La definizione di "sottoprodotto"
posta dall'attuale D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis (aggiunto dal D.Lgs. 3
dicembre 2010, n. 205, art. 12, comma 1) va rilevato che l'utilizzo dei
materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo fino dai momento detta
sua produzione.
La
norma precisa che è un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo
183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le
seguenti condizioni:
a)
la sostanza o l'oggetto e' originato da un processo di produzione, di cui
costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di
tale sostanza od oggetto;
b)
e' certo che la sostanza o l'oggetto sara' utilizzato, nel corso dello stesso o
di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del
produttore o di terzi;
c)
la sostanza o l'oggetto puo' essere utilizzato direttamente senza alcun
ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d)
l'ulteriore utilizzo e' legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per
l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la
protezione della salute e dell'ambiente e non portera' a impatti complessivi
negativi sull'ambiente o la salute umana.mentre nella specie in esame non è
dimostrata una preventiva organizzazione alla riutilizzazione, configurandosi
piuttosto un utilizzo meramente eventuale e non integrale degli eterogenei
materiali rinvenuti nel cantiere conseguente ad un'attività di produttore non industriale
rivolta sostanzialmente a disfarsi degli stessi.
I
requisiti per definire il sottoprodotto devono essere tassativamente posseduti
affinché lì’attività di gestione di detti sottoprodotti non integri il reato previsto dall'art. 256,
comma primo, lett. a), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Per
qualificare un materiale come sottoprodotto, occorre tener conto se sia stato
sottoposto a trattamenti che rientrano nella "normale pratica
industriale" .
Nella
specie, la corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva escluso che
fossero sottoprodotti i fanghi provenienti dall'impianto di depurazione delle
acque e dall'impianto di aspirazione polveri della smaltitura di piastrelle
riutilizzati nel processo produttivo della stessa azienda, mediante aggiunta
all'impasto di terre vergini, per la produzione di piastrelle di terza scelta.
La
decisione ha definito i fanghi come rifiuti, ritenendo, da un lato, che la
disidratazione degli stessi costituisca attività di trasformazione
incompatibile con la inclusione nella categoria di sottoprodotto e dall'altro,
che il composto non possedesse i requisiti di cui ai punti 3 e 4 del citato
art. 183, lett. p) (nel testo non più vigente).
Gli
esiti della consulenza tecnica hanno posto, invece, in evidenza la
compatibilità del composto con i limiti di piombo autorizzati nel processo
produttivo, mentre la sentenza impugnata ha enfatizzato proprio il superamento
dei limiti di tale sostanza.
E'
pertanto necessario che vengano riesaminati tali aspetti, dovendosi stabilire
se il trattamento dei fanghi costituisca una trasformazione diversa dalla
normale pratica industriale e dovendosi valutare l'impatto ambientale del
procedimento di produzione delle piastrelle di terza scelta tramite l'utilizzo
dei fanghi suddetti (requisiti di cui ai punti 3 e 4, del previgente art. 183,
lett. p) previgenti). Tale valutazione deve anche tenere conto delle condizioni
ora indicate nell'art. 184 bis attualmente vigente, laddove il legislatore
italiano ha recepito la nozione comunitaria di cui all'art. 5 della direttiva
quadro sui rifiuti 2008/98/CE .
La
normativa mostra un'evidente favore del legislatore comunitario per la
soluzione di recupero dei rifiuti, come si desume dalla previsione contenuta
nell'art. 4 della direttiva recante la gerarchia dei rifiuti, che vede al primo
posto la prevenzione e preparazione per il riutilizzo.
Fermo
restando il principio della interpretazione estensiva della nozione di rifiuto,
la direttiva quadro ha tracciato il confine tra ciò che deve considerarsi
rifiuto e ciò che ha assunto valore di autentico prodotto. Inoltre la
disciplina comunitaria tra i requisiti indicati nella nozione di sotto
prodotto, ha incluso i trattamenti che rientrano nella "normale pratica
industriale", con l'effetto pratico di ampliamento della categoria.
Cassazione
penale, sez. III, 25/05/2011, n. 34753.
I
ritagli di materiali tessili non rientrano nella nozione di sottoprodotto come
oggi definita dall'art. 184 bis del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di
materiali già sottoposti ad un ulteriore trattamento diverso dalla normale
pratica industriale.Cassazione penale, sez. III, 25/05/2011, n. 24427.
Costituisce
rifiuto e non sottoprodotto, anche a seguito delle modifiche introdotte alla disciplina
sui rifiuti dal d.lg. 3 dicembre 2010, n. 205, la sansa di oliva disoleata non
utilizzata direttamente dal produttore, ma soggetta a trasformazione preliminare
al fine dell'utilizzo quale combustibile. (Fattispecie relativa al sequestro
preventivo di un sito di stoccaggio). Cassazione penale, sez. III, 16/03/2011,
n. 17863.
Gli
inerti di marmo travertino non sono di per sé qualificabili come sottoprodotti,
occorrendo a tal fine la prova certa del loro utilizzo, nel corso dello stesso
o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del
produttore o di terzi.
Nella
specie gli inerti, provenienti dall'attività di lavorazione delle cave di marmo
svolta da altra società, erano depositati, senza autorizzazione, su un'area
gestita dalla società dell'indagato). Cassazione penale, sez. III, 07/06/2011,
n. 28734.
La
giurisprudenza ha precisato che il reimpiego di materiale inerte derivante
dall'attività di scarifica del manto stradale nel processo produttivo di
conglomerato bituminoso integra il reato.
Lo
scarificato non può essere qualificato
come sottoprodotto ai sensi dell'art. 184 bis del citato D.Lgs. neppure
all'esito della modifica introdotta dall'art. 12 del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n,
205. Cassazione penale, sez. III, 19/01/2012, n. 7374.
Nessun commento:
Posta un commento