La Società
ricorrente è proprietaria di un immobile composto da due appartamenti, uno al
primo ed uno secondo piano, e da dei magazzini al piano terra.
In data 26
marzo 2013 ha chiesto al Comune il rilascio del nulla osta igienico sanitario
per lo svolgimento dell’attività di affittacamere, rispetto alla quale il 22 luglio 2013 ha presentato una
segnalazione certificata di inizio attività.
Il Comune
con provvedimento dell’11 settembre 2013, ha negato il rilascio del nulla osta
per contrasto con le prescrizioni contenute nella scheda 4 delle norme tecniche
di attuazione della variante al piano regolatore per la città antica, e con
provvedimento dell’1 ottobre 2013 ha rimosso gli effetti della segnalazione di
inizio attività.
Per tale
disposizione la destinazione d’uso a struttura ricettiva alberghiera ed
extralberghiera adibita ad uso ricettivo esclusivo, che comprende anche gli
esercizi di affittacamere così come
definiti dall’art. 22, comma 22.1 punto 9.2.1 delle norme tecniche di
attuazione, è consentita solo a condizione che almeno un piano dell’unità
edilizia abbia superficie utile abitabile superiore a 200 mq.
Il diniego
di nulla osta, il provvedimento di rimozione degli effetti della segnalazione
di inizio attività e l’art. 22, comma 22.1 punto 9.2.1 delle norme tecniche di
attuazione della variante al piano regolatore della città antica, sono
impugnati, con domanda di risarcimento dei danni subiti, per le seguenti
censure:
I)
violazione dell’art. 25 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 35, nonché
dell’art. 23, comma 2, e dell’art. 27 della legge regionale 14 giugno 2013, n.
11, perché le restrizioni poste dal piano regolatore in assenza di un
fondamento legislativo alla previsione di una superficie abitabile minima,
devono ritenersi illegittime e non possono quindi essere imposte ad un soggetto
che, come la parte ricorrente, è in possesso di ogni requisito per lo
svolgimento dell’attività di affittacamere per la
quale ha ottenuto anche il parere favorevole dell’azienda sanitaria Ulss 12;
II)
violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto1990, n. 241, perplessità ed
erroneità della motivazione nonché sviamento, perché l’immobile della parte
ricorrente nel complesso ha un’ampia superficie utile abitabile, pari a 167,7
mq al primo piano e 140 mq al secondo per un totale di 307,7, con la
conseguenza che non è ragionevole invocare il mancato rispetto di un requisito
igienico sanitario per la mancanza di una superficie utile abitabile di 200 mq
almeno ad un piano, e sviamento perché la scheda 4 delle norme tecniche di
attuazione della variante al piano regolatore della città antica costituisce in
realtà un escamotage volto a limitare l’apertura di strutture ricettive extralberghiere
anche relativamente ad immobili, quale quello della parte ricorrente, in
possesso di tutti i requisiti igienico sanitari;
III)
irragionevolezza della previsione del rispetto di una superficie utile
abitabile di 200 mq almeno su un piano anche per gli immobili, come quello
della parte ricorrente, che hanno a disposizione una superficie utile
dell’intero edificio anche maggiore;
IV)
violazione del combinato disposto dell’art. 3 del decreto legge 4 luglio 2006,
n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, degli artt. 1, 8, 11 e 14,
del Dlgs. 26 marzo 2010, n. 59, dell’art. 3 del decreto legge 13 agosto 2011,
n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, degli artt. 31 e 34 del
decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n.
214, dell’art. 1 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge
24 marzo 2012, n. 27, e dell’art. 12 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5,
convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35, perché tali norme hanno liberalizzato
l’esercizio delle attività economiche, e il diniego impugnato impedisce
immotivatamente il loro svolgimento.
Si è
costituito in giudizio il Comune di Venezia eccependo l’improcedibilità del
ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto successivamente la
parte ricorrente ha presentato delle nuove segnalazioni di inizio attività, i
cui effetti sono stati rimossi dall’Amministrazione, senza che gli atti di
rimozione degli effetti siano stati impugnati, e concludendo nel merito per la
reiezione del ricorso.
L’eccezione
di improcedibilità del ricorso per l’omessa impugnazione dei provvedimenti con
i quali l’Amministrazione ha rimosso l’efficacia di segnalazioni certificate di
inizio attività presentate successivamente a quella oggetto del presente
giudizio non è condivisibile.
Infatti,
come osservato dalla parte ricorrente nella memoria di replica, da tale
condotta non è desumibile una perdita di interesse alla definizione
dell’odierno giudizio o un’acquiescenza ai dinieghi opposti
dall’Amministrazione, in quanto per l’effetto caducatorio e ripristinatorio
conseguente ad un’eventuale sentenza di accoglimento, riacquisterebbe efficacia
la segnalazione di inizio attività presentata il 26 marzo 2013, e questa, ove
consolidasse i propri effetti tenendo conto dell’effetto conformativo di
un’eventuale sentenza favorevole, potrebbe far conseguire al ricorrente il bene
della vita al quale aspira, consistente nell’apertura dell’attività.
Nel merito
il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Oggetto di
contestazione è la norma contenuta nella scheda 4 delle norme tecniche di
attuazione della variante al piano regolatore per la città antica, la quale per
le unità edilizie a base residenziale preottocentesca originaria a fronte
bicellulare gerarchizzato, subordina l’apertura di strutture extralberghiere
adibite ad uso ricettivo esclusivo (quale è nel caso di specie l’attività di affittacamere; per la norma il medesimo
limite vige anche per le strutture ricettive alberghiere, per gli uffici aperti
al pubblico, per le attrezzature per l’istruzione e per le sale di ritrovo),
alla condizione che almeno un piano dell’unità edilizia abbia una superficie
utile abitabile superiore a 200 mq, e che eventuali abitazioni presenti nella
stessa unità edilizia abbiano accesso separato.
Con il
primo motivo la parte ricorrente contesta in radice la possibilità che il piano
regolatore possa porre limitazioni all’esercizio di attività economiche (e
nella fattispecie a quelle ricettive) in assenza di una espressa previsione di
legge.
La censura
è priva di fondamento, in quanto il Comune è abilitato a dettare, nell’esercizio
delle valutazioni che competono alla sua autonomia normativa in materia di
pianificazione urbanistica ed in materia edilizia, delle prescrizioni circa la
destinazione d’uso degli immobili, e nella fattispecie vi è anche una norma
regionale, l’art. 22, comma 17, della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33,
la quale, stabilendo che “le strutture ricettive di cui al presente articolo
devono essere conformi alle prescrizioni edilizie ed igienico-sanitarie”
costituisce un rinvio espresso alla necessità che anche l’attività di affittacamere debba
essere svolta nel rispetto della specifica disciplina urbanistico ed edilizia
dettata dal Comune.
La
doglianza di cui al primo motivo deve pertanto essere respinta.
Con il
secondo motivo la parte ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di
rimozione degli effetti della segnalazione certificata di inizio attività per
difetto di motivazione, per non aver considerato che in realtà l’immobile nel
suo complesso, sommando le superfici dei singoli piani, ha una superficie
complessiva di 307,7 mq, maggiore a quella richiesta dalla disciplina
urbanistica del Comune.
La
doglianza è priva di fondamento in quanto la sopra citata disposizione
contenuta nella scheda 4 delle norme tecniche di attuazione della variante al
piano regolatore per la città antica, è chiara nel richiedere che almeno un
piano abbia una superficie di 200 mq, e l’immobile della parte ricorrente è
pacificamente privo di tale requisito.
Con
un’ulteriore censura contenuta nell’ambito del secondo motivo, la parte
ricorrente sostiene che la disposizione della scheda 4 delle norme tecniche di
attuazione della variante al piano regolatore per la città antica sia affetta
da sviamento, in quanto, con il pretesto della tutela igienico sanitaria, persegue
in realtà lo scopo di contenere il proliferare di attività ricettive, mentre
con il terzo motivo sostiene l’irragionevolezza della medesima previsione,
perché è illogico richiedere la presenza di una superficie di almeno 200 mq,
relativamente ad un immobile che nel complesso ha una superficie anche
maggiore.
Tali
doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente, sono prive di
fondamento, in quanto nel caso di specie la finalità perseguita dal Comune
(cfr. Tar Veneto, Sez. II, 6 aprile 2006, n. 871) è dichiaratamente quella di
salvaguardare, nel centro storico di Venezia, il mantenimento di alloggi idonei
alla residenza di carattere stabile e di condizioni di vivibilità del tessuto
urbano che sarebbero compromesse dal proliferare di strutture extralberghiere
le quali, ove lasciate senza vincoli alle regole del mercato, a fronte della
notevole domanda di alloggi turistici presente nella città di Venezia,
finirebbero per sottrarre abitazioni alla residenza stabile, e il perseguimento
di tale finalità giustifica sul piano della ragionevolezza una disciplina,
quale quella dettata dal Comune, che non reca divieti di carattere assoluto, ma
si prefigge lo scopo di contemperare la libertà di iniziativa economica con la
tutela di altri valori confliggenti (tali finalità di carattere pubblicistico
volte a salvaguardare la sostenibilità ambientale del tessuto urbano, sono
state ritenute sufficienti a dettare, in linea generale, limiti alla superficie
minima degli alloggi residenziali: cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 maggio
2013, n. 2433; id. 22 gennaio 2013, n. 361; riguardo alla legittimità degli
interventi del Comune di Venezia volti a dettare limiti alle attività
economiche finalizzati alla salvaguardia della sostenibilità ambientale, della
vivibilità e dei valori storico artistici della città di Venezia dal massiccio
flusso turistico richiamato dalla straordinaria bellezza monumentale che vi è
presente cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860, punti 7, 8 e
9 in diritto; negli stessi termini id. 13 febbraio 2013, n. 859).
Pertanto
anche le censure di cui al secondo e terzo motivo devono essere respinte.
Con il
quarto motivo la parte ricorrente lamenta che i limiti posti nella scheda 4
delle norme tecniche di attuazione della variante al piano regolatore per la
città antica siano confliggenti con i principi di liberalizzazione delle
attività economiche sanciti dalle riforme introdotte tra il 2006 ed il 2012.
La censura
è priva di riscontri in quanto la legislazione invocata, a partire dal decreto
legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito il legge 4 agosto 2006, n. 248, dal
Dlgs. 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva “Bolkestein”
2006/123/CE, fino al decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge
22 dicembre 2011, n. 214, al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in
legge 24 marzo 2012, n. 27, e al decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5,
convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35, ha posto in rilievo il carattere
preminente dei valori, di matrice costituzionale, di salvaguardia del
patrimonio ambientale, storico artistico e culturale, rispetto ai quali la
libertà di concorrenza, cui tende la liberalizzazione delle attività
commerciale, può subire limitazioni (per l’art. 31, comma 2, del citato decreto
legge 201 del 2011 sono sempre fatti salvi oltre ai vincoli connessi alla
tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, e dei beni culturali, anche
quelli connessi “all'ambiente urbano”; allo stesso modo l’art. 8, comma 1,
lett. h, del citato Dlgs. 59 del 2010, definisce motivo imperativo di interesse
generale che giustifica l’apposizione di vincoli e limiti alle attività
economiche “la tutela dell’ambiente, incluso quello urbano”). Tar Veneto,
sez. III, 12/11/2014, n. 1396
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