Costituisce reato l'omissione
del rilascio di un permesso di costruire o la mancanza di provvedimenti
sanzionatori da parte dell'amministrazione comunale?
Costituisce abuso d'ufficio
il rilascio di provvedimenti autorizzativi in contrasto con la normativa di
piano?
1 Il reato di omissione di atti nel procedimento di
rilascio di permesso a costruire
Il
procedimento di rilascio del permesso di costruire è previsto dall'art. 20,
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
In
attuazione a tali criteri di semplificazione procedurale è stato creato lo
sportello unico per l'edilizia che deve essere istituito dalle amministrazioni
comunali (1).
Esso
ha il compito di fornire al cittadino tutte le informazioni in materia di
costruzioni e, soprattutto, di curare i rapporti tra l'amministrazione
comunale, il privato e le altre amministrazioni chiamate a pronunciarsi
sull'intervento edilizio, ex art. 5,
2° co., lett. e), D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380.
L'art.
5, c. 4, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, identifica gli atti di assenso che
devono essere acquisiti dall'ufficio dello sportello unico come, ad esempio, l'autorizzazione
regionale per le costruzioni in zone sismiche o gli atti di assenso previsti
dal T.U. sui beni culturali ed ambientali.
Fra i
pareri obbligatori non è più contemplato quello della commissione
edilizia la cui formazione è condizionata dalle disposizioni del regolamento
edilizio comunale.
Lo
sportello unico comunica entro dieci giorni il nominativo del responsabile del
procedimento.
La
fase preparatoria al provvedimento è affidata al responsabile del procedimento
che deve valutare la conformità del progetto alla normativa vigente e formulare
una proposta di provvedimento entro sessanta giorni dalla presentazione della
domanda, ex art. 20, c. 3, D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380.
Viene
ribadito che l'esame delle domande si svolge secondo l'ordine di presentazione.
Tale
impostazione appare in linea con quanto disposto dall'art. 107 del D.Lgs. 18
agosto 2000, n. 267, che attribuisce ai dirigenti tutti i compiti di attuazione
degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati
dall'organo politico, secondo le modalità stabilite dallo statuto e dai
regolamenti dell'ente.
Rientrano
in tali compiti i provvedimenti di assenso, il cui rilascio presupponga
accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale, nel rispetto di
criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di
indirizzo, comprese le autorizzazioni e i permessi di costruire.
Il
responsabile deve richiedere d'ufficio le modifiche necessarie a rendere
conforme il progetto alla normativa vigente.
Il
termine relativo all'emanazione del provvedimento può essere interrotto una
sola volta per richiedere integrazioni alla domanda.
La
fase consultiva, ove sia necessaria, viene realizzata attraverso la
convocazione di una conferenza di servizi.
Essa
deve esser convocata anche su richiesta del richiedente entro i termini
previsti dall'art. 14, L. 241/1990.
I
termini per la conclusione del procedimento sono tassativi.
Il
responsabile del procedimento ha sessanta giorni dal momento della
presentazione della domanda ovvero dalla data di integrazione della
documentazione per curare l'istruttoria e formulare la proposta di
provvedimento.
La
integrazione istruttoria può essere richiesta una sola volta ed entro 15 giorni
dalla domanda; il termine appare di carattere ordinatorio, se fosse tassativo
si incentiverebbe la presentazione di progetti carenti di documentazione.
La
fase costitutiva è demandata al responsabile del procedimento che deve
valutare i pareri formulati dalle altre amministrazioni nella conferenza di
servizio.
Entro
quindici giorni dalla scadenza del termine della formulazione della proposta o
dall'esito della conferenza di servizio il responsabile del procedimento deve
emanare il provvedimento conclusivo.
Sembra
esclusa ogni possibilità di diniego che non trovi motivazione in una tassativa
disposizione di legge.
Le
ipotesi sono due: o entro il termine dei settantacinque giorni — sessanta per
formulare la proposta e quindici per redigere il provvedimento — si addiviene
alla rituale fase costitutiva con la firma del provvedimento da parte del
responsabile e la notifica al richiedente o, scaduto il termine, si inizia la
fase di tutela giurisdizionale o la fase sostitutiva da parte della regione.
Il
silenzio sulla richiesta a provvedere non ha effetti costitutivi in ordine alla
nascita di un diritto a costruire, ma consente l'avvio della tutela giurisdizionale
davanti al giudice amministrativo o di procedure sostitutive.
Decorso
il termine per l'adozione del provvedimento la domanda di permesso di costruire
si intende rifiutata, art. 20, 9° co., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con la
possibilità di impugnare il silenzio rifiuto richiedendo l'eventuale
risarcimento del danno.
Scaduto
il termine per la emanazione del provvedimento il richiedente può attivare
l'intervento sostitutivo della regione, inoltrando apposita domanda allo
sportello unico affinché il responsabile del procedimento si pronunci entro
quindici giorni.
Tale
domanda deve essere comunicata al sindaco al fine di consentirgli la verifica
procedimentale onde evitare l'intervento sostitutivo.
Decorso
inutilmente anche questo termine l'interessato può inoltrare richiesta di
intervento sostitutivo al competente organo regionale il quale, nei successivi
quindici giorni, nomina un commissario ad
acta che deve provvedere entro sessanta giorni.
Trascorso
detto termine si intende rifiutata anche la domanda di intervento sostitutivo,
con conseguente possibilità di impugnativa giurisdizionale, ex art. 21, c. 2, D.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380.
Rimane
la possibilità di esercitare l'azione penale.
L'ipotesi
praticabile è quella dell'art. 328, c. 2, c.p., che sanziona l'omissione per il mancato
rilascio di un permesso di costruire senza motivazioni, pur dopo la diffida ad
adempiere
ritualmente notificata a mezzo di ufficiale giudiziario, trattandosi di
pubbliche amministrazioni.
Il
giudice ha condannato alla pena di euro 140 di multa, oltre al risarcimento
dei danni in favore della parte civile, in quanto il soggetto attivo del reato,
quale responsabile del servizio edilizia privata del Comune, non aveva
provveduto a definire il procedimento amministrativo relativo alla domanda di
permesso di costruire avanzata né ha esposto le ragioni del ritardo, nonostante
la formale richiesta notificatagli dall'interessato.
La
prova della responsabilità penale dell'imputato derivava dai documenti
acquisiti agli atti, dalle dichiarazioni dell'imputato e da quelle delle persone
informate sui fatti, essendo stata acclarato che l'imputato, pur avendo
sollecitato un geometra dell'ufficio affinché accertasse se fosse pervenuta la
richiesta documentazione integrativa, non concluse la procedura amministrativa
né comunicò le ragioni del ritardo entro il termine di trenta giorni dalla
intimazione dell'interessato né successivamente (2).
La
giurisprudenza, peraltro, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, richiede
la prova della consapevolezza del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un
pubblico servizio di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta
all'intimazione del privato; indagine che deve essere particolarmente accurata
in presenza di tempestive iniziative adottate ai fini della istruzione della
pratica, di cui il privato sia stato messo a conoscenza. Nella fattispecie gli
impedimenti di carattere formale che non avevano permesso la definizione della
procedura essendoci discordanze tra le planimetrie presentate e dati catastali,
di cui era stato messo a conoscenza l'istante. Sotto il profilo dell'elemento
soggettivo, l'art. 328 c.p., c. 2 richiede la prova della consapevolezza del
pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio di avere ingiustificatamente
omesso di dare risposta all'intimazione del privato, indagine che deve essere
particolarmente accurata in presenza di tempestive iniziative adottate ai fini
della istruzione della pratica, di cui il privato sia stato messo a conoscenza (3).
La
giurisprudenza ha escluso che i provvedimenti in materia edilizia ed
urbanistica possano considerarsi emessi per ragioni di giustizia, possedendo
tale ragione esclusivamente quegli atti che ineriscono obiettivamente ad una
funzione giudiziaria per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretti a
rendere possibile o più agevole l'attività del giudice, del p.m. o degli
ufficiali di polizia giudiziaria. La configurazione del reato di omissione
prevede, pertanto, obbligatoriamente la preventiva diffida ad adempiere (4).
2 Il reato di omissione nell'attività comunale di
vigilanza sugli abusi edilizi
Ben
più severa è la posizione della giurisprudenza nei confronti delle eventuali omissioni degli
amministratori nell'attività comunale di vigilanza sugli abusi edilizi.
In
tal caso si rientra nell'ipotesi di cui all'art. 328, c. 1, c.p., poiché l'atto
di controllo è atto che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di
ordine pubblico o di igiene o sanità deve essere compiuto senza ritardo, come
recita l'art. 328, c.p., mod. dall'art. 16, L. 86/1990.
Il
reato si realizza immediatamente.
L'accusa
deve provare in primo luogo la conoscenza da parte dell'amministrazione della
situazione di abusivismo perché, ad esempio, la stessa è stata comunicata da
una o più persone o sia nota per atti che provengono dagli stessi uffici, ed in
secondo luogo che il rifiuto ad adempiere o la mancata risposta per esporre le
ragioni del ritardo si sia protratto oltre i tempo tecnico che richiede
l'intervento repressivo.
La
giurisprudenza ha precisato che il dirigente dell'ufficio — che è l'autorità a
cui è conferito per legge il potere di vigilanza — ha l'obbligo giuridico di
intervenire con urgenza, tale intervento non può essere inquadrato
nell'attività discrezionale bensì è imposto dalla legge come atto dovuto (5).
In
caso di annullamento di un permesso di costruire da parte del T.A.R.
l'emanazione, da parte del sindaco, dell'ordine di demolizione della
costruzione abusiva costituisce atto dovuto per ragioni di giustizia, il cui
compimento deve quindi avvenire senza ritardo, ai sensi dell'art. 328, c. 1,
c.p.
Deve,
pertanto, ritenersi consumato il reato previsto da tale disposizione normativa
quando l'adempimento in questione, in assenza di un termine stabilito nella
decisione del giudice amministrativo, venga procrastinato oltre la data della
prima riunione della giunta comunale dopo il ricevimento formale della notizia
di detta decisione ed il decorso dei termini per l'eventuale impugnazione;
tempi, questi, da ritenere ragionevolmente esauribili, al massimo, in 180
giorni.
È
invece da escludere che il momento in cui il reato si consuma possa essere
individuato in quello in cui il sindaco cessa dalla sua carica, atteso che una
tale interpretazione potrebbe legittimare sine
die il rifiuto di compiere l'atto d'ufficio per tutto il tempo della durata
in carica del pubblico ufficiale (6).
La
giurisprudenza ha, invece, sancito che non integra il reato di omissione di
atti d'ufficio, ai sensi dell'art. 328, c. 2, c.p., la mancata ottemperanza da
parte del sindaco alle sollecitazioni dell'assessorato regionale territorio e
ambiente in ordine agli interventi repressivi e sanzionatori di violazioni
edilizie commesse nel territorio comunale. E entrambe le amministrazioni
coinvolte sono tenute ad una collaborazione nell'assicurare la vigilanza
sull'attività edilizia, non potendosi ravvisare in capo all'assessorato
regionale un interesse giuridicamente qualificato nei confronti
dell'amministrazione comunale.
Fattispecie
nella quale è stato escluso che ricorresse il reato in esame a carico di un
sindaco che, secondo l'ipotesi accusatoria, aveva omesso di dare risposta alle
reiterate richieste di un assessorato provinciale in merito agli atti adottati
per la repressione di violazioni edilizie (7).
3 Il reato di abuso d'ufficio
Il
reato di abuso in atti di ufficio, previsto dall'art. 323 del c.p., è stato
modificato dalla L. 12 aprile 1990, n. 86 che ha fatto confluire in un unico
reato le originarie figure di peculato per distrazione, interesse privato e
abuso innominato.
Il
reato è punito a titolo di dolo specifico sicché, alla cosciente e volontaria
condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio di
abusare del suo ufficio, deve accompagnarsi la cosiddetta finalizzazione della
condotta stessa, integrante appunto la specificità del dolo.
L'art.
323 del c.p. è stato modificato dalla L. 234 del 1997. La norma dispone che
salvo che il fatto non costituisca un più grave reato il pubblico
ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del
servizio, in
violazione di norme di legge o di
regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio
o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente
procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a
tre anni.
La
pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di
rilevante gravità.
La ratio della L. 234 del 1997 è di
limitare l'ambito di applicabilità dell'art. 323 del c.p., al fine di evitare
abusi nell'accertamento del reato di abuso, attraverso una precisa
determinazione del fatto punibile.
La
modifica è stata richiesta da più parti, per porre un freno al dilagare delle
incriminazioni per abuso d'ufficio e, di conseguenza, al moltiplicarsi dei
procedimenti penali che spesso si concludono con l'assoluzione dell'imputato.
Il
legislatore ha ritenuto necessario dare certezza all'azione amministrativa; i
ritardi o addirittura i blocchi di attività, soprattutto nei settori
subordinati alla discrezionalità della pubblica amministrazione, erano
attribuiti al terrore della firma, provocato dall'eccesso di interventi del
potere giudiziario nell'ambito della pubblica amministrazione.
Il
reato è configurabile solo qualora si concretizzi un danno effettivo provocato
dall'abuso.
Esso
può consistere nell'avere procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale o nell'avere causato ad altri un danno ingiusto.
Interpretando
la dizione precedente di cui all'art. 323, c. 2 c.p., la giurisprudenza ha
precisato il contenuto del vantaggio patrimoniale, affermando che per
l'integrazione del reato di abuso di ufficio è necessario che il vantaggio
avuto dall'agente risulti apprezzabile in termini patrimoniali.
Il
vantaggio deve avere un connotato di intrinseca patrimonialità, essendo
irrilevante che esso possa essere rivolto o strumentalizzato dal soggetto
favorito a conseguire utilità valutabili solo indirettamente sotto l'aspetto
patrimoniale.
La
mera eventualità della natura patrimoniale del vantaggio non è idonea a
caratterizzare, teleologicamente, con certezza e concretezza, il dolo specifico
dell'autore della condotta. (Cass. pen., sez. VI, 19 gennaio 1996, in Giust. pen., 1997, II, 157).
Il
legislatore, nel delineare la nuova fattispecie, dà carattere di concretezza ad
una condotta da ritenersi punibile, individuandone gli aspetti tipici ed
evitando così “abusi” ed eccessi nell'interpretazione giurisprudenziale.
L'elemento
del dolo che prima è stato elemento essenziale ora perde la sua consistenza.
Il
nuovo abuso d'ufficio è un reato di danno.
Non
si tratta più, quindi, del contenuto del dolo specifico consistente
nell'avvantaggiare sé o altri o nel danneggiare qualcuno.
L'abuso
non patrimoniale mantiene rilevanza penale solo qualora venga arrecato un danno
ad altri intenzionalmente; è abrogato, invece, il tipo di abuso che mira a
procurare un vantaggio non patrimoniale, rendendo così particolarmente
difficili i controlli sui cosiddetti microabusi.
Il
reato di abuso d'ufficio è stato modificato dal legislatore da delitto a
consumazione anticipata e a dolo specifico a delitto di evento.
Il
reato non sussiste più quando si manifesta solo l'intenzione di avvantaggiare o
di danneggiare, ma esso consiste nell'effettiva produzione di un vantaggio o di
un danno.
Tale
vantaggio, inoltre, deve essere patrimoniale; ne consegue che l'abuso si
concretizza solo se l'imputato ha procurato a sé o ad altri un beneficio
economicamente valutabile.
Qualora,
pertanto, si tratti di abuso volto a procurare un ingiusto vantaggio non
patrimoniale — ai sensi dell'abrogato art. 323, c. 1, c.p. — si verifica una
vera e propria abolitio criminis e,
quindi, comportamenti di questo tipo non costituiscono più reato e debbono
cessare gli effetti penali delle condanne ad essi relative.
3.1 Il
rilascio di provvedimenti autorizzatori
L'abuso d'ufficio può consistere nel
rilascio di provvedimenti autorizzatori in contrasto con la normativa di piano.
Affinché
la violazione di legge o di regolamento possa integrare, insieme con gli altri elementi
richiesti dall'art. 323, c.p., il delitto di abuso di ufficio occorrono due
presupposti.
Il
primo di essi è che la norma violata non sia genericamente strumentale alla
regolarità dell'attività amministrativa, ma vieti puntualmente il comportamento
sostanziale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio.
Il
secondo presupposto è che l'agente violi leggi e regolamenti che di questi atti
abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico, non essendo sufficiente un
qualunque contenuto materialmente normativo della disposizione trasgredita.
Integra
il delitto di abuso d'ufficio, trattandosi di condotta che viola specifiche
norme di legge, il rilascio da parte del responsabile del procedimento di un
permesso di costruire contrario alle disposizioni del vigente piano regolatore.
Simile
conclusione non collide con il principio di legalità poiché, se è vero che il
piano regolatore non può equipararsi al regolamento richiamato dallo stesso
art. 323 c.p., la condotta sopra descritta viola direttamente la legge e
precisamente le norme della L. n. 1150 del 1942. La norma statuisce che i
pareri e gli atti del pubblico ufficiale in relazione a domande di permesso di
costruire debbano essere conformi a quanto previsto dai piani regolatori; in
tal caso, infatti, il provvedimento amministrativo svolge una funzione
integrativa rispetto agli elementi normativi del fatto (8).
È
configurabile il reato di abuso di ufficio nell'ipotesi di rilascio di permesso
edilizio in contrasto con gli strumenti urbanistici generali — e, segnatamente,
al piano integrato di recupero e riqualificazione urbana — stante la loro
natura di atti da ritenersi equiparati alle norme regolamentari la cui
violazione è richiesta ai fini della configurabilità dell'art. 323 c.p.
Il
rilascio di titolo abilitativo illegittimo costituisce il presupposto di fatto
della violazione della normativa primaria in materia edilizia alla quale deve
comunque farsi riferimento quale dato strutturale della fattispecie criminosa (9).
Il
rilascio del permesso di costruire in violazione dello strumento urbanistico
generale — che subordinava l'utilizzazione delle aree in causa alla previa
formazione dello strumento attuativo — lede il disposto dell'art. 31, L. 17 agosto
1942, n. 1150, che prescrive la conformità della stessa concessione alle
previsioni dello strumento urbanistico in vigore nel territorio comunale. La
condotta illecita del sindaco che violi dette disposizioni si configura, senza
che si possa ritenere violato il principio di stretta legalità vigente in
materia penale, come violazione di legge in quanto le prescrizioni di piano
alle quali detta legge si richiama rappresentano solo dei presupposti di fatto
della violazione della legislazione in materia di edilizia. La violazione
integra un elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. (10).
Integra
gli estremi del reato di abuso di ufficio, secondo la formulazione di cui all'art.
1, L. 16 luglio 1997, n. 234, il comportamento dell'amministratore comunale che
rilasci autorizzazioni in precario per la realizzazione di manufatti non
connotati dal requisito della provvisorietà o da quello della pertinenzialità (11).
La
giurisprudenza ritiene che ai fini della configurabilità del reato di abuso
d'ufficio può costituire violazione di legge anche quella che si traduca nel
vizio di incompetenza cosiddetta relativa, quale previsto dall'art. 21 octies L. n. 241/1990.
Nel
caso di specie il soggetto attivo avrebbe richiesto adempimenti non dovuti e
non di sua competenza. Nella specie il reato era stato ipotizzato a carico di
un assessore comunale e di un dirigente amministrativo cui veniva fatta
risalire la responsabilità di una delibera di Giunta. La materia era riservata,
invece, al Consiglio comunale. Il dirigente, inoltre, aveva indebitamente
imposto ad un privato, come condizione per il rilascio di una concessione
edilizia, la presentazione e l'approvazione di un preliminare di piano di
sistemazione urbanistica (12).
3.2 Il
rilascio di provvedimenti autorizzatori in sanatoria
L'abuso
d'ufficio può consistere nel rilascio di provvedimenti autorizzatori in
sanatoria in contrasto con la normativa di piano ovvero nell'omessa vigilanza
sull'attività edilizia.
Un
orientamento giurisprudenziale ha affermato che integra la violazione di legge,
rilevante ai fini della configurabilità del reato, il rilascio di una
concessione edilizia in sanatoria da parte del responsabile del settore urbanistico
del Comune per un'opera non conforme agli strumenti urbanistici generali in
vigore nel territorio comunale. Fattispecie in tema di rilascio di concessione
edilizia in sanatoria per opere realizzate in zona inedificabile nella quale la
Corte ha altresì affermato che costituisce ingiusto vantaggio patrimoniale
l'incremento del valore commerciale dell'immobile (13).
Nel
caso di specie è stato ravvisato il rato di abuso di ufficio nell'ambito di una
procedura di sanatoria edilizia che si assume illegittima, attuata allo scopo
di procurare ai richiedenti un ingiusto vantaggio di natura patrimoniale. In
particolare la condotta integrante la regiudicanda è scandita dalla adozione di
due atti amministrativi che perimetrano la illegittimità della sanatoria
edilizia. Da un lato un parere favorevole al rilascio di concessione in
sanatoria in favore della parte privata beneficiaria della teleologica
deviazione dell'attività amministrativa emesso dalla commissione edilizia
comunale. Il parere è stato espresso dai pubblici ufficiali in dispregio della normativa
urbanistica. Dall'altro lato e consecutivamente nella emissione da parte del
dirigente dell'ufficio tecnico comunale della concessione edilizia in sanatoria
(14).
La
giurisprudenza ha, però, sottolineato che, ai fini della configurabilità
dell'elemento soggettivo del delitto di abuso d'ufficio, l'esistenza di una
collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla
mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il provvedimento adottato
dall'altro, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti
personali tra i predetti soggetti ovvero altri dati di contorno dimostrino che
la domanda del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall'accordo
con il pubblico ufficiale o, comunque, da pressioni dirette a sollecitarlo o
persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo. Fattispecie relativa
all'illegittimo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria (15).
3.3 Il
rilascio di provvedimenti autorizzatori da parte del commissario ad acta
Può incorrere nel reato anche il
commissario ad acta scelto dal
giudice amministrativo per sostituirsi al comune inadempiente. Nel caso di specie si trattava della
decisione relativa al rilascio di un permesso di costruire per ampliamento di
un albergo.
Anche
la funzione giurisdizionale — quale è indubbiamente quella svolta dal
commissario, in qualità di organo del giudice dell'ottemperanza, chiamato a
dare esecuzione al giudicato — si presta, infatti, a dolose strumentalizzazioni
realizzate per finalità proprie o altrui; in ordine al caso specifico del
commissario ad acta occorre valutare
il tipo di attività svolta e l'entità del potere discrezionale di cui dispone e
le forme attraverso cui questo viene esercitato.
Qualora
nello svolgimento delle sue funzioni il commissario ad acta adotti dolosamente un atto contra legem al fine di recare vantaggio al destinatario di esso,
si considera integrato il reato di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p.. Il reato è oggetto della competenza
giurisdizionale del giudice penale il quale può incidentalmente sindacare la
legittimità del provvedimento medesimo sotto ogni profilo, superando altresì,
in senso negativo, la presunzione di conformità che ad esso si accompagna (16).
3.4 Il
rilascio di provvedimenti autorizzatori contrastanti con la legge quadro sulle
aree protette
L'abuso
d'ufficio può consistere nell'illecito rilascio di provvedimenti assentivi
contrastanti con la legge quadro sulle aree protette.
Costituisce
violazione di legge la condotta dell'assessore comunale che autorizza un
privato a esercitare l'attività di deposito autovetture in area sita in zona C)
sita all'interno del Parco Ticino.
Tale
provvedimento contrasta, infatti, con l'art. 11 c. 3, L.R. Lombardia 22 marzo
1980, n. 33, che vieta nella predetta zona del parco l'insediamento di nuovi
impianti produttivi; non rileva la diversa previsione del p.r.g. del comune
interessato, posto che in forza dell'art. 2 della L.R. 33/1980, la normativa
relativa al Parco Ticino prevale sulle difforme prescrizioni degli strumenti urbanistici.
La
predetta condotta, inoltre, è in contrasto con l'art. 13, L. 6 dicembre 1991,
n. 394, che subordina il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative a
interventi nell'area del parco al preventivo nulla osta dell'Ente Parco (17).
3.5 L'omessa
vigilanza sull'attività edilizia
L'abuso d'ufficio può consistere nell'omessa
vigilanza sull'attività edilizia.
La
giurisprudenza afferma che risponde di abuso d'ufficio il dirigente
dell'ufficio tecnico di un comune che, informato dell'inizio dei lavori prima
del rilascio del titolo abilitativo, non si adoperi per la sospensione degli
stessi e la revoca del provvedimento.
A
nulla rileva la circostanza che la conoscenza della violazione è avvenuta
successivamente al rilascio del permesso di costruire poiché ciò che importa è
appunto il dato di fatto che le opere erano state iniziate prima del rilascio
del provvedimento e quindi in palese assenza delle stesse sicché dovevano
ritenersi illegittime (18).
3.6 La
illecita partecipazione a deliberazioni di adozione di provvedimenti
pianificatori
La sola partecipazione a delibere di
approvazione di piano regolatore qualora vi siano interessi personali integra
il reato di abuso di ufficio.
Il
consigliere comunale non ha il dovere di astenersi da delibere di approvazione
di piani regolatori generali, trattandosi di atto finale di un procedimento
complesso in cui confluiscono e si compensano molteplici interessi, collettivi
o individuali, sicché il voto espresso dal singolo amministratore non riguarda
una specifica prescrizione ma il contenuto generale dell'atto. Sussiste invece
il dovere di astensione, ed è conseguentemente configurabile il reato in caso
di mancata astensione, qualora si tratti di partecipazione a delibere su
opposizioni al piano regolatore generale riconducibili a interessi personali
sia propri dell'amministratore sia di un prossimo congiunto (19).
La
giurisprudenza ha precisato che anche dopo la riforma dell'art. 323, c.p.,
introdotta con l'art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234, sotto il profilo della
violazione di legge, ex art. 279,
T.U. 1934, n. 383, con specifico riferimento all'inottemperanza del dovere di
astensione, la condotta dell'amministratore comunale che partecipi alla
deliberazione di approvazione di variante di piano regolatore configura il reato
di abuso di ufficio.
È
necessario che si ravvisi un interesse concreto proprio o di un prossimo
congiunto, nonostante l'atto in questione abbia la natura di atto
amministrativo di carattere generale.
Nella
specie, a seguito dell'approvazione della variante, divenivano edificabili
alcuni terreni di proprietà dei congiunti dell'amministratore comunale (20).
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