CAPITOLO V I
vincoli nella pianificazione attuativa a gestione privata.
SOMMARIO:
53. Il piano particolareggiato strumento di attuazione dei vincoli di piano.
54. I
rapporti fra pianificazione generale e pianificazione attuativa.
55. La
partecipazione nel procedimento di approvazione.
56. Gli
effetti dell’approvazione.
57. Le
procedure attuative del piano particolareggiato.
58. La
procedura coattiva. L’intervento sostitutivo del comune.
59. La
rettifica dei confini. L’intervento sostitutivo del comune.
60. La
cessione dei terreni per la formazione di vie e piazze.
61. Il
vincolo su aree sistemate a giardini privati.
62. Il
comparto edificatorio.
63. La
diffida ai proprietari ad eseguire gli interventi.
64. Il
recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente. La programmazione
degli interventi.
65. I limiti
alle disposizioni di piano.
66.
L'approvazione del piano di recupero.
67. Gli
effetti della individuazione delle aree di recupero comunale. La decadenza dei
vincoli di piano.
68. La
lottizzazione del territorio. Il piano esecutivo di iniziativa privata.
69.
L’obbligatorietà del piano di lottizzazione.
70. Il
procedimento di approvazione.
71. Il
termine perentorio per il procedimento di approvazione.
72. La
convenzione comunale e gli oneri di urbanizzazione.
73.
L’adeguamento della lottizzazione alla pianificazione urbanistica comunale
sopravvenuta.
74.
L’obbligo di motivazione.
75. I
rapporti tra lottizzazione e i vincoli ambientali.
76. Il
rilascio della super d.i.a. in presenza di pianificazione attuativa.
77. La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
78. Il
giudizio di ottemperanza all’obbligo di provvedere.
79. Il
risarcimento del danno ingiusto.
53. Il piano particolareggiato
strumento di attuazione dei vincoli di piano.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
artt. 13, 16, 30.
Il piano
particolareggiato è strumento esecutivo di attuazione e di sviluppo del piano
regolatore generale (Mengoli 2003, 299).
Il contenuto
di tale strumento precisa gli elementi, concernenti le modalità con le quali i
vincoli del piano generale, attinenti sia la zonizzazione sia la
localizzazione, possono trovare la loro esecuzione.
Il piano
regolatore è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione nei quali
devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di
ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati:
le masse e
le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze;
gli spazi
riservati ad opere od impianti di interesse pubblico;
gli edifici
destinati a demolizione o ricostruzione ovvero soggetti a restauro o a bonifica
edilizia;
le
suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata
nel piano;
gli elenchi
catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare;
la
profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad
integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze
future.
Ciascun
piano particolareggiato di esecuzione deve essere corredato dalla relazione
illustrativa e dal piano finanziario di cui al successivo art. 30
(art. 13, l.
urb.).
Il piano si
pone come istituto a contenuto autonomo, nel rispetto delle indicazioni dello
strumento generale che fissa le destinazioni di ogni singola area in esso
ricompresa.
I piani
particolareggiati di esecuzione debbono indicare: le reti stradali ed i
principali dati altimetrici di ciascuna zona, le masse e le altezze delle
costruzioni lungo le principali strade e piazze, gli spazi per le opere
pubbliche, gli edifici da demolire e ricostruire o soggetti a restauro, la
suddivisione in lotti fabbricabili secondo la tipologia di piano, gli elenchi
catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare, nonché la profondità
delle zone laterali alle opere pubbliche; da tale contenuto consegue che tutte
le aree libere del piano particolareggiato di esecuzione debbono avere una
precisa destinazione, in un contesto unitario e globale, al fine di ottenere
una programmazione organica dell'intero ambito considerato
(T.A.R.
Lazio sez. I, 19 gennaio 1989, n. 21, FA, 1989, 3125).
La dottrina
osserva come la funzione attuativa del piano regolatore generale risulti oggi
sensibilmente ridimensionata dalla necessità di strumenti urbanistici che
condizionino gli interventi edificatori.
Le funzioni
del piano regolare risultano ridotte sia ad opera di quella giurisprudenza
consolidata, secondo cui il piano regolatore può contenere non solo indicazioni
di carattere programmatico da sviluppare in piani esecutivi, ma anche
prescrizioni categoriche immediatamente impegnative ed obbligatorie, come tali
costruttive di vincoli indipendentemente dalla formazione di uno strumento
particolareggiato, sia a seguito della successiva evoluzione legislativa, che
ha condotto alla previsione di altri strumenti urbanistici utilizzabili in
attuazione del piano regolatore in alternativa, ovvero in luogo del piano
particolareggiato, quali i piani di lottizzazione, i piani di edilizia
economico popolare, i piani degli insediamenti produttivi e i piani di recupero
(Bergonzini
1996, 232).
Il
provvedimento di approvazione del piano particolareggiato deve fissare, ai
sensi dell'art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150, il tempo, non superiore a dieci
anni, entro il quale esso deve essere attuato ed i termini entro cui dovranno
essere compiute le relative espropriazioni.
È
illegittimo il provvedimento di approvazione del piano particolareggiato che
non abbia fissato, ai sensi dell'art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150, il tempo (non
superiore a dieci anni) entro il quale il piano dovrà essere attuato ed i
termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni; né può
ritenersi trattarsi di termine fissato direttamente dalla legge, dal momento
che quello decennale è solo un termine massimo entro il quale deve essere
predeterminato il momento finale di attuazione in relazione alla natura ed
entità degli interventi previsti.
Non può
ritenersi trattarsi di termine fissato direttamente dalla legge, dal momento
che quello decennale è solo un termine massimo entro il quale deve essere predeterminato
il momento finale di attuazione in relazione alla natura ed entità degli
interventi previsti
(Cons. St., sez. IV, 30.10.1989, n. 704, CS,
1989, I, 1169).
Le sue
prescrizioni possono riguardare l’attività edilizia privata, che è disciplinata
per quanto attiene le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali
strade e piazze; la lottizzazione degli isolati, secondo le varie tipologie
edilizie; l’individuazione delle proprietà da espropriare.
Riguardano,
invece, opere ed attività di interesse pubblico la definizione delle reti
stradali e degli spazi riservati ad opere pubbliche.
Il piano
deve anche contenere una relazione illustrativa ed una relazione finanziaria,
ai sensi dell’art. 13 della legge urbanistica, cui è riconosciuta scarsa
rilevanza riducendone quindi la stessa credibilità per l’attuazione del piano.
A differenza
di quanto previsto per il piano particolareggiato, la previsione finanziaria di
massima è richiesta, nella redazione del piano regolatore generale, solo quando
è necessario deliberare in ordine agli interventi espropriativi
(T.A.R.
Liguria, 17.12.1981, n. 796, T.A.R., 1982, I, 536).
54. I rapporti fra pianificazione
generale e pianificazione attuativa.
LEGISLAZIONE:
d.m. 2.4.1968, n. 1444, art. 3.
Il piano particolareggiato
non può adottare soluzioni in contrasto col piano regolatore.
Una
interpretazione estensiva non ricollega ad una preventiva variante del piano
regolatore generale né le modifiche - introdotte dal piano particolareggiato di
esecuzione - che sono rivolte ad adeguare il piano a limiti ed a rapporti
fissati coll’art. 3, d.m. 2.4.1968, n. 1444, né le modifiche parziali, che non
incidono su criteri informativi del piano, come precisa l’art. 10, 8° co., l.
urb., mod. l. 1.6.1971, n. 291.
Il piano
particolareggiato, conformemente alla sua natura esecutiva ed alla sua
posizione subordinata rispetto allo strumento urbanistico generale, può
operare, di norma, solo nell'ambito delle prescrizioni del piano regolatore che
siano suscettibili di ulteriori specificazioni.
Il piano
particolareggiato può dettare norme all'interno degli spazi dispositivi che il
piano non abbia espressamente occupato con esplicite previsioni. Il piano
particolareggiato può contenere norme integrative o di adattamento, ma giammai
contrastare con le prescrizioni poste dal piano regolatore generale e
particolarmente con quelle attinenti alle destinazioni di zone che, a norma
dell'art. 7, n. 2, l. 17.8.1942, n. 1150, ne costituiscono uno dei contenuti
peculiari
(T.A.R.
Friuli Venezia Giulia, 19.7.1985, n. 198, T.A.R., 1985, I, 3351).
Tutte le
altre varianti non possono essere adottate dal piano particolareggiato se prima
non interviene una modifica al piano regolatore generale regolarmente
approvata.
Tale
sovraordinazione si estende agli altri strumenti portanti norme di carattere
generale, come il regolamento edilizio.
Le
disposizioni contenute nel piano particolareggiato non possono derogare dalle
previsioni del regolamento edilizio comunale poiché, mentre il primo è uno
strumento urbanistico di natura esecutiva, il secondo è uno strumento normativo
al quale l'art. 33 della legge urbanistica attribuisce una funzione integrativa
rispetto al piano regolatore generale
(T.A.R.
Lombardia, sez. I, Milano, 12.7.1985, n. 632, FA, 1986, 458).
55. La partecipazione nel procedimento
di approvazione.
LEGISLAZIONE: l. 7.8.1990, n. 241, art. 7.
L'art. 7
della l. 7.8.1990, n. 241, nell'ambito di una nuova visione dell'azione
amministrativa, fondata sulla base dei principi di democraticità cui si ispira
la Carta costituzionale, ha come scopo quello di permettere all'interessato,
nei cui confronti è destinato a produrre effetto un provvedimento
amministrativo, di partecipare proprio allo stesso esercizio della funzione
amministrativa, proponendo osservazioni, depositando memorie e documenti
attraverso i quali l'Amministrazione può giungere ad adottare un giusto
provvedimento, nel quale siano opportunamente contemperati gli interessi
pubblici e privati.
La
partecipazione, alla quale è finalizzata la comunicazione dell'avvio del
procedimento, è, dunque, un mezzo di selezione degli interessi, uno strumento
attraverso il quale sono destinati naturalmente ad emergere tutti gli interessi
che esistono intorno ad una certa questione sulla quale l'Amministrazione deve
assumere una decisione: la partecipazione deve poter influenzare la volontà
dell'Amministrazione sia nel senso di incidere sul contenuto concreto
dell'adottando provvedimento sia anche facendo recedere l'Amministrazione
dall'adottare la stessa determinazione.
Nell’approvazione
di un piano particolareggiato o di una sua variante è evidente che la
partecipazione si impone per l'indiscutibile pregiudizio e danno che
l'intervento pianificarlo determina a carico dell'area su cui il piano incide
(T.A.R. Sardegna, 9.7.2002, n. 861, FATAR, 2002, 2724).
Né si può ex
adverso invocare l'art. 13, 1° co., della l. 241/1990.
Detta
disposizione non si applica nei confronti dell'attività della pubblica
amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi
generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le
particolari norme che ne regolano la formazione, volendo tale norma escludere
una duplicazione delle forme di partecipazione procedimentale, ma non certo
eliminarla radicalmente, con l'effetto - evidentemente distorsivo del parametro
costituzionale di buon andamento dell'Amministrazione - di impedire addirittura
ogni acquisizione e valutazione dei vari interessi privati coinvolti
dall'esercizio del pubblico potere di pianificazione territoriale (Cons. St.,
Sez. IV, 24.10.2000, n. 5720).
56. Gli effetti dell’approvazione.
LEGISLAZIONE: l. urb., artt. 16, 17 - t.u. espr. p.u., artt. 12, 58, 1° co., n. 62.
Il piano
particolareggiato non ha effetti conformativi della proprietà - che sono propri
del piano regolatore generale - ma attuativi.
Se i privati
non realizzano spontaneamente le disposizioni di piano, queste possono essere
attuate attraverso l’espropriazione o il sistema dei comparti edificatori.
L’approvazione
del piano particolareggiato equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle
opere previste dal piano, art. 16, 9° co., l. urb., diversamente da quella del
piano regolatore generale che non comporta la dichiarazione implicita, ma la
necessità, di volta in volta, di un provvedimento specifico.
La fase
preparatoria di adozione non produce effetti; essa può semmai fare scattare
eventuali misure di salvaguardia.
In base alla
l. r. Sarda 22.12.1989, n. 45, l’adozione di una variante ad un piano
particolareggiato o l'adozione di un nuovo piano non possono assumere immediata
rilevanza giuridica (e, correlativamente, una posizione giuridicamente
protetta), in quanto la formazione della volontà nell'ambito di un atto
complesso, che implica il necessario espletamento di pluralità di fasi
procedimentali, deve essere completata con l'adozione dell'atto conclusivo al
termine della specifica procedura (come delineata dalla normativa regionale),
al fine di poterne sostenere l'interesse - di diritto e non di mero fatto -
alla sua conservazione; di conseguenza, è inammissibile il ricorso avverso la
revoca di un provvedimento qualificabile solo come atto endoprocedimentale, rispetto
al quale non è possibile vantare una posizione protetta
(T.A.R.
Sardegna, 9.7.2002, n. 861, FATAR, 2002, 2724).
L’art. 16 è
una delle disposizioni della l. urb. – dall’art. 13 all’art. 23 - che sono
state espressamente abrogate dall’art. 58 , 1° co., n. 62, t.u. espr. p.u.
La norma ha
suscitato non pochi dubbi in quanto essa ha lasciato un evidente vuoto nella
normativa urbanistica assolutamente non giustificato né coperto dalla nuove
norme.
Opportunamente,
pertanto il legislatore è intervenuto, con l’art. 5, l. 166/2002, per precisare
che l’abrogazione degli articoli della l. urb. si intende limitata alla parte
di queste norme che riguarda l’espropriazione, in quanto il vecchio
procedimento non può più trovare ragione d’essere in presenza di una nuova
procedura.
L’integrazione
ha avuto il plauso della dottrina che vede così scongiurato il pericolo
dell'abrogazione dell’intera disciplina avente ad oggetto la pianificazione
esecutiva (Forlenza 2002, 85).
Attraverso
questa norma ripristinatoria viene però minata quella finalità manifestata dal
legislatore, con l’art. 7, 2° co., lett. c), l. 50/1999 che delega l’emanazione
del t.u. espr. p.u. prescrivendo l’esplicita indicazione delle norme abrogate.
Spetta ora,
invece, all’interprete indicare quali norme debbano intendersi abrogate e se
l’abrogazione deve intendersi parziale o totale.
La
dichiarazione di pubblica utilità è ora attribuita all’approvazione degli
strumenti attuativi dall’art. 12, d.p.r. l’8.6.2001, n. 327.
Viene
conferita, in questo modo, all’immobile una qualità giuridica, che è condizione
essenziale perché esso possa essere oggetto di un futuro provvedimento
espropriativo e che incide sulla determinazione dell’indennità di esproprio.
Nella
determinazione del valore di mercato di un terreno, al fine di stimare
l'indennità di espropriazione, deve tenersi conto dell'incidenza negativa dei
vincoli di destinazione, che vengono fissati dagli strumenti urbanistici
nell'ambito della cosiddetta zonizzazione del territorio comunale.
Nella specie
si tratta di un piano particolareggiato
(Cass. civ.,
sez. I, 29.11.1989, n. 5215, RGE, 1990, I, 344).
Gli effetti
di piano si esplicano per tutta la sua durata: dieci anni.
Le
disposizioni che stabiliscono gli allineamenti fra le costruzioni e definiscono
la zonizzazione hanno, invece, una durata indeterminata e devono essere
rispettate fino alla successiva modifica del piano, ai sensi dell’art. 17 della
legge urbanistica.
Decorso il
termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa
inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto
fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi
edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le
prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.
Ove il
Comune non provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della
parte di piano particolareggiato che sia rimasta inattuata per decorso di
termine, la compilazione potrà essere disposta dal prefetto a norma del secondo
comma dell'art. 14.
(art. 17, l.
urb.).
Trascorso
tale periodo la dichiarazione di pubblica utilità decade, ma non le
prescrizioni di zona.
La
giurisprudenza conferma che è, tuttavia, preclusa la possibilità di procedere
ad espropriazioni per attuare il piano:
L'effetto
decadenziale dei piani urbanistici attuativi in seguito al decorso del termine
decennale di cui all'art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150 non si verifica per tutte
le prescrizioni che regolano, come misura di salvaguardia in attesa del nuovo
piano, l'attività edilizia dei privati, pur decadendo i piani stessi come
strumenti di espropriazione, per il principio generale della temporaneità dei
vincoli espropriativi sancito dalla l. 25.6.1865, n. 2359. Le concessioni
edilizie da rilasciare, pertanto, non devono discostarsi o derogare in
qualsiasi modo dal piano particolareggiato pur dopo la scadenza del termine
decennale di efficacia
(T.A.R.
Campania, sez. Salerno, 7.8.1997, n. 488, T.A.R., 1997, I, 3756).
Le norme
urbanistiche si devono considerare tuttora vigenti poiché gli articoli
considerati, artt. 16 e 17, l. urb., rinviano ad un procedimento ablatorio
senza dettare norme in proposito.
Tale
procedimento deve intendersi espressamente disciplinato dalle disposizioni del
d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
57. Le procedure attuative del
piano particolareggiato.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
art. 20.
Le procedure
attuative, a seguito dell’approvazione del piano particolareggiato, sono
consentite attraverso lo strumento dell’esproprio.
Lo strumento
ablatorio, anche se è il mezzo più rapido, sicuramente comporta la necessità di
adeguati finanziamenti.
La l. urb.
prevede la possibilità che siano gli stessi privati ad eseguire direttamente i
lavori che consistano in costruzioni, ricostruzioni e modificazioni degli
immobili ad essi appartenenti.
Il sindaco
deve, a tale scopo, imporre ai privati proprietari, previa diffida che deve
essere trascritta, di eseguire le opere (Mengoli 2003, 318).
Dopo una
successiva diffida, in caso di inottemperanza, si può procedere ad
espropriazione, ai sensi dell’art. 20, l. urb.
Per
l'esecuzione delle sistemazioni previste dal piano particolareggiato che
consistano in costruzioni, ricostruzioni o modificazioni d'immobili
appartenenti a privati, il sindaco ingiunge ai proprietari di eseguire i lavori
entro un congruo termine.
Decorso tale
termine il sindaco diffiderà i proprietari rimasti inadempienti, assegnando un
nuovo termine. Se alla scadenza di questo i lavori non risultino ancora
eseguiti, il comune potrà procedere all'espropriazione.
Tanto
l'ingiunzione quanto l'atto di diffida di cui al primo ed al secondo comma devono
essere trascritti all'ufficio dei registri immobiliari.
(art. 20, l.
urb.).
L’abrogazione
dell’art. 20 disposta dal d.p.r. 8.6.2001, n. 327 deve intendersi nel senso che
il procedimento di esproprio deve ritenersi espressamente disciplinato dalle
disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
La
giurisprudenza ha precisato che l'art. 20, l. 17.8.1942, n. 1150, che
disciplina l'esecuzione coattiva degli obblighi nascenti dal piano
particolareggiato, può essere utilizzato anche per l'esecuzione in forma specifica
degli obblighi relativi ai piani di lottizzazione, a nulla rilevando che il
destinatario della procedura possa essere un soggetto obbligato su base
consensuale (Cons. St., sez. IV, 3.11.1998, n. 1412, RGE,
1999, I, 495 T.A.R. Molise, 5.4.1995, n. 78, T.A.R., 1995, 2470).
58. La procedura coattiva.
L’intervento sostitutivo del comune.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
art. 21.
Se la
sistemazione edilizia è condizionata da un eccessivo frazionamento della
proprietà immobiliare sono previste procedure coattive.
Le aree
pubbliche, che da sole non possano essere utilizzate per l’edificazione,
vengono assegnate ai privati proprietari di aree confinanti, naturalmente
dietro pagamento di una somma adeguata.
Il
procedimento di assegnazione può essere censurato dai proprietari confinanti.
I
proprietari frontisti di aree pubbliche, che ai sensi dell'art. 21, 1° co., l.
17.8.1942, n. 1150, possono acquisire queste ultime non altrimenti utilizzabili
a seguito dell'esecuzione di un piano particolareggiato, non possono opporre
tale loro qualità a confutazione del giudicato di annullamento dell'atto con
cui illegittimamente il comune ha rimosso in autotutela la precedente
alienazione di tali aree ad un terzo, atteso che il rapporto controverso è
precedente e preliminare a quello cui tali proprietari fanno riferimento
(Cons. St., sez. V, 20.9.2000, n. 4886).
Il prezzo
viene determinato sulla base del giovamento che deriva all’area a seguito
dell’incorporamento.
La norma ha
lo scopo di salvaguardare l’unità dei comparti edilizi consentendo, attraverso
l’utilizzazione omogenea delle zone, interventi più razionali (Mengoli 2003,
320).
I criteri
devono essere fissati dal regolamento d’attuazione, peraltro mai emanato.
Ove il
proprietario non provveda all’accettazione di tale proposta il comune ha la
facoltà di espropriare l’immobile cui le aree devono essere accorpate.
Le aree che
per effetto della esecuzione di un piano particolareggiato cessino di far parte
del suolo pubblico, e che non si prestino da sole ad utilizzazione edilizia,
accedono alla proprietà di coloro che hanno edifici o terreni confinanti con i
detti relitti, previo versamento del prezzo che sarà determinato nei modi da
stabilirsi dal regolamento di esecuzione della presente legge, in rapporto al
vantaggio derivante dall'incorporamento dell'area.
Il Comune ha
facoltà di espropriare in tutto o in parte l'immobile al quale debbono essere
incorporate le aree di cui al precedente comma, quando il proprietario di esso
si rifiuti di acquistarle o lasci inutilmente decorrere, per manifestare la
propria volontà il termine che gli sarà prefisso con ordinanza del Sindaco nei
modi che saranno stabiliti nel regolamento
(art. 21, l.
urb.).
Il comune,
anche in questo caso, deve avvalersi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n.
327.
La
giurisprudenza ha ritenuto legittimi, perché conformi all'art. 21, l.
17.10.1942, n. 1150, l'accessione e - quindi - l'acquisto da parte di un
privato d’aree che cessino di far parte, a seguito dell’approvazione di
strumenti attuativi, del suolo pubblico e che non siano di per sé utilizzabili,
una volta corrisposto il prezzo di vendita all'amministrazione, e ciò
indipendentemente dalla stipulazione di un atto formale, il cui valore non esce
dall'ambito ricognitivo (T.A.R. Lazio, sez. II, 10.10.1989, n. 1402, T.A.R.
1989, 3798).
Sotto il
profilo processuale, poiché l'art. 21, l. urb., tutela in modo diretto ed
immediato la posizione, qualificabile come diritto soggettivo, dei privati
confinanti, le relative controversie sono devolute alla competenza
giurisdizionale del giudice ordinario (Cass. civ., Sez. U., 18.12.1987, n.
9420, GC, 1988, 1558).
59. La rettifica dei confini.
L’intervento sostitutivo del comune.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
art. 22.
Un’altra
procedura ha lo scopo di favorire il raggiungimento di un accordo fra i
proprietari di aree confinanti per consentire la più idonea attuazione del
piano modificando consensualmente gli stessi confini.
Se i
proprietari non raggiungono un’intesa scatta l’intervento sostitutivo del
comune.
Il Sindaco
ha facoltà di notificare ai proprietari delle aree fabbricabili esistenti in un
determinato comprensorio, l'invito a mettersi d'accordo per una modificazione
dei confini fra le diverse proprietà, quando ciò sia necessario per
l'attuazione del piano regolatore.
Decorso
inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica per dare la prova del
raggiunto accordo, il Comune può procedere alle espropriazioni indispensabili
per attuare la nuova delimitazione delle aree
(art. 22, l.
urb.).
Il comune,
anche in questo caso, deve avvalersi delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n.
327, ferma restando la validità della norma che non deve intendersi abrogata
sotto il profilo sostanziale, ma solo per quanto attiene i possibili riflessi
sul procedimento ablatorio.
La ratio
che ispira l’art. 22 della l. urb. è volta a consentire la attuazione del piano
regolatore. Se non sussiste tale scopo il contratto, con il quale il
proprietario di un fondo edificabile acquisti dal comune porzioni limitrofe,
non vincolate a destinazione pubblicistica, al fine di poter realizzare un
fabbricato di maggiori dimensioni, in relazione al rapporto fra superficie
dell'area e volume della costruzione prescritto dagli strumenti urbanistici,
esula dall'ambito delle convenzioni di piano regolatore e configura una
compravendita stipulata dall'ente territoriale iure privatorum (Cass.
civ., Sez. U., 20.1.1987, n. 468, GCM, 1987).
Il mancato
rispetto dei termini fissati nel provvedimento comunale comporta la possibilità
per il comune di espropriare gli immobili interessati per attuare d’ufficio la
nuova delimitazione delle aree.
60. La cessione dei terreni per la
formazione di vie e piazze.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
art. 24.
I
proprietari della aree antistanti alle vie e piazze in corso di formazione sono
tenuti a cedere i terreni necessari per la realizzazione della metà di vie e
piazze, fino ad una profondità massima di 15 metri, a scomputo del contributo
di miglioria
Per la
formazione delle vie e piazze previste nel piano regolatore può essere fatto
obbligo ai proprietari delle aree latistanti di cedere, a scomputo del
contributo di miglioria da essi dovuto, il suolo corrispondente a metà della
larghezza della via o piazza da formare fino a una profondità massima di metri
15. Quando il detto suolo non gli appartenga, il proprietario dell'area
latistante sarà invece tenuto a rimborsare il Comune della relativa indennità
di espropriazione, fino alla concorrenza del contributo di miglioria
determinato in via provvisoria.
Qualora alla
liquidazione del contributo di miglioria, questo risulti inferiore al valore
delle aree cedute o dell'indennità di esproprio rimborsata, il Comune dovrà
restituire la differenza
(art. 24, l.
urb.).
Ferma
restando la validità della norma, il comune, in questo caso, deve avvalersi
delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327 per determinare l’indennità di
esproprio.
Il
contributo di miglioria è stato soppresso dall'art. 1, l. 9.10. 1971, n. 825.
La
giurisprudenza non è uniforme nell’affermare la necessità dello scomputo del
contributo per l’applicazione della norma.
Per alcune
sentenze l’istituzione del contributo è condizione indispensabile perché il
comune possa esercitare la facoltà di richiedere la cessione, senza promuovere
il procedimento espropriativo, con conseguente corresponsione dell'indennizzo
agli interessati.
La facoltà
del comune di conseguire dal privato la cessione di aree a scomputo del
contributo di miglioria per opere di urbanizzazione primaria, ai sensi e nel
vigore dell'art. 24, della l. 17.8.1942, n. 1150, postula l'istituzione di
detto contributo, e, pertanto, difettando quest'ultima, non può escludere la
responsabilità risarcitoria del comune medesimo per l'occupazione senza titolo
di quelle aree
(Cass. civ., sez. I, 19.1.1981, n.
455, GI, 1983, I, 1, 338. Cass. civ., sez. II,
18.4.1987, n. 3872, RGE, 1987, 820).
Contrariamente
altra giurisprudenza ritiene che la abrogazione del contributo non renda
necessario ricorrere al procedimento ablatorio essendo sufficiente
corrispondere il quantum adeguato al valore dei beni ceduti.
Il contratto
con cui il privato, ai sensi e sotto il vigore dell'art. 24 della l. urb., cede
al comune porzioni di suolo per la realizzazione di vie o piazze pubbliche a
scomputo del contributo di miglioria che sarebbe stato successivamente
liquidato non è nullo, per un vizio genetico o funzionale della causa, per la
impossibilità della istituzione del contributo da parte del comune in seguito
alla sua abolizione, giacché resta fermo l'obbligo dell'ente di corrispondere
il prezzo della cessione, corrispondente al valore dei beni ceduti
(Cass. civ., Sez. U., 17.6.1982, n. 3674, VN,
1982, 720).
Se la
proprietà dell’area antistante non appartiene al privato proprietario dell’immobile,
è questo stesso che è tenuto a corrispondere l’indennizzo, per la parte di sua
competenza, al proprietario dell’area, ai sensi dell’art. 24 della l. urb.
(Cass., sez. I, 19.12.1981, n. 445, FI, 1982, 1, 1394).
61. Il vincolo su aree sistemate a giardini
privati.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
art. 25.
Misure
dirette a salvaguardare le aree verdi sono dettate dall’art. 25, l. urb., che
consente di sottoporre a vincolo di inedificabilità le aree libere adibite a
giardini privati confinanti con gli edifici in misura superiore agli standard
di zona:
Le aree
libere sistemate a giardini privati adiacenti a fabbricati possono essere
sottoposte al vincolo dell'inedificabilità anche per una superficie superiore a
quella di prescrizione secondo la destinazione della zona. In tal caso, e
sempre che non si tratti di aree sottoposte ad analogo vincolo in forza di
leggi speciali, il Comune è tenuto al pagamento di un'indennità per il vincolo
imposto oltre il limite delle prescrizioni di zona
(art. 25 l.
urb.).
Ferma
restando la validità della norma, il comune, in questo caso, deve avvalersi
delle disposizioni del d.p.r. 8.6.2001, n. 327 per determinare l’indennità di
esproprio.
La domanda
diretta a conseguire l'indennità prevista dall'art. 25, l. 17.8.1942, n. 1150,
per il vincolo di inedificabilità imposto dagli strumenti urbanistici su aree
libere sistemate a giardini privati, rientra nella competenza del tribunale e
non in quella della Corte d'appello in unico grado.
L'art. 19,
l. 22.10.1971, n. 865, non è applicabile poiché la disciplina dettata da questo
articolo prevede l’emanazione di un provvedimento ablatorio in senso formale,
che intervenga almeno al momento della decisione, anche se non è necessaria la
stima, in sede amministrativa, del valore del bene venduto (Cass. civ., sez. I,
12..4.1996, n. 3473, FI, 1997, 1240).
La
destinazione a verde pubblico di giardini privati adiacenti a fabbricati può
essere disposta dal piano regolatore generale; in tal caso il comune è tenuto
al pagamento dell’indennizzo solo nel caso venga superato il limite delle
prescrizioni urbanistiche già esistenti nella zona (Cons. St., sez. IV,
7.6.1977, n. 576, RGE, 1978, 773).
62. Il comparto edificatorio.
LEGISLAZIONE:
c.c. art. 870 - l. urb.,
art. 23.
Il comparto
edilizio rappresenta l’ultima fase della programmazione esecutiva lasciata alla
discrezionalità della amministrazione.
Con tale
strumento la fase vincolistica di piano trova attuazione definitiva.
I comparti
costituiscono unità fabbricabili, con speciali modalità di costruzione e di
adattamento al preesistente tessuto connettivo urbano, diverse l'una
dall'altra, dipendendo dalla grandezza del lotto, dalla pendenza del terreno,
dalla vicinanza o meno a costruzioni preesistenti e quindi delle distanze da
mantenere.
La scelta
dell'amministrazione d'inserire, o meno, in un comparto edificatorio alcune
aree piuttosto che altre consimili, investe le determinazioni discrezionali
riservate all'amministrazione stessa in sede di assetto del territorio;
coinvolge, quindi, il merito delle scelte di piano che non necessitano di
specifica motivazione qualora, come nella specie, non si concretino in varianti
specifiche, ad oggetto limitato, o non siano dirette ad intaccare un concreto
affidamento ingenerato dalla pregressa azione dell'amministrazione
(T.A.R.
Puglia Bari, sez. I, 28.2.1998, n. 142).
Per poter
giungere alla determinazione del comparto è necessaria la preventiva, o almeno
contestuale, adozione del piano particolareggiato.
La validità
decennale del piano particolareggiato è, pertanto, un termine di riferimento
per l’attuazione del comparto.
Il comparto
è, per definizione - data dall'art. 23 della l. urb. - una unità fabbricabile
che comprende aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo le
prescrizioni del piano particolareggiato.
Indipendentemente
dalla facoltà prevista dall'articolo precedente il comune può procedere, in
sede di approvazione del piano regolatore particolareggiato o successivamente
nei modi che saranno stabiliti nel regolamento, ma sempre entro il termine di
durata del piano stesso, alla formazione di comparti costituenti unità
fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da trasformare
secondo speciali prescrizioni.
Formato il
comparto, il sindaco deve invitare i proprietari a dichiarare entro un termine
fissato nell'atto di notifica, se intendano procedere da soli, se proprietari
dell'intero comparto, o riuniti in consorzio alla edificazione dell'area e alle
trasformazioni degli immobili in esso compresi secondo le dette prescrizioni.
A costituire
il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base
all'imponibile catastale, i tre quarti del valore dell'intero comparto. I
consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto
mediante la espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non
aderenti.
Quando sia
decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica il comune
procederà all'espropriazione del comparto.
Per
l'assegnazione di esso, con l'obbligo di provvedere ai lavori di edificazione o
di trasformazione a norma del piano particolareggiato, il comune indirà una
gara fra i proprietari espropriati sulla base di un prezzo corrispondente alla
identità di espropriazione aumentata da una somma corrispondente all'aumento di
valore derivante dall'approvazione del piano regolatore.
In caso di
diserzione della gara, il comune potrà procedere all'assegnazione mediante gara
aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita
a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara
fra i proprietari espropriati
(art. 23, l.
urb.).
I comparto
costituisce, a tal punto, l’unità minima fabbricabile per la quale è possibile
rilasciare il permesso di costruire.
Dopo la
divisione del territorio in “isolati” mediante la formazione del reticolo
stradale, si procederà alla divisione degli isolati in lotti fabbricabili, sui
quali tuttavia la superficie coperta non potrà estendersi oltre il limite
dettato dalle prescrizioni di zona; indi si procederà alla formazione dei veri
e propri “comparti edificatori” costituenti unità fabbricabili.
Il concetto
di comparto, quindi, è diverso da quello di “isolato” e di “lotto”, in quanto
costituisce unità fabbricabile autonoma e topograficamente precisata ed
individuata, che può riunire aree ed edifici appartenenti a diverse persone,
che per tale effetto devono associarsi e per il quale vengono ulteriormente
determinati i vari caratteri delle costruzioni
(Mengoli
2003, 321).
L’individuazione
di queste unità fabbricabili ripropone le scelte compiute in sede di piano
particolareggiato, salvo che vengano specificate ulteriori modalità esecutive.
Con riguardo
ai comparti edificatori, di cui all’art. 870 del c.c., all’art. 23 della l.
17.8.1942, n. 1150 e all’art. 13 della l. 28 1.1977, n. 10, i Comuni sono
muniti di poteri autoritativi, a difesa di esigenze generali, pure per quanto
attiene al riscontro dei presupposti per la costituzione dei comparti medesimi,
alla determinazione della loro dimensione, alle modalità di formazione, alla
scelta delle opere da eseguire, alla ripartizione di oneri ed utili (Cass.
civ., Sez. U., 22.2.1990, n. 1316).
I comparti
costituiscono unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di
adattamento al preesistente tessuto connettivo urbano che sono diverse l'una
dall'altra in quanto variano a seconda della grandezza del lotto, della
pendenza del terreno, della vicinanza o meno a costruzioni preesistenti e
quindi delle distanze da mantenere, ex art. 870 c.c. e art. 23 della l. urb. (Cass. civ., sez. I, 12.7.1993, n. 7678, GCM, 1993, 1158. Cons. St.,
sez. IV, 17.7.1996, n. 860, FA, 1996, 2234).
La
giurisprudenza riconosce ai soggetti facenti parte del comparto la possibilità
di ridistribuire la cubatura realizzabile sull’intero lotto a tutti i
proprietari, in relazione all’area posseduta.
Lo strumento
del comparto edificatorio si presta ad una ridistribuzione forzosa dei volumi
edificabili, essendo proprie del medesimo anche le finalità tipicamente
ascrivibili alla c.d. urbanistica perequativa, la quale intende riconoscere a
tutti i terreni chiamati ad usi urbani un diritto edificatorio la cui entità
sia indifferente alla destinazione d'uso, ma dipenda invece dallo stato di
fatto e di diritto in cui essi si trovano al momento della formazione del
p.r.g.
(T.A.R.
Campania Salerno, sez. I, 5.7.2002, n. 670, FATAR, 2002, 2653).
63. La diffida ai proprietari ad
eseguire gli interventi.
LEGISLAZIONE:
l. urb.,
art. 23, 4°, 5°e 6°
co.
Il comparto
dà la possibilità di esperire una procedura diversa da quella ablatoria per
attuare le scelte di piano.
Esso si
presenta, quindi, innovativo rispetto al piano particolareggiato.
Il sindaco
deve procedere a notificare ai privati, proprietari degli immobili compresi nel
comparto edilizio, una richiesta di adesione alla realizzazione delle
edificazioni e delle trasformazioni previste dallo strumento urbanistico.
Il sindaco
può essere diffidato ad iniziare la procedura attuativa; il silenzio diniego
relativo è impugnabile, infatti, presso la giustizia amministrativa.
I
proprietari possono accettare - da soli od uniti in consorzio - di attuare il
piano.
I
proprietari dei tre quarti del valore dell’intero comparto, valutato sulla base
dell’imponibile catastale, possono conseguire la disponibilità dell’intero
comparto tramite l’espropriazione delle aree e delle costruzioni dei
proprietari che non vi aderiscono e, successivamente, possono costituire un
consorzio di proprietari intenzionato ad eseguire le opere.
La
formazione del consorzio comporta che la posizione giuridica dei proprietari
consorziati si configura come diritto soggettivo, che li esclude dalla
possibilità di essere soggetti passivi di un successivo procedimento ablatorio.
Chi non ha
aderito nel termine all’invito vede degradare il diritto di proprietà ad
interesse legittimo, poiché il suo bene diviene suscettibile d’espropriazione a
favore degli altri proprietari aderenti o a favore dell’assegnatario
dell’intero comparto.
Egli è
titolare di un interesse al regolare svolgimento della procedura
d’espropriazione tutelabile davanti al giudice amministrativo.
(Mengoli
2003, 323)
La
legislazione regionale della Sardegna consente ad alcuni proprietari di imporre
le loro scelte progettuali agli altri proprietari che si rifiutano di aderire
alla proposta di piano.
L'art. 3, 3°
co., l. r. Sardegna 1.7.1991, n. 20 - nel consentire ai proprietari
immobiliari, i quali dimostrino l'impossibilità di elaborare un piano attuativo
per mancanza di assenso di altri proprietari, di predisporre il piano stesso
esteso all'intera area, previa autorizzazione del comune - non è dettato
nell'esclusivo interesse dei proprietari: infatti, solo l'esistenza di un
vincolo di utilizzazione coordinata di un determinato comparto edificatorio può
consentire a taluni proprietari d'imporre le loro scelte, rispetto ad altri con
il quale non abbiano raggiunto un accordo, ad evitare che porzioni di
territorio comunale restino inedificate in contrasto con le previsioni del
piano, e che i soggetti più forti economicamente siano posti in grado di
attuare manovre speculative, in danno dei proprietari che hanno più necessità
di realizzare il valore delle loro aree
(T.A.R.
Sardegna, 10.6.1999, n. 766, FA, 2000, 231).
Nell’ipotesi
di mancata formazione del consorzio, sia qualora i proprietari abbiano
espressamente dichiarato di non volere procedere sia nel caso in cui abbiano
lasciato trascorrere il termine fissato senza averlo costituito, ovvero nel
caso di mancata esecuzione dei lavori da parte dello stesso, il comune procede
all’espropriazione dell’intero comparto.
Il comune
può iniziare il procedimento ablatorio anche qualora, successivamente
all’adesione, i proprietari omettano di formare il consorzio entro il termine
concordato con il comune oppure non provvedano alla stipulazione relativa alla
costituzione del comparto ovvero non inizino i lavori nei termini fissati per
l’attuazione dello stesso.
Quando sia
decorso inutilmente il termine stabilito nell'atto di notifica il Comune
procederà all'espropriazione del comparto.
Per
l'assegnazione di esso, con l'obbligo di provvedere ai lavori di edificazione o
di trasformazione a norma del piano particolareggiato, il Comune indirà una
gara fra i proprietari espropriati in conformità a un prezzo corrispondente
alla indennità di espropriazione aumentata da una somma corrispondente
all'aumento di valore derivante dall'approvazione del piano regolatore.
In caso di
diserzione della gara, il Comune potrà procedere all'assegnazione mediante gara
aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita
a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara
fra i proprietari espropriati.
(art. 23,
4°, 5°e 6° co., l. urb.).
Il comune,
dopo avere effettuato l’esproprio del comparto, avvalendosi delle disposizioni
del d.p.r. 8.6.2001, n. 327, per determinare la relativa indennità, deve
bandire la gara per la sua assegnazione che deve essere riservata ai soli
proprietari.
Il prezzo
base deve essere corrispondente alla indennità di espropriazione aumentata di
una somma che tenga conto dell’incremento di valore derivante dall’approvazione
del piano.
Nel caso di
gara deserta, essa deve essere ripetuta, ammettendo tutti coloro che sono
interessati.
64. Il recupero del patrimonio edilizio
ed urbanistico esistente. La programmazione degli interventi.
LEGISLAZIONE:
l. 5.8.1978,
n. 457, art. 27.
Il piano di
recupero è strumento urbanistico attuativo delle scelte operate dal piano
regolatore generale; la relativa disciplina è contenuta nella l. 457/1978.
Il piano
costituisce un vincolo per l’attuazione degli interventi nella zona ivi
compresa.
In ogni caso
la individuazione delle aree di recupero comporta un limite all’intervento del
privato. L’intervento deve, infatti, essere finalizzato al mantenimento del
patrimonio esistente mediante lavori conservativi.
Esso dispone
un vincolo conformativo delle proprietà in esso rappresentate come le
disposizioni che rinviano l’esecuzione degli interventi alla pianificazione
esecutiva.
Per potere
avere l’effetto di vincolo degli interventi lo strumento urbanistico generale
deve individuare le aree oggetto di interventi di recupero, ex art. 27, l.
5.8.1978, n. 457.
Successivamente
a detta scelta l'amministrazione comunale o i privati devono predisporre i
relativi piani di recupero.
Ai fini del
recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, l'art. 27, l.
5.8.1978, n. 457, impone al consiglio comunale di individuare le zone su cui
intervenire.
Si
sottolinea la posizione ed il ruolo cardine che la legge assegna nel sistema
all’individuazione imperativa, preventiva e generale delle zone in condizioni
di degrado
(Migliarese
1996, 164).
Ai fini del
recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, l'art. 27, l.
5.8.1978, n. 457, consente al consiglio comunale di individuare, in sede di
formazione dello strumento urbanistico generale - ovvero al di fuori di esso
per i comuni che ne sono già dotati - dapprima una zona di recupero e poi, come
operazione logicamente, se non temporalmente, successiva, nell'ambito di
questa, immobili od aree da assoggettare a tale tipo di intervento.
Non vi è
ragione di dubitare che sia piena facoltà del comune individuare, anche
successivamente al piano, le aree di recupero.
L'interpretazione
più restrittiva vuole che la delibera sia adottata secondo le modalità di
approvazione di variante al piano regolatore.
Questa
doppia possibilità non impedisce al comune di individuare, nel proprio
territorio, mere zone di recupero o, viceversa, zone interamente assoggettate a
piani di recupero, ferma restando, in ogni caso, la diversità di disciplina.
Per il
riassetto attraverso lo specifico strumento di pianificazione degli interventi
non è consentito alcun assentimento di operazione edilizia al di fuori del
piano, mentre la preclusione dell'art. 27 non ha ragion d'essere per gli
immobili assoggettati al piano stesso
(T.A.R.
Puglia, sez. I, Lecce, 20.8.1991, n. 498, FA, 1992, 1482).
65. I limiti alle disposizioni di piano.
LEGISLAZIONE:
l. 5.8.1978,
n. 457, art. 28.
Nella scala
delle fonti il piano di recupero è subordinato alle disposizioni di legge che
impongono limiti inderogabili come quelli fissati in tema di distanze dal d.m.
2.4.1968, n. 1444 o anche dal piano regolatore.
Va
disapplicata la norma del piano di recupero che prevede la possibilità di
edificare ad una distanza inferiore a m. 10 tra pareti finestrate, in quanto
tale distanza rappresenta quella minima inderogabile prestabilita dall'art,. 9,
del d.m. 2.4.1968, n. 1444, cioè da un decreto che, in quanto emanato in
esecuzione della norma sussidiaria dell'art. 41 quinquies, l. 17.8.1942,
n. 1150, introdotto dalla l. 6.8.1967, n. 765, ripete dal rango della stessa
legge delegante la forza di norma legislativa capace di integrare l'art. 872
c.c.
In presenza
di contrasto tra norma legislativa e norma regolamentare, deve ritenersi
disapplicabile la seconda, giacché è consentito al Giudice Amministrativo
sindacare gli atti di normazione secondaria, incidenti su diritti soggettivi di
terzi, al fine di accertarne l'idoneità ad innovare l'ordinamento e, in
concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione
controversa
(T.A.R.
Abruzzo Pescara, 27.10.2002, n. 1023, FATAR, 2002, 3309).
Le
prescrizioni contenute nei piani di recupero formati ai sensi dell'art. 28, l.
n. 457 del 1978, per la rimozione dello stato di degrado del patrimonio
edilizio comunale sono soggette all'osservanza delle disposizioni del piano
regolatore generale quali norma di grado superiore. Ne consegue che non è
ammissibile la deroga, in caso di interventi edilizi previsti in detto piano di
recupero, alle previsioni degli strumenti urbanistici generali in tema di
distanze tra costruzioni
(Cass. Civ., sez. II, 13.10.2000, n. 13639, DiG,
2000, f. 40-41, 75).
Le norme del
piano di recupero devono, inoltre, rispettare le prescrizioni di carattere
generale contenute nel piano regolatore, non potendo apportare alcuna deroga
che non sia preceduta da una variante di piano.
Il piano di
recupero del patrimonio edilizio esistente, disciplinato dagli artt. 27-30, l.
n. 457, del 1978, è strumento di pianificazione urbanistica di carattere
esecutivo che non può contenere norme o prescrizioni difformi da quelle poste
col piano regolatore, essendo vincolato al rispetto di ogni previsione
contenuta nell'atto di pianificazione generale
( T.A.R.
Campania Napoli, sez. IV, 4.6.2002, n. 3725, FATAR, 2002, 2147).
I piani di
recupero sono strumenti di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo,
aventi i medesimi effetti, ai sensi dell'art. 28, 4° co., l. 457/1978, dei
piani particolareggiati, nei confronti dei quali si trovano in rapporto di
parità; quindi i due strumenti urbanistici attuativi possono essere
alternativamente utilizzati dal comune (T.A.R. Lazio, sez. II, 23.12.1991, n.
1979, T.A.R., 1992, I,83).
I suddetti
piani possono avere per oggetto non solo un recupero edilizio - nell'ambito del
quale sono consentiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o di
restauro e ristrutturazione edilizia - bensì anche un recupero urbanistico.
Questo intervento
ha per oggetto la definizione del tessuto urbanistico di un'area o di un
complesso di aree, anche in relazione agli spazi e alle opere pubbliche
esistenti o da programmare per le esigenze della collettività; pertanto, solo
nel caso in cui il piano riguardi il recupero edilizio può essere ritenuta
legittima la limitazione dell'intervento a singoli compendi immobiliari.
Resta
l'obbligo, da parte dell'autorità comunale, di dimostrare adeguatamente
l'interesse pubblico alla realizzazione del piano in rapporto alle strutture
edilizie già esistenti
(Cons. St., sez. IV, 28.5.1988, n. 468, FA,
1988, 1349).
La
giurisprudenza consente che il piano preveda anche interventi di nuova
costruzione che completano le disposizioni dettate in tema di recupero della
zona.
La funzione
precipua del piano di recupero è la conservazione del patrimonio edilizio
esistente mediante la riqualificazione e la ridefinizione del tessuto urbano ai
fini di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico degradato per
conservare e riutilizzare il patrimonio, sicché la connotazione tipica dello
strumento in questione, che ne individua i limiti oggettivi, è pur sempre
caratterizzata dalla conservazione, ricostruzione e riutilizzazione del
patrimonio esistente, con la conseguenza che è del tutto marginale che il
recupero edilizio, consistendo in interventi sugli elementi costitutivi degli
edifici esistenti, possa comportare incrementi volumetrici ossia nuove
edificazioni
(T.A.R.
Puglia Bari, sez. II, 19.9.2002, n. 4016, FATAR , 2002, 2989).
Per le aree
e gli immobili non assoggettati al piano di recupero possono attuarsi quegli
interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti
urbanistici generali.
Per quanto
attiene più specificatamente alla necessità dell'adozione di un piano di
recupero la giurisprudenza richiede una specifica individuazione degli immobili
su cui si intende intervenire.
Ottenere il
recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico che si trovi in condizioni di
degrado e presuppongono che la condizione di degrado sia riferita, non in modo
indiscriminato e generico ad una vasta parte dell'aggregato urbano, agli
immobili e complessi edilizi ed aree singolarmente individuate
(T.A.R.
Umbria, 13.12.1989, n. 825, TAR, 1990, 725).
66. L'approvazione del piano di recupero.
LEGISLAZIONE:
l. 5.8.1978, n. 457, art. 27.
I piani di
recupero, che interessano le aree precedentemente individuate dallo strumento
urbanistico generale, sono approvati con deliberazione del consiglio comunale,
con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano.
Prima di
tale approvazione sussiste solo un progetto di piano che non può essere
impugnato in quanto non produce ancora i suoi effetti.
Il progetto
preliminare di un piano di recupero è strumento di studio e di predisposizione
di interventi, ma non individua, come invece fa il progetto esecutivo, le
singole aree e l'oggetto definitivo delle statuizioni amministrative.
Pertanto il
progetto preliminare non è direttamente impugnabile, per carenza di quegli
effetti lesivi che derivano esclusivamente dal successivo progetto esecutivo
(Cons. St., sez. IV, 22.6.2000, n. 3557, FA,
2000, 2148).
L’adozione
del piano comporta l’obbligo di imporre le misure di salvaguardia, intese a
sospendere la richiesta di provvedimenti autorizzatori in contrasto con le
disposizioni di piano.
In seguito a
domanda di concessione edilizia è legittima l'adozione di misure di
salvaguardia con l'individuazione delle aree oggetto del piano di recupero ex
art. 27, l. 5.8.1978, n. 457
(Cons. St., sez. V, 26.7.1999, n. 895, GBLT,
2000, 152).
La legge non
precisa i termini entro i quali devono essere presentate le opposizioni.
Esse possono
essere validamente prodotte, anche direttamente, alla commissione regionale di
controllo, fino a che questa non abbia apposto il visto di legittimità ovvero
non siano passati i venti giorni dalla presentazione, dopo i quali le delibere comunali
diventano esecutive.
I piani di
recupero hanno il compito di individuare le unità minime di intervento e, fino
alla loro approvazione, non è consentito il rilascio dei permessi di costruire
nell'ambito delle zone di recupero.
Il piano di
recupero deve, come è di norma per i piani attuativi, essere individualmente
notificato ai proprietari delle aree in esso comprese e sottoposte a vincolo
(Mengoli 2003, 366).
La mancata
notifica non rileva ai fini della validità del piano, ma è importante ai fini della
sua impugnabilità:
In caso di
omessa notifica individuale, ai proprietari interessati non è opponibile
l'inoppugnabilità del piano, sicché il ricorso giurisdizionale ben può essere
notificato da costoro ancorché sia decorso il termine di sessanta giorni dalla
conclusione del periodo di pubblicazione della delibera comunale che quel piano
abbia adottato
(Cons. St., sez. IV, 28.5.1988, n. 468, FA,
1988, 134).
67. Gli effetti della individuazione
delle aree di recupero comunale. La decadenza dei vincoli di piano.
LEGISLAZIONE:
l. 5.8.1978,
n. 457, art. 27, 4°, 5° co., 28.
La
individuazione delle aree di recupero costituisce un vincolo per l’attuazione
degli interventi nella zona ivi compresa.
Se le aree
non sono soggette al piano di recupero sono consentiti degli interventi
minimali – dalla manutenzione alla ristrutturazione edilizia purché riguardino
singole unità immobiliari - da realizzarsi con provvedimento autorizzatorio.
Detti
interventi minimali sono consentiti, anche qualora il piano di recupero sia
previsto, ma non sia stato attuato nei tempi stabiliti o sia decaduto per
scadenza dei termini.
In tal caso
si possono realizzare gli interventi conformi agli strumenti urbanistici senza
necessità di strumentazione esecutiva.
Per le aree
e gli immobili non assoggettati al piano di recupero e comunque non compresi in
questo si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con le
previsioni degli strumenti urbanistici generali. Ove gli strumenti urbanistici
generali subordinino il rilascio della concessione alla formazione degli
strumenti attuativi, ovvero nell'ambito delle zone destinate a servizi i cui
vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti
urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettere a), b), c) e d)
del primo comma dell'art. 31 che riguardino singole unità immobiliari o parti
di esse. Inoltre sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del
primo comma dell'art. 31 che riguardino globalmente uno o più edifici anche se
modifichino fino al 25 per cento delle destinazioni preesistenti purché il
concessionario si impegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e
spese dell'interessato, a praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta
ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il
comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione ai sensi della l.
28.1.1977, n. 10 e successive modificazioni
(art. 27, 4°, 5° co., l. 457/1978 e mod.).
Nel caso in
cui il piano regolatore individui la necessità di procedere attraverso
strumenti urbanistici attuativi ovvero qualora il piano di recupero non sia
approvato dall'amministrazione entro i tre anni dalla localizzazione si
manifestano gli effetti previsti per la carenza di approvazione di piano, ai
sensi dell'art. 28, 3° co., l. 457/1978.
I piani di
recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi
edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente art.
27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando
le unità minime di intervento.
I piani di
recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la
quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal
momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui al'art.
59, l. 10.2.1953, n. 62.
Ove la
deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta,
per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al
terzo comma del precedente art. 27, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il
termine di un anno dalla predetta scadenza, l'individuazione stessa decade ad
ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal
quarto e quinto comma del precedente art. 27, l. 457/1978
(art. 28,
1°, 2°, 3° co., l. 5.8.1978, n. 457).
L'individuazione
del piano di recupero decade ad ogni effetto e si applica l'art. 27, 4°, 5°
co., l. 457/1978, così come modificato dall'art. 14 della l. 179/199.
In tal caso
per le aree comprese nel piano di recupero, ma per le quali il temine triennale
per l'approvazione è scaduto, sono consentiti gli interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria e di restauro e di ristrutturazione edilizia che
debbono riguardare opere interne e singole unità immobiliari con il
mantenimento delle destinazioni d'uso residenziali (Gambaro 1979, 28).
Ai sensi
degli artt. 27 e ss., l. 5.8.1978, n. 457, il piano di recupero del patrimonio
edilizio esistente si perfeziona, dapprima, con la definizione (in sede di
p.r.g. o con apposita deliberazione del consiglio comunale) delle aree e dei
fabbricati d'intervento con conseguente inibizione per il triennio successivo
dell'attività edificatoria e, poi, con l'approvazione del piano stesso (che ha
la giuridica efficacia degli strumenti urbanistici attuativi), per cui già
l'atto di definizione legittima l'adozione delle misure di salvaguardia per le
aree interessate.
Pertanto,
non integra il presupposto per l'intervento sostitutivo del comune reputato
inadempiente la risposta che detta p.a. fornisce al privato nel sospendere ogni
determinazione sulla di lui istanza di concessione edilizia per un intervento
costruttivo in area ricadente tra quelle individuate per il recupero, in
pendenza del termine per l'approvazione del relativo piano, non avendo tale
risposta alcun carattere elusivo o defatigatorio
(Cons. St., sez. V, 26.7.1999, n. 895, FA,
1999, 1469)
Se il rinvio
al piano particolareggiato è previsto per interventi che riguardano globalmente
edifici costituiti da più alloggi è consentito l'intervento, purché siano
mantenute le destinazioni d'uso residenziali e sia convenzionato col comune il
prezzo di cessione (Barbieri 1983, 2329).
Sono
consentiti, pertanto, in attesa degli strumenti urbanistici attuativi, gli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di risanamento e
ristrutturazione edilizia che riguardino singole unità immobiliari.
Gli interventi
sopra citati sono legittimi anche qualora vi sia un vincolo sulla zona con
destinazione a servizi che sia scaduto per decorso del quinquennio.
Inoltre sono
consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia che riguardino uno o più
edifici anche se con tali interventi il costruttore modifichi fino al 25% delle
destinazioni preesistenti: ad esempio, in un fabbricato di quattro piani
residenziali il progetto ricavi il piano terreno a destinazione negozi od
uffici.
In tal caso
il concessionario deve impegnarsi alla stipula di una convenzione col comune
per determinare i prezzi di vendita (Centofanti 2002, 95).
68. La lottizzazione del territorio. Il
piano esecutivo di iniziativa privata.
LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28 - l. 765/1967,
art. 7.
Il piano di
lottizzazione costituisce la forma di urbanizzazione del territorio lasciata
prevalentemente all'iniziativa privata.
Il
costruttore si impegna col comune a realizzare l’intervento ed a cedere le aree
per l’urbanizzazione primaria e secondaria.
Il vincolo
di piano esecutivo si realizza attraverso l’accordo fra costruttore e comune
che sostituisce il procedimento attuativo della pianificazione generale.
Per
lottizzazione si intende l’operazione che consiste nel frazionamento di un
terreno agricolo o improduttivo in lotti edificabili, ossia in superfici minori
idonee per una edificazione sistematica
(Travi 1996,
147).
L'art. 7
della legge ponte 765/1967, modificando l'art. 28 della l. urb., vieta la
lottizzazione prima dell'approvazione degli strumenti urbanistici generali.
1. Prima
dell'approvazione del piano regolatore generale o del programma; di
fabbricazione di cui all'art. 34 della presente legge è vietato procedere alla
lottizzazione dei terreni a scopo edilizio.
2. Nei
Comuni forniti di programma di fabbricazione ed in quelli dotati di piano
regolatore generale fino a quando non sia stato approvato il piano
particolareggiato di esecuzione, la lottizzazione di terreno a scopo edilizio
può essere autorizzata dal Comune previo nulla osta del presidente della giunta
regionale.
3.
L'autorizzazione di cui al comma precedente può essere rilasciata anche dai
Comuni che hanno adottato il programma di fabbricazione o il piano regolatore
generale, se entro dodici mesi dalla presentazione alla regione la competente
autorità non ha adottato alcuna determinazione, sempre che si tratti di piani
di lottizzazione conformi al piano regolatore generale ovvero al programma di
fabbricazione adottato.
6. Il
rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è subordinato
all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione
primaria relative ai lotti stessi.
7. Sono
fatte salve soltanto ai fini del quinto comma le autorizzazioni rilasciate
sulla base di deliberazioni del Consiglio comunale, approvate nei modi e forme
di legge, aventi data anteriore al 2.12.1966.
8. Il
termine per l'esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del
proprietario è stabilito in dieci anni a decorrere dall'entrata in vigore della
presente legge, salvo che non sia stato previsto un termine diverso.
9. Le
autorizzazioni rilasciate dopo il 2.12.1966 e prima dell'entrata in vigore
della presente legge e relative a lottizzazioni per le quali non siano stati
stipulati atti di convenzione contenenti gli oneri e i vincoli precisati al
quinto comma del presente articolo, restano sospese fino alla stipula di dette
convenzioni.
(art. 28,
1°, 2°, 3°, 6°,7°, 8° , 9° co., l. urb.).
Una
ulteriore limitazione deriva dall'art. 13 della l. 10/1977 che subordina
l'attuazione delle lottizzazioni all'inserimento delle stesse nei piani
pluriennali di attuazione.
69. L’obbligatorietà del piano di
lottizzazione.
LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28 - l. 1187/1968,
art. 2 - d.p.r. 327/2001, art. 9.
Il piano di lottizzazione
è obbligatorio tutte le volte che è necessario intervenire in una zona di
notevoli estensioni e priva di opere di urbanizzazione.
Le aree, in
tal caso, sono soggette al vincolo della presentazione da parte del privato di
uno strumento attuativo per conseguire ad un provvedimento autorizzativo alla
edificazione.
La necessità
di un piano esecutivo sia di lottizzazione o particolareggiato, quale
presupposto per il rilascio di una concessione edilizia, si pone allorché si
tratti di asservire per la prima volta un'area non urbanizzata ad un
insediamento edilizio mediante la costruzione di un fabbricato che esiga la
realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione. Ove, peraltro,
l'area di sedime sia sufficientemente urbanizzata, deve ritenersi illegittimo
il diniego di concessione fondato sulla carenza del piano di lottizzazione
(Cons. St., sez. V, 31.12.1993, n. 1398, CS,
1993, I, 1634).
La
lottizzazione è necessaria qualora l'area in relazione al progettato
insediamento venga per la prima volta interessata da una attività capace di
provocare una profonda trasformazione socio economica - oltre che strutturale -
della zona stessa, per cui è necessario dotarla di una struttura viaria e di
tutte le relative infrastrutture idonee a consentire un insediamento ordinato e
razionale, tenuto conto delle costruzioni già realizzate nella zona, di quelle
in corso di presentazione e di quelle realizzabili.
La
lottizzazione è pure necessaria nel caso in cui in una zona, anche se già
urbanizzata, sia edificato un complesso di notevoli dimensioni, in grado di
mutare l'assetto territoriale e rendere così inadeguate le opere di
urbanizzazione esistenti (Cons. St., sez. V, 10.4.1986, n. 212, RGE,
1986, 565).
Contrariamente,
la realizzazione di un singolo edificio in una area edificata ed adeguatamente
urbanizzata non può essere subordinata alla preventiva adozione di un piano di
lottizzazione, ancorché ciò sia prescritto dalla normativa urbanistica di piano
(T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12.11.1990, n. 864, RGE, 1991, 158.
Cons. St., sez. V, 28.2.1987, n. 142, RGE, 1987,292).
La
giurisprudenza si è posta il problema se il vincolo di lottizzazione sia
soggetto al termine del quinquennio, ex art. 2, l. 1187/1968, sost. art.9,
d.p.r. 327/2001.
Non sussiste
termine per il vincolo di piano se il piano esecutivo può essere predisposto
dai privati ossia se la lottizzazione è ritenuta possibile in rapporto
all’estensione minima di intervento.
Qaulora
l’estensione sia considrata tale da bloccare l’iniziativa privata il limite
quinquennale di durata del vincolo è, invece, considerato operante.
La decadenza
ex l. 19.11.1968, n. 1187, dei vincoli strumentali previsti dallo strumento
urbanistico non s'applica al caso in cui quest'ultimo, pur subordinando l'attività
edificatoria alla preventiva formazione d'un piano attuativo, lo considera
fungibile con il piano di lottizzazione, consentendo così ai privati di porre
rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della p.a.
Questa
regola non è invocabile se la lottizzazione riguardi estensioni notevoli, tali
da non essere nella normale disponibilità dei privati, perché così lo strumento
urbanistico limita l'edificazione e confina di fatto l'iniziativa privata nella
formazione del piano attuativo a ipotesi marginali.
Si pone in
pratica un vero e proprio vincolo d'inedificabilità assoluta, come tale
soggetto alla l. 19.11.1968, n. 1187.
Nella specie
si tratta di lottizzazione di circa 50.000 mq.
(Cons. St., sez. V, 3.4.2000, n. 1908, RGE,
2000, I, 646).
70. Il procedimento di approvazione.
LEGISLAZIONE:
l. 17.8.1942, n. 1150, artt. 9 e 15 - d.p.r. 3/1957, art. 25 - l. 47/1985, art. 24.
L'approvazione
della lottizzazione è stata condizionata dal preventivo rilascio del nulla osta
regionale.
Successivamente
la l. 47/1985, all'art. 24, ha disposto che gli strumenti attuativi non siano
soggetti ad approvazione regionale (Mengoli 2003, 284).
La
giurisprudenza nega ai terzi il diritto di accesso agli atti di un progetto di
lottizzazione non ancora autorizzato.
Gli atti di
fonte privata aventi per oggetto la lottizzazione di un terreno a scopo di
edificazione, al pari dei piani particolareggiati, rispetto ai quali sono
alternativi, hanno natura di strumento urbanistico di attuazione del piano
regolatore generale o del programma di fabbricazione e, in quanto tali, hanno,
a loro volta, natura e funzioni pianificatorie
In virtù del
combinato disposto degli art. 13 e 24 l. 7 agosto 1990 n. 241, non è ammesso
l'accesso agli atti preparatori anche dei piani di lottizzazione convenzionata
che, al pari dei piani particolareggiati rispetto ai quali sono alternativi,
hanno natura di strumento urbanistico attuativo del piano regolatore generale o
del piano di fabbricazione e, quindi, ha a sua volta una funzione pianificatoria,
che l'esclude dagli atti amministrativi accessibili, a nulla rilevando la norma
ex art. 31, 9° co., l. 17.8.1942, n. 1150, la quale concerne soltanto l'accesso
agli atti relativi alla concessione edilizia, o quella di cui al combinato
disposto dei precedenti artt. 9 e 15, l. 17.8.1942, n. 1150, che riguarda
invece la formazione del piano regolatore
(Cons. St., sez. V, 14.10.1998, n. 1479, AUE,
2000, 180).
Coll'art.
13, l. 10/1977 la lottizzazione può essere attuata solo se le relative aree
sono inserite nel programma pluriennale di attuazione, che consente
l'esecuzione della lottizzazione nel periodo di tempo in esso considerato,
secondo le indicazioni date dalla legislazione regionale.
La
giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del t.u. ed. ha precisato che
il diniego sulla domanda di lottizzazione è sufficientemente motivato, e quindi
legittimo, in presenza di diniego di nulla osta da parte della soprintendenza
ai BB.CC.AA.
Il
provvedimento deve dare conto del pregio paesistico dell'area interessata dal
progetto e sia messo in evidenza che l'eccessivo sviluppo planovolumetrico
delle costruzioni inciderebbe negativamente sulle caratteristiche e
sull'immagine della zona
(T.A.R.
Sicilia Palermo, sez. I, 27.2.1993, n. 156, GASic., 1993, 142).
E' illegittimo,
inoltre, il diniego di concessione edilizia fondato sulla carenza di un piano
di lottizzazione, quando l'area sia urbanizzata e manchi una rigorosa
valutazione del nuovo insediamento rispetto alla situazione generale del
comprensorio (Cons. St., A. P., 6.10.1992, n. 12, GI, 1993, III, 1,
247).
Qualora la
domanda di lottizzazione non trovi un conseguente provvedimento espresso da
parte della amministrazione, il silenzio è, per definizione, illegittimo.
La
giurisprudenza non ha ritenuto applicabile la procedura relativa al silenzio
rifiuto, prevista dall'art. 31, 7° co., l. urb., per cui il richiedente la
lottizzazione deve esperire la procedura di messa in mora dell'amministrazione
prevista dall'art. 25 del d.p.r. 3/1957 (T.A.R. Piemonte, sez. I, 25.5.1990, n.
282, RGE, 1991, 161. Mengoli 2003, 287).
71. Il termine perentorio per il
procedimento di approvazione.
LEGISLAZIONE:
l. 30.4.1999, n. 136, art. 22.
Il
legislatore nazionale ha recepito anche per i procedimenti attuativi gli schemi
fissati dalla l. 241/1990, ribaltando l’impostazione precedente che riteneva
come il procedimento attuativo rientrasse nella piena discrezionalità
dell’amministrazione comunale.
La l.
30.4.1999, n. 136, all’art. 22, prevede due distinte ipotesi a seconda che il piano
attuativo sia d’iniziativa privata, ad esempio, una lottizzazione od un piano
di recupero, o d’iniziativa pubblica, ad esempio, una lottizzazione d’ufficio
od un piano di recupero ad iniziativa pubblica (Forlenza 1999, 44).
La domanda
del privato impone all’amministrazione l'obbligo di provvedere entro il termine
di novanta giorni, che si protrae, nel caso di necessità di pareri, in quanto
il suddetto termine decorre dal momento della loro acquisizione.
La
giurisprudenza distingue in ogni modo l’obbligo a provvedere dall’obbligo
dell’approvazione che rimane pur sempre nella discrezionalità
dell’amministrazione.
Il
provvedimento naturalmente deve essere sorretto da una congrua motivazione.
Nella l. r.
Lombardia 12.3.1984, n. 14, che delinea il procedimento di approvazione delle
lottizzazioni, non è previsto l'obbligo del comune di approvare il piano di
lottizzazione adottato, in quanto permane invariata la discrezionalità
dell'ente in ordine alla conclusione definitiva del procedimento di
pianificazione attuativa
(T.A.R.
Lombardia Milano, sez. II, 18.7.2002, n. 3197, FATAR, 2002, 2339).
Più
complessa appare l’ipotesi di interventi d’ufficio da parte
dell’amministrazione.
In tal caso
è, infatti, richiesto un atto dell’amministrazione che assuma l’impegno di
procedere alla redazione degli strumenti attuativi.
Nel caso di
un piano di recupero non attuato dai privati in carenza della maggioranza dei
tre quarti degli interessati prevista dall’art. 30, l. 457/1978, l’obbligo a
provvedere scatta solo qualora l’amministrazione assuma un impegno al riguardo,
ma non è attribuita al privato, che pure ne abbia interesse, la possibilità di
chiedere l’approvazione del piano all’amministrazione né di attivare interventi
sostitutivi.
L’approvazione
da parte dei consigli comunali di piani attuativi di iniziativa privata, conformi
alle norme ed agli strumenti urbanistici vigenti, deve intervenire entro il
termine di novanta giorni a decorrere dalla data di presentazione dell’istanza
corredata dagli elaborati previsti. Qualora vi sia la necessità di preventivi
pareri o nulla osta, il termine di novanta giorni decorre dalla data in cui
tali atti siano acquisiti. Nel caso di strumenti urbanistici attuativi di
iniziativa pubblica a seguito di inerzia di privati la predisposizione dei
medesimi deve avvenire entro centottanta giorni a decorrere dalla data in cui
l’amministrazione ha assunto con provvedimento l’impegno di procedere alla
redazione di detti strumenti e la conseguente adozione deve avvenire nei
successivi novanta giorni.
(art. 22, 1°
co., l. 30.4.1999, n. 136).
Nel caso di
carenza di provvedimento il privato interessato può richiedere il procedimento
sostitutivo, chiedendo la nomina di un commissario che rediga l’atto negato
dall’amministrazione.
La norma
rende, sicuramente, operativa la disposizione ed accelera i tempi per
l’approvazione degli strumenti attuativi.
L’infruttuosa
decorrenza dei termini di cui ai precedenti commi costituisce presupposto per
la richiesta di intervento sostitutivo. A tal fine è data facoltà
all’interessato di inoltrare istanza per la nomina di un commissario ad acta
al presidente della giunta regionale il quale provede nel termine di quindici
giorni. Gli oneri derivanti dall’attività del commissario ad acta sono
posti a carico del comune inadempiente
(art. 22, 5°
co., l. 30.4.1999, n. 136).
La norma non
prevede la necessità di una preventiva diffida al responsabile del procedimento
che, peraltro, è richiesta dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Il sistema
delle decadenze, che condiziona pesantemente il regime dei ricorsi
amministrativi e giurisdizionali fissando termini perentori, comporta, invece,
per il privato la necessità di esperire la particolare procedura della diffida,
anche dove la legge impone all’amministrazione termini a provvedere
(Centofanti
2002 (3), 47).
La
giurisprudenza, in particolare, richiede l’esperimento della procedura, in via
generale, per tutti i procedimenti che tendono ad acclarare il comportamento di
rifiuto a provvedere.
Perché il
comportamento tacito dell'amministrazione possa configurare il
silenzio-rifiuto, impugnabile davanti al giudice amministrativo, è necessaria,
ai sensi dell'art. 25, t.u. 10.1.1957, n. 3, la presentazione dell'istanza da
parte dell'interessato diretta all'emanazione del provvedimento amministrativo
richiesto
(Cons.
Giust. Amm. Sicilia, 25.2.1994, n. 73, CS, 1994, I, 262).
Nell’ipotesi
in esame il procedimento è alquanto articolato poiché, passati i novanta giorni
dalla richiesta, è necessaria l’adozione dello strumento da parte del consiglio
con fissazione di termine per le osservazioni od opposizioni.
Deve
intervenire, ex art. 22, 2° co., l. 30.4.1999, n. 136, la successiva delibera
di approvazione del piano con accoglimento o diniego delle osservazioni od
opposizioni presentate.
Il piano,
infine, deve essere depositato nella segreteria del comune entro trenta giorni
dalla data della delibera di approvazione, ex art. 22, 3° co., l. 30.4.1999, n.
136.
La normativa
regionale, precedentemente, ha previsto che, nel caso di piani regolatori
approvati di recente, i piani attuativi siano approvati direttamente dal
comune, anche in variante al piano regolatore.
La
legislazione regionale è intervenuta anche a dare delle scansioni temporali
obbligatorie alla pianificazione esecutiva, disponendo che, qualora intervenga
la richiesta del privato, l’amministrazione comunale è obbligata ad istruire il
procedimento di approvazione del piano esecutivo, ipotizzando poteri
sostitutivi, vedi art. 6, l. r. Lombardia n. 23/1997.
72. La convenzione comunale e gli oneri
di urbanizzazione.
LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28, 4° co.
La domanda
di lottizzazione deve contenere oltre al progetto uno schema di convenzione
urbanistica.
Il contenuto
della convenzione è stabilito dall'art. 28, 4° co., l. urb.
L'autorizzazione
comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura
del proprietario, che preveda:
1) la
cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere
di urbanizzazione primaria, precisate all'art. 4 della l. 29.9.1964, n. 847,
nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di
urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2)
l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di
urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione
secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie
per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in
proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle
lottizzazioni;
3) i termini
non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione
delle opere di cui al precedente paragrafo;
4) congrue
garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla
convenzione.
La
convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme
di legge
(art. 28, 4°
co., l. urb.).
La
convenzione deve prevedere le modalità di urbanizzazione dell'area che si
intende lottizzare (Mengoli 2003, 267).
I terreni
necessari per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria devono essere ceduti gratuitamente all’amministrazione comunale.
L'obbligo da
parte del privato di cedere all'amministrazione una determinata area per la
realizzazione di parcheggi sorge esclusivamente in dipendenza di una espressa
statuizione nella convenzione di lottizzazione, non essendo allo scopo
sufficienti, né la generica previsione dell'assoggettamento a vincolo di
destinazione contenuta nella detta convenzione, né l'asservimento alla
destinazione previsto esclusivamente da un atto unilaterale
(T.A.R.
Puglia Bari, sez. II, 29.3.2001, n. 839, GM, 2002, 1087).
Il
lottizzante deve assumersi l'onere delle opere di urbanizzazione primaria, di
una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria e di quelle necessarie
per allacciare la zona ai pubblici servizi.
Per la
costruzione delle opere a carico del lottizzante devono essere presentati i
relativi progetti, a firma di tecnici abilitati per il rilascio del permesso di
costruire.
I lavori sono eseguiti sotto la sorveglianza dei tecnici comunali.
I lavori sono eseguiti sotto la sorveglianza dei tecnici comunali.
Le aree e le
opere di urbanizzazione realizzate direttamente dal lottizzante passano
gratuitamente in proprietà al comune, su richiesta del lottizzante, quando il
comune ne ravvisi l'opportunità.
In tal caso
deve essere accertata dai tecnici comunali la regolare esecuzione delle opere
stesse.
Solo con il
passaggio in proprietà passa al comune l'obbligo che ha il lottizzante di
curare la manutenzione delle opere.
Devono
essere previsti i tempi di esecuzione delle opere e devono essere fornite
idonee garanzie finanziarie per assicurarne l'effettiva esecuzione.
La
convenzione è trascritta a garanzia dell’adempimento degli obblighi assunti.
In caso di
inadempimento degli obblighi assunti da parte del lottizzante il comune può
riservarsi, in convenzione, la possibilità di provvedere direttamente
all'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria in sostituzione del
lottizzante ed a spese del medesimo, dandogli preventiva diffida a provvedere,
utilizzando se del caso le garanzie fideiussorie.
73. L’adeguamento della lottizzazione
alla pianificazione urbanistica comunale sopravvenuta.
LEGISLAZIONE: d.lg. 80/1998, art. 35 - d.p.r.
380/2001, art. 15, 2° co.
La
lottizzazione è strumento urbanistico di iniziativa privata che attua le
disposizioni di piano.
I rapporti
tra potere pubblico di programmazione e interessi legittimi del privato
comportano un particolare esame dei rapporti intercorrenti tra comune e
lottizzante.
La posizione
di interesse legittimo del privato - che si trasforma in diritto soggettivo nel
momento del rilascio del permesso di costruire - trova, comunque, oggi tutela
diretta in quanto la lesione dell’interesse legittimo, che provochi un danno, è
sanzionata con l’azione di risarcimento dall’art. 35, d.lg. 80/1998, vedi par.
79.
La dottrina
riconosce nella stipula della convenzione urbanistica una sostanziale
differenza rispetto dallo schema privatistico contrattuale per la posizione
prevalente riconosciuta all’ente pubblico.
Rispetto
allo schema tipico del contratto le convenzioni urbanistiche evidenziano un
profilo fondamentale di diversità. Elemento discriminante tra il contratto di
diritto comune dell’amministrazione e la convenzione urbanistica è la salvezza,
in capo all’amministrazione, di un potere di incidere unilateralmente sulla
disciplina determinata dalla convenzione
(Travi 1996,
156).
La
giurisprudenza ammette concordemente la possibilità che nuovi strumenti
urbanistici dettino prescrizioni in contrasto con i piani di lottizzazione
precedentemente approvati, solo qualora si verifichino alcuni presupposti, art.
10, 7° co., l. urb.
E’
necessaria anzitutto la formale adozione dello strumento urbanistico da parte
del consiglio comunale.
Tale
provvedimento deve motivare le esigenze di pubblico interesse che hanno
comportato la variante (Assini e Mantini 1997, 359).
La semplice
previsione di adottare un nuovo strumento urbanistico, sia pure espressa dal
massimo organismo comunale, non legittima né la revoca né l’annullamento né la
decadenza del piano.
L’adozione
del piano comporta la immediata applicabilità delle misure di salvaguardia,
legittimando la sospensione di ogni determinazione sulle singole richieste di
permesso conformi alla lottizzazione, sia pure approvata, ma contrastanti colle
disposizioni di piano adottate.
Il
provvedimento di salvaguardia deve essere espresso, deve specificare la
disposizione contrastante e motivarne la consistenza.
La approvazione
dello strumento implica, infine, la decadenza della convenzione per quanto
riguarda la parte che risulti in contrasto con le nuove disposizioni.
Possono
essere completate solo quelle costruzioni che risultino già iniziate; esse
devono essere ultimate entro i tre anni dall’inizio, pena la decadenza, secondo
la disposizione di carattere generale di cui all’art. 15, 2° co., d.p.r.
380/2001.
Tali
conseguenze non sono attenuate dal fatto che il lottizzante abbia completato le
relative opere di urbanizzazione, poiché l’adempimento degli obblighi assunti
in convenzione non fa nascere alcun diritto soggettivo in ordine all’esecuzione
delle opere prima del rilascio del permesso di costruire e dell’inizio
effettivo dei lavori.
74. L’obbligo di motivazione.
LEGISLAZIONE:
l. urb., art. 28.
La
giurisprudenza ha analizzato i caratteri del potere comunale di programmare il
proprio territorio e quindi di modificare la precedente disciplina urbanistica,
sia pure dopo l’approvazione di una convenzione di lottizzazione.
Il comune
deve indicare - nella stesura del nuovo piano - gli interessi pubblici che
inducono a comprimere gli interessi privati, nonostante gli oneri a suo tempo
imposti ai lottizzatori.
L'adozione
di variante generale al p.r.g., finalizzata a reintrodurre un vincolo di
inedificabilità, e con la quale vengono disattese le aspettative dei privati,
fa insorgere nei confronti dell'amministrazione l'obbligo di fornire una
puntuale motivazione, obbligo che non può considerarsi soddisfatto con l'ipotetica
impossibilità futura di rilasciare le concessioni edilizie.
In altre
parole, la disciplina vincolistica della zona in cui ricadono i terreni e la
conseguente impossibilità di rilasciare le eventuali future concessione
edilizia costituirebbero, allo stato, elementi idonei a giustificare il
mantenimento dell'attuale destinazione urbanistica della zona in questione.
Ulteriore
ragione per giustificare la decisione di non mutare la destinazione urbanistica
viene individuata nel fatto che il piano di lottizzazione convenzionato
risulterebbe anche privo delle aree da destinare alla misura minima degli
standar urbanistici, in quanto parte di tali aree sono state espropriate dal
comune per la realizzazione del centro sportivo La Croce.
Ora, è
facile osservare che la sorte delle future ed eventuali domande di concessione
edilizia è circostanza non pertinente all'argomento sul quale l'amministrazione
era chiamata a pronunciarsi e, quindi, del tutto irrilevante rispetto alla
decisione di modificare o meno, nel senso richiesto dai ricorrenti, la
destinazione urbanistica dei terreni di loro proprietà.
E' evidente,
infatti, che ove l'amministrazione si fosse determinata a restituire ai terreni
in questione la destinazione che essi avevano prima dell'adozione delle due
varianti generali, le domande di concessione edilizia non avrebbero trovato
alcun ostacolo connesso alla destinazione urbanistica.
Posto che
nella specie e per effetto di pronunce passate in giudicato, l'amministrazione
si trovava di fronte ad una lottizzazione pienamente valida ed efficace,
l'obbligo di motivazione che alla medesima incombeva, nel momento in cui in
sede di variante generale si determinava a confermare il vincolo di
inedificabilità già introdotto con la variante del 1983 ed a disattendere le
aspettative dei privati, non può considerarsi soddisfatto con l'ipotetica
impossibilità futura di rilasciare le concessioni edilizie.
La tesi
dell'amministrazione non considera che sulla questione della lottizzazione si
era formato un giudicato, che ne aveva riconosciuto la validità, per cui
correttamente il primo giudice ha precisato che il sacrificio della posizione
dei privati postulerebbe una penetrante, articolata e congrua motivazione, che
ovviamente dovrebbe tenere conto anche della situazione esistente nel 1998.
Invece di
limitarsi ad invocare, come fa il comune, le ragioni poste a base della
variante generale del 1983, era necessario verificare se tali ragioni
permanessero anche nel momento in cui è stata adottata la variante generale del
1998 ovvero se, nel frattempo, la situazione era mutata a tal punto da
consentire una diversa destinazione della zona interessata dalla lottizzazione.
Ciò che
nella specie è mancato è proprio la necessaria comparazione tra le ragioni di
interesse pubblico sottese alla variante e gli interessi privati fondati sulla
convenzione, comparazione che, come sopra precisato, costituisce l'aspetto
fondamentale sul quale l'autorità urbanistica era tenuta a soffermarsi.
Nella specie
i lottizzatori sono titolari di un diritto alla stipula di una convenzione di
lottizzazione
(Cons. St., sez. IV, 30.9.2002, n. 4980, FACDS,
2002, 2025).
Il
provvedimento amministrativo può essere censurato solo per i suoi vizi logici e
per il contrasto con precedenti provvedimenti comunali non certo per il merito
(Cons. St., sez. IV, 17.12.1991, n. 1126, FA,
1991, 2923).
L'adozione
di un nuovo atto di pianificazione urbanistica non è vincolata al rispetto
delle aspettative, pur legittimamente sorte sulla base del precedente strumento
urbanistico, come quelle derivanti da una convenzione di lottizzazione
stipulata.
Il
provvedimento di pianificazione deve essere tuttavia congruamente motivato,
dimostrando non solo che la variante è oggettivamente giustificata, ma anche
che l'autorità emanante è stata positivamente consapevole dell'esistenza di
quelle aspettative legittime e si è data carico di compararle esplicitamente
con l'interesse pubblico contrastante, nonché di valutare se ed in quale misura
esse potessero venire fatte salve
(Cons. St., sez. IV, 13.7.1993, n. 711, FA,
1993, 1510).
La variante
di piano che modifica una precedente lottizzazione deve essere particolarmente
motivata in rapporto all’interesse che il privato lottizzante ha dimostrato
nell’attuazione dell’intervento.
Se all’approvazione
della lottizzazione non è seguito per lungo tempo alcun intervento edilizio,
l’aspettativa all’urbanizzazione del territorio è sicuramente meno pressante.
Le modifiche
al piano da parte dell’amministrazione richiedono una motivazione rapportata
all’interesse dei proprietari soggetti alle disposizioni di vincolo di piano.
L'obbligo di
specifica motivazione, in funzione limitativa del potere discrezionale di cui
dispone la p.a. in sede di pianificazione urbanistica, sussiste solo a fronte di
situazioni meritevoli di particolare tutela, tra cui l'esistenza di un piano di
lottizzazione approvato e convenzionato, ovvero di un giudicato di annullamento
di un diniego di concessione edilizia o dichiarativo dell'obbligo di
sottoscrivere una convenzione.
Nel caso di
specie il T.A.R. ha giudicato tutt'altro che decisiva la circostanza che nel
previdente programma di fabbricazione l'area in questione, successivamente
destinata a verde agricolo, fosse inserita in zona residenziale esterna, come
tale suscettibile di sfruttamento edilizio: la sezione ha affermato che ciò che
rileva è che l'area in questione, pur dopo l'approvazione di un piano di
lottizzazione risalente al 1981, era rimasta inedificata per oltre un
decennio, e tale era ancora al momento della approvazione del nuovo p.r.g., con
la conseguenza, ai fini della ampiezza della motivazione, che la posizione
della ricorrente era quella di una mera aspirante all'edificazione di un
terreno inedificato, situazione non diversa rispetto a quella generale dei
proprietari di aree virtualmente edificabili
(T.A.R.
Veneto, sez. I, 18.7.2002, n. 3491, FATAR 2002, 2384).
Nel caso di
variazione di destinazione urbanistica la pianificazione attuativa realizzata
con l’approvazione del piano di lottizzazione comporta la necessità di una
particolare motivazione; essa non è richiesta nei confronti del proprietario di
un’area che non abbia ancora trovato concreta attuazione.
L'obbligo di
motivare specificamente la variazione di destinazione urbanistica di un'area in
rapporto all'affidamento dei proprietari sussiste solo nel caso in cui la
variante riguardi un terreno determinato o incida su aspettative assistite da
speciale affidamento, quali ad esempio quelle derivanti da un piano di
lottizzazione approvato e convenzionato
Nel caso
concreto, caratterizzato dal fatto che il ricorrente aveva acquistato dal
comune di Treviso un'area la cui destinazione urbanistica, in base al p.r.g.
vigente all'epoca, era "zona residenziale di tipo C", e che con la
variante adottata il Comune ha destinato l'area in questione a verde pubblico e
ad attrezzature di interesse collettivo, il T.A.R. ha ritenuto insussistente
alcuno speciale affidamento in capo al ricorrente
(T.A.R.
Veneto, sez. I, 16.1.2002, n. 72, FATAR, 2002, 44).
75. I rapporti tra lottizzazione e
i vincoli ambientali.
LEGISLAZIONE: l. urb., art. 28, 2° co.
Secondo un
costante indirizzo giurisprudenziale il vincolo paesaggistico, come ad esempio
quello boschivo, quando si risolva in un divieto assoluto di edificazione su
una vasta area di territorio, deve essere rigorosamente motivato sotto il
profilo della connessione funzionale con le esigenze di tutela e valorizzazione
dell'immobile direttamente vincolato nonché, trattandosi di provvedimento
discrezionale, sotto il profilo della comparazione degli interessi coinvolti e
della necessaria proporzionalità della misura adottata rispetto agli interessi
sacrificati (Cons. St., sez. VI, 20.2.1998, n. 188. Cons. St., sez. VI,
17.4.1997. n. 610).
Certamente
illogico e sproporzionato è il provvedimento di vincolo nella parte in cui
travolge un piano di lottizzazione, estendendosi anche alle costruzioni non
ricadenti nell'area sottoposta a vincolo.
Il
provvedimento di vincolo deve verificare la possibilità che eventuali errori di
pianificazione attuativa contenuti nella lottizzazione possano essere sanati.
Una modifica
del piano può essere sufficiente a ricondurre la stessa lottizzazione nei
limiti del rispetto del vincolo.
È
illegittimo un provvedimento di vincolo di un'intera area per la tutela
boschiva allorché le esigenze di tutela sarebbero garantite da una prescrizione,
da inserire nel nulla osta, al fine di condizionarlo alla approvazione di una
variante tecnica al piano di lottizzazione originario che, compatibilmente con
la situazione dei luoghi e degli strumenti urbanistici, faccia salvi gli
opposti interessi in causa con un arretramento delle costruzioni nell'ambito
della area di lottizzazione non oggetto di vincolo; ciò in quanto il vincolo
paesaggistico (quale quello boschivo) quando si risolva in un divieto assoluto
di edificazione su una vasta area di territorio, deve essere rigorosamente
motivato sotto il profilo della connessione funzionale con le esigenze di
tutela e valorizzazione dell'immobile direttamente vincolato nonché,
trattandosi di provvedimento discrezionale, sotto il profilo della comparazione
degli interessi coinvolti e della necessaria proporzionalità della misura
adottata rispetto agli interessi sacrificati.
(T.A.R.
Sicilia Catania, sez. I, 22.5.2002, n. 900, FATAR, 2002, 1791).
Qualora
sussistano le autorizzazioni ambientali da parte della Soprintendenza i
provvedimenti di secondo grado, come l’annullamento del provvedimento
autorizzativo della stessa Soprintendenza, sono soggetti a puntuale motivazione
pena la loro illegittimità.
Qualora un
intervento edilizio ricada nell'ambito di un piano di lottizzazione in area
sottoposta a vincolo paesistico, e la Soprintendenza abbia espresso parere
favorevole circa la compatibilità ambientale del piano ai sensi dell'art. 28,
2° co., l. 1150 del 1942, risulta inficiato, sotto il profilo della contraddittorietà
e del difetto di motivazione, il successivo atto di annullamento
dell'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 7, l. n. 1497 del 1939.
La nullità
deriva dal fatto che il provvedimento non dà conto di sopravvenuti elementi di
rispetto alla precedente determinazione, ovvero di difformità o elementi
integrativi dei progetti relativi ai singoli interventi rispetto alle soluzioni
prospettate in sede di piano di lottizzazione
(Cons. St., sez. VI, 18.10.2000, n. 5601, RGE,
2001, I, 238).
76. Il rilascio della super d.i.a.
in presenza di pianificazione attuativa.
LEGISLAZIONE: l. 241/1990, art. 19 - t.u. ed.,
art. 22 - d.lg. 301/2002 art. 1.
Gli effetti
della pianificazione esecutiva si riflettono anche sui provvedimenti che
autorizzano la realizzazione degli interventi edilizi.
La
disciplina della denuncia di attività introdotta dall’art. 19, l. 241/1990,
prevede infatti che, in tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività sia
subordinato ad autorizzazioni, licenze, nulla osta, permessi o altri atti di
consenso il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei
presupposti o dei requisiti di legge, senza la necessità che ai fini di tali
accertamenti sia necessario esperire prove che comportino valutazioni tecnico
discrezionali, l’attività medesima possa essere iniziata dal soggetto
interessato con la presentazione di una denuncia alla autorità amministrativa
competente, salvo il controllo successivo dell’amministrazione.
Coll’art.
22, t.u. ed., mod. art. 1, d.lg. 301/2002, sono assentibili attraverso la
d.i.a. alcune figure particolari di intervento rimettendo al richiedente la
facoltà, per detti interventi, di domandare, in via alternativa alla d.i.a., il
permesso di costruire.
La
presentazione della d.i.a. consente di realizzare i seguenti interventi:
a) gli
interventi di ristrutturazione edilizia;
b) gli
interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, se
disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi
negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni
planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive.
La
disposizione comprende, quindi, fra i piani attuativi anche le convenzioni di
lottizzazione.
Il ricorso
alla disciplina statale della d.i.a. è subordinata al fatto che le regioni non
abbiano già disposto in materia.
Le regioni
possono, comunque, differenziarsi sia in senso ampliativo sia in senso
restrittivo rispetto alla disciplina statale (Forlenza 2003, 42).
La norma non
ammette soluzioni interpretative, poiché la disposizione di piano deve
espressamente prevedere nella sua formulazione la possibilità di realizzare con
d.i.a. gli interventi successivi.
In caso
contrario il progetto di costruzione deve essere accompagnato da apposita
relazione tecnica nella quale è asseverata l’esistenza di piano attuativi
c) gli
interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali.
Lo strumento
urbanistico generale può prevedere, recando precise disposizioni
planovolumetriche, interventi diretti di costruzione.
Tale ipotesi
consente di evitare la predisposizione di uno strumento attuativo di iniziativa
privata, la cui richiesta è stata, peraltro, dichiarata illegittima dalla giurisprudenza,
qualora si tratti di modesti insediamenti in zona già urbanizzata.
Ai fini del
rilascio di una concessione edilizia non è necessario uno strumento urbanistico
attuativo, ancorché previsto dal piano regolatore generale, senza che si
conduca una previa verifica della concreta urbanizzazione dell'area in cui
verrebbe ad inserirsi l'intervento costruttivo del privato, se non quando si
tratti di asservire per la prima volta un'area non ancora urbanizzata ad
insediamento edilizio.
Esso deve
esigere, per il suo armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo,
la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria, per cui il comune è tenuto ad accertare la compatibilità effettiva
del nuovo insediamento edilizio rispetto allo stato di urbanizzazione della
zona, senza che ciò implichi qualsivoglia disapplicazione del piano regolatore
stesso, tenendo conto della situazione esistente e non delle opere solo
programmate; tuttavia, vi può essere talora la necessità del piano attuativo
quando, pur trattandosi di porzioni di territorio completamente edificate ed
urbanizzate, occorra mantenere entro limiti opportuni la densità abitativa ed
assicurare gli standard inderogabili al fine di non aggravare situazioni di
congestione edilizia ed urbanistica
(T.A.R.
Lombardia, sez. II, Milano, 29.12.2001, n. 8448, FA, 2001, 3227).
Le regioni
possono differenziarsi nelle determinazione delle ipotesi che sono soggette a
d.i.a., ma nell’ambito delle ipotesi facoltative restano ferme le sanzioni
penali relative ad infrazioni commesse per avere realizzato delle costruzioni
in assenza o in difformità al permesso di costruire.
77. La giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
LEGISLAZIONE: c.c. art. 2932 - l. 28.1.1977, n. 10,
art. 16 - l. 21.7.2000, n. 205, art. 7.
L'art. 7, l.
21.7.2000, n. 205, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse
equiparate in materia urbanistica ed edilizia; esso aggiunge che la materia
urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio.
La
disposizione si riconnette all'art. 16, l. 28.1.1977, n. 10, sulla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistica,
ampliandone sia sul piano semantico che contenutistico la portata, in origine
circoscritta ai ricorsi giurisdizionali aventi ad oggetto il permesso di
costruire, gli oneri urbanistici e il relativo regime sanzionatorio.
La norma
estende la giurisdizione esclusiva amministrativa in materia urbanistica, tanto
da abbracciare, oltre alle attribuzioni normative, l'attività di gestione,
nell'accezione onnicomprensiva di governo ed uso del territorio (Corte cass.,
Sez. U., 29.1.2001, n. 29. Corte cass., Sez. U., 14.7.2000 n. 494).
Il modello
di gestione è sostanzialmente neutro ai fini della giurisdizione sia esso
strettamente pubblicistico sia esso realizzato con il concorso dell'iniziativa
privata.
Rientrano a
pieno titolo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie sul piano di lottizzazione, sulla convenzione, che è allegata al
piano, sulla disciplina inerente al piano negoziale, sulle modalità di
assolvimento degli obblighi di urbanizzazione, sulle cessioni di aree e sulle
opere di urbanizzazione.
La
convenzione è strumento negoziale che integra la gestione pubblicistica del
territorio urbano, già individuata nel piano di lottizzazione.
L'inadempimento
degli obblighi previsti nella convenzione rientra pertanto nell'ambito della
giurisdizione esclusiva.
Né in
contrario rileva il fatto che la controversia sia promossa
dall'amministrazione, anziché dal privato.
Il comune,
data la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, può agire in
giudizio per chiedere la pronuncia di sentenza, ex art. 2932 c.c., che produca
gli effetti del contratto di cessione non concluso, con la conseguente
affermazione della proprietà del Comune delle aree indicate.
La
giurisprudenza ritiene ammissibile la sentenza costitutiva, ex art. 2932 c.c.,
in quanto l'ente territoriale, rappresentante degli interessi della
collettività insediata sul territorio, agisce nella duplice veste di contraente
e di portatore degli interessi di terzi, ossia dei cittadini, aventi un
interesse qualificato all'esecuzione dell'obbligo.
L'esecuzione
degli obblighi previsti in convenzione, con riferimento alla dotazione degli
standard previsti dal d.m. 1444 del 1968, nei confronti della generalità dei
cittadini residenti nel territorio comunale, va compresa nel genus
dell'esecuzione di prestazioni di pubblici servizi.
L'eseguibilità
dell'obbligo a contrarre trova titolo non solo nel contratto preliminare a cui
non si è data attuazione, ma anche negli accordi sostitutivi o integrativi dei
provvedimenti amministrativi aventi fondamento nella legge, ex artt. 2597 e
1679 c.c.
Il
riferimento agli obblighi a contrarre del monopolista o del concessionario dei
servizi pubblici di linea, dà ancor più fondamento alla richiesta di sentenza
costitutiva per ottenere l'acquisizione di aree da destinarsi a standard.
Ove
l'obbligo a contrarre trovi titolo in una convenzione di lottizzazione, rientra
nell'ambito della giurisdizione esclusiva del g.a. l'azione diretta ad ottenere
una sentenza che produca, ai sensi dell'art. 2932 c.c., gli effetti del
contratto non concluso.
Rileva a tal
fine l'art. 11, 5° co., l. n. 241 del 1990 che devolve alla giurisdizione
esclusiva del g.a. le controversie che trovano titolo negli accordi sostitutivi
o integrativi dei provvedimenti amministrativi, ivi incluse le controversie
nelle quali la p.a. è parte attrice
(T.A.R.
Lombardia Brescia, 19.12.2001, n. 1604, FA, 2001, 3232).
Il termine
per adempiere all’obbligo di cedere gratuitamente al Comune le aree standard e
quelle necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria,
in mancanza di specifica previsione, scade, ai sensi dell'art. 28, l. 1150/42,
al decimo anno dalla data di stipulazione della convenzione.
La scadenza
del termine non superiore ai dieci anni che la convenzione di lottizzazione
deve assegnare per l'ultimazione dell' esecuzione delle opere di
urbanizzazione, ai sensi dell' art. 28, l. urb., non fa venire meno la relativa
obbligazione, la quale, al contrario, diventa esigibile proprio da tale
momento, dal quale inizia a decorrere l'ordinario termine di prescrizione.
(T.A.R.
Lombardia Brescia, 3.2.2003, n. 65).
Ai sensi
dell'art. 28, l. n. 1150 del 1942, il termine decennale entro il quale si
prescrive l'obbligo del lottizzante di cedere gratuitamente al comune le aree a
standard e quelle necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione
secondaria, decorre dal decennio successivo alla stipula della convenzione
(T.A.R.
Lombardia Brescia, 28.11. 2001, n. 1126, RGE, 2002, I, 250).
In tema di
oneri di urbanizzazione la giurisprudenza ha precisato che appartiene alla
giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto il
recupero, da parte del comune, delle spese sostenute per l'esecuzione di opere
di urbanizzazione della zona sulla quale insistono immobili edificati a seguito
di convenzione di lottizzazione. (Cass., Sez. U., 28.4.1993, n. 4995, GCM,
1993, 772).
Colui che
realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi del
provvedimento rilasciato al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli
stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario ed è con
quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione (Cass. civ., sez. III, 17.6.1996, n. 5541).
L'assunzione,
a carico del proprietario del terreno, degli oneri relativi alle opere di
urbanizzazione costituisce un'obbligazione propter rem. Ciò comporta che
essa va adempiuta non solo da colui che ha stipulato la convenzione con il
Comune, ma anche da colui (se soggetto diverso) il quale richiede la
concessione edilizia.
Colui che
realizza opere di trasformazione edilizia, valendosi della concessione
rilasciata al suo dante causa, è solidalmente obbligato con quest'ultimo per il
pagamento degli oneri anzidetti
(Cass. civ., sez. II, 27.8.2002, n. 12571.
La natura
reale dell'obbligazione in esame riguarda dunque i soggetti che stipulano la
convenzione, quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano
l'edificazione ed i loro aventi causa; non anche i soggetti che utilizzano le
opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione,
senza avere con i primi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa
concessione edilizia, devono pagare al Comune concedente, per loro conto, i
relativi oneri di urbanizzazione.
La natura
reale dell'obbligazione non riguarda, invece, i soggetti che utilizzano le
opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione,
senza avere con i primi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa
concessione edilizia, devono pagare al Comune concedente, per loro conto, i
relativi oneri di urbanizzazione
(Cass. civ., sez. II, 27.8.2002, n. 12571, GCM,
2002, 1589. Cass. civ.,
sez. II, 20.12.1994 n. 10947, FI, 1995, I, 3534).
78. Il giudizio di ottemperanza
all’obbligo di provvedere.
LEGISLAZIONE: r.d. n. 1054/1924, art. 27, n. 4 -
l. urb., art. 28.
La
lottizzazione è approvata con deliberazione consiliare.
Il sindaco
ha l’obbligo di stipulare la convenzione relativa alla lottizzazione deliberata
dal consiglio.
L’obbligo
alla sottoscrizione della convenzione può essere accertato con sentenza
mediante il ricorso al giudice amministrativo.
In carenza
di adempimento alla decisione della giustizia amministrativa il richiedente può
agire per l'esecuzione del giudicato con ricorso per ottemperanza, chiedendo
che sia ordinato al Comune di provvedere alla designazione dell'ufficiale
rogante e alla convocazione dei ricorrenti per il compimento delle formalità
per la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione.
Il giudizio
di ottemperanza risponde all'esigenza di garantire che l'azione amministrativa
si conformi ad una decisione vincolante del giudice amministrativo od
ordinario.
Nel giudizio
di ottemperanza è ammesso l'esame nel merito, ex art. 27, n. 4, r.d. n.
1054/1924.
Il giudice
deve approfondire anche i motivi di opportunità che possono meglio indicare le
modalità per l'esecuzione del giudicato, poiché esso ha la funzione di
individuare l'azione più opportuna fra quelle possibili con i limiti derivanti
dai motivi di interesse pubblico che regolano l'azione amministrativa.
Il giudice
amministrativo può nominare un commissario ad acta con l'incarico di
provvedere ai suindicati adempimenti qualora a ciò non avesse provveduto
l'amministrazione intimata entro il termine stabilito.
Decorso
inutilmente il termine assegnato al Comune, il Commissario ad acta deve
sottoscrivere la stipula della convenzione di lottizzazione.
79. Il risarcimento del danno
ingiusto.
LEGISLAZIONE: d.lg. 80/1998, art. 35 - l.
205/2000, art. 7.
Il
provvedimento di variante di piano regolatore che modifica un piano di
lottizzazione precedentemente rilasciato può essere impugnato presso il giudice
amministrativo chiedendo l’annullamento del nuovo piano.
A tale
proposito la Suprema Corte, con una sentenza che ha radicalmente mutato
l’indirizzo precedente, ha sostenuto che l’atto illegittimo della pubblica
amministrazione, che sia causa di un danno ingiusto, comporta la possibilità di
agire contro l’amministrazione per ottenere il risarcimento del danno, prima
ancora che sia stato disposto l’annullamento del provvedimento da parte del
giudice amministrativo.
La
fattispecie riguarda la richiesta di danno per mancata inclusione in una
variante di piano regolatore di una lottizzazione precedentemente convenzionata
con la proprietà.
La Corte ha
respinto la richiesta di regolamento di giurisdizione fondata sulla mancanza di
una preventiva sentenza del giudice amministrativo che accertasse
l’illegittimità del provvedimento lesivo.
La sentenza
ha grande valore di principio, anche se bisogna considerare che l’introduzione
della giurisdizione esclusiva, ex art. 35, d.lg. 80/1998, comporta che sia il
giudice amministrativo a determinare il risarcimento del danno nelle materie
tassativamente indicate dell’urbanistica, edilizia e servizi pubblici.
Alla
presenza di un atto illegittimo della pubblica amministrazione, che sia stato
posto in essere con dolo o colpa e che sia stato causa di un danno ingiusto -
diretta conseguenza del provvedimento – il suo destinatario ha titolo al
risarcimento dei danni, anche se titolare non di un diritto soggettivo, ma di
un interesse giuridicamente rilevante (diverso dalla mera aspettativa), tenuto
presente che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non
assume rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal
soggetto, essendo la tutela risarcitoria assicurata esclusivamente in relazione
all’ingiustizia del danno. La relativa controversia, ove non riguardi materia
devoluta per legge alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, è
di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria la quale può pronunciarsi
sulla domanda senza ottenere l’esito del giudizio di annullamento dell’atto, di
competenza della giurisdizione amministrativa di legittimità.
(Cass. civ., Sez. U., 26.3.1999, n. 500, GD,
1999, n. 31, 37).
Il giudice
amministrativo, ex art. 35 d.lg. 80/1998, mod. art. 7, l. 205/2000, ha la
giurisdizione esclusiva sul risarcimento del danno per provvedimenti in materia
di urbanistica.
L'art. 7, 3°
co., primo periodo, l. n. 1034 del 1971, nello stabilire che il T.A.R.,
nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni
relative all'eventuale risarcimento del danno, va interpretato nel senso che
vanno decise dal giudice amministrativo le domande di risarcimento del danno
proposte dopo l'entrata in vigore della citata l. n. 205 del 2000, a nulla
rilevando in contrario il fatto che alla data del 30.6.1998 pendesse il
giudizio di annullamento della determinazione amministrativa lesiva in seguito
all'accoglimento del quale è stata proposta l'azione di condanna al
risarcimento del danno.
Fattispecie
relativa a domanda giudiziale di risarcimento del danno proposta nel 2002 in
seguito all'annullamento, in sede giurisdizionale, intervenuto nel 1999, di un
diniego di concessione edilizia opposto al ricorrente nel 1995.
(T.A.R.
Veneto, sez. II, 31.3.2003, n. 2166).
La giurisprudenza
amministrativa ha dichiarato che l’atto illegittimo deve essere ritualmente
impugnato presso il giudice amministrativo per richiedere il risarcimento del
danno ingiusto.
Chi lamenti
un danno da lesione di interessi legittimi, causata da un provvedimento
illegittimo della pubblica amministrazione, non può pretenderne il risarcimento
se non provveda, nel termine decadenziale, ad impugnare l'atto che ritiene
fonte di danno chiedendone l'annullamento
(Cons. St.,
A. Pl., 26.3.2003, n. 4, DeG, 2003, f. 15, 65 nota Proietti).
In ogni caso
il nuovo piano, che preveda una diversa programmazione urbanistica, pone il
problema della soluzione dei rapporti di natura privatistica concernenti la
convenzione siglata tra comune e privati.
E’
necessario trovare una nuova regolamentazione dei rapporti intervenuti tra
lottizzante e comune.
Come ad
esempio nell’ipotesi della cessione di aree, a titolo gratuito, per potere
ottenere la stipula della convenzione, e nell’ipotesi dell’esecuzione di opere
di urbanizzazione che non possono più ritenersi a carico del lottizzante, ma
che, per la mutata destinazione urbanistica, diventano a carico della
collettività.
In tal
senso, in carenza di accordo tra le parti, la giurisprudenza ha configurato
un’azione di arricchimento senza causa nei confronti del comune, per ottenere
il ristoro economico dei costi eseguiti per opere che restano a disposizione
del comune (T.A.R. Lombardia, sez. I, 27.5.1991, n. 308, TAR, 1991,
2294).
Nessun commento:
Posta un commento