IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
1. Atto,
provvedimento e procedimento amministrativo.
L’atto
amministrativo è qualunque atto imputabile all’amministrazione.
L’atto può non
comportare una incisione diretta su posizioni giuridiche di altri soggetti
pubblici o privati; in tal caso si definisce mero atto come ad esempio un
rapporto interno con il quale l’amministrazione prende conoscenza di un
determinato fatto. P. VIRGA, Diritto amministrativo, 1987, 4. R. CHIEPPA
e R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto
amministrativo, 2011, 343.
Si definisce,
invece, provvedimento l’atto col quale la pubblica amministrazione esprime la
sua volontà di incidere su posizione giuridiche di un soggetto che può essere
pubblico o privato. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, 1988, 672.
Questa
distinzione chiarisce anche gli aspetti della eventuale tutela che è ammessa
solo per i provvedimenti che esauriscono, sotto il profilo procedurale, la fase
preparatoria. Questa, infatti, non è soggetta ad impugnazione che è possibile
solo quando il provvedimento diventa definitivo.
L’azione
amministrativa si sviluppa attraverso una serie di atti e/o provvedimenti
logicamente coordinati al fine dell’adozione di un provvedimento finale, avente
effetti esecutivi, che è espressione della volontà della pubblica
amministrazione.
La serie di atti
che convergono nel provvedimento amministrativo nella loro fase dinamica
costituisce il procedimento amministrativo.
I principi cui
deve necessariamente ispirarsi il procedimento sono stati via via definiti
dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
E’ mancata,
infatti, in Italia fino alla L. 241/1990 una legge generale sul procedimento
amministrativo. V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo,
1997, 423.
2. Le fasi del
procedimento. a) La fase preparatoria.
Il procedimento
amministrativo si articola secondo la costruzione dottrinale dominante in varie
fasi: la fase preparatoria, la fase costitutiva e la fase integrativa
dell’efficacia.
La fase
preparatoria, che in precedenza è stata riservata esclusivamente alla
amministrazione, è codificata dalla L. 241/1990.
La legge
disciplina alcuni principi generali, già introdotti dalla giurisprudenza
amministrativa. Il cosiddetto accesso al procedimento amministrativo, che
consente al destinatario dell’atto di inserirsi nella fase preparatoria - prima
esclusivamente riservata all’amministrazione - si articola nei seguenti punti:
l’obbligo di comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la
fissazione di un termine per provvedere ed infine l’obbligo di nominare il
responsabile del procedimento.
3. L’accesso al
procedimento amministrativo.
La L. 7 agosto
1990, n. 241 rivoluziona il procedimento amministrativo istituendo la
possibilità di accedere al procedimento stesso fin dalla fase preparatoria, che
in precedenza era riservata esclusivamente alla amministrazione.
La dottrina rileva
che la legge enuncia i principi che debbono presiedere all’attività
amministrativa in concreta attuazione dei principi costituzionali di
imparzialità , buon andamento e non aggravamento de procedimento
amministrativo. La legge dà una risposta in termini di effettività alle istanze
dei cittadini. O. FORLENZA, Nel 1990, anno di svolta, si ridisegna il
rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, in Guida Dir. Dossier, 3, 2011, 10.
Tale legge
inoltre conferma i principi generali di disciplina dei procedimenti
amministrativi, già introdotti dalla giurisprudenza amministrativa. Essi sono:
l’obbligo di comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la
fissazione di un termine per provvedere ed infine l’obbligo di nominare il
responsabile del procedimento.
Sul piano
procedurale il diritto si configura solo dopo la presentazione di una richiesta
motivata.
L'amministrazione
è tenuta in presenza di una richiesta di accesso ai documenti amministrativi,
ai sensi dell'art. 22 della L. 7 agosto 1990, n. 241, a dare notizia dell'avvio
del procedimento al soggetto che, dalla autorizzazione alla visione dei
documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio.
Le conseguenze
sostanziali sono quelle della possibilità di fare dichiarare illegittimo
l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa.
3.1) L'accesso
nei confronti dei gestori di pubblici servizi.
L’art. 1 ter,
L. 241/1990, mod. dall'art. 7, comma 1, lett.
a), della L. 18 giugno 2009, n. 69, afferma che i soggetti privati
preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei
criteri e dei principi di economicità, di efficacia, di imparzialità , di
pubblicità e di trasparenza a cui è informata l’azione della pubblica
amministrazione.
Al
giurisprudenza ha affermato che pur non essendo Trenitalia s.p.a. un soggetto
concessionario, ma operante nel regime di mercato in forza di licenza, essa
gestisce tuttavia un servizio pubblico, quale è il trasporto su rotaie, anche
se non in forza di concessione.
Si applica,
pertanto, nei suoi confronti l'art. 23, L. 241 del 1990, secondo cui "il
diritto di accesso di cui all'art. 22 si esercita nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei
gestori di pubblici servizi", indipendentemente dal titolo giuridico in
base al quale viene gestito il servizio pubblico. Consiglio Stato , sez.
VI, 23 ottobre 2007, n. 5569.
Ora la tutela
amministrativa si scontra contro la rapidità delle decisioni dei soggetti
gestori di pubblici servizi che se non trovano un a sollecita tutela rendono
tali soggetti che devono rispondere della motivazione almeno delle loro scelte
sciolti da ogni controllo.
Il sacrosanto
diritto di accesso può essere utilizzato almeno per conoscere le motivazioni di
provvedimenti che sono destinati ad incidere profondamente sui destinatari là
dove gli stessi servizi hanno un costo che ricade sui contribuenti?
Si tratta di
avere informazioni che possono portare a valutare se intraprendere o meno
tutele giudiziarie.
L’accesso al
procedimento rischia di essere precluso nei confronti dei gestori di pubblici
servizi.
L' ambito
applicativo del d.lgs. n. 195 del 2005, per quanto esteso, non può dare titolo
ad una forma di accesso indiscriminato a tutte le pratiche inerenti ad
un determinato settore di attività amministrativa, non potendosi il diritto
all'informazione in materia ambientale, al pari del diritto di accesso in
genere, tradursi in uno strumento di controllo sistematico e generalizzato
sulla gestione di tutti i procedimenti amministrativi in itinere e, più in
generale, sull'intero operato di un ente pubblico, che finirebbe per conferire
ad un'associazione privata poteri ispettivi che non le competono. T.A.R. Campania
Salerno, sez. I, 18 maggio 2009, n. 2359.
La
giurisprudenza ha affermato la giurisdizione amministrativa sugli atti
autoritativi concernenti il rapporto di pubblico impiego emanati dall'Azienda
Autonoma delle Ferrovie dello Stato non sono diventati atti negoziali privati
con l'entrata in vigore della l. 17 maggio 1985 n. 210 (la quale, istituendo
l'Ente Ferrovie dello Stato quale successore dell'Azienda predetta, ha
determinato la trasformazione "ex nunc" del rapporto di
impiego pubblico in rapporto di diritto privato), ma hanno conservato la natura
di atti amministrativi dei quali il g.o. conosce nell'esercizio della
giurisdizione concernente il rapporto di lavoro con l'ente pubblico economico. Cass. Civ. , sez. lav.,
18 luglio 2007, n. 15974
Del pari la
s.p.a. Ferrovie dello Stato, quando stipula appalti di opere pubbliche o di
servizi pubblici, assume la qualifica di amministrazione aggiudicatrice
soggetta alla giurisdizione amministrativa. Cass. Civ. , sez. un.,
27 febbraio 2007, n. 4424
4. Il Regolamento in materia di accesso ai documenti
amministrativi.
Con il D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, è stato approvato il Regolamento recante disciplina in materia di accesso
ai documenti amministrativi.
Il Regolamento, che definisce le modalità di esercizio del
diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito
nel capo V della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è
entrato in vigore il 2 giugno 2006.
Le
amministrazioni interessate hanno un anno di tempo per adottare i provvedimenti
generali organizzatori necessari al corretto esercizio di tale diritto, dandone
comunicazione alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi
istituita ai sensi dell'art. 27, L. 7 agosto 1990, n. 241.
La Commissione
per l'accesso ai documenti amministrativi è l'organismo preposto alla vigilanza
sull'attuazione del principio della piena conoscibilità e trasparenza
dell'attività della pubblica amministrazione al quale possono rivolgersi
privati cittadini e pubbliche amministrazioni.
L’art. 11, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, definisce le
attribuzioni della commissione.
Essa ha facoltà di: esprimere pareri per coordinare l'attività organizzativa delle amministrazioni in
materia di accesso e per garantire l'uniforme applicazione dei principi sugli
atti che le singole amministrazioni adottano ai sensi dell'art. 24, comma 2,
della L. 7 agosto 1990, n. 241, nonché, ove sia richiesto, su quelli attinenti
all'esercizio e all'organizzazione del diritto di accesso e decidere i ricorsi di cui all'art. 12, D.P.R. 12 aprile
2006, n. 184.
Il Governo può acquisire il parere della Commissione ai fini
dell'emanazione del regolamento di cui all'art. 24, comma 6, della L. 7 agosto
1990, n. 241, e della predisposizione di normative comunque attinenti al
diritto di accesso.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi può essere
esercitato nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico; nei confronti di tutti i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di
pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario; da
chiunque abbia un
interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento per il quale è richiesto l'accesso, ex art.
2, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di
accesso, qualora individui soggetti controinteressati, é tenuta a dare comunicazione agli stessi, inviando copia mediante raccomandata con
avviso di ricevimento oppure per via telematica a coloro che abbiano consentito
a tale forma di comunicazione.
I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto
del contenuto degli atti connessi.
Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i
controinteressati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso
tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, una volta
accertata l’avvenuta ricezione della comunicazione, ex art. 3,
D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
Qualora, in base alla natura del documento richiesto, non risulti
l'esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in
via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio
dell'amministrazione competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o
a detenerlo stabilmente.
In tal caso il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta o gli elementi
che ne consentano l'individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della
richiesta; dimostrare la propria identità e, ove occorra, i
propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione
contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie o altra
modalità idonea. Ove provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta é
presentata dal titolare dell'ufficio interessato o dal responsabile del
procedimento amministrativo.
La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del
documento richiesto riscontri l'esistenza di controinteressati, invita tali soggetti
a presentare richiesta formale di accesso, anche per il tramite degli Uffici
relazioni con il pubblico, ex art. 5, D.P.R. 12 aprile 2006, n.
184.
Le modalità di invio delle domande e le relative sottoscrizioni
sono disciplinate dall'art. 38, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, e successive
modificazioni, dagli artt. 4 e 5, D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e dal D. L.vo
7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ex art. 13,
D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
4.1. Il legittimato passivo
al procedimento.
Le norme sulla
partecipazione al procedimento amministrativo garantiscono a qualunque soggetto
portatore di interessi pubblici e privati la possibilità di intervenire nel
procedimento attraverso il diritto di prendere visione degli atti e di
presentare memorie e documenti e non limitano in alcun modo l'accesso ai soli
atti relativi a procedimenti definiti. T.A.R. Marche Ancona,
sez. I, 3 aprile 2006, n. 101
La giurisprudenza
prevede che solo in funzione del cosiddetto accesso esoprocedimentale occorre
che si dimostri specificamente la titolarità di un interesse giuridicamente
rilevante, correlato agli atti di cui si chieda l'esibizione, mentre
nell'accesso endoprocedimentale il soggetto la cui posizione giuridica è incisa
da un provvedimento amministrativo null'altro deve dimostrare, per legittimare
la richiesta relativa agli atti e documenti formati nel relativo procedimento,
se non la sua veste di destinatario del provvedimento stesso. T.A.R. Puglia Bari,
sez. III, 7 maggio 2007, n. 1263
4.2. L’esclusione.
Sul piano
oggettivo i documenti per i quali si chiede di esercitare l’accesso non devono
rientrare tra quelli esclusi con apposito regolamento governativo, come
indicato dall’art. 24, L. 241/1990. L’esclusione del diritto all’accesso può
avvenire nei casi stabiliti con regolamento.
Nell’ambito
delle categorie generali fissate dal regolamento le amministrazioni possono,
entro termini perentori, determinare i documenti da esse formati o comunque
rientranti nelle proprie disponibilità sottratti all’accesso.
La
giurisprudenza ha precisato che le previsioni regolamentari contrastano con la
norma primaria di cui all'art. 24 della L. n. 241/1990 e, in particolare, con
la disposizione secondo cui il diritto di difesa prevale sulla riservatezza.
L'orientamento
giurisprudenziale è stato confermato dalla L. n. 15/2005, che ha modificato la
previsione dell'ultimo comma dell'art. 24 della L. 241/1990.
Deve comunque
essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi
giuridici.
La preminenza del diritto di difesa sul diritto alla riservatezza, pertanto, impone di disapplicare le norme regolamentari configgenti con il citato art. 24, L. 241/1990, ma non anche di annullare le norme stesse perché ciò non appare strettamente necessario ai fini del soddisfacimento dell'interesse sottostante all'azione ad exhibendum. T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 6 febbraio 2006, n. 301.
La preminenza del diritto di difesa sul diritto alla riservatezza, pertanto, impone di disapplicare le norme regolamentari configgenti con il citato art. 24, L. 241/1990, ma non anche di annullare le norme stesse perché ciò non appare strettamente necessario ai fini del soddisfacimento dell'interesse sottostante all'azione ad exhibendum. T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 6 febbraio 2006, n. 301.
5. L’avvio.
L'amministrazione
è tenuta, ai sensi dell'art. 7 della L. 241, in presenza di una richiesta di
accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 22 della L. 7 agosto
1990, n. 241, a comunicare l'avvio del procedimento al soggetto che, dalla
autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio.
La necessità
della comunicazione dell'avvio del procedimento ai destinatari dell'atto finale
è prevista in generale dall'art. 7 della L. 241/90 non soltanto per i
procedimenti complessi che si articolano in più fasi, ma anche per i
procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l'adozione dell'atto
finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa
autorità emanante. T.A.R. Liguria Genova,
sez. I, 26 giugno 2007, n. 1236.
La comunicazione
consente, a coloro nella cui sfera giuridica l’atto è destinato a produrre i
suoi effetti, di partecipare attraverso memorie e controdeduzioni alla stessa redazione
dell’atto. L.R. PERFETTI 2006, 252.
Non occorre la
comunicazione dell'avvio del procedimento nei confronti del soggetto che lo ha
attivato, dato che questi sa che la sua istanza consegue l'attività
procedimentale, mentre l'omissione dell'indicazione dell'ufficio e del
responsabile del procedimento non è causa dell'illegittimità del provvedimento
formale perché non determina un vuoto procedimentale, ma, se mai, una
irregolarità rilevante agli effetti dell'imputazione delle responsabilità. T.A.R. Campania
Salerno, sez. I, 29 giugno 2007, n. 795.
Le conseguenze
sostanziali sono quelle della possibilità di fare dichiarare illegittimo
l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa.
L’esigenza di
partecipazione dei soggetti destinatari del procedimento implica inoltre che
l’avvio dell’atto debba di norma essere comunicato anche attraverso forme
diverse di pubblicità, oltre alla notifica individuale, ad esempio a mezzo
stampa, ai sensi dell’art. 7, L. 241/1990.
6. Il
responsabile del procedimento.
E’ fatto obbligo
alle amministrazioni di indicare un responsabile del procedimento, che è il
dirigente di ogni unità organizzativa, il quale può provvedere ad assegnare ad
altro dipendente la responsabilità dell’istruttoria o di un’altra fase, ad
esempio quella costitutiva o esecutoria, del provvedimento.
D.
D’ALESSIO, Il responsabile del
procedimento. La rivoluzione di una
sola figura di riferimento, in Guida
Dir. Dossier, 3, 2011, 10.
L'omessa
indicazione del responsabile del procedimento non
può mai ex se assumere valenza di
vizio procedimentale tale da portare all'illegittimità dell'atto. Tanto in
ragione del fatto che la mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento al
soggetto interessato rappresenta una mera irregolarità, insuscettibile di
determinare l'illegittimità dell'atto, alla quale è peraltro possibile supplire
considerando responsabile
il funzionario preposto alla competente unità organizzativa. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 9
settembre 2010, n. 32207.
L'istruttoria
dei procedimenti amministrativi deve essere informata al principio della
iniziativa d'ufficio e del potere - dovere del responsabile del procedimento di
acquisire d'ufficio ogni elemento utile per l'istruttoria e di invitare gli
interessati a regolarizzare istanze e dichiarazioni incomplete. Ne deriva che,
a fronte di una documentazione ritenuta inidonea, è onere dell'amministrazione
completare l'istruttoria richiedendo all'interessato quanto necessario a tal
fine, ex art. 6, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241,.
7. L’istruttoria.
Le pubbliche
amministrazioni devono precisare il termine entro cui i singoli procedimenti
devono concludersi fissando, nel caso di carenza di dizione espressa, il
termine massimo di 30 giorni.
Nell’ambito di
tali termini si colloca l’attività del privato che può accedere alla fase
preparatoria del procedimento prendendo visione degli atti e presentando
memorie e documenti.
La tipicità
dell’azione amministrativa consente di ravvisare la presenza di una serie di
operazioni e di atti nella procedura richiesta per l’emanazione dell’atto che
costituisce lo schema base del cosiddetto procedimento amministrativo.
Questo si
articola in varie fasi che hanno rilevanza o compressione in relazione alla
specifica disciplina legislativa.
La fase
preparatoria, parimenti alla fase istruttoria nel processo, serve a raccogliere
tutta la documentazione necessaria per fornire alla amministrazione gli
elementi indispensabili alla redazione dell’atto.
Gli atti di
norma possono provenire direttamente dalla amministrazione ed in questo caso
essa si attiva prendendo l’iniziativa: si pensi ad esempio ad un piano
urbanistico ove il procedimento inizi con l’incarico affidato dall’amministrazione
ai progettisti abilitati a redigerlo.
Se l’atto è
rilasciato su richiesta degli interessati, si pensi al permesso di costruire, è
il privato che deve fornire la documentazione necessaria per consentire
l’emanazione dell’atto e la pubblica amministrazione si limita a verificare la
rispondenza di quanto richiesto alle norme vigenti.
Talora nel
procedimento si innestano vari subprocedimenti che danno vita ad atti
amministrativi autonomi, e come tali impugnabili direttamente, che costituiscono
presupposti necessari al procedimento principale. Ad esempio, il verbale di
consistenza nell’espropriazione.
In altri casi il
subprocedimento produce atti che hanno una rilevanza interna per cui si esclude
la loro autonoma impugnazione.
Essi acquistano
rilevanza giuridica nell’atto amministrativo di cui costituiscono il supporto.
Ad esempio, il parere della sovrintendenza nel procedimento di rilascio di
permesso di costruire.
In questa fase
si può inserire la presenza dei destinatari dell’atto che partecipano a vario
titolo.
Possono
verificarsi ipotesi in cui il contraddittorio è requisito sostanziale: quando
la sua mancanza comporta un vizio dell’intero procedimento, ad esempio nel
verbale di consistenza, oppure quando il privato è invitato a presentare semplici
apporti di mera collaborazione, ad esempio nella relazione di piani
urbanistici, ovvero quando la partecipazione dei destinatari è requisito stesso
dell’atto amministrativo, come nei concorsi pubblici.
Le osservazioni
presentate nel corso del procedimento hanno acquistato ai sensi della L. 241/90
effetti particolari con obbligo per l'amministrazione di comunicare il
responsabile del procedimento e di rispondere alle richieste del soggetto
interessato al procedimento medesimo.
Nella fase
preparatoria il privato ha il cosiddetto diritto all'accesso al procedimento e
può partecipare nella fase formativa del provvedimento in modo da eliminare,
notiziando tempestivamente l'amministrazione, quegli elementi di vizio di
legittimità ovvero di merito che si sono riscontrati, sempre che
l'amministrazione lo ritenga opportuno.
Evitando e
correggendo eventuali errori nella fase preparatoria, si dovrebbe ridurre la
successiva fase contenziosa nel provvedimento definitivo.
Questa nuova
impostazione legislativa innova quindi radicalmente quei procedimenti che
attribuivano al privato un diritto all'accesso senza però sancire alcun obbligo
all'amministrazione di rispondere, vedi ad esempio la procedura di formazione
dei piani regolatori generali.
In tali ipotesi
vi é quindi l'obbligo per l'amministrazione di rispondere alle osservazioni
motivando l'eventuale non recepimento pena l'illegittimità della procedura.
La fase
partecipativa consente inoltre all’interessato di presentare memorie scritte e
documenti.
In accoglimento
di tali osservazioni l’amministrazione può concludere, senza pregiudizio dei
diritti dei terzi, accordi con gli interessati al fine di determinare il
provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo, ai sensi dell’art. 11
della L. 241/1990.
Si formalizza
così l’accordo sostitutivo di provvedimenti che diventa strumento possibile di
intervento anche al di fuori delle ipotesi ora tassativamente previste, ad
esempio nella cessione bonaria degli immobili oggetto di procedimento
espropriativo.
L'accordo
sostitutivo del provvedimento amministrativo rappresenta uno dei possibili
modelli di composizione dei conflitti d’interessi nel rispetto dell'interesse
pubblico.
Esso presuppone
un'ampia possibilità di scelte discrezionali da parte della p.a. procedente,
per cui la facoltà di ricorrervi, o meno, spetta esclusivamente a quest'ultima,
che può utilizzarlo anche in alternativa agli atti di autotutela, stante la
discrezionalità che caratterizza i relativi procedimenti.
L'amministrare
per accordi non può, però, avere ad oggetto i poteri di pianificazione e
programmazione che rappresentano, per espressa volontà di legge, il punto di
primo raccordo tra livello politico e livello amministrativo. Nella specie è
stata negata l'applicabilità del suindicato articolo, quindi non è possibile
l'intervento di un accordo sostitutivo del procedimento pianificatorio
concernente la localizzazione di una grande struttura commerciale. Cons. Stato,
sez. IV, 9 dicembre 2002, n. 6685, in Foro amm. CDS, 2002, 3133.
8. L’acquisizione
di pareri.
La fase
preparatoria che necessita di subprocedimenti intesi all’acquisizione di pareri
è regolamentata dall’art. 16 della L. 241/1990 che impone un termine tassativo
di 90 giorni dal ricevimento della richiesta per esprimere il parere. La
mancata comunicazione, non dovuta ad esigenze istruttorie, esime il richiedente
dall’acquisizione del parere.
Laddove un
parere non venga reso nel termine perentorio previsto, l'amministrazione
procedente può prescindere dall'apporto consultivo, ma ben può tenere conto di
un eventuale parere reso tardivamente. T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 19
aprile 2007, n. 1882.
Tale ipotesi non
si applica a pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale e alla salute.
L'art. 16, comma
3, e l'art. 17, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241 stabiliscono che le norme
sulla semplificazione dell'azione amministrativa, contenute nell'art. 16, comma
1 e 2, e nell'art. 1, comma 1 e 2, stessa legge, non si applicano allorché
pareri e valutazioni tecniche debbano essere rilasciati da organi o
amministrazioni preposti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e
della salute dei cittadini.
Il procedimento
di acquisizione dei pareri è stato modificato dall'art. 17, comma 24, L.
127/1997, che riduce i termini per esprimere il parere a 45 giorni per tutte le
amministrazioni pubbliche statali e per gli enti pubblici anche non economici,
come precisati dall'art. 2 della L. 29/1993.
E' ribadito il
principio che, in carenza di comunicazioni anche istruttorie, l’amministrazione
può procedere indipendentemente dal parere, salvo che si tratti di pareri
rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica,
territoriale e della salute dei cittadini.
La modifica dell’art.
16 della L. 241/1990 introdotta dall’art. 8, L. 69/2009, riduce drasticamente
il termine per esprimere il parere a venti giorni dalla richiesta sia
per i pareri obbligatori sia per quelli facoltativi.
Tali
nuovi termini generali per l’attività consultiva vanno posti in relazione al
termine per la conclusione del procedimento, che la nuova formulazione
dell’art. 2, comma 2, della L. 241/1990, come sostituito dall’art. 7, L.
69/2009, ha ridotto a 30 giorni.
La disciplina
relativa alla mancata espressione del parere nei termini prescritti, prevede
una diversa regolamentazione secondo che il parere sia obbligatorio o
facoltativo.
Nel caso di
mancata espressione di un parere obbligatorio, continua invece ad applicarsi la
disciplina attualmente vigente, in base alla quale l’amministrazione
richiedente ha la facoltà di proseguire il procedimento in assenza del parere
stesso.
Per la
giurisprudenza precedente in caso di decorrenza del termine di quarantacinque giorni
dalla richiesta senza che sia stato comunicato il parere o senza che l'organo
adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà
dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente
dall'acquisizione del parere obbligatori, con la sola eccezione, prevista dal
comma 3, dei pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte
alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei
cittadini.
Detto principio
si applica anche ai pareri vincolanti, i quali restano atti consultivi e non di
amministrazione attiva. Nel caso di specie la giurisprudenza ha quindi escluso
l'illegittimità del provvedimento di decadenza dall'assegnazione di alloggio di
edilizia residenziale pubblica emesso dal sindaco senza il parere obbligatorio
della speciale Commissione alloggi. Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2005, n.
13749.
Nel caso di
parere facoltativo l’amministrazione richiedente ha il dovere di procedere
indipendentemente dal parere stesso.
All’invio del
parere si deve sempre provvedere con mezzi telematici.
In entrambi i
casi, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere
degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri, a meno
che abbia omesso di richiedere il previsto parere.
9. La
motivazione.
L'art. 3, comma
3, della L. 7 agosto 1990, n. 241 afferma che l’amministrazione ha l'onere
della motivazione dei suoi atti. Essa deve dare conto, anche in modo sintetico
purché chiaro e comprensibile, della ragione sostanziale della decisione
maturata sull'apporto collaborativo dei soggetti coinvolti nel procedimento.
T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 4 agosto 2006, n. 6950.
La norma non
impone all’amministrazione di notificare o comunicare, unitamente al
provvedimento, gli atti da cui risultino le ragioni della decisione, ma solo
che detto atto sia indicato o reso disponibile.
Essa consente
all’ente pubblico di fornire una motivazione per relationem, ponendo
tuttavia a carico dell'Amministrazione due obblighi.
L’atto deve
contenere il richiamo espresso all'altro atto che contiene la motivazione e
deve essere messo a disposizione, in visione o copia, l'atto richiamato, su
istanza di parte. Il concetto di disponibilità non comporta, quindi, che l'atto
amministrativo richiamato per relationem debba essere unito
imprescindibilmente al documento, bensì che il documento sia reso disponibile a
norma della stessa legge, vale a dire che esso possa essere acquisito
utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi. T.A.R. Campania Napoli,
sez. V, 06 marzo 2007, n. 1386.
10. Il termine
a provvedere.
L'art. 2 della
L. 241/1990 sul procedimento amministrativo ribadisce l'obbligo dell'amministrazione
a concludere i procedimenti entro termini tassativi.
Il mancato
rispetto del termine per la conclusione dei procedimenti amministrativi non
determina effetti invalidanti sul provvedimento tardivamente assunto.
Il termine per
la definizione del procedimento ha, infatti, carattere meramente acceleratorio,
non recando la predetta legge alcuna prescrizione sulla perentorietà del
termine, sulla decadenza della potestà amministrativa o sull'illegittimità del
provvedimento adottato oltre il decorso del termine, alla cui scadenza è
ricollegata una figura di silenzio significativo, qualificato ope legis
silenzio-rifiuto immediatamente impugnabile.
La normativa non
contiene, infatti, alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà dello stesso
ed alla conseguente illegittimità del provvedimento adottato. T.A.R. Campania
Salerno, sez. II, 16 giugno 2006, n. 836, in Foro amm. TAR, 2006, 6,
2168.
La
riformulazione dell’art. 2 della L. 241/1990 proposta dall’art. 7, L. 18 giugno
2009, n. 69, oltre ad esigere la necessità di un provvedimento conclusivo
espresso, reca i seguenti, principali elementi di novità.
In assenza di un
termine fissato dalla legge o dagli enti, i procedimenti di competenza delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi
entro 30 giorni anziché 90, come previsto dal testo vigente.
Le
amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali possono fissare specifici
termini per la conclusione dei procedimenti di competenza che non possono in
via generale superare i 90 giorni.
La fissazione di
tali termini, per quanto concerne le amministrazioni statali, è rimessa a
regolamenti, da adottare, ex art. 17, comma 3, della L. 400/1988, con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro di
volta in volta competente di concerto con i ministri per la pubblica
amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa.
I termini non
possono in ogni modo superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei
procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti
l’immigrazione.
Il comma 6 del
novellato art. 2, L. 241/1990, precisa che i termini per la conclusione del
procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento
della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. Detta data non
coincide necessariamente con la data in cui l’atto viene protocollato
consentendo una anticipazione dei tempi procedimentali. S. TOSCHEI, Trasparenza
amministrativa. Obiettivo, tempestività e certezza nell’azione, in Guida
Dir., 2009, n. 27, 30.
I suddetti
termini entro i quali il provvedimento deve essere emanato possono essere
sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per
l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o
qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa
o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. La
giurisprudenza ha precisato che i casi di sospensione del termine
procedimentale sono tassativi, sicché - in assenza di tali evenienze - il
procedimento non può essere sospeso dalla semplice richiesta di integrazione
documentale peraltro reiterata più volte nel corso del tempo. T.A.R. Toscana Firenze,
sez. II, 7 marzo 2008, n. 277
La
giurisprudenza ha affermato che l'obbligo di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso entro un termine determinato, trova legittima
sospensione nell'intervenuto sequestro penale degli atti amministrativi
Tale sequestro
si configura come un "factum principis" ossia quale
circostanza estranea alla sfera di disponibilità, di gestione e di
organizzazione della stessa amministrazione.
In sostanza, nella specie, l'obbligo di provvedere sancito dall'art. 2 della legge n. 241/1990 è restato inadempiuto per un fatto non imputabile alla organizzazione ed alla inerzia della stessa amministrazione, ma per circostanze esterne del tutto indipendenti dalla sua volontà. Sicché, sussistendo una causa di forza maggiore che esclude l'imputabilità all'amministrazione intimata del contestato inadempimento, non può pervenirsi ad una pronuncia impositiva dell'obbligo di provvedere entro i termini di legge.
Secondo il diritto comune, per causa non imputabile ai sensi dell'art. 1218 c.c. in grado di esonerare il debitore da responsabilità da inadempimento deve intendersi quell'impedimento assolutamente imprevedibile ed estraneo, sempre sul piano oggettivo, alla sfera del debitore, cioè tale che egli non avrebbe potuto in alcun modo prevedere e controllare.
Più in generale, nella giurisprudenza amministrativa, la configurabilità del factum principis costituisce un principio di ampia applicazione ogni qual volta la presenza di un evento esterno sia idoneo a spezzare il nesso di imputazione soggettiva della fattispecie, al pari di una clausola civilistica di esonero da responsabilità per fatto altrui. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 16 giugno 2008, n. 5919.
In sostanza, nella specie, l'obbligo di provvedere sancito dall'art. 2 della legge n. 241/1990 è restato inadempiuto per un fatto non imputabile alla organizzazione ed alla inerzia della stessa amministrazione, ma per circostanze esterne del tutto indipendenti dalla sua volontà. Sicché, sussistendo una causa di forza maggiore che esclude l'imputabilità all'amministrazione intimata del contestato inadempimento, non può pervenirsi ad una pronuncia impositiva dell'obbligo di provvedere entro i termini di legge.
Secondo il diritto comune, per causa non imputabile ai sensi dell'art. 1218 c.c. in grado di esonerare il debitore da responsabilità da inadempimento deve intendersi quell'impedimento assolutamente imprevedibile ed estraneo, sempre sul piano oggettivo, alla sfera del debitore, cioè tale che egli non avrebbe potuto in alcun modo prevedere e controllare.
Più in generale, nella giurisprudenza amministrativa, la configurabilità del factum principis costituisce un principio di ampia applicazione ogni qual volta la presenza di un evento esterno sia idoneo a spezzare il nesso di imputazione soggettiva della fattispecie, al pari di una clausola civilistica di esonero da responsabilità per fatto altrui. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 16 giugno 2008, n. 5919.
La mancata
emanazione del provvedimento nei termini costituisce “elemento di valutazione”
della responsabilità dirigenziale.
Lo stesso art. 5
introduce nella L. 241/1990 il nuovo art. 2-bis che disciplina le
conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del
procedimento.
Tale articolo
pone a carico di tutte le amministrazioni pubbliche – nonché ai soggetti
privati preposti all'esercizio di attività amministrative di cui all’art. 1,
co. 1-ter, della medesima L. 241/1990 – l’obbligo di risarcire il danno
ingiusto causato dall’inosservanza, dolosa o colposa, dei termini
procedimentali.
Non si tratta di
un risarcimento automatico per il ritardo ma il richiedente deve fornire la
prova del danno sofferto per effetto del ritardo nel rilascio del provvedimento
richiesto.
Il comma 2
dell’articolo novellato attribuisce le controversie in materia di mancato
rispetto dei termini per la conclusione del procedimento alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si
prescrive in cinque anni.
11. Il nuovo
regime del silenzio assenso introdotto dalla l. 80/2005.
L’art. 3, comma
6 ter, L. 80/2005, innova l’istituto del silenzio assenso.
In primis, in relazione
al preciso disposto dell’art. 117, comma 2, lett. g), cost. che attribuisce
alla legislazione esclusiva dello Stato l’ordinamento e l’organizzazione
amministrativa dello Stato, la regolamentazione del procedimento è da
intendersi limitata ai soli procedimenti gestiti da amministrazioni statali e
da enti pubblici nazionali.
Sul punto la
dottrina precisa che la nuova disciplina del silenzio-assenso trova
applicazione solo per i procedimenti delle amministrazioni statali e degli enti
pubblici nazionali. Ciò si evince, oltre che dal rinvio all'art. 2, L. 241/1990,
anche dall’esame dei casi di esclusione e dalla prevista possibilità di
individuare ulteriori casi di esclusione con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri. O. FORLENZA, Difensore civico, tutela alternativa al
giudice, in Guida Dir., n. 22, 2005, 140.
E’ abbandonato
il sistema precedente basato sul principio della tassatività delle ipotesi
soggette a detto procedimento, senza peraltro che sia prevista alcuna
abrogazione espressa delle normative regolamentari ora vigenti.
La fattispecie del
silenzio assenso è caratterizzata, tranne per le materie oggetto di espressa
esclusione, da due elementi costitutivi che consistono nella mancata
comunicazione nei termini di legge del provvedimento negativo e nella mancata
convocazione della conferenza di servizi.
Il legislatore
contempla alcune materie che sono escluse dal procedimento di silenzio assenso
e per le quali è previsto come obbligatorio il provvedimento espresso.
L'istituto del
silenzio-assenso non è di portata illimitata, ma contiene deroghe per gli atti
e i procedimenti indicati nel comma 4 dello stesso articolo, tra i quali sono
specificamente elencati quelli che attengono alla pubblica sicurezza e
all'incolumità pubblica.
Nel caso di
specie la giurisprudenza ha ritenuto che per il combinato disposto della
predetta norma e dell'art. 23 cod. strad., non possono essere impiantati lungo
le strade cartelli pubblicitari in difetto di autorizzazione, per ragioni
attinenti alla sicurezza della circolazione. Cass. civ., sez. II, 1
marzo 2007, n. 4869.
Le disposizioni
del silenzio assenso non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il
patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la
pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai
casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti
amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio
dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti
individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i ministri
competenti, ex art. 20, L. 7 agosto 1990, n. 241, mod. art. 3, comma 6 ter,
L. 80/2005.
Peraltro la
generalizzazione dell’ipotesi del silenzio assenso contraddice quanto affermato
dalla giurisprudenza. Essa ritiene che il giudice amministrativo possa
analizzare autonomamente i requisiti costitutivi delle fattispecie che devono
essere quindi necessariamente tipiche.
La L.80/2005
conferma espressamente l’ammissione dei provvedimenti di autotutela sia della
revoca sia dell’annullamento di ufficio
Il legislatore
ha previsto alcune disposizioni che regolano la fase transitoria.
Le nuove
disposizioni in materia di silenzio-assenso non si applicano ai procedimenti in
corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, rimanendo
ferma la possibilità di presentare nuove istanze che seguono la nuova normativa,
art. 3, comma 6 sexies, L. 80/2005.
Le domande
proposte entro il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore della
conversione si intendono accolte se l’amministrazione non pronuncia il diniego
entro 180 giorni dalla presentazione della domanda, salvo previsione di termini
procedimentali più lunghi, art. 3, comma 6 septies, L. 80/2005.
12. Il silenzio
assenso e il potere dell’amministrazione.
L'amministrazione,
che intenda contestare l’attività prevista dalla istanza ed escludere il perfezionarsi
del silenzio assenso, non ha altra scelta e possibilità se non quella di
intervenire con un diniego espresso e motivato nei termini perentori espressi
dalla norma.
In caso
contrario si forma il provvedimento tacito di approvazione.
I termini
fissati dalla legislazione speciale per materializzare il silenzio assenso
hanno natura perentoria.
La scadenza del
termine ha natura sostanziale perché perfeziona la realizzazione di un atto
amministrativo che ha i contenuti che necessariamente fanno rinvio per
relationem a quanto emerge dall’istanza del richiedente.
L’approvazione
tacita consente al richiedente di dare attuazione al provvedimento.
A tal punto per
la dottrina la p.a. consuma automaticamente il potere di provvedere, in senso
positivo come in senso negativo, in ordine alla istanza, conservando, per
converso, la sola possibilità di attivarsi in sede di autotutela con atto di
annullamento del silenzio illegittimamente formatosi ovvero con provvedimento
di revoca. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo 2004, 1365.
Il
provvedimento, peraltro, come tutti gli atti amministrativi è soggetto
all’esperimento dei normali mezzi di autotutela.
La L. 80/2005
conferma espressamente l’ammissione dei provvedimenti di autotutela sia della
revoca sia dell’annullamento di ufficio.
L’annullamento
del provvedimento, qualora questo non sia conforme ai dettati legislativi, è
consentito in rapporto a fattispecie previste anche dalla legislazione
regionale.
L'atto di
diniego ha natura recettizia, pertanto il provvedimento deve essere portato a
conoscenza del richiedente.
L’art. 19 della
L. 241/1990, sostituito dall’art. 9, L. 69/2009, consente espressamente il
ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento di silenzio assenso lesivo
dell’interesse di terzi.
La posizione
della precedente giurisprudenza amministrativa appare contraria poiché essa non
ha ritenuto ammissibile la domanda avente ad oggetto l'accertamento della
formazione del silenzio assenso e la conseguente declaratoria della sanatoria
di un abuso edilizio.
La verifica
giudiziale del silenzio assenso non può avvenire in sede di processo di mero
accertamento ma esclusivamente in sede di legittimità mediante l'impugnazione
dell'atto amministrativo che non riconosca all'interessato la sussistenza di una
fattispecie a lui favorevole. T.A.R. Lazio Latina, 8 giugno 2005, n. 518.
In sede di
giudizio di tipo impugnatorio, rimane estremamente dubbio che il giudice possa
pervenire a una pronuncia di cessazione della materia del contendere per
intervenuta formazione del silenzio - assenso, poiché ciò comporterebbe una
necessaria e previa attività di accertamento della formazione di un atto
positivo ove si ammetta tale natura del silenzio-assenso per silentium,
accertamento che fuoriesce dai poteri del giudice in sede di giudizio
impugnatorio.
Il privato, ove
ritenga che il silenzio si sia formato, non può chiedere al giudice di
sopperire alla mancanza di "atto scritto" con una pronuncia che lo
metta al riparo da eventuali contestazioni dell'amministrazione. T.A.R. Campania
Salerno, sez. II, 8 luglio 2008, n. 2075
13. b) La fase
costitutiva.
Nella fase
costitutiva il responsabile dell’adozione del provvedimento analizza gli
elementi raccolti dal responsabile del procedimento, li valuta e manifesta
nell’atto la volontà dell’amministrazione.
Vi è,
praticamente, coincidenza dei soggetti là dove l’organo preposto alla fase
istruttoria sia il medesimo dell’adozione e sia monocratico.
Ad esempio, il
funzionario preposto all’atto determina la sua volontà contestualmente alla
raccolta dei dati istruttori.
Qualora si
tratti invece di organo collegiale nella fase costitutiva si deve dare atto del
modo in cui si determina la volontà e, in particolare, della ritualità della
convocazione, della verifica del numero legale e delle maggioranze previste per
l’oggetto in discussione.
Lo schema
procedimentale tende a complicarsi ulteriormente qualora nel procedimento si
inseriscano più organi; in tale caso si pone il problema se l’atto non ancora
perfetto possa esplicare effetti ovvero se il procedimento debba attendere
l’espletarsi di ulteriori subprocedimenti che ne condizionano l’iter
ovvero se più procedimenti, pur nella loro autonomia, possano esplicare effetti
gli uni sugli altri.
Nell’eventualità
che più organi concorrano nel procedimento amministrativo, il principio
generale afferma che l’atto non è perfetto fino a che le loro volontà non si
sono manifestate; l’atto è, pertanto, impugnabile solo alla fine del
procedimento.
Esistono casi in
cui l’adozione dell’atto da parte di un’autorità - ad esempio l’adozione del
piano regolatore - pur non essendo ancora approvato dall’organo regionale,
esplica direttamente effetti sui privati interessati alle sue disposizioni
consentendo, nel caso in esame, l’applicazione delle misure di salvaguardia.
L’atto è considerato perfetto, e come tale impugnabile, pur non essendo
concluso il procedimento amministrativo. Se la regione non approva il piano quelle
norme non hanno alcun effetto ex tunc, con conseguente carenza di
interesse all’impugnativa del ricorrente.
14. c) La fase
integrativa dell’efficacia.
La fase
costitutiva rende l’atto valido, ma non sempre efficace.
L’atto può
essere operante nella sfera interna dell’amministrazione, ma non può conseguire
effetti nei confronti dei soggetti passivi dell’atto.
Alcuni atti, per
essere efficaci, devono essere comunicati al soggetto passivo, ad esempio
attraverso la notifica del provvedimento.
Il provvedimento
deve essere comunicato nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili
nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei
destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti
particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di
pubblicità idonee, di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima,
art. 21 bis, L. 241/1990, ins. art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.
La pubblicità
integra l’efficacia dell’atto: essa può consistere nella pubblicazione in albi
particolari, ad esempio nel Foglio annunzi legali, ovvero nella notifica, che
di norma avviene a mezzo ufficiale giudiziario, per gli atti recettizi.
Questi atti
acquistano efficacia solo ove si dimostri che il soggetto cui l’atto è diretto
ne sia venuto a conoscenza. Così, ad esempio, una diffida produce effetti solo
se è notificata; lo stesso avviene, di norma, per tutti gli atti che comportano
effetti ablatori.
La notifica
integra l’efficacia dell’atto, già valido, poiché sussistono tutti i suoi
elementi costitutivi.
Altri atti, per
essere efficaci, devono ottenere particolari approvazioni ovvero sottostare a
particolari controlli.
La
giurisprudenza ha rpecisato che per i soggetti direttamente interessati ed
espressamente contemplati negli atti deliberativi, i termini di impugnazione
non decorrono dalla pubblicazione della deliberazione, ma dalla notifica o
comunicazione dell'atto, una volta perfezionato il relativo procedimento, ivi
compresa la fase integrativa dell'efficacia, e quindi dopo che lo stesso abbia
acquistato la sua efficacia, ex art. 21 bis, L. 7 agosto 1990 n.
241, intr. L. 11 febbraio 2005 n. 15. T.A.R. Basilicata
Potenza, 02 agosto 2005, n. 740, in Foro amm. TAR, 2005, 7/8,
2576.
Decorsi i
termini per l’impugnazione l’atto diventato efficace può essere eliminato solo
dalla stessa amministrazione in via d’autotutela.
Il visto della
Corte dei Conti sui contratti dello Stato che superano un determinato importo
integra l’efficacia del contratto.
Le delibere
comunali devono essere pubblicate per quindici giorni all’albo pretorio.
La mancanza
della pubblicazione, per la giurisprudenza prevalente, dà luogo solo a delle
irregolarità formali che possono sempre essere sanate.
15. L’esecutorietà.
La dottrina
rileva che non tutti i provvedimenti amministrativi richiedono un’attività di
esecuzione.
Sono
provvedimenti bisognosi di esecuzione quelli che prevedono un’attività
specifica della pubblica amministrazione per consentire una azione che trova
resistenza da parte del soggetto passivo, come l’esecuzione di un provvedimento
di rilascio di alloggio di edilizia residenziale pubblica da parte dell’ente
gestore.
Il provvedimento
divenuto efficace deve essere attuato attraverso una particolare azione della
p.a.
L’esecuzione del
provvedimento si distingue dalla sua efficacia in quanto si tratta di una
attività ulteriore di concretizzazione dell’effetto giuridico o di adeguamento
ad esso della realtà di fatto. La sua area è più ristretta di quella
dell’efficacia, in quanto è limitata alle situazioni di obbligo che sorgono dal
provvedimento. S. CASSESE, Diritto amministrativo generale, 2000, 854.
L’art. 21 ter,
L. 7 agosto 1990, n. 241, disciplina l’esecutorietà dei provvedimenti
amministrativi nei confronti dei terzi ammettendola solo nei casi in cui è
espressamente prevista dalla legge.
In tali casi è
preliminarmente necessario che il provvedimento costitutivo di obblighi indichi
il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato.
L’esecuzione
coattiva deve essere preceduta, inoltre, da una diffida.
Rimane fuori
dalle previsioni l’esecuzione di obblighi aventi origine contrattuale. G.
CARUSO, Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida
Dir. 2005, 76.
La
giurisprudenza afferma che il provvedimento amministrativo per essere attuato
coattivamente nei confronti di terzi abbisogna di taluni adempimenti fissati
dal legislatore; come, ad esempio, nel caso dell’ordinanza di acquisizione del
fabbricato abusivo che è resa esecutiva dal provvedimento del giudice che
verifica la legittimità del procedimento.
16. La sospensione
dell’efficacia.
L’art. 21 quater,
L. 7 agosto 1990, n. 241, dispone che i provvedimenti efficaci devono essere
eseguiti immediatamente.
La norma
disciplina, inoltre, il potere dell’amministrazione di sospendere il
provvedimento da essa emanato
Per esercitare
tale potere l’amministrazione deve addurre gravi motivi e deve determinare il
tempo della sospensione.
La nuova
disciplina dispone che l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento
amministrativo può essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente
necessario dallo stesso organo che lo ha emanato o da altro organo previsto per
legge.
Il termine per
la sospensione deve essere espressamente indicato nel provvedimento.
Il nuovo termine
può essere prorogato o differito per una sola volta ovvero ridotto per
sopravvenute esigenze.
I caratteri
costitutivi del provvedimento – le gravi ragioni ed il tempo di sospensione –
sono suscettibili di verifica giurisdizionale sia sotto il profilo dell’eccesso
di potere sia sotto quello della congruità e della ragionevolezza. G. CARUSO, Svolta
per le regole sull’invalidità formale, in Guida Dir., 2005,
77.
La normativa
pone fine al contrasto giurisprudenziale finora esistente.
Un indirizzo
giurisprudenziale, precedente alla entrata in vigore della L. 15/2005, ha
riconosciuto all’amministrazione il potere di sospendere i propri atti.
Altra giurisprudenza
nega, invece, il potere di sospensione che non trovi supporto in una
disposizione normativa.
E’
stato dichiarato illegittimo, perché contrastante con il principio di tipicità
degli atti amministrativi, il provvedimento con cui il sindaco dispone la
sospensione cautelativa dell'efficacia di un permesso di costruire, motivandolo
con riferimento al fatto che nei confronti dei componenti della commissione
edilizia sono stati emessi provvedimenti restrittivi della libertà personale.
L'istituto
della sospensione dell'efficacia del permesso di costruire, a suo tempo
regolarmente rilasciato, non è contemplato, infatti, da alcuna disposizione
della vigente disciplina urbanistico edilizia e inoltre il titolo edificatorio,
una volta rilasciato, può essere dalla p.a. soltanto annullato in sede di
autotutela. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 15 dicembre 2004, n. 10305.
La previsione dell'art. 19 della Ll. 7.8.1990, n. 241,
come sostituito dall'art. 49, Ll. 122/2010, e dall’art. 5, D.L. sviluppo
70/2011 contempla un procedimento
autorizzatorio denominato segnalazione certificata di inizio attività –
s.c.i.a. nel quale il consenso dell’amministrazione è dovuto per la presenza
dei presupposti di legge posti in essere dal richiedente .
L’attività
amministrativa è da considerarsi vincolata
e l’esame della richiesta presentata dal privato non può entrare nel
merito del provvedimento. Il contenuto stesso dell’attività è contemplato nella
segnalazione.
L’amministrazione
non ha alcun margine di discrezionalità nella sua azione poiché deve solo
prendere atto che l’attività denunciata sia conforme ai dettati di legge.
La
norma precisa che è sostituito da una segnalazione dell’interessato ogni atto
di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta
comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli
richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o
artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti
e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto
generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.
Il
procedimento non può essere utilizzato , essendo espressamente escluso, nei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza,
all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della
giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti
le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di
quelli imposti dalla normativa comunitaria.
La segnalazione
deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e
dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità
personali e i fatti previsti negli artt. 46 e 47, d.p.r. 28
.12.2000, n. 445,
mod. art. 49 d.p.r.
14.11.2002, n. 313.
In
precedenza il richiedente doveva
comunicare l’effettivo inizio della attività preannunciata dopo che sono
trascorsi trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione.
Con
la riforma l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data
della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente, ex art. 19, 2° co., l. 7.8.1990, n. 241, sost. art. 49, 4° bis co., l. 122/2010.
L’amministrazione
competente verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di
legge richiesti, ma non deve emanare alcun provvedimento.
L’amministrazione
non rilascia un atto di assenso ma esercita solo una funzione di controllo,
dovendo solo verificare la sussistenza dei requisiti prescritti e dei
presupposti normativi affinché l’interessato possa legittimamente proseguire
l’attività che dopo la segnalazione può
iniziare immediatamente.
Evidentemente
non è richiesta la comunicazione dell’avvio del procedimento di controllo in
quanto esso segue naturalmente alla segnalazione certificata di inizio
attività.
La
norma conferma che l’atto di diniego all’esercizio dell’attività deve essere
emanato entro i termini previsti di sessanta per l’adozione dei provvedimenti
di autotutela. Il D.L. sviluppo 70/2011 introduce
anche la semplificazione della Scia, con tempi dimezzati da 60 a 30
giorni per i controlli da parte delle pubbliche amministrazioni.
Scaduto
detto termine l’esercizio del potere inibitorio è fortemente limitato .
Il
potere cautelare può essere esercitato solo nei tempi prescritti pena
l’illegittimità dell’azione dell’amministrazione che può peraltro attivarsi
sono in via di autotutela senza potere impedire che l’attività possa essere
legittimamente continuata.
All’amministrazione
è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento
dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione
dell’attività dei privati alla normativa vigente, ex art. 19, 4° co., l. 7.8.1990, n. 241, sost. art. 49, 4° bis co.,
l. 122/210. N. CENTOFANTI e P. CENTOFANTI, La
nuova disciplina del silenzio della p.a., 2011, 165.
E '
fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, ex art. 19, 3°
co., l. 7.8.1990, n. 241, sost. art. 49, 4° bis
co., l. 122/2010.
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