Cataratta 2
Tutto si risolve in pochi minuti: esami, pagamento ticket, visita di
controllo in ambulatorio e successiva visita dello specialista che deve
eseguire l’intervento.
Tutto è semplice per il Primario che non parla di denari e che non
prospetta tempi lunghi e le cose che si devono fare le fa subito nei tempi
giusti per non crearti problemi.
I grandi non hanno bisogno di complicare la vista dei loro assistiti .
La loro capacità è riconosciuta e non hanno bisogno di farla rimarcare
allungando le procedure rendendole
complicate . Non hanno bisogno di crearsi il poderetto sulle spalle del
paziente che deve portare un piccolo ma significativo contributo al loro
benessere.
L’unica complicazione la crea il ssn per poter effettuare l’operazione
c’è bisogno dell’impegnativa. Un’altra piccola coda presso il medico di
famiglia che richiede una prestazione la cui necessità è già verificata dallo
specialista.
Ci vuole il sigillo che solo il medico di famiglia può mettere
affermare con sicurezza dopo avere esaminato attentamente la richiesta di
intervento da parte dello specialista che ci vuole l’intervento.
Solo così la pratica risulterà perfetta e solo così gli amministrativi
dell’Ospedale potranno trovare ragione di guadagnarsi lo stipendio: aggiungendo
timbri a timbri.
Mi viene il sospetto ma questi timbri a cosa servono ? giustificare il significato lavorativo di
molti che altrimenti non saprebbero che cosa fare tutto il santo giorno!
Arriva il girono fatale.
Ciò tutto. Sono il primo della lista devo presentarmi alle sette
precise.
Portando qui sono gli amministrativi a deciderlo prima l’impegnativa in
ufficio per pagare il ticket poi realizzando in un altro ufficio la cartella
clinica ed infine recandomi al reparto per l’interevento.
Seguo letteralmente le indicazioni: prima pagare il ticket e poi realizzare nell’apposito ufficio
posizionato naturalmente due piani più sopra la cartella clinica indi al
reparto per non perdere la priorità acquisita.
Non faccio come l’asino di Buridano che finisce per morire di fame non
sapendo se prima bere l’acqua o prima mangiare l’avena.
Problema ma se il ticket si inizia a pagare alle 7,30 e l’ufficio che
materializza la cartella apre i battenti alle sette.
Non devo avere tentennamenti prima attendere il ticket e poi cartella.
Sono in contatto cellulare con mia moglie che preziosa scudiera mi assiste
per sbrogliare nei tempi previsti dal rigido protocollo amministrativo le
pratiche.
“Sono all’ufficio ticket in coda apre alle sette e trenta sono fuori al
freddo perché sono le sete e un quarto poi vado alla cartella.”
Riferisco prontamente la comunicazione ad una graziosa infermiera che ha aperto i battenti del reparto di
oculistica alle sette in punto e a cui mi sono appropinquato dopo che è
arrivato il mio turno seguendo il numero di chiamata.
Lei prontamente rimette le cose al posto giusto . E’ affabile ,
simpatica, ocn le curve al posto giusto la brunetta e con voce dolce quasi suadente che ti fa fin
dimenticare di essere in procinto di un interevento dove qualcuno, seppure con
la massima gentilezza e maestri a possibile ti inciderà l’occhio per estrarti
il vetrino opacizzato e sostituirlo con uno nuovo fiammante per giunta
inattaccabile da qualsivoglia miopia.
“ Noi abbiamo bisogno della cartella clinica è meglio che lei vada a
predisporla il posto glielo conservo io, non perderà la priorità acquisita!”
Parole magiche che mi rilassano immantinente e mi danno nuove certezze.
Non oso neppure ribattere ma mia moglie sta facendo la coda al ticket.
Quel Noi (inteso come tutta la struttura ospedaliera dal Commissario al
Primario al Reparto tutto) abbiamo
bisogno della cartella è perentorio.
“Obbedisco!”
Estraggo dalla giacca il cellulare e dalla memoria di quest’ultimo il
numero di Gio.
“Pronto contrordine (ometto il “ trinaricciuti compagni” che le mie letture di Guareschi mi ricordano –
forse Gio non capirebbe). Non bisogna fare prima il ticket, ma prima deve
essere redatta la cartella vieni al paino cartella e portami la tesserina
necessaria per il pagamento che forse serve obbligatoriamente anche per la
cartella).”
Felici di avere risolto ogni arcano ci precipitiamo al piano cartella.
La coda è minima solo pochi minuti.
Mi ripetono il mio nome ed il motivo del mio ricovero: “Cateratta
all’occhio destro!”
“Confermo tutto sul mio onore.” aggiungo per dare maggiore importanza
alla solenne dichiarazione.“
Ricevo in premio la cartella e soprattutto non devo corrispondere
alcunché.
Non resisto alla tentazione di leggerla alla ricerca di informazioni
preziose sul mio stato di salute.
Solo dopo averla accuratamente esaminata mi rendo conto dell’immenso
errore nell’avere re tergiversato a
richiederla.
La cartella clinica è praticamente un foglio A3, un foglio doppio con
ben stampati in carattere TImes New Roman corpo 14 neretto il nome del mutuato
da operare e i suoi dati anagrafici.
Da non trascurare che dentro contiene una stampata originale di una
ventina di etichette che serviranno per essere posizionate in bella mostra su
tutti i documenti dell’iter burocratico.
A tal punto Gio è pronta per affrontare l’ultima coda per il pagamento
del ticket, prima mi assale un dubbio: “Ma perché al momento del pagamento del
ticket non potevano stampare anche la cartella?”
Domanda idiota:
” Non hanno a disposizione una stampate a doppia funzione per
risparmiare sui costi!”
Il motto paga il ticket mi risuona nelle orecchie non ricordo se per
averlo letto fra i dettati del giuramento di Ippocrate o nelle memorie della
medichessa che della cura delle malattie
degli altri ha fatto al sua ragione di vita.
Le formalità burocratiche sono le sole forche caudine per entrare in un
reparto perfetto.
Non sembra di essere in un Ospedale italiano.
La gentilezza delle infermiere , la pulizia delle camere , i tempi di
attesa che vorresti dilatare per non trovarti immantinente a tu per tu con
l’uomo del bisturi, la tranquillità del reparto (dove stranamente non ci sono
venditori di accendini né parcheggiatori abusivi né gente che ti intervistano a
tutti i costi anche se hai un vistoso cerotto sull’occhio, ne mendicanti
irritati per il fatto che non hai portato monete con te tutti confinati nel
parcheggio).
Qui tutto e semplice e tranquillizzante, , salve le informazioni sull’intervento
fatte a garantirsi da ogni responsabilità per non avere dato contezza
sufficiente dei rischi eventuali
Come avvocato devo riconosce che è una necessaria contromossa per
sconfiggere le pretese sempre più esose di quei
pazienti che vanno all’Ospedale più per cercare l’occasione di potere
agire in tribunale per danni che per potere essere curati.
E’ vero che se uno legge attentamente le controindicazioni rimane
convinto che è meglio rimandare l’intervento
anzi che l’ottimo è proprio non eseguirli.
La piccola cattiveria degli interventisti che professano in coro la
unicità della cura ti esclude subito la possibilità di scappare: non hai
scampo.
Per distrarmi chiedo:
“Quell’infermiera bionda dal
fisico asciutto e dall’accento
marcatamente pugliese è ancora in questo reparto.”
“No. E’ agli ambulatori.”
Peccato le ho portato un libercolo che racconta la storia di una
famiglia che si è trasferita a Venezia parendo dal paese natale di Trani
all’inizio del novecento per costruirsi un futuro che l’avara terra del sud
negava.
La gente del sud tiene alle sue origini
alle sue tradizioni ai suoi valori
e al ricordo del sole della sua
terra anche se oramai è abituata alle
nebbie e ai freddi inverni del nord e no rinuncerebbe al nuovo mondo che si è costruita
con fatica per ritornare alle sue origini.
Mi rassicura tutto in questo reparto, mi rassicura persino sentirmi
ripetere il mio nome e che debbo operarmi all’occhio destro.
“Si confermo devo operarmi all’occhio destro anzi vorrei
contrassegnarlo con un X con un pennarello nero perché non vorrei confondermi e
negare, alla decima domanda, che quello sia l’occhio da operare.”
Queste ripetizioni non mi tediano anche se io di solito scimmiottando
Paganini mi irrito per le ripetizioni
inutili,n on concedendo mai un bis.
I rassicura anche annotare la cronaca di questo giorno, forse banale
per taluno, ma per me importante perché parte della mia esistenza.
Mia nonna non ha avuto la mia opportunità.
La cataratta le ha colpito gli occhi subito dopo la seconda guerra
mondiale
Allora l’operazione dell’occhio destro non le ha risolto il problema
perché un glaucoma l’ha resa inutile.
Il sinistro ha seguito a breve la stessa sorte,.
Così si è trovata immersa nel buio più profondo.
Mia zia Bice raccontava spesso questa storia e non si dava pace perché abitava lontano dai
suoi gneitori e non è potuta intervenire
che il nonno la ricoverasse perché oramai anziano e bisognoso anche lui
di cure non riusciva più a gestire la sua cecità.
“Se fossi stata Venezia a quel tempo non avrei fatto ricoverare la
mamma !” ripeteva.
Sicuramente pl’avrebbe fatto perché era generosa e perché le donne del sud non abbandonano la
loro famiglia, però non ha mai criticato nessuno anzi li giustificava per la
loro vecchiaia.
Gli anni che si addossano gli uni agli altri rendono tutti meno
vitali e tutti i problemi diventano
gravi e pesanti soprattutto a livello mentale.
Così si tendono ad eliminare i pesi che ci sembra rendano più
complicata l’esistenza.
Questa storia aveva colpito i miei sogni di fanciullo .
Ho sempre pensato allora che sarei diventato cieco anch’io per una
sorta di famigliarità con la malattia
agli occhi.
Ricordo che di sera approfittavo del buio per camminare per casa
socchiudendo gli occhi simulando una cataratta che i impediva di vedere almeno
parzialmente allenandomi così a sopportare meglio la futura malattia.
Il Primario mi aveva
tranquillizzato : “ Nel 95% dei casi non ci sono problemi nell’intervento. Non
possiamo di certo garantire la riuscita al 100%.”
Nessun commento:
Posta un commento