Con un recente pronunciamento la Corte di Cassazione
ritorna sul tema della diffamazione con il mezzo del web e, in particolar modo,
con il social network Facebook.
L'art. 595 cod. pen. incrimina la condotta di chi lede
la reputazione altrui comunicando con più persone.
Se ciò avviene con il mezzo della stampa o con
qualsiasi altro mezzo di comunicazione il reato è aggravato ai sensi del 3°
comma.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte con la recentissima sentenza n.
24431 del 2015, rientra nella fattispecie di cui all'art. 595, comma 3, cp (anche)
la pubblicazione di un commento offensivo nella bacheca della persona la cui
reputazione ne è risultata pregiudicata.
Tra quei “qualsiasi mezzi di pubblicazione” la cui utilizzazione aggrava la
condotta di chi lede l’altrui reputazione rientra il social network Facebook.
La Corte ipotizza dunque l’ipotesi di reato di cui
all’art. 595, comma terzo, c.p. quale “fattispecie aggravata del delitto di
diffamazione che trova il suo fondamento nella potenzialità, idoneità e
capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e
raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico
ed apprezzabili solo in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più
diffuso danno alla persona offesa”.
Tale decisione si pone inoltre in continuità con la sentenza n. 16712 del
16/04/2014.
In tale occasione la Corte di Cassazione ha affermato che “ai fini della integrazione
del reato di diffamazione, anche a mezzo di Internet, è sufficiente che il
soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero
limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa”.
Secondo la Suprema Corte, la bacheca di Facebook ha la
capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di soggetti in
quanto tale strumento racchiude un numero apprezzabile di persone e, in ogni
caso, l'utilizzo di Facebook costituisce una modalità con cui gruppi di persone
socializzano le rispettive esperienze di vita valorizzando il rapporto
interpersonale che viene allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al
fine di una costante socializzazione. Di conseguenza, l'atto del postare un
commento in bacheca configura pubblicazione e quindi diffusione dell'offesa,
stante l'idoneità dello strumento a determinarne la circolazione tra un gruppo
di persone numericamente apprezzabile.
Con un recente pronunciamento la Corte di Cassazione
ritorna sul tema della diffamazione con il mezzo del web e, in particolar modo,
con il social network Facebook.
L'art. 595 cod. pen. incrimina la condotta di chi lede
la reputazione altrui comunicando con più persone.
Se ciò avviene con il mezzo della stampa o con
qualsiasi altro mezzo di comunicazione il reato è aggravato ai sensi del 3°
comma.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 24431 del 2015, rientra nella fattispecie di cui all'art. 595, comma 3, cp (anche) la pubblicazione di un commento offensivo nella bacheca della persona la cui reputazione ne è risultata pregiudicata.
Tra quei “qualsiasi mezzi di pubblicazione” la cui utilizzazione aggrava la condotta di chi lede l’altrui reputazione rientra il social network Facebook.
La Corte ipotizza dunque l’ipotesi di reato di cui all’art. 595, comma terzo, c.p. quale “fattispecie aggravata del delitto di diffamazione che trova il suo fondamento nella potenzialità, idoneità e capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico ed apprezzabili solo in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa”.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 24431 del 2015, rientra nella fattispecie di cui all'art. 595, comma 3, cp (anche) la pubblicazione di un commento offensivo nella bacheca della persona la cui reputazione ne è risultata pregiudicata.
Tra quei “qualsiasi mezzi di pubblicazione” la cui utilizzazione aggrava la condotta di chi lede l’altrui reputazione rientra il social network Facebook.
La Corte ipotizza dunque l’ipotesi di reato di cui all’art. 595, comma terzo, c.p. quale “fattispecie aggravata del delitto di diffamazione che trova il suo fondamento nella potenzialità, idoneità e capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico ed apprezzabili solo in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa”.
Tale decisione si pone inoltre in continuità con la sentenza n. 16712 del
16/04/2014.
In tale occasione la Corte di Cassazione ha affermato che “ai fini della integrazione
del reato di diffamazione, anche a mezzo di Internet, è sufficiente che il
soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero
limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa”.
Secondo la Suprema Corte, la bacheca di Facebook ha la
capacità potenziale di raggiungere un numero indeterminato di soggetti in
quanto tale strumento racchiude un numero apprezzabile di persone e, in ogni
caso, l'utilizzo di Facebook costituisce una modalità con cui gruppi di persone
socializzano le rispettive esperienze di vita valorizzando il rapporto
interpersonale che viene allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al
fine di una costante socializzazione. Di conseguenza, l'atto del postare un
commento in bacheca configura pubblicazione e quindi diffusione dell'offesa,
stante l'idoneità dello strumento a determinarne la circolazione tra un gruppo
di persone numericamente apprezzabile.
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