1. Codice
ambiente. Parte V Titolo I Prevenzione e
missioni in atmosfera.
Ambiente. Emissioni . Reato per l'assenza della prescritta
autorizzazione .
Il reato di cui all'art. 279, d.lg. n. 152/2006 (per
l'assenza della prescritta autorizzazione) prevede, quale presupposto, non la
generica possibilità, ma la concreta attività di produzione delle emissioni da
parte dell'impianto. L'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art.
279 per l'emissione in atmosfera di sostanze (pericolose o non) in assenza di
autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da
parte dell'impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità
produttiva di emissioni inquinanti, per cui sussiste l'obbligo
dell'autorizzazione di cui al d.lg. n. 152/2006, art. 269, soltanto in
relazione agli stabilimenti che producono effettivamente emissione in atmosfera
con esclusione di quelli che sono solo potenzialmente idonei a produrre
emissioni. È necessario, quindi, per la configurabilità del superamento dei
valori limite stabiliti dalla legge, che le emissioni siano effettivamente
sussistenti.
Più di recente è stato ribadito che l'affermazione di
responsabilità per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279 per
l'emissione in atmosfera di sostanze (pericolose o non) in assenza di
autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da
parte dell'impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità
produttiva di emissioni inquinanti, per cui, come si precisa in motivazione,
"sussiste l'obbligo dell'autorizzazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006,
art. 269, soltanto in relazione agli stabilimenti che producono effettivamente
emissione in atmosfera con esclusione di quelli che sono solo potenzialmente
Idonei a produrre emissioni" (Cass.pen. Sez. 3 n.53477/2011). E'
necessario, quindi, per la configurabilità del reato, pur non richiedendosi il
superamento del valori limite stabiliti dalla legge, che le emissioni siano
effettivamente sussistenti (così anche Cass.pen. Sez. 3 n.48474 del 19.7.2011).
Il Tribunale, pur con i limitati poteri del riesame, ha
omesso ogni accertamento in ordine alle effettive emissioni in atmosfera da
parte dell'impianto esistente nell'officina del ricorrente, essendosi limitato
ad affermare, in modo apodittico, con il richiamo della CNR dei Carabinieri,
che la cabina di verniciatura e la saldatrice risultavano "accesi ed
operativi".
Altrettanto
apodittica è la motivazione in ordine alla dedotta (al fini e per gli effetti
previsti dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 281) preesistenza dell'impianto,
avendo il Tribunale "liquidato" la documentazione prodotta con un
"..non appare per certo riferibile a quanto sequestrato..". Rimanendo
assorbita ogni altra doglianza, l'ordinanza impugnata va annullata. Cassazione
penale, sez. III, 15/11/2012, n. 46835.
In tema di
inquinamento atmosferico, la realizzazione di uno stabilimento in difetto di
autorizzazione integra un reato permanente di pericolo per la cui sussistenza
non è richiesto che l'attività inquinante abbia avuto effettivamente inizio,
essendo sufficiente la sola sottrazione delle attività al controllo preventivo
degli organi di vigilanza.
Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto integrato il
reato in relazione ad un impianto anaerobico destinato alla produzione di
biogas senza autorizzazione, benché non fosse stata accertata l'effettiva
attività di emissione in atmosfera.
Il ricorrente ha
affermato che difettano gli estremi del reato in quanto non risultava
certa l'esistenza di emissioni allorchè l'impianto fosse giunto a regime e, al
contrario, trattandosi di impianto anaerobico risulterebbe provata l'assenza di
emissioni.
L'assunto non può essere accolto. La complessità di un
impianto che utilizza masse che producono gas richiede che le autorità
competenti siano messe in grado di accertane le caratteristiche e di verificare
l'esistenza di garanzie circa l'assenza di emissioni a regime o anche solo
eventuali; in tal senso debbono interpretarsi le disposizioni citate, che
escludono che possa essere consegnata all'imprenditore la scelta se avviare o
meno la procedura autorizzativa. E' pacifico, infatti, che quello in parola
deve essere qualificato come reato di pericolo (per tutte: Sez. 3, n. 10885
dell'1/2/2002, Magliulo, rv 221267) a natura permanente. Il che significa che
l'ipotesi incriminatrice viene integrata dalla sola sottrazione delle attività
al controllo preventivo degli organi di tutela, avendo il legislatore inteso
anticipare l'intervento a tutela dei beni collettivi in tutti i casi in cui un
impianto di produzione è destinato a produrre fisiologicamente o anche solo
potenzialmente emissioni in atmosfera. Il ricorso deve essere pertanto respinto
Cassazione penale, sez. III, 24/10/2012, n. 192.
Ambiente. Emissioni. Prescrizioni.
Nell’ambito delle prescrizioni relative alle industrie
insalubri non è possibile equiparare la fase di lavaggio delle attrezzature
alla pulizia delle superfici, giacché quest’ultima e non la prima è soggetta
alle disposizioni di cui all’art. 275 d.lg. 152 del 2006.T.A.R. Campania
Napoli, sez. V, 28/05/2009, n. 2987.
Nella fattispecie il Collegio ritiene di dover
preliminarmente sottolineare come nella fattispecie rilevi l'applicazione
dell'istituto della conferenza di servizi quale peculiare strumento di
programmazione negoziata di quelle decisioni amministrative dirette ad incidere
il profilo pianificatorio di un determinato ambito territoriale; si tratta
dell'istituto ove si acquisiscono, nel quadro di un ampio coordinamento
strutturale, gli interessi pubblici coinvolti in un dato procedimento onde
provvedere all'esame contestuale degli stessi (c.d. conferenza di servizi
istruttoria), oppure ove l'Amministrazione procedente acquisisce intese,
concerti, nulla osta o assensi di altre Amministrazioni interessate nel
procedimento, con conseguente adozione di una determinazione che, esprimendo
una semplificazione per concentrazione del procedimento stesso, si sostituisce
ai predetti, singoli atti (c.d. conferenza di servizi decisoria).
Nella fattispecie in esame si è appunto in presenza di una
conferenza di servizi decisoria in esito alla quale è stata adottata
l'impugnata diffida del 18/7/2008 dall'utilizzo dell'acetone, pena le sanzioni
di cui agli artt. 278 e 279 del Decr. Legisl. n. 152/2006.
In sede di consulenza tecnica è stato appurato che tutti i
camini monitorati, relativamente a stirene, acetone e polveri totali,
presentano un'efficienza superiore al 90% così come previsto dalla normativa di
riferimento di cui al Decr. Legisl. n. 152/2006; analogamente le concentrazioni
di stirene, di acetone e di polveri totali hanno mostrato sempre valori
inferiori a quelli previsti dal citato Decr. Legisl, così come nell'aria
outdoor sono state riscontrate quantità dosabili di acetone e di stirene in
tutti i punti campionati all'interno della perimetrale della ricorrente.
La divergenza, quanto a parametri fluodinamici e dati di
abbattimento tra i rilievi effettuati da organismi terzi e quelli eseguiti dall'ARPAC,
può in parte giustificarsi con la variabilità connessa ai molteplici fattori di
confondi mento di base connessi al momento in cui vengono effettuati i rilievi;
in ogni caso l'acetone non è tossico per la salute umana e viene utilizzato
dalla Ditta solo per il lavaggio delle attrezzature.
Tali conclusioni persuadono il Collegio circa l'infondatezza
delle prescrizioni che l'Amministrazione ha inteso intimare, talvolta entrando
in contraddizione con se stessa, come con riguardo alle emissioni di stirene
che erano state ritenute inizialmente nella norma . Il Tribunale trae analoga
considerazione anche con riguardo alla pretesa dell'Amministrazione di far
rientrare la fase di lavaggio delle attrezzature posta in essere da parte
ricorrente tra quelle che, come la pulizia di superfici, rientrano nel ciclo
produttivo per cui si applica l'art. 275 del Decr. Legisl. n. 152/2006, laddove
invece la Ditta aveva dimostrato di non
esercitare alcuna delle attività di cui all'Allegato III alla Parte III del
citato Decr. Legisl. e di non essere assoggettabile all'ex direttiva solventi;
del resto la stessa consulenza tecnica ha evidenziato la non necessità sia di
mettere in servizio i nuovi silos di stoccaggio della resina, fino alla
riduzione delle emissioni di stirene, sia di imporre prescrizioni al calcolo di
efficienza dei filtri a carboni attivi utilizzati da parte ricorrente.
In definitiva tutti i camini della ricorrente sono risultati
in grado di funzionare in modo regolare se in linea con la normativa vigente,
nella misura in cui appaiono soddisfatti i parametri manutentivi e la verifica
dei sistemi di abbattimento, così come parte ricorrente può utilizzare
l'acetone; restano fatti salvi eventuali, ulteriori provvedimenti che
l'Amministrazione riterrà di adottare al fine della realizzazione da parte
della Ditta di un efficiente sistema di compartimentalizzazione, captazione e
convogliamento. Per questi motivi il ricorso, per come proposto anche
attraverso motivi aggiunti, va accolto
Ambiente. Emissioni . Diffida per rispetto dei parametri.
Nella fattispecie viene impugnata una diffida con cui
l'amministrazione invita la ditta ricorrente al rispetto dei parametri previsti
dall'autorizzazione integrata ambientale, sulla base del monitoraggio continuo
effettuato sull'impianto in questione; si tratta quindi di un provvedimento
basato su precisi accertamenti tecnici e che risulta dannoso per la società
ricorrente unicamente ove non venga rispettato. A sua volta, l'autorizzazione
integrata ambientale, non contestata dalla ditta ricorrente al momento della
sua emanazione, appare espressione del principio di precauzione stabilito dalla
normativa europea, per la tutela dell'ambiente e quindi in ultima analisi per
la difesa della salute umana, valore questo che nella gerarchia dei principi
costituzionali viene collocato al vertice. In questa luce, si sottolinea come
l'attività economica, libera sulla base della nostra costituzione, deve
necessariamente tener conto della suo impatto sociale e quindi sull'ambiente.
Ne consegue come l'attività economica non possa che svolgersi nel pieno
rispetto delle normative di tutela ambientale e in particolare di quelle
specifiche per le lavorazioni in questione. La diffida in esame va quindi
inquadrata in quelle attività amministrative che implicano un rapporto non solo
di controllo ma in ultima analisi di continua collaborazione tra pubblico e
privato, al fine di tutelare l'ambiente e la salute, in piena e concreta
applicazione dei principi europei e costituzionali.
Ciò premesso il ricorso va esaminato in dettaglio.
Innanzi tutto va osservato che l'articolo 275,
quattordicesimo comma, del codice dell'ambiente indica una serie di ipotesi
specifiche di non applicabilità dei limiti di emissione, collegate tutte a casi
di funzionamento anomalo, guasti ovvero situazioni di avvio e arresto
dell'impianto, eventi tutti eccezionali e di stretta interpretazione. Nel caso
in esame la gestione era di tipo ordinario (né viene dimostrato il contrario) e
non rientrante in nessuna delle ipotesi sopra indicate. La gestione ordinaria
pertanto non rientra nell'ipotesi che consentono una deroga alle limitazioni.
Con la prima censura parte ricorrente contesta la violazione
dell'articolo 29 decies del codice dell'ambiente; invero, ad avviso di questo
collegio, la norma consente all'autorità preposta al controllo di suggerire
all'autorità emanante, nel caso la regione, di imporre qualsiasi tipo di misura
atta a rimediare agli inconvenienti riscontrati. Nel caso in esame le misure da
adottare sono state indicate dall'ARPA in quelle poi trasfuse nella diffida,
laddove non si tratta di vere e proprie sanzioni ma d'indicazioni cogenti e
necessarie per rimediare alla situazione di inquinamento, situazione che in via
di fatto non viene contestata dalla ditta ricorrente.
Le prescrizioni gravate, infatti, di semplice e intuitiva
attuazione, rientrano a tutta evidenza nelle indicazioni previste
dall'autorizzazione integrata ambientale AIA.
Con altra censura si contesta che non sarebbe stato dato un
congruo preavviso rispetto alla diffida.
Nello specifico caso in esame la diffida non è altro che un
invito a porre in essere alcune azioni per rimediare alla situazione di
potenziale inquinamento che per sua natura appare di natura urgente, proprio
per evitare l'aggravarsi delle situazioni. Delle tre possibilità previste dalla
norma, la diffida, la diffida con sospensione dell'attività e la revoca
dell'autorizzazione integrata ambientale, la prima, quella adottata nel caso in
esame, appare la meno gravosa per la ditta interessata e si sostanzia non tanto
in una sanzione, come tale dannosa, ma in un invito a provvedere in via di
urgenza.
Con ulteriore censura la ditta si lamenta della mancanza
d'istruttoria e della violazione dei principi sul buon andamento, logicità e
razionalità dell'attività amministrativa.
La gestione ordinaria di un impianto non rientra nelle
ipotesi individuate dall'art. 275 comma 14, Codice dell'ambiente, che
consentono una deroga alle limitazioni di emissione. T.A.R. Friuli Venezia
Giulia Trieste, sez. I, 09/04/2013, n. 230.
Nella fattispecie con
l'atto gravato viene semplicemente imputato alla ditta di aver sforato i limiti
di emissione previsti, fatto questo non contestato in causa. Del resto, quello
che viene imposto alla ditta non appare certo gravoso e comunque risulta in
linea con quanto previsto dall'autorizzazione integrata ambientale.
Un'altra doglianza effettua una distinzione tra le
prescrizioni autorizzatorie e le prescrizioni semplici, le quali ultime non
consentirebbero l'intervento sanzionatorio da parte della regione.
Anche questa censura non coglie nel segno, sia in quanto la
distinzione risulta priva di riscontro normativo, sia ove si ponga mente che
l'autorizzazione AIA prevede precise indicazioni sui limiti delle emissioni in
atmosfera; ed è proprio sulla violazione di tali prescrizioni che si fonda la
diffida qui impugnata, la quale in sostanza altro non fa che richiamare, a
fronte di una situazione contingente e monitorata, al rispetto degli obblighi
derivanti dalla legge e dall'autorizzazione stessa.
In altri termini il semplice rispetto del contenuto
dell'autorizzazione, letta nella sua interezza e interpretata alla luce della
normativa, consente alla ditta di evitare ulteriori e ben più gravi sanzioni,
semplicemente ponendo in essere alcuni semplici e non gravosi interventi. Per tutte le su indicate ragioni il ricorso
va rigettato
Ambiente. Autorizzazione per l'attività di falegnameria.
Integra il reato di cui agli art. 269, 272, 279, comma 1,
d.lg. n. 152 del 2006, la mancanza di autorizzazione per l'attività di
falegnameria riferita all'emissione in atmosfera di polveri, fumi o vapori.
Cassazione penale, sez. III, 11/07/2012, n. 43148.
La violazione della norma incriminatrice si desume, nel caso
in esame, dalla semplice circostanza, pacifica in atti, che l'attività
dell'imputato fosse priva di qualsivoglia autorizzazione (ordinaria o in forma
semplificata) alle emissioni in atmosfera e fosse una falegnameria che svolgeva
l'attività di verniciatura (a nulla rilevando eventuali peculiarità delle
tecniche di verniciatura utilizzate) e che produceva polveri che venivano
immesse nell'atmosfera.
La circostanza se l'autorità amministrativa abbia mai
adottato l'autorizzazione generale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 272,
che avrebbe consentito all'attività di falegnameria di essere autorizzata con
procedura semplificata anzichè nelle forme ordinarie, è, dunque, del tutto
irrilevante, perchè ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, comma 1, è
sanzionata penalmente l'assenza della prescritta autorizzazione, sia essa
quella rilasciata con procedura semplificata, per le attività oggetto di
autorizzazione generale, sia essa - a fortiori - quella ordinaria, per le
attività che non sono oggetto di autorizzazione generale.
Del tutto irrilevante, poi, risulta l'invocato accertamento
dell'effettivo superamento dei valori limite di emissione, non essendo tale
superamento oggetto di contestazione nel caso di specie, in cui si controverte
- come visto - sulla violazione costituita dalla semplice mancanza
dell'autorizzazione. La sussistenza di tale violazione non sarebbe, infatti,
esclusa neanche se l'imputato fornisse la prova positiva del mancato
superamento dei valori limite, trattandosi di una fattispecie contravvenzionale
diretta a garantire l'effettività dei controlli preventivi in materia di
inquinamento atmosferico.
Ambiente. Emissioni. Comunicazione all’Autorità .
Ai fini della norma di cui all'art. 272, comma 1, ultima
parte, d.lg. 152 del 2006 ed in relazione agli impianti ed alle attività elencate
nella parte 1 dell'allegato IV del citato decreto - impianti attinenti ad
emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico -
l'Autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i
gestori comunichino alla stessa o ad altra Autorità da questa delegata, in via
preventiva, la data di messa in esercizio dell'impianto o di avvio
dell'attività. Cassazione penale, sez. III, 12/01/2011, n. 5344.
Nella fattispecie è
stato contestato a B.A. il reato di cui all'art. 279, comma 3, in relazione al
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 272, comma 1, per avere, in qualità di
rappresentante legale della ditta messo
in esercizio l'attività di officina meccanica dalla quale derivavano emissioni
in atmosfera, senza averne dato la preventiva comunicazione alla competente
Autorità Amministrativa. Il Gup del Tribunaleha affermato la responsabilità
penale del B., rilevando: a) che la ditta in esame svolgeva l'attività di
riparazione di veicoli, dalla quale derivavano emissioni scarsamente rilevanti
agli effetti dell'inquinamento atmosferico; b) che - pur non sussistendo
l'obbligo dell'autorizzazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269, comma
1, - era comunque necessaria una comunicazione preventiva dell'avvio di
attività o di messa in esercizio, comunicazione che nella fattispecie non era
stata effettuata, con conseguente sussistenza della contravvenzione di cui al
citato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, comma 3.
Tanto premesso sui termini essenziali della vicenda in
esame, si osserva che la motivazione della sentenza è carente ed insufficiente
ai fini della declaratoria di responsabilità penale dell'imputato.
All'uopo va evidenziato che - ai fini della norma di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 272, comma 1, ultima parte, ed in relazione agli
impianti ed alle attività elencate nella parte 1 dell'allegato 4^ del citato
Decreto; impianti attinenti ad emissioni scarsamente rilevanti agli effetti
dell'inquinamento atmosferico - l'Autorità competente può prevedere, con
proprio provvedimento generale, che i gestori comunichino alla stessa o ad
altra Autorità da questa delegata, in via preventiva, la data di messa in
esercizio dell'impianto o di avvio dell'attività.
Orbene, nella fattispecie in esame - rientrante nella
predetta ipotesi di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 272, comma 1, ultima
parte, - si rileva che il Gup non ha indicato il provvedimento generale emesso
dall'Autorità competente ai fini dell'obbligo - nei confronti dei gestori degli
impianti - della comunicazione preventiva di messa in esercizio dell'impianto o
di avvio dell'attività.
Trattasi di carenza insanabile di motivazione che rende necessaria una nuova valutazione nel merito. Va annullata, pertanto, la sentenza del Gup del Tribunale.
2. Ambiente . Autorizzazione emissioni in atmosfera. Reato. Soggetto attivo.
La contravvenzione prevista dall'art. 279 d.lg. 3 aprile
2006 n. 152 è un reato proprio riferibile al "gestore dell'attività"
da cui provengono le emissioni, quale soggetto obbligato a richiedere
l'autorizzazione ai sensi dell'art. 269 del citato d.lg.
Nella fattispecie il giudice del merito, nella parte motiva
della sentenza, ha ritenuto che la responsabilità penale dell'imputato
sussistesse comunque, attribuendo particolare rilievo al rapporto di coniugio
con la S., titolare dell'impresa, ed alla titolarità del fondo e dell'opificio
in capo al P. stesso. La motivazione sul punto è, tuttavia, carente. Occorre
infatti considerare che in caso di mancata richiesta di autorizzazione alle
emissioni in atmosfera, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279 prevede la sanzione
dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da Euro 258 a Euro 1032, nei
confronti di chi installa un impianto o chi esercita un'attività in assenza
della prescritta autorizzazione, ovvero continua l'esercizio dell'impianto o
dell'attività con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa, revocata. Poichè
tale reato è riferibile al "gestore dell'attività" da cui provengono
le emissioni, quale soggetto obbligato a richiedere l'autorizzazione (D.Lgs. n.
152 del 2006, art. 269), era necessario accertare se, in concreto, il P. si
fosse occupato dell'attività produttiva svolta nell'opificio e,
consapevolmente, abbia contribuito alla mancata richiesta dell'autorizzazione
all'emissione prevista dalla legge, dovendo, in caso contrario, essere esclusa
la relativa responsabilità penale. Tale vizio motivazionale impone, pertanto,
l'annullamento della decisione impugnata Cassazione penale, sez. III,
11/01/2012, n. 27260
3. Ambiente . Autorizzazione emissioni in atmosfera. Reato. Modifica dell'impianto.
A seguito delle modifiche apportate al D.Lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, art. 269 dal D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128, art. 3, comma 3, non è più
soggetta ad autorizzazione la installazione del singolo impianto che produce
emissione in atmosfera, bensì la realizzazione dello stabilimento nel suo
complesso, dovendo intendersi con tale termine l'insieme delle attività
esercitate nel medesimo luogo mediante uno o più impianti o macchinari.
Sicchè la installazione o modificazione del singolo impianto
o attività nell'ambito dello stabilimento non è di per sè soggetta ad
autorizzazione (art. 269, comma 1, seconda parte).
E', però soggetta ad autorizzazione, ai sensi del medesimo
articolo, la modifica sostanziale dello stabilimento che comporti una
variazione delle emissioni in atmosfera (art. 269, comma 8 come modificato dal
D.Lgs. n. 128 del 2010, art. 3, comma 3, lett. i) e, quindi, anche la
installazione o modificazione di impianti che la determini.
Ai sensi dell'art. 279, comma 1, del medesimo testo unico
sull'ambiente, come modificato dal citato D.Lgs. n. 128 del 2010, art. 3, comma
13, è punito con sanzione penale l'inizio della installazione di uno
stabilimento ovvero l'esercizio dello stesso senza autorizzazione o la
prosecuzione dell'attività con autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o
revocata.
Ai sensi dell'art. 279, comma 1 è, altresì, soggetta a
sanzione penale, peraltro aumentata rispetto alla originaria formulazione della
norma, la realizzazione di una modifica sostanziale dello stabilimento senza la
prescritta autorizzazione, mentre se si tratta di modifica non sostanziale la
violazione è soggetta a sanzione amministrativa.
La installazione di un impianto di verniciatura industriale
con due camini di aspirazione per le emissioni in atmosfera, in una azienda per
attività di carrozzeria che non prevedeva tale tipo di lavorazione, costituisce
indubbiamente una modificazione sostanziale dello stabilimento soggetta anche
essa a preventiva autorizzazione, la cui carenza è punita con la stessa pena di
quella prevista per la totale mancanza di autorizzazione. Cassazione penale,
sez. III, 13/04/2012, n. 15500.
4. Ambiente . Autorizzazione emissioni in atmosfera. Reato.
Integra il reato di cui agli art. 269, 272, 279, comma 1,
d.lg. n. 152 del 2006, la mancanza di autorizzazione per l'attività di
falegnameria riferita all'emissione in atmosfera di polveri, fumi o vapori.
La violazione della norma incriminatrice si desume, nel caso
in esame, dalla semplice circostanza, pacifica in atti, che l'attività
dell'imputato fosse priva di qualsivoglia autorizzazione (ordinaria o in forma
semplificata) alle emissioni in atmosfera e fosse una falegnameria che svolgeva
l'attività di verniciatura (a nulla rilevando eventuali peculiarità delle
tecniche di verniciatura utilizzate) e che produceva polveri che venivano
immesse nell'atmosfera.
La circostanza se l'autorità amministrativa abbia mai
adottato l'autorizzazione generale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 272,
che avrebbe consentito all'attività di falegnameria di essere autorizzata con
procedura semplificata anzichè nelle forme ordinarie, è, dunque, del tutto
irrilevante, perchè ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279, comma 1, è
sanzionata penalmente l'assenza della prescritta autorizzazione, sia essa
quella rilasciata con procedura semplificata, per le attività oggetto di
autorizzazione generale, sia essa - a fortiori - quella ordinaria, per le
attività che non sono oggetto di autorizzazione generale.
Del tutto irrilevante, poi, risulta l'invocato accertamento
dell'effettivo superamento dei valori limite di emissione, non essendo tale
superamento oggetto di contestazione nel caso di specie, in cui si controverte
- come visto - sulla violazione costituita dalla semplice mancanza
dell'autorizzazione. La sussistenza di tale violazione non sarebbe, infatti,
esclusa neanche se l'imputato fornisse la prova positiva del mancato
superamento dei valori limite, trattandosi di una fattispecie contravvenzionale
diretta a garantire l'effettività dei controlli preventivi in materia di
inquinamento atmosferico. Cassazione penale, sez. III, 11/07/2012, n. 43148.
5. Ambiente . Autorizzazione emissioni in atmosfera.
Il reato di cui all'art. 279, d.lg. n. 152/2006 (per
l'assenza della prescritta autorizzazione) prevede, quale presupposto, non la
generica possibilità, ma la concreta attività di produzione delle emissioni da
parte dell'impianto.
L'affermazione di responsabilità per il reato di cui
all'art. 279 per l'emissione in atmosfera di sostanze (pericolose o non) in
assenza di autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle
emissioni da parte dell'impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera
potenzialità produttiva di emissioni inquinanti, per cui sussiste l'obbligo
dell'autorizzazione di cui al d.lg. n. 152/2006, art. 269, soltanto in
relazione agli stabilimenti che producono effettivamente emissione in atmosfera
con esclusione di quelli che sono solo potenzialmente idonei a produrre
emissioni. È necessario, quindi, per la configurabilità del superamento dei
valori limite stabiliti dalla legge, che le emissioni siano effettivamente
sussistenti.
L'affermazione di responsabilità per il reato di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 279 per l'emissione in atmosfera di sostanze
(pericolose o non) in assenza di autorizzazione, comporta la prova della
concreta produzione delle emissioni da parte dell'impianto, non potendo dirsi
sufficiente la mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti, per cui,
come si precisa in motivazione, "sussiste l'obbligo dell'autorizzazione di
cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269, soltanto in relazione agli
stabilimenti che producono effettivamente emissione in atmosfera con esclusione
di quelli che sono solo potenzialmente Idonei a produrre emissioni"
(Cass.pen. Sez. 3 n.53477/2011). E' necessario, quindi, per la configurabilità
del reato, pur non richiedendosi il superamento del valori limite stabiliti
dalla legge, che le emissioni siano effettivamente sussistenti (così anche
Cass.pen. Sez. 3 n.48474 del 19.7.2011).
Il Tribunale, pur con i limitati poteri del riesame, ha
omesso ogni accertamento in ordine alle effettive emissioni in atmosfera da
parte dell'impianto esistente nell'officina del ricorrente, essendosi limitato
ad affermare, in modo apodittico, con il richiamo della CNR dei
Carabinieri che la cabina di
verniciatura e la saldatrice risultavano "accesi ed operativi".
Rimanendo assorbita ogni altra doglianza, l'ordinanza impugnata va annullata. Cassazione
penale, sez. III, 15/11/2012, n. 46835
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