Il rito speciale appalti -
disciplinato dagli artt. 119 e ss. c.p.a. -
prevede nel giudizio di primo grado come obbligatoria la pubblicazione del
dispositivo del provvedimento che definisce il giudizio entro i termine di
sette giorni dalla sua deliberazione (art. 120, comma 9, c.p.a.),
cui segue la pubblicazione della sentenza entro il termine dimidiato decorrente dalla deliberazione.
Ai sensi dell’art. 119, comma 6, c.p.a. il dispositivo è atto
immediatamente impugnabile. L’impugnazione
si atteggia come facoltativa ed è finalizzata ad ottenere in via cautelare la
sospensione del dispositivo.
La parte che si avvale della facoltà di
impugnare immediatamente il dispositivo deve fare riserva dei motivi che poi
proporrà entro i consueti termini decorrenti dalla notificazione o
pubblicazione della sentenza completa.
La Sezione remittente pone il problema del
rapporto tra appello contro il
dispositivo e appello (o motivi aggiunti) contro la sentenza completa: se
si tratti cioè di appelli autonomi l’uno dall’altro o di un unico appello
costituito da una fattispecie a formazione progressiva.
All’accoglimento dell’una o dell’altra
tesi seguono importanti implicazioni in ordine alla forma e al contenuto del
secondo appello, quello avverso la sentenza. Se, infatti, il rapporto è di autonomia,
il secondo atto deve avere la forma o quantomeno la sostanza di appello
autonomo contenente l’esposizione completa dei fatti e dei motivi, senza
possibilità di fare rinvio all’appello avverso il dispositivo; se il rapporto è
in termini di fattispecie a formazione progressiva, il secondo appello può
operare unarelatio agli
elementi contenutistici all’appello avverso il dispositivo.
La questione assume rilevanza nel caso di
specie. L’appello avverso la sentenza non presenta, infatti, struttura di
appello autonomo, né sul piano formale né su quello sostanziale: sul piano
formale invero ha la forma dei “motivi aggiunti” rispetto all’appello
avverso il dispositivo; sul piano sostanziale non reca l’esposizione dei fatti
di causa, operando un espresso rinvio all’appello avverso il dispositivo.
La questione si riflette anche sui poteri
di cognizione del giudice del merito, e cioè se il suo esame debba investire in
ogni caso entrambi gli appelli (il che rileva se si propongono censure
diverse), o se l’esame debba essere circoscritto all’appello avverso la
sentenza, dovendosi ritenere improcedibile o assorbito l’appello avverso il dispositivo.
L’esatta delimitazione della materia del
contendere, cui si riconduce l’ambito della cognizione del giudice è a sua
volta rilevante negli ulteriori profili inerenti alle esigenze di economia
processuale e di sinteticità, nonché al completo esame delle censure di parte,
senza incorrere in vizi revocatori di omessa pronuncia.
Il collegio remittente propende per la tesi
dell’autonomia dei due appelli.
L’indirizzo interpretativo che suggerisce
in via primaria l’ordinanza di remissione valorizza due aspetti muovendo dal
dato testuale dell’art. 119, comma 6, c.p.a.:
- il ricorso avverso il dispositivo è un
mezzo di tutela funzionalmente preordinato ad ottenere la sospensione
dell’esecutività del dispositivo;
- sul piano del contenuto formale esso si
caratterizza per la riserva dei motivi che andranno articolati nei termini di
legge una volta pubblicata la sentenza completa della motivazione;
Da detta impostazione segue che l’atto di
appello con articolazioni dei motivi deve essere assistito dal contenuto
essenziale esemplificato all’art. 101 (esposizione sommaria dei fatti e
specificazione delle censure, restando escluso per ragioni di certezza
dell’oggetto del contendere e del perimetro delle contestazioni ogni rinvio “ob relationem” al contenuto del’appello contro dispositivo).
Stabilisce l’art. 119, comma 6, c.p.a. che: “la parte può chiedere al Consiglio di Stato
la sospensione dell’esecutività del dispositivo, proponendo appello entro
trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre
entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro tre mesi
dalla sua pubblicazione. La mancata richiesta di sospensione dell’esecutività
del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione
dell’esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi”.
Dal dato testuale della regola processuale
emerge il riferimento unitario al mezzo di impugnazione che trova disciplina
negli artt. 91 e seguenti c.p.a.
Esso, in relazione alla peculiarità delle
materie oggetto del contendere ed in vista dell’esigenza di assicurare la più
celere tutela in sede giudiziale, può essere introdotto con immediatezza fin
dalla pubblicazione del dispositivo della sentenza, salvo la definitiva
determinazione del thema decidendum ad avventa pubblicazione della sentenza completa della
motivazione.
Su un piano sistematico non emerge che
l’art. 119, comma 6, c.p.a. abbia inteso enucleare un mezzo di impugnazione
tipizzato nell’ambito della generale disciplina dell’appello dettata agli artt.
100 e segg. c.p.a.
Non si determina, quindi, una scissione
dell’azione impugnatoria nei due momenti in cui ne è ammesso l’esercizio, prima
avverso il dispositivo e poi contro al sentenza. Si versa a fronte di due
momenti che sono espressione del medesimo potere di impugnazione della parte,
cui segue l’effetto devolutivo della controversia in un primo tratto
limitatamente all’emissione di misure cautelari, nel secondo con effetto di
cognizione piena del merito della controversia in relazione ai motivi di
impugnativa che il ricorrente è posto in condizione di articolare.
L’impostazione suindicata permette di superare ogni questione
meramente formale sugli elementi contenutistici del primo e del secondo atto di
appello e dei limiti dell’effetto devolutivo in caso di parziale corrispondenza
del secondo atto rispetto al primo.
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