedificabilità assoluta.
2. Il
vincolo non deve superare la durata che il legislatore ha fissato come limite,
non irragionevole e non arbitrario, affinché il vincolo stesso risulti
sopportabile da parte del singolo soggetto titolare del bene,
3. Il
vincolo non deve superare, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità,
secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge per i modi di
godimento ed i limiti preordinati alla sua funzione sociale.
Non
rientrano negli schemi del procedimento espropriativo, invece, i beni immobili
aventi valore paesistico-ambientale, in virtù delle loro qualità oggettive che
li inseriscono in particolari categorie di beni.
Tali beni,
infatti, sono sottoposti ad uno speciale regime di utilizzo, in base alle
caratteristiche intrinseche che li distinguono.
Devono
essere considerati come normali e connaturati alla proprietà i limiti non
ablatori posti dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica e
relativi alle norme tecniche, i limiti di altezza, di cubatura, di superficie
coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto relative a determinate
opere pubbliche, gli indici di edificabilità e gli standard attinenti alle zone
territoriali omogenee.
La Corte non
esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via amministrativa.
Possono,
infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo
provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità.
Qualora i
vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una
proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe,
che si aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia
indeterminato e senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i
principi posti dalle norme costituzionali.
E’
incostituzionale il combinato disposto degli artt. 7, n. 2, 3 e 4, e 40 l.
1942, n. 1150 e art. 2, 1° co., l. 1187/1968 nella parte in cui consente alla
amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati
all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di
indennizzo
(Corte cost., 20.5.1999, n. 179, GD,
1999, n. 22, 133).
E’ stata
pronunciata, quindi, l’illegittimità costituzionale non dell’intero complesso
normativo, che continua a consentire la reiterazione dei vincoli, ma
esclusivamente della mancata previsione d’indennizzo in tutti i casi di
permanenza del vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione o comportante
l’assoluta inedificabilità oltre i limiti di durata fissati dal legislatore ove
non risulti, in modo inequivocabile, l’inizio della procedura espropriativa.
La Corte non
giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum
dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione.
Dopo avere
avvisato nella procedura di determinazione del risarcimento una serie di
variabili che sostanzialmente pongono la diminuzione di valore a seguito della
reiterazione del vincolo in rapporto diverso con l’indennizzo relativo alla
perdita della proprietà del bene, la Corte afferma che l’indennizzo per il
protrarsi del vincolo è un ristoro non necessariamente integrale od equivalente
al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono verificare a danno
del titolare del bene immobile colpito.
Esso deve
essere commisurato al mancato normale uso del bene ovvero alla diminuzione del
prezzo di mercato rispetto alla situazione urbanistica antecedente alla
pianificazione che ha imposto il vincolo.
Se spetta al
legislatore ordinario fissare i criteri per l’indennizzo la Corte non esclude
che, anche in caso di mancanza di tale intervento, il giudice competente sulla
richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia
urbanistica abbiano carattere espropriativo, possa ricavare dall’ordinamento le
regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie
considerandole come obbligazioni derivanti dal pregiudizio subito a causa del
rinnovo o del protrarsi del vincolo.
51. L’indennizzo per i vincoli
scaduti nella giurisprudenza.
L’indirizzo
giurisprudenziale successivo alla sentenza 179/1999 della Corte costituzionale
ha ritenuto illegittima la delibera di reiterazione di vincoli urbanistici
priva della determinazione dell’indennizzo, anche se non ritiene obbligatoria
l’indicazione dell’indennità di esproprio.
L’indirizzo,
in ogni caso, non collega la mancata previsione dell’indennizzo
all’illegittimità del provvedimento di vincolo.
La
reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o che
comportino l'inedificabilità non richiede una motivazione specifica circa la
destinazione di zona delle singole aree, cosiddetta motivazione polverizzata,
ma soltanto una motivazione circa le esigenze urbanistiche che sono a
fondamento della variante medesima.
È
illegittimo il provvedimento col quale il Comune dispone la reiterazione dei
vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione decaduti per superamento del
quinquennio ai sensi dell'art. 2, l. 19 novembre 1968 n. 1187, senza la
previsione di indennizzo.
Non può
ritenersi illegittima una delibera con la quale si reiterano vincoli per omessa
previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione e dei possibili mezzi di
copertura dato che - in difetto dell'intervento legislativo - sarà il giudice
competente sulla richiesta di indennizzo che, una volta accertato che i vincoli
imposti in materia urbanistica hanno carattere espropriativo, procederà alla
liquidazione dell'indennizzo, facendo applicazione delle regole per la
liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di
ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo
(Cons. St.,
A.P., 22.12.1999, n. 24, UA, 2000, 541 nota Sempreviva).
Il vincolo
reiterato deve essere risarcito attraverso la corresponsione di una indennità
commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto e al tempo della
reiterazione.
L’indirizzo
è stato confermato dalla Corte di Cassazione Sezioni Unite 33/2000.
Il caso di
specie è indicativo.
Il Comune
convenuto ha compreso in una zona destinata a verde pubblico attrezzato, la
porzione dell'immobile del ricorrente nel Piano Regolatore Generale approvato
con delibera dell'11.1.1969; successivamente l’amministrazione aveva reiterato
la localizzazione nella variante al Piano Regolatore Generale adottata con
delibera n. 46 del 20.5.1977; l’ente aveva conservato siffatta destinazione
anche nei successivi strumenti urbanistici, sino a quelli in vigore alla data
della citazione.
Il
ricorrente sostiene che, conseguentemente, la sua area era rimasta assoggettata,
sia pure per effetto della reiterazione dei provvedimenti impositivi, ad un
vincolo urbanistico preordinato all'espropriazione per un periodo superiore a
quello di cinque anni fissato dall'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187.
La corte ha
riconosciuto che il giudizio ha ad oggetto una posizione che ha l'intrinseca
natura di diritto soggettivo: tale è, infatti, ontologicamente, quella che, per
un verso, concerne la spettanza di un indennizzo per la compressione del
diritto di proprietà conseguente ad un valido provvedimento amministrativo
limitativo delle relative facoltà, quale è quello reiterato del vincolo
urbanistico.
La
controversia avente ad oggetto la spettanza, che si assume riconosciuta
dall'ordinamento positivo, di un indennizzo per la compressione del diritto di
proprietà conseguente ad un valido provvedimento amministrativo limitativo
delle relative facoltà - nella specie, provvedimento reiterativo del vincolo
urbanistico - concerne una posizione che ha l'intrinseca natura del diritto
soggettivo e che rimane pertanto devoluta al giudice ordinario, mentre la
questione sulla sussistenza di una norma astratta idonea al riconoscimento ed
alla tutelabilità del diritto medesimo attiene al merito e non alla competenza
giurisdizionale
(Cass. civ.,
Sez. Un., 23.2.2000, n. 33, GCM, 2000, 189).
Dal sistema
positivo emerge che il proprietario dell'immobile assoggettato ai vincoli
reiterati ha diritto ad un indennizzo, in quanto la reiterazione comporta una
limitazione del suo diritto di proprietà per una durata, se non addirittura
indefinita come si può verificare nelle ipotesi di plurime continue
reiterazioni, quanto meno eccedente il periodo - unico compatibile con i
principi della Costituzione - di cinque anni.
Si tratta,
in concreto, delle disposizioni di cui agli artt. 7 e 40 della l. 17.8.1942, n.
1150 e art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187, che devono essere correttamente
interpretate alla luce dei principi emergenti dalle sentenze della Corte
costituzionale n. 55 del 1968 e n. 575 del 1989; nonché delle disposizioni
sovranazionali di cui agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per i diritti
dell'uomo firmata a Roma il 4.11.1950 e 1 del Protocollo addizionale firmato a
Parigi il 20.3.1952, vigenti nel nostro ordinamento interno in forza
dell'ordine di esecuzione di cui alla l. 4.8.1955, n. 848.
51.1. Le modalità dell’indennizzo per i
vincoli scaduti, ex art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
LEGISLAZIONE:
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 39.
Le modalità
di calcolo dell’indennizzo per i vincoli scaduti sono disciplinate dall’art.
39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, in maniera transitoria, in attesa del t.u
sulla programmazione urbanistica attuativa.
L’atto che
reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo.
1. In attesa
di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un
vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo
è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno
effettivamente prodotto. (L)
2. Qualora
non sia prevista la corresponsione dell'indennità negli atti che determinano
gli effetti di cui al comma 1, l'autorità che ha disposto la reiterazione del
vincolo è tenuta a liquidare l'indennità, entro il termine di due mesi dalla
data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a
corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti
anche gli interessi legali. (R)
omissis
5.
Dell'indennità liquidata ai sensi dei commi precedenti non si tiene conto se
l'area è successivamente espropriata. (L)
(art. 39,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327).
La dottrina
coglie la contraddizione della dizione legislativa che impone il risarcimento
del danno, ma lo subordina al fatto che questo sia effettivamente prodotto.
La dottrina
si chiede se il risarcimento sia dovuto anche se il proprietario continua ad
utilizzare l’area nonostante l’imposizione del vincolo attraverso l'esercizio
di una attività, ad esempio agricola o relativa all’esercizio di un campeggio,
e se il privato sia tenuto alla dimostrazione del danno.
Il privato è
tenuto a cooperare nella dimostrazione del danno patito, essendo solo lui a
conoscenza precisa del tipo di utilità ritratta dalla perdurante utilizzazione
non edificatoria, da mettersi a confronto con il pregiudizio collegato al non
sfruttamento edificatorio
(Caringella,
De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 487).
Non è chiaro
in questa ricostruzione quando deve essere determinato l’obbligo, per
l’autorità che dispone il vincolo, di prevederne il pagamento nell’atto stesso
di vincolo o a successiva richiesta dell'istante.
L’interpretazione
proposta induce quindi l’amministrazione a non determinare l’indennizzo per il
vincolo.
In tal caso,
costringendo alla richiesta il proprietario vincolato, lo induce ad esporre
motivatamente il danno subito aggiungendo, quindi, al danno oggettivo i
proventi derivanti dall’attività eventualmente esercitata.
Altro
problema è determinare se una variante generale di piano comporti la
reiterazione del vincolo anche in presenza di mutamenti programmatori.
Si tratta
evidentemente di verificare, volta per volta, se sostanzialmente il vincolo è
reiterato.
Qualora
l’amministrazione non provveda il privato può inoltrare domanda documentata di
risarcimento e l’autorità responsabile dell’imposizione del vincolo è tenuta a
corrisponderlo entro i successivi trenta giorni, pena la decorrenza degli
interessi legali.
L’indennità
è autonoma rispetto a quella corrisposta per un successivo esproprio.
Per alcuni
autori l’indennizzo dopo il sesto anno è commisurato all’interesse sulla futura
indennità di esproprio. La dottrina lamenta comunque il fatto che non
sussistano criteri automatici per la determinazione dell’indennità.
La scelta di
fare provare il danno al proprietario non appare condivisibile, dal momento che
si impone al proprietario un iter per ottenere il ristoro delle proprie
pretese certamente più complesso ed oneroso. Parimenti, come già suggerito dai
primi commentatori della norma, sarebbe stato preferibile collegare l’indennità
dovuta al successivo art. 50, d.p.r. l’8.6.2001, n. 327, che prevede il
criterio di determinazione dell’indennità di occupazione
(Saturno e
Stanzione 2002, 382).
Altri autori
ritengono che sia ammissibile proporre un risarcimento anche parziale –
ancorato sulla base di parametri che tengano conto della durata all’indennità
di esproprio - del danno provocato dal vincolo, ma tale interpretazione sembra
dubbia in carenza di precise indicazioni in tal senso.
Sembra che
l’indennizzo venga commisurato, in ragione del tempo previsto o prevedibile del
vincolo, al danno prodottosi sulla base degli stessi parametri adattati in
relazione all’entità del pregiudizio, che prevedono l’indennizzo, a seconda del
tipo di aree, per l’espropriazione in senso stretto.
(Caringella,
De Marzo, De Nictolis e Maruotti 2002, 487).
La dottrina
lamenta, inoltre, come nel d.p.r. 8.6.2001, n. 327 manchi la possibilità per i
proprietari di monetizzare destinazioni pubbliche attribuendo destinazioni
private, operando attraverso comparti, perequazioni, trasferimenti di cubatura,
accordi sulle aree da cedere o addirittura eseguendo essi stessi le opere
pubbliche.
Ad esempio,
il vincolo di una area a verde pubblico potrebbe essere compensato con la
possibilità di realizzare la cubatura media della zona su di una altra area
della stessa o di diversa proprietà attraverso un atto che trasferisca al
comune l’area ed al privato la cubatura convenzionale.
Tale
normativa evidentemente avrebbe costituito un eccesso di deroga anche se la
giurisprudenza ha riconosciuto legittime le forme di perequazione contenute
nella normativa di piano regolatore generale (Saporito 2001, 42).
Vi sono,
però, alternative al sistema degli indennizzi dei vincoli.
La dottrina
propone la fissazione di un indice virtuale di edificabilità per le aree
ricadenti in ogni singolo comprensorio, dividendo la cubatura complessivamente
consentita dal piano regolatore nel comprensorio per il numero dei metri quadri
dell’intera superficie interessata dal comprensorio medesimo.
In tal modo
si identifica il diritto ad edificare di ogni singolo proprietario.
Questo
diritto, reso commerciabile fra i privati e tra i privati e la pubblica
amministrazione, a prezzi concordati, consentirebbe l’attuazione automatica del
piano regolatore.
Al
legislatore restano da disciplinare le procedure coattive di attuazione del
piano in caso di inottemperanza dei privati a realizzare le sue previsioni
(D’Angelo 1999, 1184).
52. I vincoli e il procedimento
ablatorio. Criteri per la determinazione dell’indennità di esproprio. Rinvio.
LEGISLAZIONE:
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 32.
Il
collegamento fra indennità di esproprio e vincoli di piano risente
dell’inquadramento dottrinale dato al provvedimento autorizzativo della
realizzazione di opere edilizie.
Tale
costruzione incide sulla stessa definizione del diritto di proprietà, è
effettuata dal legislatore nella l. rif. casa, ma soprattutto tale connessione
è sviluppata nella successiva legge sul regime dei suoli.
La dottrina
afferma che la concessione ha la prerogativa di aggiungere alla proprietà
fondiaria una attribuzione che prima questa non possedeva: la possibilità di
costruire che perviene al proprietario per effetto dell’approvazione dello
strumento urbanistico.
Definisco la
concessione additiva, perché uno dei suoi caratteri salienti è aggiungere una
facoltà ad un soggetto che ha una particolare situazione, quella proprietaria.
(Predieri
1977, 122).
Le
conseguenze dell’impostazione sono logiche: se lo Stato attribuisce la
possibilità di costruire alla proprietà fondiaria a prescindere dalle caratteristiche
dell’immobile è evidente che l’indennizzo si rapporta al valore di quello che
residua ossia al valore agricolo:
E’ chiaro
che il mutamento del metodo (colla l. 10/1977 si considera il valore agricolo
delle culture effettivamente praticate invece che quelle al valore agricolo
medio della l. 865/1971) non altera il principio basilare per cui nessun
plusvalore edificatorio potrà essere riconosciuto, e che il valore di cui parla
il legislatore è solo ed esclusivamente quello agricolo
(Predieri
1977, 412).
La
costruzione dottrinale è stata completamente rivista dalla dottrina successiva.
Essa ha
affermato, infatti, che per le aree destinate ad edilizia privata solo il
proprietario o chi ha il titolo per costruire può presentare la domanda di
concessione.
Il sistema
non consente che altri soggetti possano d’autorità sostituirsi a questi per
ottenere la concessione alla realizzazione dell'opera; necessariamente, non si
tratta di un rapporto concessorio che presuppone che le facoltà attribuite
siano proprie della amministrazione, ma di un rapporto autorizzatorio che
prevede la rimozione di limiti all’esercizio di facoltà proprie del
richiedente.
La
concessione non attribuisce nuovi diritti al richiedente, ma presume delle
facoltà preesistenti ossia una titolarità dell'area che si configura solo nei
confronti del proprietario o di altri soggetti ben identificati (Assini e
Mantini 1997, 544).
La
dichiarazione della illegittimità costituzionale dei criteri di determinazione
dell’indennizzo è stata sicuramente condizionata dalla configurazione giuridica
del diritto ad edificare.
La Corte
sancisce l’interpretazione corretta del rapporto tra la proprietà e la facoltà
di edificare e ribadisce la natura autorizzatoria della concessone edilizia
respingendo le teorie che consideravano l’attribuzione dello ius aedificandi
al proprietario dipendente solo da un provvedimento oneroso della pubblica
amministrazione (Predieri 1977, 127).
La Corte ha
affermato che il diritto ad edificare spetta al proprietario e che, pertanto,
l’indennizzo deve essere serio ristoro del valore del bene oggetto del
procedimento ablatorio.
Le norme che
disciplinano lo ius aedificandi, introducendo il sistema della
concessione edilizia, non comportano che la relativa facoltà non inerisca più
al diritto di proprietà poiché la concessione, al pari della precedente
licenza, non è attribuita di diritti nuovi, ma presuppone facoltà preesistenti,
avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste
dall'ordinamento per l'esercizio del diritto nei limiti in cui il sistema
normativo ne riconosce e tutela la sussistenza.
(Corte cost., 30.1.1980, n. 5, GiC, 1980,
I, 21).
La Corte ha,
inoltre, ribadito che si deve fare riferimento al valore del bene in relazione
alle sue caratteristiche essenziali che, nel caso di aree edificabili,
corrispondono alle potenzialità edificatorie del terreno.
L’impostazione
non muta con l’introduzione del permesso di costruire di cui al d.p.r.
380/2001, poiché la natura giuridica del provvedimento non cambia. Il d.p.r.
8.6.2001, n. 327, artt. 32 e ss., determina il sistema del calcolo dell’indennità,
seguendo le indicazioni giurisprudenziali che hanno dichiarato incostituzionale
il sistema di indennizzo basato sul valore agricolo medio formulato dalla l.
865/1971, vedi Cap. VIII, n. 127 e segg.
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