1. L. 231/2001. La responsabilità dell'ente.
L’art. 5, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in tema di responsabilità da reato
degli enti, prevede un'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente in caso
di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati
"presupposti" tassativamente indicati da parte di un soggetto che
abbia agito in nome e per conto dell'ente.
L'ente è
responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che
rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e
funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il
controllo dello stesso.
La giurisprudenza
ha precisato che la circostanza che l'amministratore delegato e alcuni membri
del management di una banca, imputati anche per associazione a delinquere, si
siano avvalsi del ruolo funzionale svolto all'interno della compagine
societaria per porre in essere appropriazioni indebite ai danni della banca
(imputata ai sensi del d.lg. 231/01), non determina l'insussistenza
dell'interesse e del vantaggio dell'ente alla commissione dei delitti di false
comunicazioni sociali, di manipolazione del mercato e di ostacolo alle funzioni
di vigilanza. Ufficio Indagini preliminari Milano, 03/11/2010;
b) da persone
sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali di cui
alla lettera a).
La norma si basa sull'assunto che
il reato "è fatto della società, di cui essa deve rispondere": la
persona fisica che, nell'ambito delle proprie competenze societarie, agisce nell'interesse
o a vantaggio dell'ente, opera, quindi, come organo e non come soggetto
distinto rispetto all'ente; né la degenerazione di tale attività in illecito
penale è di ostacolo all'immedesimazione.
L'ente, quindi, risponde per fatto proprio, senza alcuna violazione del
principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui,
art. 27 cost.
Né, in proposito, si costruisce alcuna inammissibile ipotesi di
responsabilità oggettiva, perché il sistema prevede la necessità che sussista
la cosiddetta colpa di organizzazione dell'ente, basata sul non aver
predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei a evitare la
commissione di uno dei reati presupposti: è il riscontro di tale deficit
organizzativo che, quindi, consente l'imputazione all'ente dell'illecito penale
realizzato nel suo ambito operativo. A tal proposito, grava certamente
sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza e l'accertamento dell'illecito
penale presupposto in capo alla persona fisica inserita nella compagine
organizzativa dell'ente e che questa abbia agito nell'interesse o a vantaggio
dell'ente stesso.
La cd. "colpa dell'organizzazione" risulta
provata in caso di assenza di modelli organizzativi idonei a prevenire reati
della specie di quelli accertati a carico dell'amministratore (concussione),
adeguatamente monitorati da un Organismo di Vigilanza. Tribunale Milano,
28/04/2008.
Il principio fissato dagli artt. 5 e 6 del D.Lgs.
8-6-2001 n. 231, dispone che i soggetti collettivi privati, con o senza
personalità giuridica, sono responsabili sul piano amministrativo per i reati (
quali sono quelli in materia di rifiuti ed inquinamento, come ricorda la stessa
parte ricorrente ) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone che
rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e
funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il
controllo dello stesso. Si riafferma così, per via legislativa, la teoria del
rapporto di immedesimazione organica del rappresentante nell'ente rappresentato
( Cass. pen., sez. VI, 18-2-2010, n. 27735 ).
Il rapporto fonda la sua origine in una giusta
presunzione relativa, la quale può essere scalzata solo con la prova, da parte
dello stesso ente, dell'adozione di misure organizzative e funzionali di
precauzione, di controllo e di prudenza.
Nel caso di specie
il criterio di imputazione soggettiva della violazione degli obblighi di
attivazione delle misure di precauzione in materia di rifiuti ( ma non solo ),
trascende lo schermo della personalità giuridica e della soggettività
collettiva, dietro la cui creazione ed oltre le cui vicende di vita si celi un
unico centro decisionale e di interessi, secondo criteri sostanziali e di non
apparenza di imputazione degli effetti dell'attività imprenditoriale, volendo
seguire l'antica teoria dell'imprenditore occulto, ovvero secondo le regole
della successione c.d. "economica", per le quali chi si avvantaggia di
altrui scelte precedenti deve sopportarne anche il peso ( Corte di Giustizia
delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06. Cons. stato, sez. V, 5
dicembre 2008 , n. 6055).
Per converso, è onere dell'ente di provare, per contrastare gli elementi
di accusa a suo carico, le condizioni liberatorie di segno contrario di cui
all'art. 6 d.lg. n. 231 del 2001.
Per l'effetto, non si realizza neppure alcuna violazione dei principi costituzionali
relativi al principio di eguaglianza e all'esercizio del diritto di difesa
(art. 3 e 24 cost.), perché non si determina alcuna inaccettabile inversione
dell'onere della prova nella disciplina che regola la responsabilità dell'ente:
grava comunque sull'accusa l'onere di dimostrare la commissione del reato da
parte di persona che rivesta una delle qualità di cui all'art. 5 del decreto n.
231 del 2001 e la carente regolamentazione interna dell'ente, mentre
quest'ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria.
Da queste premesse, la Corte ha ritenuto manifestamente infondata la
q.l.c. della disciplina dettata dal d.lg. n. 231 del 2001, sollevata, in
riferimento agli art. 3, 24 e 27 cost.). Cass. pen., sez. VI, 18/02/2010, n.
27735
Il d.lg. n. 231 del
2001 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai
sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità
amministrativa, prevedendo una autonoma responsabilità dell'ente in caso di
commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati
espressamente elencati nella Sezione III da parte di un soggetto che riveste
una posizione apicale, sul presupposto che il fatto reato è "fatto della
società, di cui essa deve rispondere"".
Il criterio
soggettivo di imputazione della responsabilità all'ente, del reato commesso da
un soggetto operante ai vertici, è un principio conforme alla Costituzione in
quanto si tratta di responsabilità per fatto proprio della società, imputabile
non per responsabilità oggettiva bensì per "colpa di organizzazione"
dell'ente.
L'ente risponde perché non ha adottato tutti
quegli accorgimenti organizzativi, preventivi ed idonei a scongiurare la
realizzazione del reato commesso.
Tale
tipo di responsabilità non involge dunque la problematica costituzionale
relativa al divieto di responsabilità penale per fatto altrui. Cassazione
penale, sez. VI, 18/02/2010 n. 27735.
La
giurisprudenza afferma l'assenza di
responsabilità soltanto quando si accerti l'"interesse esclusivo" di
terzi o di persone fisiche. L'assenza dell'interesse rappresenta, dunque, un
limite negativo della fattispecie. Cassazione penale, sez. V, 26/04/2012, n.
40380.
Quando i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto
di un idoneo modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento
fraudolento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole
interne del modello organizzativo regolarmente adottato, la società deve essere
dichiarata non punibile ex art. 6 d.lg. n. 231 del 2001. Tribunale Milano,
17/11/2009.
L’adozione del
codice etico che indichi ai dipendenti le condotte da tenere per evitare la
commissione dei reati rientra nel modello organizzativo da proporre.
La giurisprudenza
ha, però, precisato che l'adozione di un codice etico successivamente alla
contestazione del reato non è idonea ad escludere l'applicazione della misura
cautelare, anche in considerazione del comportamento della società che ha
omesso di avviare procedimenti disciplinari a carico dei propri agenti indagati
per i reati che sono fonte della responsabilità amministrativa. Tribunale
Milano, 27/04/2004
Il soggetto che deve eseguire un compito specifico lo svolge con
più attenzione quando sa di dover rendere conto di eventuali deviazioni da
procedure prefissate;
− separazione di compiti e/o funzioni.
Principio per il quale l’autorizzazione ad effettuare una
operazione deve essere sotto la responsabilità di persona diversa
da chi contabilizza, esegue
operativamente o controlla l’operazione;
− adeguata autorizzazione per tutte le
operazioni. Principio che può avere sia carattere generale
(riferito ad un complesso omogeneo di attività aziendali), sia
specifico (riferito a singole
operazioni);
- adeguata e tempestiva documentazione e registrazione di
operazioni, transazioni e azioni.
In ogni momento devono potersi effettuare controlli che attestino
le caratteristiche dell’operazione, le motivazioni e individuino chi ha
autorizzato, effettuato, registrato e verificato l’operazione stessa;
− verifiche indipendenti sulle operazioni
svolte (svolte sia da persone dell’organizzazione ma
estranei al processo, sia da persone esterne all’organizzazione
quali ad esempio sindaci e revisori esterni).
4.
Il
controllo interno affidato all’Organismo di Vigilanza.
Il compito di vigilare continuativamente sull’efficace
funzionamento e sull’osservanza del modello organizzativo nonché di proporne
l’aggiornamento, è affidato ad un Organismo di Vigilanza dotato di autonomia,
professionalità e indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni.
La società deve nominare l’Organismo di Vigilanza, con
provvedimento motivato rispetto a ciascun componente, scelto esclusivamente
sulla base dei requisiti di professionalità, onorabilità, competenza,
indipendenza e autonomia funzionale ed individua il Presidente al quale
eventualmente delegare specifiche funzioni.
La delibera di nomina dell’Organismo di Vigilanza determina anche
il compenso e la durata.
I suoi membri possono essere revocati solo per giusta causa. Il
membro revocato o che rinunci all’incarico viene tempestivamente sostituito e
resta in carica fino alla scadenza dell’Organismo di Vigilanza in vigore al
momento della sua nomina.
L’Organismo di Vigilanza riferisce direttamente al Consiglio di
Amministrazione ove non
diversamente previsto.
L’Organismo di Vigilanza è composto da uno o più soggetti esterni,
non appartenenti al personale o alle cariche esecutive/dirigenziali della
società, in possesso di requisiti di professionalità, onorabilità e
indipendenza e in grado di assicurare la necessaria continuità d’azione.
L’Organismo di Vigilanza dispone di autonomi poteri di iniziativa
e di controllo nell’ambito della società tali da consentire l’efficace
esercizio delle funzioni previste dal Modello, nonché da successivi
provvedimenti o procedure assunti in attuazione del medesimo.
Al fine di svolgere, con obiettività e indipendenza, la propria
funzione, l’Organismo di Vigilanza deve disporre di autonomi poteri di spesa
sulla base di un preventivo annuale, approvato dal Consiglio di
Amministrazione, su proposta dell’Organismo stesso.
L’Organismo di Vigilanza può impegnare risorse che eccedono i
propri poteri di spesa in presenza di situazioni eccezionali e urgenti, con
l’obbligo di darne informazione al Consiglio di Amministrazione nel corso della
riunione immediatamente successiva.
I componenti dell’Organismo di Vigilanza, nonché i soggetti dei
quali l’Organismo, a qualsiasi titolo, si avvale, sono tenuti all’obbligo di
riservatezza su tutte le informazioni delle quali sono venuti a conoscenza
nell’esercizio delle loro funzioni o attività.
L’Organismo di Vigilanza svolge le sue funzioni curando e
favorendo una razionale ed efficiente cooperazione con gli organi e le funzioni
di controllo esistenti nell’Azienda.
All’Organismo di Vigilanza non competono, né possono essere
attribuiti, neppure in via
sostitutiva, poteri di intervento gestionale, decisionale,
organizzativo o disciplinare, relativi allo svolgimento delle attività
dell’Ente.
5. La responsabilità penale dell’organismo di vigilanza per l'omesso impedimento degli illeciti penali.
La dottrina ha
avanzato una ricostruzione interpretativa per la quale, in capo ai membri
dell'OdV, vi sarebbe una vera e propria posizione di garanzia rispetto alla
commissione dei reati c.d. presupposto del decreto e, conseguentemente, una
responsabilità penale per l'omesso impedimento dei suddetti illeciti penali.
Da un lato
sussisterebbe per i membri dell'OdV solo una posizione di sorveglianza, ma, ciò
nondimeno, tali soggetti potrebbero essere chiamati a rispondere a titolo di
concorso nel reato, se dolosamente
siano rimasti inerti dinanzi a fatti delittuosi commessi in violazione dei
modelli organizzativi settoriali, agevolando con l'inerzia, la commissione dei
reati realizzati nell'interesse o a vantaggio dell'ente. S. Panagia, Rilievi critici sulla responsabilità
punitiva degli enti, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2008, p 165,
Un autore ha
ipotizzato la configurabilità di una posizione di garanzia con riferimento alle
lesioni colpose e all'omicidio colposo dipendente dal mancato rispetto delle
norme sulla sicurezza e sull'igiene nei luoghi di lavoro. L. Antonetto, Il regime del rapporto e
della responsabilità dei membri dell'organismo di vigilanza, in La
responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2008, p. 83. Si
veda comunque infra, par. 6.
Non
esistono, peraltro precedenti giurisprudenziali. L. Troyer e A. Ingrassia, Vi è
una posizione di garanzia in capo ai membri dell'Organismo di Vigilanza? Spunti
di riflessione, in Riv.
dottori comm., 2008, 6, 1266.
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