CAPITOLO VI I vincoli nella
pianificazione attuativa a gestione pubblica.
SOMMARIO:
80. Il piano di zona. I vincoli di destinazione ad interventi di edilizia
residenziale pubblica.
81.
La scelta delle aree.
82.
L’obbligatorietà dell’intervento ablatorio nell’attuazione dei piani di zona.
83.
La durata del vincolo.
84.
Gli effetti del vincolo sulla determinazione dell’indennità di espropriazione.
85.
Il provvedimento di individuazione delle aree necessarie per la esecuzione
delle opere di edilizia scolastica.
86.
Il piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale.
80. Il piano di zona. I
vincoli di destinazione ad interventi di edilizia residenziale pubblica.
LEGISLAZIONE:
l. 167/1962, artt. 4, 5.
Il piano di zona sottopone le aree definite
come residenziali dal piano regolatore ad un vincolo avente destinazione
speciale.
Dette porzioni di territorio sono,
infatti, destinate alla realizzazione di interventi costruttivi di edilizia
residenziale pubblica.
I contenuti del piano sono fissati
dall'art. 4, l. 167/1962.
Il
piano deve contenere i seguenti elementi:
a) la
rete stradale e la delimitazione degli spazi riservati ad opere ed impianti di
interesse pubblico, nonché ad edifici pubblici o di culto;
b) la
suddivisione in lotti delle aree, con l'indicazione della tipologia edilizia e,
ove del caso, l'ubicazione e la volumetria dei singoli edifici;
c) la
profondità delle zone laterali a opere pubbliche, la cui occupazione serva ad
integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze
future
(art.
4, l. 167/1962).
Il piano, inoltre, deve contenere,
sia pure in modo sintetico, la relazione concernente gli aspetti finanziari
dell'attuazione, prevista dall'art. 5, l. 18.4.1962, n. 167:
La
relazione finanziaria deve in ogni caso contenere attendibili previsioni in
ordine alle spese previste
(Cons. St., sez. IV, 22.12.1993, n. 1135, FA,
1993).
La legge limita il contenuto del
piano di zona (Mengoli 2003, 331).
Il piano, infatti, non può
provvedere alla ristrutturazione urbanistico-edilizia e al risanamento di un
intero quartiere cittadino se non al fine specifico e circoscritto di
realizzare un programma di edilizia economica e popolare (Cons. St., sez. IV,
7.7.1988, n. 594, GC, 1989, I, 242).
Il piano di edilizia economica e
popolare non può prevedere la realizzazione di un centro civico, comprendente
la sede comunale ed altri servizi di interesse immediato e diretto per la
generalità della popolazione, né vi può trovare destinazione la sede di partiti
politici
La
realizzazione di un centro civico non può considerarsi completamento rispetto
alla realizzazione di alloggi a carattere economico e popolare, né rientra
nell'ambito della previsione delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria dei piani di zona di cui alla l. 167 del 1962
(Cons. St., sez. IV, 15.4.1987, n. 234, FA,
1987, 918).
Le
sedi provinciali dei partiti politici non possono essere comprese fra le opere
e i servizi urbani e sociali da includere in un piano di zona e pertanto è
illegittimo il provvedimento di occupazione d'urgenza emesso per la costruzione
di una sede di partito in esecuzione del piano (Cons. St., sez. IV, 29.9.1986,
n.628, GC, 1987, I, 1011).
81. La scelta
delle aree.
LEGISLAZIONE: l. 167/1962, artt. 3, 5 - l.
865/1971, art. 32 - l. 10/1977, art. 2.
La scelta delle aree di piano
regolatore da destinare al piano di zona è demandata alla amministrazione
comunale, anche se l'art. 3 della l. 167/1962 richiede che siano utilizzate
preferibilmente le aree di espansione dell'aggregato urbano (Mengoli 2003,
329).
Tale scelta non può essere
subordinata a valutazioni perequative rispetto ai proprietari delle aree di
espansione e deve essere motivata.
Il vincolo di destinazione ad
interventi di edilizia residenziale pubblica su aree aventi destinazione
residenziale comporta un evidente sacrificio per il proprietario dei terreni e
richiede una puntuale motivazione.
La
localizzazione delle aree per l'attuazione dei piani di p.e.e.p., di norma,
deve essere trovata nelle zone destinate dal piano regolatore generale ad
edilizia residenziale, con preferenza per le zone di espansione; ove si
manifesti l'esigenza di utilizzare aree con diversa destinazione devono essere
adottate varianti allo strumento urbanistico generale.
La
scelta di una differente localizzazione, costituendo un'eccezione alla regola
generale e variante al p.r.g., deve essere congruamente motivata.
Nella
specie è stata dichiarata illegittima, perché non motivata, l'inclusione nel
p.e.e.p. di un terreno a destinazione agricola, rientrante, peraltro, in un
p.t.t.p. che ne disponeva l'edificabilità condizionata alla formazione di uno
strumento unitario di intervento
(Cons. St., sez. IV, 8.11.2000, n. 5986).
L’intervento ablatorio diviene,
infatti, obbligatorio per consentire la realizzazione degli interventi previsti
dal piano.
La
scelta delle aree da collocare nel piano di zona per l'edilizia economica e
popolare riflette valutazioni di ordine tecnico-discrezionale e non richiede,
pertanto, motivazione.
Tuttavia,
in presenza dell'art. 3, 2° co. l. 18,4,1962, n. 167, che dispone che le aree
da inserire nei piani vadano individuate di norma fra quelle destinate ad
espansione, l'amministrazione è tenuta a precisare le ragioni che hanno indotto
a preferire aree già inserite in zone di completamento
(Cons. St., sez. IV, 13.1.1992, n. 49, FA,
1992, 26).
Possono essere comprese nel piano
sia le aree su cui insistono immobili da demolire o trasformare per ragioni
igienico sanitarie sia quelle necessarie per la realizzazione del piano, ai
sensi dell'art. 32 della l. 865/1971.
L'estensione delle aree da inserire
nel piano di zona non può essere inferiore al 40% e superiore al 70% di quella
necessaria a soddisfare il fabbisogno complessivo di edilizia abitativa nel
decennio, ai sensi dell'art. 2, l. 10/1977.
La giurisprudenza ha precisato
l'insindacabilità delle scelte di merito compiute nella redazione del piano e
la conseguente possibilità di sindacare in sede giurisdizionale solo la
logicità e la attendibilità delle previsioni formulate.
Il prevedibile fabbisogno deve
essere computato calcolando il complesso dei vani relativi alle abitazioni di
lusso e non di lusso che saranno costruite nel periodo di durata del piano, il
prevedibile incremento demografico e la eliminazione di case malsane.
Nel calcolare il dimensionamento
del piano la giurisprudenza amministrativa è giunta a suggerire un criterio di
valutazione del numero di alloggi in rapporto al numero delle persone che
concorrono a formare la nuova domanda, considerando per ogni vano abitabile una
cubatura potenziale di cento metri cubi.
Il superamento dei limiti di
insediamento potenziale è considerato motivo di impugnazione del piano, che
viene di norma fatto valere dai proprietari espropriandi per paralizzare il
procedimento ablatorio.
In sede di adozione del piano per
l'edilizia economica e popolare il così detto dimensionamento, vale a dire il
fabbisogno abitativo previsto per il decennio a venire, deve essere il
risultato di valutazioni razionali ed attendibili, basate su dati concreti ed
attuali e non su previsioni incerte e vaghe.
E’ necessario un serio apprezzamento delle esigenze relative al decennio, condotto, tra l'altro, con riguardo alle domande insoddisfatte di assegnazione di alloggi, al frazionamento dei nuclei familiari, alla capacità tecnico-finanziaria dell'industria edilizia privata, e non solamente all'incremento demografico, che ha particolare, ma non esclusiva, rilevanza
E’ necessario un serio apprezzamento delle esigenze relative al decennio, condotto, tra l'altro, con riguardo alle domande insoddisfatte di assegnazione di alloggi, al frazionamento dei nuclei familiari, alla capacità tecnico-finanziaria dell'industria edilizia privata, e non solamente all'incremento demografico, che ha particolare, ma non esclusiva, rilevanza
(Cons. St., sez. IV, 11.6.1992, n. 608, FA,
1992, 1338).
Non sono circostanze idonee a
giustificare l'ampliamento del p.e.e.p. la necessità di alloggi ed il pratico
esaurimento del piano per l'edilizia economica e popolare, atteso che, l'una
per la sua genericità, l'altra perché non implica alcuna valutazione della
necessità di abitazioni per il futuro, esse non possono determinare il
dimensionamento del piano di zona (Cons. St., sez. IV, 23.2.1990, n. 113, CS,
1990, I,184).
82. L’obbligatorietà
dell’intervento ablatorio nell’attuazione dei piani di zona.
LEGISLAZIONE:
l. 167/1962, art. 8.
Un piano attuativo, come è il piano
di zona, non è strumento conformativo della proprietà.
La vocazione residenziale dell’area
è già stata fissata dello strumento urbanistico generale.
Con
riguardo all'illecita occupazione appropriativa di un fondo per l'attuazione di
un piano di edilizia economica e popolare, il valore del bene, ai fini del
risarcimento dovuto al privato, deve essere determinato prescindendo
dall'influenza, positiva o negativa, dei vincoli e delle prescrizioni del
suddetto piano pur se relativi a limiti di edificabilità, e, quindi, sulla base
dell'attitudine edificatoria preesistente, atteso che il piano non ha valore
conformativo della proprietà, ma è uno strumento preordinato
all'espropriazione, ancorché poi non ritualmente attuata.
(Cass. civ., sez. I, 18.8.1997, n. 7655, GCM,
1997, 1437).
Il piano di zona diventa
conformativo solo nell’ipotesi in cui esso costituisca automaticamente variante
dello strumento urbanistico generale.
In tal caso l’adozione del piano è
contestuale alla variante dello strumento che conforma la proprietà.
Una zona destinata a servizi
pubblici, ad esempio, oggetto di una variante apportata da un piano di zona,
che modifichi contestualmente il piano regolatore trasformando l’area in
edificabile, è sostanzialmente conformata in maniera diversa, con conseguenze
sostanziali sull’indennizzo che deve rapportarsi all’ultima destinazione prima
del procedimento ablatorio.
Ai
fini della determinazione del valore di mercato del terreno espropriato, per la
liquidazione della relativa indennità, mentre deve tenersi conto dei vincoli e
dei limiti di conformazione e di densità edilizia stabiliti, indipendentemente
dall'espropriazione, dagli strumenti urbanistici in via generale, non deve
invece essere presa in considerazione l'incidenza negativa esercitata dai
vincoli specifici di destinazione preordinati all'espropriazione. Sotto un tal
riguardo il piano di zona per l'edilizia economica e popolare, pur costituendo
uno strumento urbanistico, ha certamente natura espropriativa della proprietà
del bene e non già meramente conformativa della stessa, essendo preordinato -
appunto - all'espropriazione delle aree per l'attuazione del piano medesimo.
Da
ciò consegue che il valore del bene debba, anche in tal caso, essere
determinato in base all'attitudine edificatoria preesistente al piano,
prescindendo - quindi - da qualsiasi incidenza derivante dalle prescrizioni del
piano medesimo.
(Cass. civ., sez. I, 22.4.1998, n. 4091, GCM,
1998, 855).
L'inclusione di un immobile in un
piano per l'edilizia economica e popolare, debitamente approvato a norma
dell'art. 8 della l. 18.4.1962, n. 167, implica la degradazione ad interesse
legittimo del diritto dominicale del proprietario del fondo stesso e
l’obbligatorietà del procedimento ablatorio (Mengoli 2003, 340).
La attitudine del bene ad essere
inserito nell’ambito delle aree da acquisire al patrimonio indisponibile del
comune trova idonea giustificazione, anche sotto il profilo di legittimità
costituzionale, nelle necessità abitative dei ceti meno abbienti.
Il
sacrificio degli interessi dei privati proprietari non è irragionevole tutte le
volte che i motivi di interesse generale legittimanti l'espropriazione per
pubblica utilità siano tali non solo da escludere che il provvedimento
ablatorio possa perseguire un interesse meramente privato, ma da postulare
anche che esso miri alla soddisfazione di effettive e specifiche esigenze
rilevanti per la comunità.
Un
simile controllo di ragionevolezza porta a riscontrare il rispetto dell'art. 42
cost. da parte dell'art. 35, l. 22.10.1971, n. 865, là dove prevede un
esproprio comunale generalizzato ed obbligatorio delle aree comprese nei piani
di edilizia residenziale pubblica, dato che l'obiettivo di pubblica utilità è
identificabile nel soddisfacimento della necessità primaria dell'abitazione per
le categorie meno abbienti attraverso un nuovo regime dei suoli su parte del
territorio urbano, e nell'eliminazione in radice del rischio che su alcune
aree, piuttosto che su altre, si accumuli una rendita derivante dall'intervento
di riqualificazione della zona.
(Corte cost., 23.4.1998, n. 135, CS,
1998, II, 567).
L’approvazione del piano ha valore
di dichiarazione di pubblica utilità, nonché di urgenza e indifferibilità delle
opere in esso contemplate (Cass. Civ., sez. I, 17.9.1998, n. 9284, GD,
1998, n. 46, 41).
83. La durata del
vincolo.
LEGISLAZIONE:
l. 25.6.1865, n. 2359, art. 13 - l. 27.6.1974, n. 247, art. 1. - d.p.r. 8.6.2001, n. 327, art. 13, 1° co.
Secondo i principi costituzionali
il vincolo dello strumento attuativo deve avere un tempo massimo di durata.
La procedura di espropriazione,
infatti, deve essere effettuata nei termini di validità quindicennale del
piano, prorogabile di tre anni, ex dall'art. 1, l. 27.6.1974, n. 247.
Il
nuovo termine di efficacia di quindici anni, introdotto per i piani di edilizia
popolare ed economica dall'art. 1, l. 27.6.1974, n. 247, che ha modificato
l'art. 11, l. 18.4.1962, n. 167, deve intendersi applicabile a tutti i piani di
zona, indipendentemente dalla già intervenuta scadenza del precedente termine
di efficacia decennale, al momento dell'entrata in vigore della norma che ha
introdotto il nuovo e più lungo termine.
E’
tempestivo il decreto regionale di espropriazione, avuto riguardo al predetto
termine di efficacia del p.e.e.p.
(Cons. St., sez. IV, 18.3.1997, n. 255, RGE,
1997,I, 795).
La dichiarazione di pubblica
utilità è implicita nell’approvazione del piano.
Il
limite all’emanazione della dichiarazione di pubblica utilità è la decadenza
del vincolo quindicennale del piano, ex art. 13, 1° co., d.p.r. 8.6.2001, n.
327.
Il provvedimento che comporta la
dichiarazione di pubblica utilità può stabilire il termine entro il quale il
decreto di esproprio deve essere eseguito.
Manca la distinzione fra termine
relativo alle espropriazioni e termine relativo ai lavori che caratterizzava la
dizione dell’art. 13, l. 25.6.1865, n. 2359 e che comportava la dichiarazione
di illegittimità nel caso di mancata esplicita indicazione dei termini
distintamente per le due attività. (Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd.,
28.1.1998, n. 21, in FA, 1998, 1147).
Se manca l’espressa determinazione
del termine di esecuzione del decreto di esproprio esso può essere eseguito
entro il termine di quindici anni, decorrente dalla data in cui diventa
efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera ossia
l’approvazione del piano.
Ne
deriva che l’occupazione d’urgenza deve iniziare entro i 18 anni di validità
del piano e terminare entro 5 anni dall’inizio dell’occupazione stessa e,
comunque, non oltre i citati 18 anni di efficacia del piano.
(Bellucci
1998, 542).
L'approvazione del piano comporta
l'automatica dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza
delle opere, che consente l'immediata espropriazione.
Il
piano di zona per l'edilizia economica e popolare, secondo la disciplina
dell’art. 9, l. 18.4.1962, n. 167 e della l. 22.10.1971, n. 865 è uno strumento
diretto di attuazione del programma residenziale pubblico, avente valore di
piano particolareggiato di esecuzione e di indifferibilità e urgenza di tutte
le opere, impianti ed edifici in esso contemplati, nonché uno strumento
interamente espropriativo, nel senso che tutte le aree comprese nel piano vanno
acquisite alla mano pubblica
(Cass.,
sez. I, 27.7.1989, n. 3513, GI, 1990, I, 1, 1132).
Il provvedimento ablatorio
costituisce un atto meramente esecutivo e non discrezionale; esso è, quindi, un
atto dovuto, di natura semplicemente dichiarativa, sostituibile con altri atti
- come la concessione edilizia ai singoli assegnatari dei lotti - che
manifestino la volontà della pubblica amministrazione di rendere concretamente
operante il piano, avente già di per sé contenuto ablatorio (Cass., sez. II,
9.5.1987, n. 4291, GCM, 1987, 1317).
84. Gli effetti del
vincolo sulla determinazione dell’indennità di espropriazione.
LEGISLAZIONE: l. 8.8.1992, n. 359, art. 5 bis,
1° co.
Il vincolo di destinazione posto
alle aree comprese nel piano di zona rileva anche sotto il profilo della
corresponsione dell’indennità.
La giurisprudenza ha posizioni
differenziate sugli effetti che l’inserimento delle aree nel piano di zona ha
sulla edificabilità da attribuire.
Il piano, infatti, identifica, fra
le aree di espansione dell’aggregato urbano, quelle da destinare all’edilizia
economico popolare.
Si verifica per i proprietari
confinanti una situazione sperequata.
Il proprietario del lotto sito in
area di espansione può realizzare direttamente l’intervento, mentre il
proprietario dell’area compresa nell’ambito del piano di zona è necessariamente
espropriato.
La giurisprudenza ha riconosciuto
che lo strumento urbanistico generale fa conformare il diritto di proprietà
delle aree in esso comprese, conferendo loro attitudine edificatoria, e che
detta previsione permane anche con il successivo inserimento delle aree nel
piano di zona.
Ogni
volta che gli strumenti urbanistici generali prevedono la destinazione di
un'area ad edificazione, la vocazione edificatoria dei fondi ricadenti in tale
area non può essere negata agli effetti della determinazione dell'indennità di
espropriazione, essendo lo strumento urbanistico il parametro fondamentale per
la discriminazione del carattere agricolo o edificatorio del suolo espropriato.
Deve, pertanto, considerarsi edificatorio un suolo destinato dal piano
regolatore generale a edilizia economica e popolare, a nulla rilevando che al
proprietario delle aree così destinate sia sottratta la possibilità di realizzare
in proprio la prevista idoneità edificatoria.
La
destinazione a edilizia economica e popolare non costituisce un vincolo di
inedificabilità, comportando soltanto l'operatività, per l'attuazione della
prevista destinazione, delle speciali modalità previste dalla l. 167 del 1962.
(Cass. civ., sez. I, 16.7.1998, n. 6949, GCM,
1998, 1537. Cass. civ., sez. I, 29.8.1998, n. 8648, RGE, 1998, 1331).
La giurisprudenza ha riconosciuto
capacità conformativa al piano di zona per quelle aree, non destinate ad edilizia
residenziale nei piani regolatori, che lo strumento urbanistico, invece,
destinava agli insediamenti di edilizia residenziale pubblica.
In tal caso, infatti, il piano di
zona costituisce variante al piano regolatore e, dunque, possiede la stessa valenza
di attribuire una capacità edificatoria alle aree in oggetto.
L'inclusione
di un'area nel piano di zona per l'edilizia economica e popolare implica, anche
ove l'originaria zonizzazione del piano regolatore generale ne comportasse la
qualificazione come suolo agricolo, che, in virtù della variante introdotta dal
peep (che in tale parte va considerato strumento programmatorio e
conformativo), la stessa ha acquisito carattere di edificabilità, e che la
determinazione dell'indennità di esproprio deve adottare il criterio previsto
dall'art. 5 bis , 1° co., l. 8.8.1992, n. 359
Il
piano di edilizia economica e popolare, rientrando in un disegno normativo
volto all'inquadramento in seno ad un più ampio strumento urbanistico delle
vicende relative ad aree destinate all'edilizia economica e popolare, non può
essere in contrasto con un precedente piano urbanistico generale, di cui
costituisce, pur sempre, attuazione nella versione originaria o in quella
modificata dal p.e.e.p. stesso che, del p.r.g., ha effetto di variante.
La
indicazione, contenuta nel p.e.e.p., di un terreno con riferimento alla sua
destinazione all'edilizia economica e popolare è, di per sé, elemento
giustificativo del carattere edificatorio ex lege del bene, sia pur nei
limiti consentiti dal p.e.e.p. stesso.
Ne
consegue che, nella valutazione della natura edificabile del terreno secondo
diritto, a fini espropriativi o risarcitori, in una fattispecie di
espropriazione o di accessione acquisitiva, non è sufficiente il riferimento al
p.r.g. nella sua originaria formulazione - anche se questa preveda la
collocazione in zona agricola del terreno in questione - occorrendo, per
converso, tenere presente la destinazione assunta dal terreno nel p.e.e.p. -
che, del p.r.g. o del piano di fabbricazione, costituisce una legittima
variante - onde riconoscerne la natura edificatoria e valutarne le
caratteristiche.
In
applicazione del suesposto principio di diritto, la suprema corte, confermando
la pronuncia del giudice di merito, pur correggendone la motivazione, ha
affermato che l'inserimento di un terreno nel piano per l'edilizia economica e
popolare rendeva irrilevante la precedente destinazione del medesimo,
comportando, ipso facto, la valutazione dell'area in termini di
edificabilità - pur se nei limiti del piano - ai fini di cui all'art. 5 bis della
l. n. 359 del 1992).
(Cass.
civ., sez. I, 18.4.1998, n. 3948, RGE, 1998, 871).
La giurisprudenza ha inoltre
precisato che nella valutazione della natura edificabile del terreno secondo
diritto, ai fini espropriativi, occorre tenere presente la destinazione che
quel terreno ha assunto nel p.e.e.p., che
del p.r.g. o del piano di fabbricazione costituisce variante.
La natura edificatoria e le
caratteristiche devono essere valutate sulla base degli indici edificatori
fissati dal piano di zona.
In
tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini della determinazione del
valore di mercato dell'area espropriata, deve tenersi conto dell'incidenza dei
vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti,
nell'ambito della zonizzazione del territorio, poiché essi afferiscono in via
generale al regime giuridico di tutti i beni compresi in una medesima zona, i
quali vengono assoggettati ad una preventiva conformazione e ad un particolare
statuto urbanistico, che non costituisce espressione di un'attività
discrezionale della p.a., ma attiene a tutti i suoli compresi in una
determinata zona del piano regolatore
(Cass. Civ., sez. I,
29.4.1999, n. 4320,
GCM, 1999, 978. Cass. Civ., Sez. U., 18.11.1997, n. 11433. Cass. civ.,
sez. I, 21.9.1999, n. 10183. Cass. civ.,
sez. I, 18.4.1998, n. 3948).
Le sentenze hanno affermato che, ai
fini suddetti, deve valutarsi l'indice di edificabilità stabilito dal piano,
mentre, in caso di espropriazione che ricade su una parte del suolo da
destinare alla realizzazione di infrastrutture dell'opera complessiva - ad
esempio una strada), non rileva la destinazione, per effetto del piano stesso,
della residua parte all'esecuzione di tale opera (Cass. Cass. civ., sez. I, 16.1.1992,
n. 496).
La giurisprudenza ha inoltre
stabilito che, al fine della determinazione dell'indennità d'espropriazione di
un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per
l'edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed
effettive di edificazione, al momento dell'apposizione del vincolo preordinato
all'espropriazione deve tenere conto delle previsioni del piano per l'edilizia
economica e popolare.
Al
fine della determinazione dell'indennità d'espropriazione di un fondo
edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l'edilizia
economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed effettive di
edificazione, al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'espropriazione,
ai sensi dell'art. 5 bis, l. 359 del 1992, deve tenere conto delle previsioni
di tale piano per l'edilizia in punto di densità volumetriche, quali varianti
del piano regolatore.
Tali
previsioni fissano, di norma, indici medi di fabbricabilità, correlati (o
correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a
spazi liberi, ed inoltre si riferiscano all'intera area del piano stesso o ad
una porzione differenziata per situazioni indipendenti dal progetto
espropriativo.
Tale
valutazione deve, invece, trascurare la maggiore o minore fabbricabilità che il
fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni del piano per
l'edilizia attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche
edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture.
Ne
consegue che non è conforme a diritto la sentenza con la quale il giudice, in
applicazione del metodo sintetico, attribuisce valore all'area mediante la
semplice comparazione con altri suoli, nello stesso Comune, oggetto di
compravendita nel medesimo periodo d'espropriazione di quello oggetto di stima,
senza tenere alcun conto degli specifici indici del p.e.e.p. nel quale è
compresa l'area in esame, i quali contribuiscono a determinare il valore ai
fini del calcolo dell'indennità espropriativa secondo i criteri dell'art. 5 bis
della l. 359 del 1992
(Cass.
civ., sez. I, 6.12.2002, n. 17348, GCM, 2002, 2133. Cass. civ., Sez. U.
21.3.2001, n. 125).
Non mancano isolate decisioni
contrarie che affermano come l’approvazione del piano di zona escluda
l’edificabilità dell’area e renda, quindi, applicabile il sistema
dell’indennizzo previsto dalla l. 865/1971 (Cass. civ., sez. I, 23.4.1998, n.
4194).
85. Il provvedimento di
individuazione delle aree necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia
scolastica.
LEGISLAZIONE:
l. 5.8.1975, n. 412, art. 10.
Il provvedimento di individuazione
delle aree necessarie per la esecuzione delle opere di edilizia scolastica, di
cui all'art. 10 della l. 5.8.1975, n. 412, presenta una duplice valenza.
Esso opera nello stesso tempo sia
sul piano generale sia su quello speciale.
Il provvedimento costituisce
variante al piano regolatore generale di cui integra le lacune previsionali.
Esso, inoltre, ha natura di piano
particolareggiato poiché vincola aree destinate ad interventi specifici per la
realizzazione dei quali occorre solo l'approvazione di un progetto edilizio.
L'art. 10 della l. 5.8.1975, n.
412, afferma con chiarezza che nel caso di scelta di aree non conforme alle
previsioni degli strumenti urbanistici la deliberazione costituisce, in deroga
alle norme vigenti, variante al piano regolatore generale od agli altri
strumenti urbanistici, a norma della l. 17.8.1942, n. 1150, così comprendendo
non solo lo strumento urbanistico generale, ma anche quelli attuativi.
La interpretazione riduttiva è in
contrasto con l'art. 2, l. 19.11.1968, n. 1187.
I vincoli preordinati
all'espropriazione perdono efficacia qualora entro cinque anni dalla data di
approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati gli
strumenti urbanistici attuativi.
Questi strumenti esecutivi della
pianificazione generale a loro volta non possono avere durata superiore a 10
anni, art. 16, l. 17.8.1942, n. 1150.
Le cadenze temporali previste dalla
norma hanno senso compiuto in un percorso procedimentale nel quale la
pianificazione urbanistica acquista una dimensione solo con l'approvazione dei
piani particolareggiati di esecuzione, ai quali compete di determinare gli
spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico, ex art. 13, l. 1150
del 1942.
La durata di cinque anni, fissata
dal legislatore come limite alla sopportabilità del sacrificio recato al
titolare del bene, è protratta per un ulteriore periodo di dieci anni allorché
dalla generica indicazione contenuta nello strumento urbanistico generale si
passi alla localizzazione dell'opera pubblica e quindi ad una concreta
previsione di attuazione dell'interesse pubblico sotteso alla sua
realizzazione.
La scelta delle aree necessarie per
l'esecuzione delle opere di edilizia scolastica, di cui all'art. 10, l.
5.8.1975, n. 412, anche quando avvenga in deroga alle previsioni contenute nel
piano regolatore generale, ha quale carattere essenziale quello di adempiere
alla funzione di localizzare l'opera pubblica.
Da ciò deriva l'assimilazione, ai
fini dell'applicazione dell'art. 2 della l. 19.11.1968, n. 1187, al piano
particolareggiato.
86. Il piano regolatore
delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale.
LEGISLAZIONE: d.p.r. n. 1523/1967, art. 146 -
d.p.r. n. 218/1978, art. 51.
L'art. 146 del t.u. delle leggi sul
Mezzogiorno, approvato con d.p.r. n. 1523 del 1967 ed ora gli artt. 51, e ss.
del nuovo t.u., approvato con d.p.r. n. 218 del 1978, disciplinano la
formazione dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo
industriale.
I consorzi dei comuni al fine
costituiti svolgono funzioni meramente preparatorie di promozione e di studio;
esse culminano nella predisposizione di un progetto di piano da sottoporre
all'approvazione dell'autorità competente, che ne assume la paternità ed alla
quale il piano è quindi imputato.
I piani così redatti hanno per
oggetto la disciplina del territorio in funzione dell'interesse di dotarlo di
strutture idonee per le localizzazioni industriali.
Essi, una volta approvati,
producono, a norma dell’ art. 51 del d.p.r. n. 218/1978, gli stessi effetti
giuridici del piano territoriale di coordinamento, di cui all'art. 5, l.
17.8.1942, n. 1150.
Essi determinano, nei comuni il cui
territorio sia compreso in tutto o in parte nel loro ambito, il mero obbligo di
adeguare i loro strumenti urbanistici alle proprie determinazioni, ai sensi del
successivo art. 6, l. 1150/1942.
Questi piani, lungi dall'essere
vincolati all'osservanza dei piani regolatori comunali, si pongono, rispetto a
questi ultimi, come strumenti primari generatori di un dovere assoluto di
adeguamento; è altrettanto vero che sono pur sempre i piani regolatori
comunali, anche se da essi vincolati, a costituire l'unica fonte diretta
dell'assetto urbanistico del territorio comunale, per il che, anche quando
difformi da questi ultimi, conservano - fino all'adeguamento spontaneo o
tramite interventi sostitutivi - piena operatività in ordine alla
qualificazione delle zone del territorio, nonché alla conformazione normativa
del diritto di proprietà sui suoli interessati.
I
piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, una volta
approvati, producono, a norma dell'art. 51, d.p.r. 6.3.1978, n. 218, gli stessi
effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento di cui all'art. 5, l.
17.8.1942, n. 1150, per questo determinano, nei comuni il cui territorio sia
compreso in tutto o in parte nel loro ambito, l'obbligo di adeguare ad essi i
loro strumenti urbanistici ai sensi del successivo art. 6 della l. 1150/1942
(Cass.
Civ., sez. I, 23.3.2001, n. 4200, UA, 2001, 753).
La giurisprudenza ha correttamente
sancito che il recepimento operato dal comune del piano territoriale del
consorzio comporta che lo stesso non può rifiutare il provvedimento di rilascio
del permesso di costruire conforme alle disposizioni così recepite.
La posizione di diniego del comune
deve essere considerata come illegittima (T.A.R.
Abruzzo Pescara, 23.1.2003, n. 177).
La durata del piano regolatore del
Consorzio industriale ha la durata decennale dei piani attuativi dopo di che
subentra la disciplina relativa alla mancanza di pianificazione urbanistica, ex
art. 9, d.p.r. 380/2001.
La
circostanza che i Comuni, ai sensi dell'art. 6, l. 17.8.1942, n. 1150, siano
tenuti ad adeguare i propri strumenti urbanistici al piano regolatore del
Consorzio industriale, che ha valore di Piano Territoriale di Coordinamento,
non comporta che durante l’attesa delle predette modifiche debba intendersi
sospeso il termine decennale di efficacia del piano consortile; la normativa,
infatti, nel prevedere la necessità di tale adeguamento, non ha subordinato a
quest'ultimo
l'inizio dell'efficacia dei vincoli di destinazione previsti dal piano, ma, al
contrario, ha stabilito, con l'art. 25 comma 1, l. 3.1.1978, n. 1, che la data
di approvazione del piano stesso costituisce dies a quo della predetta
efficacia, con la conseguenza che i vincoli di destinazione vengono meno
decorso il decennio, anche perché, giusta i principi, la proprietà privata non
può essere sottoposta a vincoli espropriativi se non per il tempo fissato dalla
legge
(T.A.R.
Lazio Latina, 27.11.2001, n. 962).
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