1 Codice ambiente. Parte IV Titolo V Bonifica Siti contaminati.
2 Ambiente Bonifica. Intesa amministrazioni interessate.
Il raggiungimento dell'intesa debba essere formalmente espresso nel
contesto del provvedimento emanato in esito alla conferenza, mentre nei decreti
impugnati non emerge il raggiungimento del concerto con tutte le
amministrazioni alle quali spettava esprimersi in merito alla bonifica del sito
indicato.
L'argomento presuppone che sia necessario il raggiungimento di una
intesa o di un concerto tra Amministrazioni pubbliche
Per quanto riguarda specificamente la bonifica di aree che, quale
quella di Piombino, rientrano tra i siti inquinati dichiarati di interesse
nazionale, occorre invece fare specifico riferimento all'art. 252 d.lgs n. 152
citato, che, al comma 242, attribuisce la competenza per la procedura di
bonifica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, non più di
concerto, ma sentito il Ministero delle attività produttive.
Anche il decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471, recante il
regolamento per i criteri, le procedure e le modalità per la messa in
sicurezza, la bonifica e il ripristino dei siti inquinati, tuttora parzialmente
in vigore, affida al Ministro dell'ambiente l'istruttoria circa gli elaborati
progettuali presentati dal responsabile della situazione di inquinamento, e
prevede il concerto e l'intesa solo per l'approvazione del progetto definitivo.
Nella fattispecie in esame, nella quale non si tratta della
approvazione (o della mancata approvazione) di un progetto, ma delle misure di
messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda delle quali era emersa, in
corso dei lavori, la contaminazione, a contenere la quale la conferenza aveva
messo in mora la società, risulta dalla documentazione in atti che il Ministero
delle attività produttive non ha volontariamente preso parte ai lavori della
conferenza, e tale circostanza, ai sensi dell'art. 14 comma 3 legge 7 agosto
1990, n. 241 vale a realizzare il coinvolgimento dell'Amministrazione assente,
la quale, si ripete, doveva essere semplicemente sentita.
L'esito della conferenza è quindi coerente con il modulo procedimentale
legislativamente previsto.
La presenza delle Amministrazioni nella persona degli incaricati
indicati nominativamente, equivale a legittimazione, che in mancanza di prova
contraria, deve essere presunta.
La circostanza che il piano di bonifica presentato dalla s.p.a. Dalmine
sia stato o meno approvato dalla conferenza di servizi costituisce circostanza
irrilevante ai fini dell'indagine sulla legittimità dei provvedimenti impugnati
in primo grado, concernenti, come si è più volte sottolineato, l'imposizione di
misure di sicurezza d'emergenza in relazione al notevole grado di inquinamento
riscontrato nel corso dei lavori della conferenza indetta per la messa a punto
degli interventi necessari per la bonifica del sito di Piombino, ha costituito
oggetto di esame, nell'ambito del progetto generale di ripristino ambientale
per il quale la conferenza era stata indetta.
A tale proposito, vale ricordare che l'art. 240 d.lgs. n. 152 del 2006
definisce la messa in sicurezza d'emergenza come "ogni intervento
immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di
emergenza... in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura,
atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione,
impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in
attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza
operativa o permanente".
Anche dalle definizioni contenute nell'art. 2 del decreto ministeriale
25 ottobre 1999, n. 471 emerge la differenza tra la misura straordinaria della
messa in sicurezza d'emergenza, relativa ad "ogni intervento necessario ed
urgente per rimuovere le fonti inquinanti, contenere la diffusione degli
inquinanti e impedire il contatto con le fonti inquinanti presenti nel sito, in
attesa degli interventi di bonifica e ripristino ambientale o degli interventi di
messa in sicurezza permanente" e le ordinarie forme di bonifica e
ripristino ambientale.
Solo per queste ultime gli artt. 5 e 10 del medesimo decreto
ministeriale prescrivono che le misure di sicurezza ed i piani di monitoraggio
e controllo debbano essere contenuti nei provvedimenti che approvano i progetti
preliminare e definitivo ed autorizzano gli interventi, così subordinando la
legittimità delle prescrizioni alla previa approvazione del progetto: nessuna
attinenza può, invece, essere attribuita ad una tale approvazione al caso di
disposizioni urgenti, che prescindono, data la natura dell'emergenza alla quale
devono fare fronte, da qualsiasi progetto o adempimento procedimentale al di
fuori di quanto prescritto dagli artt. 7 e 8 del decreto citato. Erra pertanto,
la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto la mancata previa
approvazione del piano presentato dalla società ricorrente causa di
illegittimità dei provvedimenti impugnati.
Dal richiamo operato dall'art. 240 lettera m) d.lgs. citato alla
condizioni di emergenza di cui alla precedente lettera t) quali circostanze che
legittimano le misure di emergenza, il Tribunale amministrativo deduce
l'illegittimità dei provvedimenti impugnati, nessuna di tali circostanze
essendosi riscontrata nel caso di specie.
Emerge dai verbali della conferenza che,dalle indagini effettuate
nell'area risultava una "evidente contaminazione delle acque di falda
dovuta prevalentemente a metalli pesanti, BTXES e composti organici
clorurati" e l'esigenza urgente di evitarne la diffusione fino al mare
antistante l'area industriale. Consiglio di Stato, sez. VI, 21/06/2011, n.
3721.
3 Ambiente. Perimetrazione. Sito inquinato.
La società appellante ha censurato il decreto ministeriale di
perimetrazione del sito per la ragione che lo stesso risulta emanato in carenza
di contraddittorio procedimentale con la stessa società.
Tale censura è fondata. L'art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006, che
disciplina i siti di interesse nazionale, prevede al terzo comma che ai fini
della perimetrazione del sito sono sentiti i comuni, le province le regioni e
gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili, nonché
dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili.
Nel caso in esame appare fuori di dubbio - ed è incontestato - che sia
stato omesso ogni incombente volto a propiziare la partecipazione al
procedimento di perimetrazione del sito della società appellante, proprietaria
di alcune delle aree rientranti nel perimetro del sito.
Tale omissione - non giustificata in sede procedimentale o
giurisdizionale, neppure in ragione di esigenze di celerità del procedimento
(che peraltro ha avuto una durata durante la quale ben poteva essere attivato
un contraddittorio con la società) - si traduce in vizio di legittimità del
decreto ministeriale conclusivo del procedimento di perimetrazione del sito,
che va pertanto annullato nei limiti dell'interesse della appellante società.
L'accoglimento di tale motivo di censura comporta che, limitatamente
alle aree in titolarità della società ricorrente, dovranno essere rinnovati,
previa comunicazione d'avvio del procedimento, il procedimento di
perimetrazione del sito e gli atti successivi del procedimento di
caratterizzazione e messa in sicurezza che risultano inficiati in via derivata.
Consiglio di Stato, sez. VI 27/12/2011 n. 6843.
4 Ambiente. Bonifica Agevolazioni. Regione Lombardia.
L'art. 21 comma 5 (recante la rubrica "Bonifica e ripristino
ambientale dei siti inquinati"), della legge regionale della Lombardia
12.12.2003, n. 26, come sostituito dalla legge regionale10/2009, stabilisce
dapprima che gli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente dei
siti inquinati costituiscono opere di urbanizzazione secondaria (ai sensi
dell'art. 44 della LR 12/2005 sul governo del territorio) e successivamente che
dette opere, esclusivamente se insistenti nei siti di interesse nazionale di
cui alla legge 9.12.1998, n. 426, devono reputarsi <<...a scomputo degli
oneri di urbanizzazione secondaria per l'importo corrispondente al 50 per cento
del relativo ammontare...>>.
All'art. 21 comma 7 l. reg. Lombardia n. 26/2003, è prevista una
ulteriore agevolazione, anche se a favore dei medesimi soggetti di cui al comma
5, vale a dire lo scomputo totale degli oneri di urbanizzazione secondaria se
il sito è acquistato nell'ambito di una procedura concorsuale o di esecuzione
giudiziale. Il comma 7, infatti, si apre con un richiamo espresso alle
agevolazioni ed incentivazioni di cui al comma 5, le quali - così testualmente -
" ...si applicano integralmente in favore... ", ma è evidente che
l'applicazione integrale succitata riguarda le agevolazioni come previste dal
citato comma 5 e quindi - per quel che interessa - l'agevolazione per chi
effettua interventi di bonifica sui siti di interesse nazionale. Tale
agevolazione viene ulteriormente allargata per i casi di acquisto di aree
nell'ambito di procedure concorsuali o esecutive e questo per l'ovvia finalità
di incentivare gli operatori economici a comprare immobili e compendi inseriti
nelle suddette procedure. Entrambi i commi 5 e 7 prevedono la stessa
incentivazione, rimodulata in modo da rendere ancora più conveniente per gli
operatori interessati l'effettuazione di opere di bonifica. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 29/12/2011,
n. 3366
Il successivo comma 7 prevede che le agevolazioni ed incentivazioni
<<di cui ai commi 3, 4 e 5 si applicano integralmente in favore del
soggetto interessato che acquisisce la proprietà nell'ambito di procedure
disciplinate dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.. >> (c.d. legge
fallimentare).
Nel caso di specie per la ricorrente, i due commi citati (5 e 7),
disciplinano due differenti fattispecie: la prima quella degli interventi sui
siti di interesse nazionale, per la quale è previsto lo scomputo del 50 per
cento dell'importo degli oneri di urbanizzazione secondaria; la seconda quella
degli interventi su qualsiasi sito inquinato, purché acquistato nell'ambito di
una procedura concorsuale o esecutiva, per la quale lo scomputo è invece totale.
Diversa è invece l'esegesi proposta dall'Amministrazione comunale, per
la quale le agevolazioni particolarmente favorevoli di cui al comma 7 valgono
comunque per i soli siti di interesse nazionale, se acquisiti in una procedura
concorsuale o esecutiva.
La soluzione interpretativa propugnata dalla ricorrente non appare
convincente. I commi 5 e 7 della legge regionale 26/2003 devono, infatti,
leggersi congiuntamente, in base ad una interpretazione sia letterale sia
sistematica.
Il comma 5 prevede una chiara agevolazione (dimezzamento degli oneri di
urbanizzazione secondaria), per gli interventi effettuati sui siti di interesse
nazionale, come individuati dall'art. 1, comma 4, della legge 426/1998; in
particolare si tratta di quei siti per i quali <<gli interventi di
bonifica (...), in relazione al rilievo dell'impatto sull'ambiente connesso
all'estensione dell'area interessata, alla quantità e pericolosità degli
inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale>> (così espressamente,
l'art. 18, comma 1, lett. n, del D.Lgs. 22/1997, oggi abrogato, le cui
disposizioni sono però per così dire "confluite" nel D.Lgs. 152/2006,
c.d. Codice dell'Ambiente ed in particolare nell'art. 252 del medesimo,
rubricato appunto "Siti di interesse nazionale").
I siti di interesse nazionale, in altri termini, sono caratterizzati da
fenomeni di inquinamento di particolare gravità e di rilevante allarme per la
salute pubblica, sicché sono oggetto di una peculiare disciplina, la quale
prevede in primo luogo l'affidamento del procedimento di bonifica al Ministero
dell'Ambiente e - in Regione Lombardia - anche una forma di agevolazione per
gli operatori, di cui al citato comma 5 dell'art. 21 LR 26/2003.
Tale agevolazione viene ulteriormente allargata per i casi di acquisto
di aree nell'ambito di procedure concorsuali o esecutive e questo per l'ovvia
finalità di incentivare gli operatori economici a comprare immobili e compendi
inseriti nelle suddette procedure.
Si tratta però della stessa incentivazione di cui al comma 5, che al
comma 7 è rimodulata in modo da rendere ancora più conveniente per gli
operatori interessati l'effettuazione di opere di bonifica.
Si aggiunga ancora che l'interpretazione propugnata dalla ricorrente
finirebbe per condurre alla paradossale conseguenza di agevolare maggiormente,
sul piano del pagamento degli oneri di urbanizzazione, gli interventi su aree
non compresi nei siti di interesse nazionale (purché acquistate in una
procedura concorsuale), rispetto a quelli compiuti sui siti che presentano i
maggiori problemi di tutela ambientale, quali appunto i siti di interesse
nazionale. In conclusione, il presente ricorso deve rigettarsi in ogni sua
domanda.
5 Ambiente. Bonifica siti di interesse nazionale. Istruttoria obbligatorietà.
la giurisprudenza assolutamente prevalente è nel senso che le norme
appena citate non consentono all'Amministrazione procedente di imporre ai
privati che non abbiano alcuna responsabilità, né diretta, né indiretta
sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali
proprietari o gestori o addirittura in ragione della mera collocazione
geografica del bene, l'obbligo di bonifica di rimozione e di smaltimento dei
rifiuti e, in generale, della riduzione al pristino stato dei luoghi che è
posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento, che le autorità
amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare. Ai fini della
responsabilità in questione è perciò necessario che sussista e sia provato,
attraverso l'esperimento di adeguata istruttoria, l'esistenza di un nesso di
causalità fra l'azione o l'omissione e il superamento - o pericolo concreto ed
attuale di superamento - dei limiti di contaminazione, senza che possa venire
in rilievo una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o
al possessore dell'immobile meramente in ragione di tale qualità (cfr. Cons.
Stato sez. VI 18 aprile 2011, n. 2376; id., Sez. V, 19 marzo 2009, n. 1612;
T.A.R Campania, Napoli, sez. V, 1 marzo 2012, n. 1073; T.A.R. Toscana, sez. II,
3 marzo 2010, n. 594; id. 1 aprile 2011, n. 565).
Nel sistema sanzionatorio ambientale, il proprietario del sito
inquinato è senza dubbio soggetto diverso dal responsabile dell'inquinamento.
Mentre su quest'ultimo gravano, oltre altri tipi di responsabilità da illecito,
tutti gli obblighi di intervento, di bonifica e lato sensu ripristinatori,
previsti dal Codice dell'ambiente (in particolare, dagli artt. 242 ss.), il
proprietario dell'immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni
coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze
della constatata contaminazione dovendo egli, infatti, attuare le misure di
prevenzione di cui all'art. 242, nonché potendo sempre attivare volontariamente
gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale.
Più in particolare, ciò significa che il proprietario, ove non sia
responsabile della violazione, non ha l'obbligo di provvedere direttamente alla
bonifica, ma solo l'onere di farlo se intende evitare le conseguenze derivanti
dai vincoli che gravano sull'area sub specie di onere reale e di privilegio
speciale immobiliare (ex multis, Cons. Stato sez. V, 5 settembre 2005, n.
4525).
Nel caso all'esame, emerge dagli atti istruttori delle conferenze di
servizio l'insufficienza delle indagini eseguite e poste a fondamento
dell'obbligo della deducente di procedere alla messa in sicurezza d'emergenza
della falda acquifera del sito in questione, nonché la contraddittorietà della
condotta dell'Amministrazione procedente.
Anche a prescindere dal repentino mutamento della condotta del
Ministero, inizialmente incline a procedere in maniera congiunta e coordinata,
previo approfondimento delle indagini istruttorie, all'attività di messa in
sicurezza di emergenza, e poi determinatosi a omettere, senza alcuna motivazione
lo svolgimento dell'istruttoria commissionata a Sviluppo Italia, va posto in
evidenza che nei provvedimenti non vengono individuati collegamenti fattuali
tra l'attività svolta dalla ricorrente (che, si rammenta, si occupa di
stoccaggio e movimentazione di metanolo) e le fonti della contaminazione
rilevate. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/09/2012 n. 1551
6 Ambiente. Bonifica siti di interesse nazionale Competenza.
Il decreto di recepimento delle determinazioni conclusive della
conferenza di servizi decisoria relativa ad un sito di bonifica di interesse
nazionale costituisce un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale e
non del Ministro, atteso che esso non concerne le scelte di fondo che la p.a. è
chiamata a compiere in materia di bonifica, avendo invece ad oggetto la
prescrizione di un singolo intervento di messa in sicurezza d'emergenza e, poi,
di bonifica (T.A.R. Toscana, sez. II, 25 novembre 2009, n. 2088).
L'art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 (applicabile al procedimento in forza
della disposizione transitoria di cui all'art. 265 d.lgs. n. 152 del 2006)
distingue tra atti ed attività di competenza del Ministro dell'Ambiente ed atti
e attività facenti capo al Ministero. Rientra ad es. tra i primi
l'individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (art.
252, comma 2, cit.), il che è del tutto logico, dovendo la suddetta
individuazione reputarsi atto attinente all'indirizzo politico-amministrativo
in materia di bonifica. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/09/2012 n. 1551.
La rilevanza politica di un tale atto risulta, del resto, confermata
dalla necessità dell'intesa con le Regioni interessate: intesa prescritta, per
l'appunto, dal comma 2 dell'art. 252. Si deve invece reputare che l'impugnato
decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisca un mero atto di
gestione, di competenza dirigenziale e non del Ministro, atteso che esso
certamente non concerne le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere
nel settore in esame (come ad es., la mappatura dei siti di interesse
nazionale), avendo invece ad oggetto la prescrizione di un singolo intervento
di messa in sicurezza d'emergenza e, poi, di bonifica.
Del resto, l'art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152 cit. attribuisce la
competenza per i procedimenti di bonifica di cui al precedente art. 242,
qualora abbiano ad oggetto i siti di interesse nazionale, "alla competenza
del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio": né una simile
espressione può esser considerata atecnica o comunque non voluta e casuale, poiché
essa si inserisce in una disposizione (l'art. 252 cit.) in cui, come accennato,
quando ci si vuole riferire alle competenze del Ministro dell'Ambiente, lo si
dispone espressamente, stabilendo che l'atto compete al "Ministro" e
non al "Ministero" (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 9 ottobre
2009, n. 1738).
7 Ambiente Bonifica da parte dell’amministrazione.
Il suindicato assetto normativo sul dovere di bonifica è stato
confermato dal vigente D. Lgs. 3.4.2006 n. 152, che pone l'obbligo di bonifica
in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno
l'onere di ricercare ed individuare (artt. 242 e 244 D. Lgs. 152/2006), mentre
il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati
hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica (art.
245).
Nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di
interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle
Amministrazioni competenti (art. 250), salvo, a fronte delle spese da esse
sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a
tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi
relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a
trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253).
Il complesso di questa disciplina, conforme al diritto comunitario,
appare ispirata al cosiddetto principio del "chi inquina paga.
Detto principio del "chi inquina paga" consiste, in
definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (c.d.ovvero costi sociali
estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la
compromissione ecologica illecita (.
Ciò, sia nel quadro di una logica risarcitoria ex "post
factum", che nel quadro di una logica preventiva dei fatti dannosi, poiché
il principio esprime anche il tentativo di internalizzare detti costi sociali e
di incentivare - per effetto del calcolo dei rischi di impresa - la loro
generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci.
Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante
quanto stabilito dalla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21
aprile 2004, "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e
riparazione del danno ambientale
Quando l'autorità competente
interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta
autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico
dell'operatore.
È inoltre opportuno che gli
operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno
ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale
danno.
Va quindi precisato che l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire
per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere
data in via diretta od indiretta, ossia mediante "presunzioni
semplici".
Ai sensi dell'art. 2727 c.c. (le presunzioni sono le conseguenze che la
legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato),
prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi
gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo
l'"id quod plerumque accidit", che sia verificato un inquinamento e
che questo sia attribuibile a determinati autori.
Ai sensi dell'art. 2729 del cod. civ. "le presunzioni non
stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve
ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti."
Né il difetto della prova testimoniale nel processo amministrativo (
arg. ex art. 2729 comma 2 cod. civ. ) esclude la possibilità per la pubblica
amministrazione di ricorrere a presunzioni semplici, poiché il canone
costituzionale dell'imparzialità della pubblica amministrazione e la previsione
del sindacato giurisdizionale sugli atti della medesima (artt. 97 e 113 Cost.)
nonché delle preventive garanzie procedimentali (artt. 3 e 7 della legge n. 241
del 1990) sono sufficienti per ritenere che vi sia un sistema equilibrato di
pesi e contrappesi, nel riconoscimento del potere (sindacabile) della p.a. di
ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini dell'adozione di provvedimenti
amministrativi sfavorevoli ai privati , anche a mezzo di presunzioni semplici
ove ciò sia imposto dalla natura degli accertamenti da espletare.
Il che, nella specie, porta ad escludere che il legislatore abbia
voluto introdurre una sorta di obbligazione "propter rem" di diritto
pubblico (in quanto funzionale al pubblico interesse e coercibile da parte
dell'amministrazione nell'ambito dei suoi poteri di polizia amministrativa) a carico
del proprietario o del titolare di un diritto reale sul fondo (ed estesa anche
ai titolari di un diritto personale di godimento, nel caso in cui il contenuto
di questo conferisca al suo titolare i poteri di disposizione necessari per
provvedere alla rimozione), con riferimento all'ipotesi in cui non sia stato
accertato il responsabile del deposito abusivo di rifiuti, e, cioè, qualora non
possa trovare applicazione la sanzione amministrativa ripristinatoria prevista.
Ed invero, soltanto nel caso in cui l'obbligazione ripristinatoria
fosse connessa alla mera titolarità del diritto sul bene (in tal senso
"propter rem"), a prescindere dalla sua responsabilità in ordine alla
formazione di un deposito abusivo attraverso l'abbandono di rifiuti, si
potrebbe pervenire alle conclusioni cui, nella specie, è pervenuto l'ente
locale, ma, poiché il legislatore ha positivamente stabilito l'inserimento
della colpa fra gli elementi costitutivi della fattispecie in discorso, se ne
trae sicura conferma della non condivisibilità dell'esegesi seguita dal Comune
intimato.
Né, al riguardo, vi è riferimento in atti o nel provvedimento impugnato
ad eventuali acquisizioni istruttorie e/o valutazioni compiute dall'ente locale
e dall'ARPA, anche ai fini della ricostruzione del nesso di causalità.
Infatti, nella specie, a fronte di inquinamenti conclamati ed
indiscutibili, non risulta alcun accenno ad eventuali circostanze indiziarie,
atte a far concludere per la sussistenza di un nesso causale fra la
contaminazione rilevata ed una qualche condotta comunque ascrivibile alla
ricorrente "A.N.A.S. spa", cui appartiene l'area interessata
dall'inquinamento, con la conseguenza che, nella specie, la bonifica del sito
potrà essere effettuata soltanto applicando correttamente il già indicato art.
250 del D. L.gvo n. 152 del 2006.
Ne consegue la condivisibilità delle doglianze svolte dalla parte
ricorrente, particolarmente sotto il profilo dell'insufficiente istruttoria e
del deficit motivazionale.
Risultano violate nella fattispecie le garanzie procedimentali, poiché
l'Amministrazione ricorrente è stata resa edotta del procedimento neanche
mediante la comunicazione ex art. 304 del D. L.gvo n. 152 del 2006, per cui va
accolta anche la censura inerente la violazione delle regole del contraddittorio
procedimentale.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e merita accoglimento e,
per l'effetto, va annullato l'impugnato provvedimento. T.A.R. Calabria
Catanzaro, sez. I 18/09/2012 n. 954.
Nell'ipotesi di mancata individuazione del responsabile del danno
ambientale, le opere di recupero dell'ambiente sono eseguite
dall'Amministrazione competente ai sensi dell'art. 250 del d.lg. n. 152 del
2006, fatta salva, a fronte delle spese sostenute, l'esistenza di un privilegio
speciale immobiliare sul fondo a tutela del credito. Consiglio di Stato, sez.
VI, 18/07/2012, n. 2826.
In base all'interpretazione complessiva del disposto degli art. 244,
245, 250 e 253 del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, si desume che, nell'ipotesi in
cui il responsabile dell'inquinamento non esegua gli interventi di bonifica
ambientale o lo stesso non sia individuabile da parte dell'Amministrazione
pubblica, e sempre che non vi provvedano volontariamente né il proprietario del
sito, né altri soggetti interessati, le opere di bonifica ambientale devono
essere eseguite dalla p.a. competente, che ha il diritto di rivalersi sul
soggetto proprietario del sito nei limiti del valore dell'area bonificata,
anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti
sul terreno oggetto dei medesimi interventi. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I,
16/12/2011, n. 1239.
8 Ambiente. Ordinanza . Annullamento
Uno degli strumenti messi a disposizione per la bonifica e il
ripristino di siti contaminati è quello dell'ordinanza da emanare ai sensi
dell'art. 244 del d.lgs 152/06, la quale è stata appunto impiegata dalla
amministrazione intimata .
L'asse portante del sistema normativo degli interventi in questione è
costituito dal principio di matrice comunitaria " chi inquina paga",
richiamato dalla norma che apre il titolo dedicato alla bonifica dei siti
contaminati nel contesto del cd codice dell'ambiente.
Il principio chi inquina paga deve essere posto a base , in
particolare, di interventi come quello divisato dall'amministrazione
provinciale perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo
preventivo il quale si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto
altrui.
È questo il senso della norma in forza della quale la provincia può
emanare l'ordinanza ex art. 244 d.lgs 152/06 " dopo aver svolto opportune
indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento
".
Il potere di ordinanza affidato all'ente provinciale poggia dunque
sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un
sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella
sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito
perché ciò vuol dire aprire uno spiraglio ad un regime di autentica
responsabilità oggettiva.
È dunque necessario che il proprietario del sito sia chiamato in causa
solo quando emergono profili quantomeno di compartecipazione colposa alla
condotta inquinante .
Nella specie è invece accaduto che l'ordine di attuare misure di
prevenzione e di varare un piano di caratterizzazione è stato notificato al ricorrente
" in qualità di soggetto titolare dell'area , in passato destinata ad
attività estrattiva, all'interno della quale sono stati smaltiti , senza la
prevista autorizzazione , rifiuti speciali e che, in relazione a quanto
riportato in narrativa, che qui si intende interamente riportato, " hanno
determinato una condizione di potenziale stato di inquinamento dell'area con
particolare riferimento alle acque di falda"
Ma il riferimento alla titolarità passata di una attività estrattiva ,
sul quale l'amministrazione provinciale mostra di fare assegnamento per
individuare la possibile fonte di corresponsabilità, non è assolutamente
sufficiente .
Non si tiene conto, infatti, di alcune importanti circostanze che sono
emerse nel corso della attività istruttoria : a) l'attività estrattiva mettente
capo alla s.r.l. è stata dismessa da circa un decennio; la tipologia di rifiuto
rinvenuta nel sito appare riconducibile ad altro genere di attività produttiva;
c) i carabinieri , nel rapporto che ha dato origine alla attività
amministrativa controversa , hanno evidenziato che i rifiuti sono stati
rinvenuti lungo una scarpata posta al confine con un impianto di produzione di
conglomerato bituminoso; d) l'inquinamento della sottostante falda acquifera
appare, a sua volta, riconducibile, in relazione alla localizzazione del sito
contaminato, a rifiuti ben diversi da quelli provenienti da una attività
imputabile alla s.r.l.
Si può perciò ritenere che la s.r.l. sia stata chiamata in causa
effettivamente a titolo di responsabilità solidale ma oggettiva e, cioè
poggiante esclusivamente sulla qualità di ente proprietario del sito
contaminato.
Ciò è però contrario ai principi e alle regole che , come si è cercato
di spiegare, caratterizzano l'esercizio della potestà di ordinanza ex art. 244
del codice ambiente. Ne deriva che la stessa ordinanza impugnata è illegittima
e va annullata. T.A.R. Puglia Lecce, sez. I 02/11/2011 n. 1901.
In base al disposto degli art. 242 e 244, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152,
l'obbligo di bonifica di un sito è posto in capo al responsabile
dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare e
di individuare, mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o
altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di
bonifica. Il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la
contaminazione riscontrata deve essere accertato applicando la regola
probatoria del "più probabile che non": pertanto, il suo positivo
riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, quali la tipica
riconducibilità dell'inquinamento rilevato all'attività industriale condotta
sul fondo. T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 13/05/2011, n. 318.
9 Ambiente. Bonifica siti inquinati . Rivalsa sul proprietario incolpevole.
In base all'interpretazione complessiva del disposto degli art. 244,
245, 250 e 253 del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, si desume che, nell'ipotesi in
cui il responsabile dell'inquinamento non esegua gli interventi di bonifica
ambientale o lo stesso non sia individuabile da parte dell'Amministrazione
pubblica, e sempre che non vi provvedano volontariamente né il proprietario del
sito, né altri soggetti interessati, le opere di bonifica ambientale devono
essere eseguite dalla p.a. competente, che ha il diritto di rivalersi sul
soggetto proprietario del sito nei limiti del valore dell'area bonificata,
anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti
sul terreno oggetto dei medesimi interventi. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I,
16/12/2011, n. 1239.
A carico dell'incolpevole proprietario di un'area inquinata non incombe
alcun obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza ed emergenza,
ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da
pesi, tenendo presente che dal combinato disposto degli artt. 244, 245, 250 e
253 D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152 si ricava che, nell'ipotesi di mancata
esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento,
ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano
volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le
opere di recupero ambientale devono essere eseguite dalla pubblica
amministrazione competente, che può rivalersi sul soggetto responsabile nei
limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non
vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi
interventi (cfr Cons. Stato, V Sez., 16/6/2009 n. 3885; T.A.R. Toscana, II
sez., 3/3/2010, n. 594).
Nel caso di specie non è stata compiuta alcuna verifica tesa ad
individuare il responsabile dell'inquinamento, mentre l'ordine di porre in
essere misure di messa in sicurezza d'emergenza risulta posto a carico della
ricorrente sulla base del solo fatto che la medesima fosse, all'epoca
dell'adozione dell'impugnato decreto ministeriale, proprietaria dell'area
contaminata;
10 Ambiente. Bonifica siti inquinati .
Anche il mare e il fondo marino rientrano novero dei siti che possono
essere oggetto di bonifica al verificarsi delle condizioni previste dalla
legge, né potrebbe ammettersi che gli stessi assumano rilevanza solo in
presenza di siti di interesse nazionale.
T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 29/06/2012, n. 907.
L'art. 240 comma 1 lett. a) d.lgs. 152/06 definisce il sito come:
"l'area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata,
intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiali di riporto,
sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture
edilizie e impiantistiche presenti".
Tale nozione appare unitaria e riferibile all'intero ambito della
disciplina di riferimento, con la conseguenza che il concetto di sito resta
invariato pur a fronte delle diverse qualificazioni che lo stesso può assumere
(di interesse nazionale o meno).
Tale dato è confermato dall'art. 252 comma 1 d.lgs. 152/06 secondo il
quale: "I siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono
individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e
pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente
circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio
per i beni culturali ed ambientali", con ciò evidenziando come la nozione
di sito non cambi ma siano solo le caratteristiche dello stesso a ricondurlo
alla categoria di sito interesse nazionale.
La normativa relativa ai siti di interesse nazionale rende evidenti
come nell'ambito degli stessi sia ricompreso anche il mare ed i suoi fondali.
In questo senso depongono l'art. 252, comma 2 lett. b) d.lgs. 152/06
che stabilisce che: "a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree
e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale".
In questo senso depone anche l'art. 5 comma 11 - bis l. 84/1994,
introdotto dall'art. 1 l. 27 dicembre 2006 n. 296 ( rilevante ratione temporis
per la fattispecie) secondo cui:"Nei siti oggetto di interventi di
bonifica di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, il cui perimetro comprende in tutto o in parte la
circoscrizione dell'Autorità portuale, le operazioni di dragaggio possono
essere svolte anche contestualmente alla predisposizione del progetto relativo
alle attività di bonifica".
Le norme trascritte sono chiare nel ricomprendere anche nel mare e nei
suoi fondali nel concetto di sito. Conseguentemente, stante l'unitarietà della
nozione di sito sopra richiamata, non potrebbe ammettersi che il mare e i suoi
fondali assumano rilevanza solo in presenza di siti di interesse nazionale.
Simile contraddizione oltre ad essere contraria alla lettera della
norma - deve, infatti, rilevarsi come la lettera dell'art. 240 d.lgs. 152/06
non escluda di per se il mare dal novero dei siti - sarebbe irragionevole.
Peraltro l'inclusione del mare e dei suoi fondali nel novero dei siti
potenzialmente oggetto di procedure di bonifica è conforme alla disciplina
comunitaria.
L'art. 2 della direttiva 21 aprile 2004 n. 35/2004/ CE in materia di
danno ambientale ricomprende nel concetto di danno ambientale anche il danno
alle acque così come definite dalla direttiva 23 ottobre 2000 n. 2000/60/CE
che, a sua volta, ricomprende le acque costiere.
11 Ambiente. Bonifica siti inquinati . Responsabilità del proprietario.
La giurisprudenza amministrativa ha più volte avuto modo di affermare ( T.A.R.
Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665), tanto la disciplina di cui al d.lgs.
n. 22/1997 (in particolare, l'art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal
d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al
principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che
definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico
unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato
causa a titolo di dolo o colpa: l'obbligo di bonifica o di messa in sicurezza
non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni
sua responsabilità. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/10/2012 n. 1664.
L'Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano
alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che
vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle
attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente
disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320).
L'enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui
si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato
CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di
sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto,
confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd.
Codice Ambiente), dai quali si desume l'addossamento dell'obbligo di effettuare
gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al
responsabile dell'inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il
proprietario ovvero il gestore dell'area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II,
n. 665/2009, cit.).
Il principio "chi inquina, paga" vale, altresì, per le misure
di messa in sicurezza d'emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di
Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è
fornita dall'art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni
intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni
di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini
di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di
contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a
rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa
in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l'adozione delle misure di
messa in sicurezza d'emergenza è addossata dalla normativa in discorso al
soggetto responsabile dell'inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell'area inquinata,
che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non
incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la
facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi. Dal
combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava
infatti che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in
esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione
dello stesso - e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri
soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A.
competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore
dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine,
le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R.
Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398).
Gli art. 240 ss. del d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 non consentono all'Amministrazione
di imporre ai privati non responsabili del fenomeno contestato, individuati
solo quali proprietari o gestori o in ragione della mera collocazione
geografica del bene, l'obbligo di porre in essere interventi di messa in
sicurezza di emergenza, di rimozione e di smaltimento di rifiuti e, in
generale, di riduzione al pristino dello stato dei luoghi, essendo tale obbligo
posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento che le Autorità
hanno l'onere di ricercare e individuare. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II,
19/09/2012, n. 1551.
12 Ambiente. Bonifica siti inquinati .
In mancanza di un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo
luogo, la natura inquinante del granulato plastico effettivamente utilizzato
per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi
imporrebbe - ai sensi dell'art. 239, comma 2. lett. a) d.lg. n. 152 del 2006 -
di procedere alla caratterizzazione dell'area in funzione di eventuali
interventi di bonifica e ripristino ambientale appaiono illegittimi i
provvedimenti adottati dal Comune che ha previsto, previa delimitazione
dell'area, la rimozione e lo smaltimento del materiale presso una discarica
autorizzata. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 24/11/2009, n. 5144
Il processo ha evidenziato la
carenza di istruttoria in ordine alla natura del materiale impiegato che non
avrebbe dovuto essere classificato come rifiuto, dato che rientrerebbe nel
novero delle materie prime secondarie.
Non potrebbe assumere a tale proposito valore dirimente la verifica
effettuata dall'ARPA di Bergamo due anni dopo l'acquisto del materiale da parte
della ricorrente su materiale diverso che avrebbe avuto in comune con il
precedente soltanto la provenienza.
Come già affermato con riferimento al
granulato plastico prodotto dal ricorrente- gli accertamenti effettuati
dall'ARPA, che hanno fondato in provvedimenti impugnati, hanno riguardato
materiale diverso rispetto a quello utilizzato dalla ricorrente, visto che le
analisi sono state effettuate circa due anni dopo il suo acquisto e non hanno
riguardato quello utilizzato presso la sede dell'Azienda.
Ne consegue che, "in mancanza di un accertamento tecnico volto ad
appurare, in primo luogo, la natura inquinante del granulato plastico
effettivamente utilizzato per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei
valori che in ipotesi imporrebbe - ai sensi dell'art. 239, comma 2, lettera a),
del decreto legislativo n. 152/06 - di procedere alla caratterizzazione
dell'area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino
ambientale" appaiono illegittimi i provvedimenti adottati dal Comune che
ha previsto, previa delimitazione dell'area, la rimozione e lo smaltimento del
materiale presso una discarica autorizzata (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV,
27 luglio 2009, n. 4464).
Nessun commento:
Posta un commento