mercoledì 2 ottobre 2013

Concussione. Induzione indebita a dare o promettere utilità. Differenza.

Concussione. Induzione indebita a dare o promettere utilità. Differenza.

La L. 6 novembre 2012, n. 190, contenente "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione" nel novellare la disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l'art. 317 cod. pen., con l'introduzione di una "diversa" fattispecie di "concussione", ed ha introdotto l'art. 319-quater cod. pen., riguardante l'innovativa figura criminosa della "Induzione indebita a dare o promettere utilità", sostanzialmente intermedia tra quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e quella dell'accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall'art. 318 o dall'art. 319 cod. pen. (anch'essi modificati dalla stessa legge).
Pure allo scopo di uniformare la normativa interna ai principi della Convenzione contro la corruzione di Merida del 2003, approvata in ambito ONU, e della Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 1999, approvata in ambito di Consiglio d'Europa - trattati ratificati in Italia rispettivamente con le L. n. 116 del 2009 e L. n. 110 del 2012 - il legislatore nazionale, come si è accennato, ha "spacchettato" l'originaria ipotesi delittuosa della concussione, che, nel testo previgente dell'art. 317 cod. pen., parificava le condotte di costrizione e di induzione, creando due nuove fattispecie di reato.
La prima, che resta disciplinata dall'art. 317 cod. pen., prevede la punizione del "pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità": conserva, dunque, i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della fattispecie della concussione per costrizione, limitandosi ad incrementare il limite edittale minimo della pena detentiva (portata da quattro a sei anni di reclusione) e lasciando come soggetto attivo il solo pubblico ufficiale, con esclusione, dunque, della figura di incaricato di pubblico servizio (scelta, quest'ultima, foriera di probabili incertezze applicative, il cui effetto è ragionevole immaginare sarà quello di far rientrare, in presenza di tutti i presupposti di legge, le condotte costrittive ascrivibili all'incaricato di pubblico servizio nell'alveo operativo del reato di estorsione, eventualmente aggravato dall'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio, ai sensi dell'art. 61 c.p., comma 1, n. 9).
La seconda fattispecie di reato, "scorporata" dal previgente art. 317 cod. pen. ed ora regolata dall'art. 319 quater cod. pen., recante in rubrica la nuova denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità, è configurabile, "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", laddove "il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità": delitto, dunque, che può essere commesso dall'incaricato di pubblico servizio oltre che dal pubblico ufficiale, sanzionato con la più mite pena della reclusione da tre ad otto anni, e che ha una struttura, con riferimento alla condotta del pubblico agente (comma 1), nella quale sono significativamente riproposti gli stessi elementi qualificanti la "vecchia" figura della concussione per induzione. Rappresenta, invece, dato di assoluta novità la previsione, nel comma 2 dello stesso art. 319-quater, della punizione anche dell'indotto, cioè del soggetto che "da o promette denaro o altra utilità", il quale, da persona offesa nell'originaria ipotesi di concussione per induzione di cui al previgente art. 317 cod. pen., diventa coautore nella nuova figura dell'induzione indebita.
Nel primo caso, si parla di costrizione perchè la pretesa ha una maggiore carica intimidatoria, in quanto espressa in forma ovvero in maniera tale da non lasciare alcun significativo margine di scelta al destinatario; mentre, nel secondo caso, si parla di induzione perchè la pretesa si concretizza nell'impiego di forme di suggestione o di persuasione, ovvero di più blanda pressione morale, sì da lasciare al destinatario una maggiore libertà di autodeterminazione, un più ampio margine di scelta in ordine alla possibilità di non accedere alla richiesta del pubblico funzionario.
La prima fattispecie  descrive una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell'altrui volontà, che pone l'interlocutore di fronte ad un aut- aut ed ha l'effetto di obbligare questi a dare o promettere, sottomettendosi alla volontà dell'agente (voluit quia coactus); la seconda una più tenue azione di pressione psichica sull'altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione, ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di "spingere" taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell'agente (coactus tamen voluit).
In altri termini, non sempre è possibile differenziare nettamente una induzione da una costrizione in base all'intensità della pressione esercitata dal pubblico agente ed al grado di condizionamento dell'interlocutore, in quanto vi sono situazioni "al limite" nelle quali è difficile differenziare il caso del privato che, anche in ragione della prospettazione apertis verbis di un male ingiusto, si trova nello stato psicologico di chi è conscio di soccombere ad un sopruso, da quello del privato che, destinatario di una pretesa avanzata in forma indeterminata, semmai caricata di significati da supposizioni personali dell'interessato, paventa solamente di poter patire un possibile futuro sopruso.
Tale indice integrativo è ragionevolmente rappresentato dal tipo di vantaggio che il destinatario della pretesa indebita consegue per effetto della dazione o della promessa di denaro o di altra utilità.
Egli è certamente persona offesa di una concussione per costrizione se il pubblico agente, pur senza l'impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all'alternativa "secca" di accettare la pretesa indebita oppure di subire un pregiudizio oggettivamente ingiusto: al destinatario della richiesta non è lasciato, in concreto, alcun apprezzabile margine di scelta, ed egli è solo vittima del reato perchè, lungi dall'essere motivato da un interesse al conseguimento di un qualche vantaggio diretto, si determina a dare o promettere esclusivamente per evitare il pregiudizio minacciato (certat de damno vitando).
Al  contrario, il privato è punibile come coautore nel reato se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il mancato compimento di un atto doveroso (ipotesi nella quale, perciò, il pubblico agente minaccia un male formalmente "giusto": si pensi al pubblico funzionario che accerta l'esistenza di una irregolarità e che comunichi o faccia comprendere ai privato che "chiuderà un occhio" se verrà soddisfatta la sua pretesa), o come condizione per il compimento di un atto a contenuto discrezionale con effetti favorevoli per l'Interessato (si pensi al pubblico funzionario che non si limiti a prospettare il mancato compimento di un atto richiesto dal privato, ma ponga l'omissione come alternativa al compimento di un atto contrario ai propri doveri d'ufficio, idoneo a porre il destinatario in una situazione più favorevole rispetto ad altri privati titolari di interessi "concorrenti"): mancato compimento di un atto doveroso nel primo caso, o compimento di un atto discrezionale nel secondo, da cui il destinatario della pretesa trae, perciò, direttamente un vantaggio indebito. In siffatte situazioni è possibile sostenere che il pubblico funzionario "non si limita ad agitare il bastone del male ingiusto, secondo gli stilemi classici della concussione, ma tende anche la carota del beneficio indebito, quale conseguenza del pagamento illecito": l'agente pubblico prospetta, in pratica, l'alternativa tra un pregiudizio ed un vantaggio indebito, con la conseguenza che il privato che paga o promette non è persona offesa, ma compartecipe in quanto conserva un significativo margine di autodeterminazione e perchè, indipendentemente dalla forma in cui si è manifestata la richiesta del pubblico funzionario, egli viene "allettato" a soddisfare la pretesa dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per diventare la ragione principale o prevalente della sua decisione (certat de lucro captando)
Nella fattispecie è stato affermato che integra il reato di tentata concussione la condotta dell'agente che, nell'abusare della sua qualità di pubblico ufficiale, mostra ad una prostituta il tesserino di poliziotto e pretende che la donna salga in macchina per consumare con lui un rapporto sessuale, prospettando tale soluzione come il modo per non crearle in seguito problemi, senza indicare l'esercizio lecito di alcun potere ovvero il compimento di uno specifico atto doveroso; si tratta, infatti, di un tentativo di costrizione e non di induzione indebita, sia perché posto in essere con modalità molto dirette, idonee a cagionare nella vittima una forte pressione psichica, sia perché realizzato con la prospettazione di un male ingiusto, senza che sia anche solo prospettata la possibilità del conseguimento di un indebito vantaggio da parte della donna.

Cassazione penale, sez. VI, 08/05/2013, n. 20428

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