giovedì 2 febbraio 2017

IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO


       IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

1. Atto, provvedimento e procedimento amministrativo.

L’atto amministrativo è qualunque atto imputabile all’amministrazione.
L’atto può non comportare una incisione diretta su posizioni giuridiche di altri soggetti pubblici o privati; in tal caso si definisce mero atto come ad esempio un rapporto interno con il quale l’amministrazione prende conoscenza di un determinato fatto. P. VIRGA, Diritto amministrativo, 1987, 4. R. CHIEPPA e R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, 2011,  343.

Si definisce, invece, provvedimento l’atto col quale la pubblica amministrazione esprime la sua volontà di incidere su posizione giuridiche di un soggetto che può essere pubblico o privato. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, 1988, 672.
Questa distinzione chiarisce anche gli aspetti della eventuale tutela che è ammessa solo per i provvedimenti che esauriscono, sotto il profilo procedurale, la fase preparatoria. Questa, infatti, non è soggetta ad impugnazione che è possibile solo quando il provvedimento diventa definitivo.
L’azione amministrativa si sviluppa attraverso una serie di atti e/o provvedimenti logicamente coordinati al fine dell’adozione di un provvedimento finale, avente effetti esecutivi, che è espressione della volontà della pubblica amministrazione.
La serie di atti che convergono nel provvedimento amministrativo nella loro fase dinamica costituisce il procedimento amministrativo.
I principi cui deve necessariamente ispirarsi il procedimento sono stati via via definiti dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
E’ mancata, infatti, in Italia fino alla L. 241/1990 una legge generale sul procedimento amministrativo. V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, 1997, 423.


2. Le fasi del procedimento. a) La fase preparatoria.

Il procedimento amministrativo si articola secondo la costruzione dottrinale dominante in varie fasi: la fase preparatoria, la fase costitutiva e la fase integrativa dell’efficacia.
La fase preparatoria, che in precedenza è stata riservata esclusivamente alla amministrazione, è codificata dalla L. 241/1990.
La legge disciplina alcuni principi generali, già introdotti dalla giurisprudenza amministrativa. Il cosiddetto accesso al procedimento amministrativo, che consente al destinatario dell’atto di inserirsi nella fase preparatoria - prima esclusivamente riservata all’amministrazione - si articola nei seguenti punti: l’obbligo di comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la fissazione di un termine per provvedere ed infine l’obbligo di nominare il responsabile del procedimento.

3. L’accesso al procedimento amministrativo.

La L. 7 agosto 1990, n. 241 rivoluziona il procedimento amministrativo istituendo la possibilità di accedere al procedimento stesso fin dalla fase preparatoria, che in precedenza era riservata esclusivamente alla amministrazione.
La dottrina rileva che la legge enuncia i principi che debbono presiedere all’attività amministrativa in concreta attuazione dei principi costituzionali di imparzialità , buon andamento e non aggravamento de procedimento amministrativo. La legge dà una risposta in termini di effettività alle istanze dei cittadini.  O. FORLENZA, Nel 1990, anno di svolta, si ridisegna il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, in Guida Dir. Dossier, 3, 2011, 10.

Tale legge inoltre conferma i principi generali di disciplina dei procedimenti amministrativi, già introdotti dalla giurisprudenza amministrativa. Essi sono: l’obbligo di comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la fissazione di un termine per provvedere ed infine l’obbligo di nominare il responsabile del procedimento.
Sul piano procedurale il diritto si configura solo dopo la presentazione di una richiesta motivata.
L'amministrazione è tenuta in presenza di una richiesta di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 22 della L. 7 agosto 1990, n. 241, a dare notizia dell'avvio del procedimento al soggetto che, dalla autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio.
Le conseguenze sostanziali sono quelle della possibilità di fare dichiarare illegittimo l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa.




3.1) L'accesso nei confronti dei gestori di pubblici servizi.

L’art. 1 ter, L. 241/1990, mod. dall'art. 7, comma 1, lett. a), della L. 18 giugno 2009, n. 69, afferma che i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di economicità, di efficacia, di imparzialità , di pubblicità e di trasparenza a cui è informata l’azione della pubblica amministrazione.
Al giurisprudenza ha affermato che pur non essendo Trenitalia s.p.a. un soggetto concessionario, ma operante nel regime di mercato in forza di licenza, essa gestisce tuttavia un servizio pubblico, quale è il trasporto su rotaie, anche se non in forza di concessione.
Si applica, pertanto, nei suoi confronti l'art. 23, L. 241 del 1990, secondo cui "il diritto di accesso di cui all'art. 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi", indipendentemente dal titolo giuridico in base al quale viene gestito il servizio pubblico. Consiglio Stato , sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5569.
Ora la tutela amministrativa si scontra contro la rapidità delle decisioni dei soggetti gestori di pubblici servizi che se non trovano un a sollecita tutela rendono tali soggetti che devono rispondere della motivazione almeno delle loro scelte sciolti da ogni controllo.
Il sacrosanto diritto di accesso può essere utilizzato almeno per conoscere le motivazioni di provvedimenti che sono destinati ad incidere profondamente sui destinatari là dove gli stessi servizi hanno un costo che ricade sui contribuenti?
Si tratta di avere informazioni che possono portare a valutare se intraprendere o meno tutele giudiziarie.
L’accesso al procedimento rischia di essere precluso nei confronti dei gestori di pubblici servizi.
L' ambito applicativo del d.lgs. n. 195 del 2005, per quanto esteso, non può dare titolo ad una forma di accesso indiscriminato a tutte le pratiche inerenti ad un determinato settore di attività amministrativa, non potendosi il diritto all'informazione in materia ambientale, al pari del diritto di accesso in genere, tradursi in uno strumento di controllo sistematico e generalizzato sulla gestione di tutti i procedimenti amministrativi in itinere e, più in generale, sull'intero operato di un ente pubblico, che finirebbe per conferire ad un'associazione privata poteri ispettivi che non le competono. T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 18 maggio 2009, n. 2359.
La giurisprudenza ha affermato la giurisdizione amministrativa sugli atti autoritativi concernenti il rapporto di pubblico impiego emanati dall'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato non sono diventati atti negoziali privati con l'entrata in vigore della l. 17 maggio 1985 n. 210 (la quale, istituendo l'Ente Ferrovie dello Stato quale successore dell'Azienda predetta, ha determinato la trasformazione "ex nunc" del rapporto di impiego pubblico in rapporto di diritto privato), ma hanno conservato la natura di atti amministrativi dei quali il g.o. conosce nell'esercizio della giurisdizione concernente il rapporto di lavoro con l'ente pubblico economico. Cass. Civ. , sez. lav., 18 luglio 2007, n. 15974
Del pari la s.p.a. Ferrovie dello Stato, quando stipula appalti di opere pubbliche o di servizi pubblici, assume la qualifica di amministrazione aggiudicatrice soggetta alla giurisdizione amministrativa. Cass. Civ. , sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4424


4. Il Regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi.

Con il D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, è stato approvato il Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Il  Regolamento, che definisce le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nel capo V della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è entrato in vigore  il 2 giugno 2006.
Le amministrazioni interessate hanno un anno di tempo per adottare i provvedimenti generali organizzatori necessari al corretto esercizio di tale diritto, dandone comunicazione alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita ai sensi dell'art. 27, L. 7 agosto 1990, n. 241.
La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi è l'organismo preposto alla vigilanza sull'attuazione del principio della piena conoscibilità e trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione al quale possono rivolgersi privati cittadini e pubbliche amministrazioni.
L’art. 11, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, definisce le attribuzioni della commissione.
Essa ha facoltà di: esprimere pareri per coordinare l'attività organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso e per garantire l'uniforme applicazione dei principi sugli atti che le singole amministrazioni adottano ai sensi dell'art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, nonché, ove sia richiesto, su quelli attinenti all'esercizio e all'organizzazione del diritto di accesso e decidere i ricorsi di cui all'art. 12, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
Il Governo può acquisire il parere della Commissione ai fini dell'emanazione del regolamento di cui all'art. 24, comma 6, della L. 7 agosto 1990, n. 241, e della predisposizione di normative comunque attinenti al diritto di accesso.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi può essere esercitato nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico; nei confronti di tutti i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario; da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l'accesso, ex art. 2, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, qualora individui soggetti controinteressati, é tenuta a dare comunicazione agli stessi, inviando copia mediante raccomandata con avviso di ricevimento oppure per via telematica a coloro che abbiano consentito a tale forma di comunicazione.
I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi.
Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, una volta accertata l’avvenuta ricezione della comunicazione, ex art. 3, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
Qualora, in base alla natura del documento richiesto, non risulti l'esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente.
In tal caso il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta o gli elementi che ne consentano l'individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della richiesta; dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie o altra modalità idonea. Ove provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta é presentata dal titolare dell'ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo.
La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto riscontri l'esistenza di controinteressati, invita tali soggetti a presentare richiesta formale di accesso, anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico, ex art. 5, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
Le modalità di invio delle domande e le relative sottoscrizioni sono disciplinate dall'art. 38, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, dagli artt. 4 e 5, D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e dal D. L.vo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ex art. 13, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
 

















4.1. Il legittimato passivo al procedimento.

Le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo garantiscono a qualunque soggetto portatore di interessi pubblici e privati la possibilità di intervenire nel procedimento attraverso il diritto di prendere visione degli atti e di presentare memorie e documenti e non limitano in alcun modo l'accesso ai soli atti relativi a procedimenti definiti. T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 3 aprile 2006, n. 101
La giurisprudenza prevede che solo in funzione del cosiddetto accesso esoprocedimentale occorre che si dimostri specificamente la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante, correlato agli atti di cui si chieda l'esibizione, mentre nell'accesso endoprocedimentale il soggetto la cui posizione giuridica è incisa da un provvedimento amministrativo null'altro deve dimostrare, per legittimare la richiesta relativa agli atti e documenti formati nel relativo procedimento, se non la sua veste di destinatario del provvedimento stesso. T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 7 maggio 2007, n. 1263

4.2. L’esclusione.

Sul piano oggettivo i documenti per i quali si chiede di esercitare l’accesso non devono rientrare tra quelli esclusi con apposito regolamento governativo, come indicato dall’art. 24, L. 241/1990. L’esclusione del diritto all’accesso può avvenire nei casi stabiliti con regolamento.
Nell’ambito delle categorie generali fissate dal regolamento le amministrazioni possono, entro termini perentori, determinare i documenti da esse formati o comunque rientranti nelle proprie disponibilità sottratti all’accesso.
La giurisprudenza ha precisato che le previsioni regolamentari contrastano con la norma primaria di cui all'art. 24 della L. n. 241/1990 e, in particolare, con la disposizione secondo cui il diritto di difesa prevale sulla riservatezza.
L'orientamento giurisprudenziale è stato confermato dalla L. n. 15/2005, che ha modificato la previsione dell'ultimo comma dell'art. 24 della L. 241/1990.
Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
La preminenza del diritto di difesa sul diritto alla riservatezza, pertanto, impone di disapplicare le norme regolamentari configgenti con il citato art. 24, L. 241/1990, ma non anche di annullare le norme stesse perché ciò non appare strettamente necessario ai fini del soddisfacimento dell'interesse sottostante all'azione ad exhibendum.
T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 6 febbraio 2006, n. 301.

5. L’avvio.

L'amministrazione è tenuta, ai sensi dell'art. 7 della L. 241, in presenza di una richiesta di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell'art. 22 della L. 7 agosto 1990, n. 241, a comunicare l'avvio del procedimento al soggetto che, dalla autorizzazione alla visione dei documenti, potrebbe ricevere un pregiudizio.
La necessità della comunicazione dell'avvio del procedimento ai destinatari dell'atto finale è prevista in generale dall'art. 7 della L. 241/90 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi, ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l'adozione dell'atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante. T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 26 giugno 2007, n. 1236.
La comunicazione consente, a coloro nella cui sfera giuridica l’atto è destinato a produrre i suoi effetti, di partecipare attraverso memorie e controdeduzioni alla stessa redazione dell’atto. L.R. PERFETTI 2006, 252.
Non occorre la comunicazione dell'avvio del procedimento nei confronti del soggetto che lo ha attivato, dato che questi sa che la sua istanza consegue l'attività procedimentale, mentre l'omissione dell'indicazione dell'ufficio e del responsabile del procedimento non è causa dell'illegittimità del provvedimento formale perché non determina un vuoto procedimentale, ma, se mai, una irregolarità rilevante agli effetti dell'imputazione delle responsabilità. T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 29 giugno 2007, n. 795.
Le conseguenze sostanziali sono quelle della possibilità di fare dichiarare illegittimo l’intero procedimento con ricorso alla giustizia amministrativa.
L’esigenza di partecipazione dei soggetti destinatari del procedimento implica inoltre che l’avvio dell’atto debba di norma essere comunicato anche attraverso forme diverse di pubblicità, oltre alla notifica individuale, ad esempio a mezzo stampa, ai sensi dell’art. 7, L. 241/1990.

6. Il responsabile del procedimento.

E’ fatto obbligo alle amministrazioni di indicare un responsabile del procedimento, che è il dirigente di ogni unità organizzativa, il quale può provvedere ad assegnare ad altro dipendente la responsabilità dell’istruttoria o di un’altra fase, ad esempio quella costitutiva o esecutoria, del provvedimento.
D. D’ALESSIO, Il responsabile del procedimento. La rivoluzione di una sola figura di riferimento, in Guida Dir. Dossier, 3, 2011, 10.
L'omessa indicazione del responsabile del procedimento non può mai ex se assumere valenza di vizio procedimentale tale da portare all'illegittimità dell'atto. Tanto in ragione del fatto che la mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento al soggetto interessato rappresenta una mera irregolarità, insuscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto, alla quale è peraltro possibile supplire considerando responsabile il funzionario preposto alla competente unità organizzativa. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 9 settembre 2010, n. 32207.
L'istruttoria dei procedimenti amministrativi deve essere informata al principio della iniziativa d'ufficio e del potere - dovere del responsabile del procedimento di acquisire d'ufficio ogni elemento utile per l'istruttoria e di invitare gli interessati a regolarizzare istanze e dichiarazioni incomplete. Ne deriva che, a fronte di una documentazione ritenuta inidonea, è onere dell'amministrazione completare l'istruttoria richiedendo all'interessato quanto necessario a tal fine, ex art. 6, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241,.

7. L’istruttoria.

Le pubbliche amministrazioni devono precisare il termine entro cui i singoli procedimenti devono concludersi fissando, nel caso di carenza di dizione espressa, il termine massimo di 30 giorni.
Nell’ambito di tali termini si colloca l’attività del privato che può accedere alla fase preparatoria del procedimento prendendo visione degli atti e presentando memorie e documenti.
La tipicità dell’azione amministrativa consente di ravvisare la presenza di una serie di operazioni e di atti nella procedura richiesta per l’emanazione dell’atto che costituisce lo schema base del cosiddetto procedimento amministrativo.
Questo si articola in varie fasi che hanno rilevanza o compressione in relazione alla specifica disciplina legislativa.
La fase preparatoria, parimenti alla fase istruttoria nel processo, serve a raccogliere tutta la documentazione necessaria per fornire alla amministrazione gli elementi indispensabili alla redazione dell’atto.
Gli atti di norma possono provenire direttamente dalla amministrazione ed in questo caso essa si attiva prendendo l’iniziativa: si pensi ad esempio ad un piano urbanistico ove il procedimento inizi con l’incarico affidato dall’amministrazione ai progettisti abilitati a redigerlo.
Se l’atto è rilasciato su richiesta degli interessati, si pensi al permesso di costruire, è il privato che deve fornire la documentazione necessaria per consentire l’emanazione dell’atto e la pubblica amministrazione si limita a verificare la rispondenza di quanto richiesto alle norme vigenti.
Talora nel procedimento si innestano vari subprocedimenti che danno vita ad atti amministrativi autonomi, e come tali impugnabili direttamente, che costituiscono presupposti necessari al procedimento principale. Ad esempio, il verbale di consistenza nell’espropriazione.
In altri casi il subprocedimento produce atti che hanno una rilevanza interna per cui si esclude la loro autonoma impugnazione.
Essi acquistano rilevanza giuridica nell’atto amministrativo di cui costituiscono il supporto. Ad esempio, il parere della sovrintendenza nel procedimento di rilascio di permesso di costruire.
In questa fase si può inserire la presenza dei destinatari dell’atto che partecipano a vario titolo.
Possono verificarsi ipotesi in cui il contraddittorio è requisito sostanziale: quando la sua mancanza comporta un vizio dell’intero procedimento, ad esempio nel verbale di consistenza, oppure quando il privato è invitato a presentare semplici apporti di mera collaborazione, ad esempio nella relazione di piani urbanistici, ovvero quando la partecipazione dei destinatari è requisito stesso dell’atto amministrativo, come nei concorsi pubblici.
Le osservazioni presentate nel corso del procedimento hanno acquistato ai sensi della L. 241/90 effetti particolari con obbligo per l'amministrazione di comunicare il responsabile del procedimento e di rispondere alle richieste del soggetto interessato al procedimento medesimo.
Nella fase preparatoria il privato ha il cosiddetto diritto all'accesso al procedimento e può partecipare nella fase formativa del provvedimento in modo da eliminare, notiziando tempestivamente l'amministrazione, quegli elementi di vizio di legittimità ovvero di merito che si sono riscontrati, sempre che l'amministrazione lo ritenga opportuno.
Evitando e correggendo eventuali errori nella fase preparatoria, si dovrebbe ridurre la successiva fase contenziosa nel provvedimento definitivo.
Questa nuova impostazione legislativa innova quindi radicalmente quei procedimenti che attribuivano al privato un diritto all'accesso senza però sancire alcun obbligo all'amministrazione di rispondere, vedi ad esempio la procedura di formazione dei piani regolatori generali.
In tali ipotesi vi é quindi l'obbligo per l'amministrazione di rispondere alle osservazioni motivando l'eventuale non recepimento pena l'illegittimità della procedura.
La fase partecipativa consente inoltre all’interessato di presentare memorie scritte e documenti.
In accoglimento di tali osservazioni l’amministrazione può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, accordi con gli interessati al fine di determinare il provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990.
Si formalizza così l’accordo sostitutivo di provvedimenti che diventa strumento possibile di intervento anche al di fuori delle ipotesi ora tassativamente previste, ad esempio nella cessione bonaria degli immobili oggetto di procedimento espropriativo.
L'accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo rappresenta uno dei possibili modelli di composizione dei conflitti d’interessi nel rispetto dell'interesse pubblico.
Esso presuppone un'ampia possibilità di scelte discrezionali da parte della p.a. procedente, per cui la facoltà di ricorrervi, o meno, spetta esclusivamente a quest'ultima, che può utilizzarlo anche in alternativa agli atti di autotutela, stante la discrezionalità che caratterizza i relativi procedimenti.
L'amministrare per accordi non può, però, avere ad oggetto i poteri di pianificazione e programmazione che rappresentano, per espressa volontà di legge, il punto di primo raccordo tra livello politico e livello amministrativo. Nella specie è stata negata l'applicabilità del suindicato articolo, quindi non è possibile l'intervento di un accordo sostitutivo del procedimento pianificatorio concernente la localizzazione di una grande struttura commerciale. Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2002, n. 6685, in Foro amm. CDS, 2002, 3133.

8. L’acquisizione di pareri.

La fase preparatoria che necessita di subprocedimenti intesi all’acquisizione di pareri è regolamentata dall’art. 16 della L. 241/1990 che impone un termine tassativo di 90 giorni dal ricevimento della richiesta per esprimere il parere. La mancata comunicazione, non dovuta ad esigenze istruttorie, esime il richiedente dall’acquisizione del parere.
Laddove un parere non venga reso nel termine perentorio previsto, l'amministrazione procedente può prescindere dall'apporto consultivo, ma ben può tenere conto di un eventuale parere reso tardivamente. T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 19 aprile 2007, n. 1882.
Tale ipotesi non si applica a pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e alla salute.
L'art. 16, comma 3, e l'art. 17, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241 stabiliscono che le norme sulla semplificazione dell'azione amministrativa, contenute nell'art. 16, comma 1 e 2, e nell'art. 1, comma 1 e 2, stessa legge, non si applicano allorché pareri e valutazioni tecniche debbano essere rilasciati da organi o amministrazioni preposti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini.
Il procedimento di acquisizione dei pareri è stato modificato dall'art. 17, comma 24, L. 127/1997, che riduce i termini per esprimere il parere a 45 giorni per tutte le amministrazioni pubbliche statali e per gli enti pubblici anche non economici, come precisati dall'art. 2 della L. 29/1993.
E' ribadito il principio che, in carenza di comunicazioni anche istruttorie, l’amministrazione può procedere indipendentemente dal parere, salvo che si tratti di pareri rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini.

La modifica dell’art. 16 della L. 241/1990 introdotta dall’art. 8, L. 69/2009, riduce drasticamente il termine per esprimere il parere a venti giorni dalla richiesta sia per i pareri obbligatori sia per quelli facoltativi.
Tali nuovi termini generali per l’attività consultiva vanno posti in relazione al termine per la conclusione del procedimento, che la nuova formulazione dell’art. 2, comma 2, della L. 241/1990, come sostituito dall’art. 7, L. 69/2009, ha ridotto a 30 giorni.
La disciplina relativa alla mancata espressione del parere nei termini prescritti, prevede una diversa regolamentazione secondo che il parere sia obbligatorio o facoltativo.
Nel caso di mancata espressione di un parere obbligatorio, continua invece ad applicarsi la disciplina attualmente vigente, in base alla quale l’amministrazione richiedente ha la facoltà di proseguire il procedimento in assenza del parere stesso.
Per la giurisprudenza precedente in caso di decorrenza del termine di quarantacinque giorni dalla richiesta senza che sia stato comunicato il parere o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere obbligatori, con la sola eccezione, prevista dal comma 3, dei pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini.
Detto principio si applica anche ai pareri vincolanti, i quali restano atti consultivi e non di amministrazione attiva. Nel caso di specie la giurisprudenza ha quindi escluso l'illegittimità del provvedimento di decadenza dall'assegnazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica emesso dal sindaco senza il parere obbligatorio della speciale Commissione alloggi. Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2005, n. 13749.
Nel caso di parere facoltativo l’amministrazione richiedente ha il dovere di procedere indipendentemente dal parere stesso.
All’invio del parere si deve sempre provvedere con mezzi telematici.
In entrambi i casi, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri, a meno che abbia omesso di richiedere il previsto parere.










9. La motivazione.

L'art. 3, comma 3, della L. 7 agosto 1990, n. 241 afferma che l’amministrazione ha l'onere della motivazione dei suoi atti. Essa deve dare conto, anche in modo sintetico purché chiaro e comprensibile, della ragione sostanziale della decisione maturata sull'apporto collaborativo dei soggetti coinvolti nel procedimento. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 4 agosto 2006, n. 6950.
La norma non impone all’amministrazione di notificare o comunicare, unitamente al provvedimento, gli atti da cui risultino le ragioni della decisione, ma solo che detto atto sia indicato o reso disponibile.
Essa consente all’ente pubblico di fornire una motivazione per relationem, ponendo tuttavia a carico dell'Amministrazione due obblighi.
L’atto deve contenere il richiamo espresso all'altro atto che contiene la motivazione e deve essere messo a disposizione, in visione o copia, l'atto richiamato, su istanza di parte. Il concetto di disponibilità non comporta, quindi, che l'atto amministrativo richiamato per relationem debba essere unito imprescindibilmente al documento, bensì che il documento sia reso disponibile a norma della stessa legge, vale a dire che esso possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 06 marzo 2007, n. 1386.

10. Il termine a provvedere.

L'art. 2 della L. 241/1990 sul procedimento amministrativo ribadisce l'obbligo dell'amministrazione a concludere i procedimenti entro termini tassativi.
Il mancato rispetto del termine per la conclusione dei procedimenti amministrativi non determina effetti invalidanti sul provvedimento tardivamente assunto.
Il termine per la definizione del procedimento ha, infatti, carattere meramente acceleratorio, non recando la predetta legge alcuna prescrizione sulla perentorietà del termine, sulla decadenza della potestà amministrativa o sull'illegittimità del provvedimento adottato oltre il decorso del termine, alla cui scadenza è ricollegata una figura di silenzio significativo, qualificato ope legis silenzio-rifiuto immediatamente impugnabile.
La normativa non contiene, infatti, alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà dello stesso ed alla conseguente illegittimità del provvedimento adottato. T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 16 giugno 2006, n. 836, in Foro amm. TAR, 2006, 6, 2168.
La riformulazione dell’art. 2 della L. 241/1990 proposta dall’art. 7, L. 18 giugno 2009, n. 69, oltre ad esigere la necessità di un provvedimento conclusivo espresso, reca i seguenti, principali elementi di novità.
In assenza di un termine fissato dalla legge o dagli enti, i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro 30 giorni anziché 90, come previsto dal testo vigente.
Le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali possono fissare specifici termini per la conclusione dei procedimenti di competenza che non possono in via generale superare i 90 giorni.
La fissazione di tali termini, per quanto concerne le amministrazioni statali, è rimessa a regolamenti, da adottare, ex art. 17, comma 3, della L. 400/1988, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro di volta in volta competente di concerto con i ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa.
I termini non possono in ogni modo superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione.
Il comma 6 del novellato art. 2, L. 241/1990, precisa che i termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. Detta data non coincide necessariamente con la data in cui l’atto viene protocollato consentendo una anticipazione dei tempi procedimentali. S. TOSCHEI, Trasparenza amministrativa. Obiettivo, tempestività e certezza nell’azione, in Guida Dir., 2009, n. 27, 30.
I suddetti termini entro i quali il provvedimento deve essere emanato possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. La giurisprudenza ha precisato che i casi di sospensione del termine procedimentale sono tassativi, sicché - in assenza di tali evenienze - il procedimento non può essere sospeso dalla semplice richiesta di integrazione documentale peraltro reiterata più volte nel corso del tempo. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 7 marzo 2008, n. 277
La giurisprudenza ha affermato che l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro un termine determinato, trova legittima sospensione nell'intervenuto sequestro penale degli atti amministrativi
Tale sequestro si configura come un "factum principis" ossia quale circostanza estranea alla sfera di disponibilità, di gestione e di organizzazione della stessa amministrazione.
In sostanza, nella specie, l'obbligo di provvedere sancito dall'art. 2 della legge n. 241/1990 è restato inadempiuto per un fatto non imputabile alla organizzazione ed alla inerzia della stessa amministrazione, ma per circostanze esterne del tutto indipendenti dalla sua volontà. Sicché, sussistendo una causa di forza maggiore che esclude l'imputabilità all'amministrazione intimata del contestato inadempimento, non può pervenirsi ad una pronuncia impositiva dell'obbligo di provvedere entro i termini di legge.
Secondo il diritto comune, per causa non imputabile ai sensi dell'art. 1218 c.c. in grado di esonerare il debitore da responsabilità da inadempimento deve intendersi quell'impedimento assolutamente imprevedibile ed estraneo, sempre sul piano oggettivo, alla sfera del debitore, cioè tale che egli non avrebbe potuto in alcun modo prevedere e controllare.
Più in generale, nella giurisprudenza amministrativa, la configurabilità del factum principis costituisce un principio di ampia applicazione ogni qual volta la presenza di un evento esterno sia idoneo a spezzare il nesso di imputazione soggettiva della fattispecie, al pari di una clausola civilistica di esonero da responsabilità per fatto altrui.
T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 16 giugno 2008, n. 5919.

La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce “elemento di valutazione” della responsabilità dirigenziale.
Lo stesso art. 5 introduce nella L. 241/1990 il nuovo art. 2-bis che disciplina le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento.
Tale articolo pone a carico di tutte le amministrazioni pubbliche – nonché ai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative di cui all’art. 1, co. 1-ter, della medesima L. 241/1990 – l’obbligo di risarcire il danno ingiusto causato dall’inosservanza, dolosa o colposa, dei termini procedimentali.
Non si tratta di un risarcimento automatico per il ritardo ma il richiedente deve fornire la prova del danno sofferto per effetto del ritardo nel rilascio del provvedimento richiesto.
Il comma 2 dell’articolo novellato attribuisce le controversie in materia di mancato rispetto dei termini per la conclusione del procedimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.


11. Il nuovo regime del silenzio assenso introdotto dalla l. 80/2005.

L’art. 3, comma 6 ter, L. 80/2005, innova l’istituto del silenzio assenso.
In primis, in relazione al preciso disposto dell’art. 117, comma 2, lett. g), cost. che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato, la regolamentazione del procedimento è da intendersi limitata ai soli procedimenti gestiti da amministrazioni statali e da enti pubblici nazionali.
Sul punto la dottrina precisa che la nuova disciplina del silenzio-assenso trova applicazione solo per i procedimenti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Ciò si evince, oltre che dal rinvio all'art. 2, L. 241/1990, anche dall’esame dei casi di esclusione e dalla prevista possibilità di individuare ulteriori casi di esclusione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. O. FORLENZA, Difensore civico, tutela alternativa al giudice, in Guida Dir., n. 22, 2005, 140.
E’ abbandonato il sistema precedente basato sul principio della tassatività delle ipotesi soggette a detto procedimento, senza peraltro che sia prevista alcuna abrogazione espressa delle normative regolamentari ora vigenti.
La fattispecie del silenzio assenso è caratterizzata, tranne per le materie oggetto di espressa esclusione, da due elementi costitutivi che consistono nella mancata comunicazione nei termini di legge del provvedimento negativo e nella mancata convocazione della conferenza di servizi.
Il legislatore contempla alcune materie che sono escluse dal procedimento di silenzio assenso e per le quali è previsto come obbligatorio il provvedimento espresso.
L'istituto del silenzio-assenso non è di portata illimitata, ma contiene deroghe per gli atti e i procedimenti indicati nel comma 4 dello stesso articolo, tra i quali sono specificamente elencati quelli che attengono alla pubblica sicurezza e all'incolumità pubblica.
Nel caso di specie la giurisprudenza ha ritenuto che per il combinato disposto della predetta norma e dell'art. 23 cod. strad., non possono essere impiantati lungo le strade cartelli pubblicitari in difetto di autorizzazione, per ragioni attinenti alla sicurezza della circolazione. Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2007, n. 4869.
Le disposizioni del silenzio assenso non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti, ex art. 20, L. 7 agosto 1990, n. 241, mod. art. 3, comma 6 ter, L. 80/2005.
Peraltro la generalizzazione dell’ipotesi del silenzio assenso contraddice quanto affermato dalla giurisprudenza. Essa ritiene che il giudice amministrativo possa analizzare autonomamente i requisiti costitutivi delle fattispecie che devono essere quindi necessariamente tipiche.
La L.80/2005 conferma espressamente l’ammissione dei provvedimenti di autotutela sia della revoca sia dell’annullamento di ufficio
Il legislatore ha previsto alcune disposizioni che regolano la fase transitoria.
Le nuove disposizioni in materia di silenzio-assenso non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, rimanendo ferma la possibilità di presentare nuove istanze che seguono la nuova normativa, art. 3, comma 6 sexies, L. 80/2005.
Le domande proposte entro il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore della conversione si intendono accolte se l’amministrazione non pronuncia il diniego entro 180 giorni dalla presentazione della domanda, salvo previsione di termini procedimentali più lunghi, art. 3, comma 6 septies, L. 80/2005.


12. Il silenzio assenso e il potere dell’amministrazione.

L'amministrazione, che intenda contestare l’attività prevista dalla istanza ed escludere il perfezionarsi del silenzio assenso, non ha altra scelta e possibilità se non quella di intervenire con un diniego espresso e motivato nei termini perentori espressi dalla norma.
In caso contrario si forma il provvedimento tacito di approvazione.
I termini fissati dalla legislazione speciale per materializzare il silenzio assenso hanno natura perentoria.
La scadenza del termine ha natura sostanziale perché perfeziona la realizzazione di un atto amministrativo che ha i contenuti che necessariamente fanno rinvio per relationem a quanto emerge dall’istanza del richiedente.
L’approvazione tacita consente al richiedente di dare attuazione al provvedimento.
A tal punto per la dottrina la p.a. consuma automaticamente il potere di provvedere, in senso positivo come in senso negativo, in ordine alla istanza, conservando, per converso, la sola possibilità di attivarsi in sede di autotutela con atto di annullamento del silenzio illegittimamente formatosi ovvero con provvedimento di revoca. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo 2004, 1365.
Il provvedimento, peraltro, come tutti gli atti amministrativi è soggetto all’esperimento dei normali mezzi di autotutela.
La L. 80/2005 conferma espressamente l’ammissione dei provvedimenti di autotutela sia della revoca sia dell’annullamento di ufficio.
L’annullamento del provvedimento, qualora questo non sia conforme ai dettati legislativi, è consentito in rapporto a fattispecie previste anche dalla legislazione regionale.
L'atto di diniego ha natura recettizia, pertanto il provvedimento deve essere portato a conoscenza del richiedente.
L’art. 19 della L. 241/1990, sostituito dall’art. 9, L. 69/2009, consente espressamente il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento di silenzio assenso lesivo dell’interesse di terzi.
La posizione della precedente giurisprudenza amministrativa appare contraria poiché essa non ha ritenuto ammissibile la domanda avente ad oggetto l'accertamento della formazione del silenzio assenso e la conseguente declaratoria della sanatoria di un abuso edilizio.
La verifica giudiziale del silenzio assenso non può avvenire in sede di processo di mero accertamento ma esclusivamente in sede di legittimità mediante l'impugnazione dell'atto amministrativo che non riconosca all'interessato la sussistenza di una fattispecie a lui favorevole. T.A.R. Lazio Latina, 8 giugno 2005, n. 518.
In sede di giudizio di tipo impugnatorio, rimane estremamente dubbio che il giudice possa pervenire a una pronuncia di cessazione della materia del contendere per intervenuta formazione del silenzio - assenso, poiché ciò comporterebbe una necessaria e previa attività di accertamento della formazione di un atto positivo ove si ammetta tale natura del silenzio-assenso per silentium, accertamento che fuoriesce dai poteri del giudice in sede di giudizio impugnatorio.
Il privato, ove ritenga che il silenzio si sia formato, non può chiedere al giudice di sopperire alla mancanza di "atto scritto" con una pronuncia che lo metta al riparo da eventuali contestazioni dell'amministrazione. T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 8 luglio 2008, n. 2075


13. b) La fase costitutiva.

Nella fase costitutiva il responsabile dell’adozione del provvedimento analizza gli elementi raccolti dal responsabile del procedimento, li valuta e manifesta nell’atto la volontà dell’amministrazione.
Vi è, praticamente, coincidenza dei soggetti là dove l’organo preposto alla fase istruttoria sia il medesimo dell’adozione e sia monocratico.
Ad esempio, il funzionario preposto all’atto determina la sua volontà contestualmente alla raccolta dei dati istruttori.
Qualora si tratti invece di organo collegiale nella fase costitutiva si deve dare atto del modo in cui si determina la volontà e, in particolare, della ritualità della convocazione, della verifica del numero legale e delle maggioranze previste per l’oggetto in discussione.
Lo schema procedimentale tende a complicarsi ulteriormente qualora nel procedimento si inseriscano più organi; in tale caso si pone il problema se l’atto non ancora perfetto possa esplicare effetti ovvero se il procedimento debba attendere l’espletarsi di ulteriori subprocedimenti che ne condizionano l’iter ovvero se più procedimenti, pur nella loro autonomia, possano esplicare effetti gli uni sugli altri.
Nell’eventualità che più organi concorrano nel procedimento amministrativo, il principio generale afferma che l’atto non è perfetto fino a che le loro volontà non si sono manifestate; l’atto è, pertanto, impugnabile solo alla fine del procedimento.
Esistono casi in cui l’adozione dell’atto da parte di un’autorità - ad esempio l’adozione del piano regolatore - pur non essendo ancora approvato dall’organo regionale, esplica direttamente effetti sui privati interessati alle sue disposizioni consentendo, nel caso in esame, l’applicazione delle misure di salvaguardia. L’atto è considerato perfetto, e come tale impugnabile, pur non essendo concluso il procedimento amministrativo. Se la regione non approva il piano quelle norme non hanno alcun effetto ex tunc, con conseguente carenza di interesse all’impugnativa del ricorrente.


14. c) La fase integrativa dell’efficacia.

La fase costitutiva rende l’atto valido, ma non sempre efficace.
L’atto può essere operante nella sfera interna dell’amministrazione, ma non può conseguire effetti nei confronti dei soggetti passivi dell’atto.
Alcuni atti, per essere efficaci, devono essere comunicati al soggetto passivo, ad esempio attraverso la notifica del provvedimento.
Il provvedimento deve essere comunicato nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee, di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima, art. 21 bis, L. 241/1990, ins. art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.
La pubblicità integra l’efficacia dell’atto: essa può consistere nella pubblicazione in albi particolari, ad esempio nel Foglio annunzi legali, ovvero nella notifica, che di norma avviene a mezzo ufficiale giudiziario, per gli atti recettizi.
Questi atti acquistano efficacia solo ove si dimostri che il soggetto cui l’atto è diretto ne sia venuto a conoscenza. Così, ad esempio, una diffida produce effetti solo se è notificata; lo stesso avviene, di norma, per tutti gli atti che comportano effetti ablatori.
La notifica integra l’efficacia dell’atto, già valido, poiché sussistono tutti i suoi elementi costitutivi.
Altri atti, per essere efficaci, devono ottenere particolari approvazioni ovvero sottostare a particolari controlli.
La giurisprudenza ha rpecisato che per i soggetti direttamente interessati ed espressamente contemplati negli atti deliberativi, i termini di impugnazione non decorrono dalla pubblicazione della deliberazione, ma dalla notifica o comunicazione dell'atto, una volta perfezionato il relativo procedimento, ivi compresa la fase integrativa dell'efficacia, e quindi dopo che lo stesso abbia acquistato la sua efficacia, ex art. 21 bis, L. 7 agosto 1990 n. 241, intr. L. 11 febbraio 2005 n. 15. T.A.R. Basilicata Potenza, 02 agosto 2005, n. 740, in Foro amm. TAR, 2005, 7/8, 2576.
Decorsi i termini per l’impugnazione l’atto diventato efficace può essere eliminato solo dalla stessa amministrazione in via d’autotutela.
Il visto della Corte dei Conti sui contratti dello Stato che superano un determinato importo integra l’efficacia del contratto.
Le delibere comunali devono essere pubblicate per quindici giorni all’albo pretorio.
La mancanza della pubblicazione, per la giurisprudenza prevalente, dà luogo solo a delle irregolarità formali che possono sempre essere sanate.






15. L’esecutorietà.

La dottrina rileva che non tutti i provvedimenti amministrativi richiedono un’attività di esecuzione.
Sono provvedimenti bisognosi di esecuzione quelli che prevedono un’attività specifica della pubblica amministrazione per consentire una azione che trova resistenza da parte del soggetto passivo, come l’esecuzione di un provvedimento di rilascio di alloggio di edilizia residenziale pubblica da parte dell’ente gestore.
Il provvedimento divenuto efficace deve essere attuato attraverso una particolare azione della p.a.
L’esecuzione del provvedimento si distingue dalla sua efficacia in quanto si tratta di una attività ulteriore di concretizzazione dell’effetto giuridico o di adeguamento ad esso della realtà di fatto. La sua area è più ristretta di quella dell’efficacia, in quanto è limitata alle situazioni di obbligo che sorgono dal provvedimento. S. CASSESE, Diritto amministrativo generale, 2000, 854.
L’art. 21 ter, L. 7 agosto 1990, n. 241, disciplina l’esecutorietà dei provvedimenti amministrativi nei confronti dei terzi ammettendola solo nei casi in cui è espressamente prevista dalla legge.
In tali casi è preliminarmente necessario che il provvedimento costitutivo di obblighi indichi il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato.
L’esecuzione coattiva deve essere preceduta, inoltre, da una diffida.
Rimane fuori dalle previsioni l’esecuzione di obblighi aventi origine contrattuale. G. CARUSO, Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida Dir. 2005, 76.
La giurisprudenza afferma che il provvedimento amministrativo per essere attuato coattivamente nei confronti di terzi abbisogna di taluni adempimenti fissati dal legislatore; come, ad esempio, nel caso dell’ordinanza di acquisizione del fabbricato abusivo che è resa esecutiva dal provvedimento del giudice che verifica la legittimità del procedimento.


16. La sospensione dell’efficacia.

L’art. 21 quater, L. 7 agosto 1990, n. 241, dispone che i provvedimenti efficaci devono essere eseguiti immediatamente.
La norma disciplina, inoltre, il potere dell’amministrazione di sospendere il provvedimento da essa emanato
Per esercitare tale potere l’amministrazione deve addurre gravi motivi e deve determinare il tempo della sospensione.
La nuova disciplina dispone che l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario dallo stesso organo che lo ha emanato o da altro organo previsto per legge.
Il termine per la sospensione deve essere espressamente indicato nel provvedimento.
Il nuovo termine può essere prorogato o differito per una sola volta ovvero ridotto per sopravvenute esigenze.
I caratteri costitutivi del provvedimento – le gravi ragioni ed il tempo di sospensione – sono suscettibili di verifica giurisdizionale sia sotto il profilo dell’eccesso di potere sia sotto quello della congruità e della ragionevolezza. G. CARUSO, Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida Dir., 2005, 77.
La normativa pone fine al contrasto giurisprudenziale finora esistente.
Un indirizzo giurisprudenziale, precedente alla entrata in vigore della L. 15/2005, ha riconosciuto all’amministrazione il potere di sospendere i propri atti.
Altra giurisprudenza nega, invece, il potere di sospensione che non trovi supporto in una disposizione normativa.
E’ stato dichiarato illegittimo, perché contrastante con il principio di tipicità degli atti amministrativi, il provvedimento con cui il sindaco dispone la sospensione cautelativa dell'efficacia di un permesso di costruire, motivandolo con riferimento al fatto che nei confronti dei componenti della commissione edilizia sono stati emessi provvedimenti restrittivi della libertà personale.
L'istituto della sospensione dell'efficacia del permesso di costruire, a suo tempo regolarmente rilasciato, non è contemplato, infatti, da alcuna disposizione della vigente disciplina urbanistico edilizia e inoltre il titolo edificatorio, una volta rilasciato, può essere dalla p.a. soltanto annullato in sede di autotutela. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 15 dicembre 2004, n. 10305.

17) La segnalazione certificata di inizio attività.

La previsione dell'art. 19 della Ll. 7.8.1990, n. 241, come sostituito dall'art. 49, Ll. 122/2010, e dall’art. 5, D.L. sviluppo 70/2011  contempla un procedimento autorizzatorio denominato segnalazione certificata di inizio attività – s.c.i.a. nel quale il consenso dell’amministrazione è dovuto per la presenza dei presupposti di legge posti in essere dal richiedente .
L’attività amministrativa è da considerarsi vincolata  e l’esame della richiesta presentata dal privato non può entrare nel merito del provvedimento. Il contenuto stesso dell’attività è contemplato nella segnalazione.
L’amministrazione non ha alcun margine di discrezionalità nella sua azione poiché deve solo prendere atto che l’attività denunciata sia conforme ai dettati di legge.
La norma precisa che è sostituito da una segnalazione dell’interessato ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.
Il procedimento non può essere utilizzato , essendo espressamente escluso,  nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria.
La segnalazione deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli artt. 46 e 47, d.p.r. 28 .12.2000, n. 445, mod. art.  49 d.p.r.  14.11.2002, n. 313.
In precedenza il  richiedente doveva comunicare l’effettivo inizio della attività preannunciata dopo che sono trascorsi trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione.
Con la riforma l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente, ex art. 19, 2° co.,  l. 7.8.1990, n. 241, sost. art. 49, 4° bis co., l. 122/2010.
L’amministrazione competente verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti, ma non deve emanare alcun provvedimento.
L’amministrazione non rilascia un atto di assenso ma esercita solo una funzione di controllo, dovendo solo verificare la sussistenza dei requisiti prescritti e dei presupposti normativi affinché l’interessato possa legittimamente proseguire l’attività  che dopo la segnalazione può iniziare immediatamente.
Evidentemente non è richiesta la comunicazione dell’avvio del procedimento di controllo in quanto esso segue naturalmente alla segnalazione certificata di inizio attività.
La norma conferma che l’atto di diniego all’esercizio dell’attività deve essere emanato entro i termini previsti di sessanta per l’adozione dei provvedimenti di autotutela. Il D.L. sviluppo 70/2011 introduce  anche la semplificazione della Scia, con tempi dimezzati da 60 a 30 giorni per i controlli da parte delle pubbliche amministrazioni.
Scaduto detto termine l’esercizio del potere inibitorio è fortemente limitato .
Il potere cautelare può essere esercitato solo nei tempi prescritti pena l’illegittimità dell’azione dell’amministrazione che può peraltro attivarsi sono in via di autotutela senza potere impedire che l’attività possa essere legittimamente continuata.
All’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente, ex art. 19, 4° co., l. 7.8.1990, n. 241, sost. art. 49, 4° bis co., l. 122/210. N. CENTOFANTI e P. CENTOFANTI, La nuova disciplina del silenzio della p.a., 2011, 165.
E ' fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, ex art. 19, 3° co., l. 7.8.1990, n. 241, sost. art. 49, 4° bis co., l. 122/2010.




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