venerdì 3 febbraio 2017

Il processo amministrativo IL GIUDIZIO.

Il processo amministrativo IL GIUDIZIO.

1           La fissazione d’udienza


Il giudizio si svolge ad udienza fissa.
Nel fissare l’udienza il collegio può, su istanza di parte o d'ufficio, disporre la riunione di ricorsi connessi.
La fissazione dell'udienza di discussione deve essere chiesta da una delle parti con apposita istanza, non revocabile, da presentare entro il termine massimo di un anno dal deposito del ricorso, ex art. 71, D.L.vo  104/2010.
La giurisprudenza precedente ha sancito che nel processo amministrativo la fissazione d'udienza deve essere richiesta, nel termine massimo di due anni dal deposito del ricorso. Il ricorso in trattazione deve pertanto essere dichiarato perento. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 luglio 2009, n. 3774
La parte può segnalare l'urgenza del ricorso depositando istanza di prelievo.
Il presidente, decorso il termine per la costituzione delle altre parti, fissa l'udienza per la discussione del ricorso. Il decreto di fissazione è comunicato a cura dell'ufficio di segreteria, almeno sessanta giorni prima dell'udienza fissata, sia al ricorrente sia alle parti costituite in giudizio. Tale termine è ridotto a quaranta giorni, su accordo delle parti, se l'udienza di merito è fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare.
Il presidente designa il relatore almeno trenta giorni prima della data di udienza.
L'istanza di fissazione d'udienza deve essere rinnovata dalle parti o dall'amministrazione dopo l'esecuzione dell'istruttoria. Per la prosecuzione del processo dopo la cessazione di qualsivoglia causa di sospensione è sufficiente un'istanza di fissazione di udienza, da depositare entro sei mesi dalla conoscenza legale della circostanza che è cessata la causa di sospensione. Cons. St. , sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3829.
Se entro il termine per la fissazione dell'udienza l'amministrazione annulla o riforma l'atto impugnato in modo conforme alla istanza del ricorrente, il tribunale amministrativo regionale dà atto della cessata materia del contendere e provvede sulle spese.


2           La discussione.


Le parti possono produrre documenti e memorie fino a trenta giorni liberi prima dell'udienza e presentare repliche fino a venti giorni liberi prima.
R.VILLATA, Relazione, in Resoconto del seminario svoltosi il 9 aprile 2010 a Messina, in Dir. e proc. Amm., 2010, 995.
La giurisprudenza esclude che possano venire in rilievo preclusioni di ordine contenutistico in relazione ad uno o più segmenti del complessivo iter processuale azionato. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 9 dicembre 2009, n. 1879.
L’art. 10, D.L.vo  104/2010, all. 2, impone ai magistrati amministrativi, al personale di segreteria e al personale ausiliario di indossare nelle pubbliche udienze la toga o la divisa stabilita dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.
Gli avvocati devono vestire nelle pubbliche udienze la toga.
Nell'udienza le parti possono discutere sinteticamente.
Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale .
Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie, ex art. 73, D.L.vo  104/2010.

3           Le questioni incidentali.


Il processo amministrativo può essere sospeso per la risoluzione di una serie di questioni che possono influire sullo svolgimento del processo medesimo e che sono denominate incidentali.
Alcune questioni sono risolte direttamente dal giudice amministrativo.
Il processo può non subire modificazioni come, ad esempio, nell’istanza di ricusazione oppure può essere sospeso qualora vi sia una questione connessa al giudizio pendente presso altro giudice amministrativo.
Altre questioni sono risolte da diversa giurisdizione e comportano la sospensione del processo come nel caso sia presentata una questione di legittimità costituzionale o una istanza di regolamento preventivo di giurisdizione.

4           La questione di legittimità costituzionale.


L'incidente più noto è quello relativo alla proposizione di una questione di legittimità costituzionale.
Se il ricorrente ritiene non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale di una legge che sia rilevante ai fini della decisione propone che il giudice rilevi la questione.
Qualora la questione sia ritenuta ammissibile, il giudice emette ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale; il processo è sospeso e gli atti sono trasmessi alla Corte, ex art. 23, L. 87/1953.
Il giudice amministrativo può ritenere opportuno sospendere il giudizio, ai sensi dell'art. 295, c.p.c., in attesa della pronuncia della Corte costituzionale anche sulla questione di incostituzionalità avanzata da altro giudice, come nel caso della questione sollevata sulla legittimità dell'art. 53 del D.P.R. n. 327 del 2001. T.A.R. Lombardia Brescia, 22 luglio 2005, n. 776.
Il processo amministrativo deve essere riassunto ad istanza di parte dalla data della pronuncia della Corte costituzionale secondo quanto previsto dall’art. 80, D.L.vo104/2010.


5            La questione di interpretazione delle norme comunitarie.


La giurisprudenza ha riconosciuto il principio della preminenza del diritto comunitario impone non solo al giudice, ma allo stesso Stato membro in tutte le sue articolazioni (e quindi a tutte le amministrazioni), di dare pieno effetto alla norma comunitaria e, in caso di contrasto, di disapplicare la norma interna. Cons. St., sez. VI, 23 maggio 2006, n. 3072, in Foro amm. CDS, 2006, 5, 1543.
I  principi del diritto comunitario sono espressamente richiamati nell’art. 1, D.L.vo104/2010.
Essi sono direttamente applicabili dal giudice interno a meno che non si renda necessario un controllo di costituzionalità sulla norma interna ove questa sia incompatibile con quella comunitario. Corte Cost. 248/2007, 249/2007.
La questione relativa  all'applicazione delle norme comunitarie deve essere rimessa alla Corte di Giustizia Comunitaria.
Il rinvio pregiudiziale di una causa alla Corte di giustizia europea, ex art. 234 trattato CE Trattato firmato a Nizza il 26 febbraio 2001, reso esecutivo con L. 102 del 11 maggio 2002, può essere disposto soltanto ove al giudice nazionale si ponga un dubbio relativo alla interpretazione e all'applicazione delle norme comunitarie. La controversa questione interpretativa deve avere rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto al giudice nazionale ed alle norme interne che lo disciplinano.
Nel caso in cui si ponga al giudice l'opposto problema di interpretare la norma interna al fine di verificarne la compatibilità con la normativa comunitaria l'eventuale disapplicazione compete direttamente al giudice italiano. Cass. civ., sez. I, 22 settembre 2006, n. 20708.
La giurisprudenza ha ritenuto doveroso, oltre che legittimo, in virtù del principio di leale cooperazione, l'annullamento in autotutela di un provvedimento amministrativo nazionale contrastante con una decisione vincolante della Commissione europea o con una norma comunitaria direttamente applicabile. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 28 settembre 2007, n. 2049
Così nel caso di specie, si è reso doveroso il provvedimento di annullamento in autotutela del precedente decreto con il quale l'amministrazione aveva ammesso a contributo alcuni progetti di costruzione di nuove navi nell'ambito dei finanziamenti concessi nel settore della piccola pesca o pesca artigianale, in seguito  al parere negativo all'erogazione di detti finanziamenti, reso dalla Commissione europea per il tramite del Ministero delle politiche agricole. Il provvedimento in autotutela è stato ritenuto « dovuto » alla stregua dell'obbligo di cooperazione gravante sulla pubblica amministrazione in virtù dell'art. 10 del Trattato Ce in ragione della considerazione per cui tale obbligo si estenderebbe fino ad esigere dalla p.a. l'annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi contrastanti con lo ius superveniens comunitario.
Il generico « potere » di riesame diventa dunque in tale circostanza un preciso « dovere » dell'amministrazione. Ciò che fa pensare  è l'affidamento che la ditta ricorrente aveva riposto nel provvedimento con cui era stata ammessa al finanziamento concesso dall'assessorato regionale siciliano.
Tale finanziamento tuttavia risultava violare il disposto di una prescrizione regolamentare comunitaria.
L'art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità europea sancisce l'obbligo per gli Stati membri di adottare tutte le misure idonee ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti sia dalle fonti comunitarie primarie sia dagli atti secondari.
Proprio in ragione di tale obbligo, il Collegio afferma il carattere doveroso del potere-dovere di riesame, concludendo per l'obbligo, gravante in capo alla p.a., di annullare gli atti da essa adottati, contrari a prescrizioni regolamentari e decisioni vincolanti della Comunità.
M. SINISI, La « doverosità » dell'esercizio del potere di autotutela in presenza di un atto amministrativo contrastante con regolamenti comunitari, in Foro amm. TAR, 2007, 10, 3265 .
La dottrina nota criticamente il trattamento serbato dal Giudice comunitario all'atto amministrativo nazionale.
Essa rileva che sempre più spesso negli ultimi anni il Giudice comunitario è intervenuto  sul regime degli atti amministrativi degli Stati membri, ancorché tale competenza sia in linea di principio da escludere
Il Giudice comunitario riconosce appieno il ruolo indispensabile dell'attività amministrativa degli Stati membri, in quanto strumento necessario di amministrazione indiretta - in taluni settori, come per l'affidamento degli appalti pubblici, ne privilegia l'utilizzazione, rispetto agli strumenti privatistici;  d'altro lato, esigenze di effettività e di uniforme applicazione del diritto comunitario portano sovente lo stesso Giudice comunitario ad assumere parametri di legittimità assai stringenti, con inevitabili conseguenze vizianti − e poi caducanti − sugli atti amministrativi nazionali.
Per i profili non coperti dalla normativa comunitaria, viceversa, dovrebbe sussistere una piena autonomia degli Stati membri.
I requisiti di legittimità (formale, procedimentale e sostanziale) del provvedimento, il regime della patologia degli atti e gli strumenti di tutela devono, invece,  essere lasciati nella esclusiva competenza del legislatore nazionale.
La Comunità non ha competenza, in linea generale, su sistemi amministrativi e di giustizia amministrativa degli Stati membri.
la Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado sono intervenuti spesso e volentieri sui poteri amministrativi e giurisdizionali degli Stati membri, conformandone il regime sia di diritto sostanziale sia di diritto processuale.
Tale intervento è stato giustificato sulla base dell'art. 10 del Trattato, che, com'è noto, impone agli Stati membri un obbligo di leale collaborazione ai fini dell'applicazione del diritto comunitario.
Vi è stata una serie di interventi del Giudice comunitario, che − sia pure sotto la spinta del caso concreto e con l'espressa avvertenza di non voler generalizzare − ha finito per modificare profondamente taluni caratteri generali dell'atto amministrativo e della giustizia amministrativa dei singoli Stati membri o, comunque, ha aperto un ampio dibattito su tali caratteri, da rivisitare alla stregua delle esigenze comunitarie.
Il giudice comunitario ha imposto, ad esempio, il giudizio cautelare ante causam (sentenza Corte giust. CE, 15 maggio 2003, in causa C-214/00), nonostante il sistema di giustizia comunitario non preveda  nulla di simile (tanto meno in materia di appalti banditi da istituzioni comunitarie).
Il giudice comunitario è intervenuto reiteratamente sul regime dell'atto amministrativo nazionale e sul sistema di giustizia amministrativa, modificandoli in funzione di esigenze comunitarie.
La giurisprudenza della Corte non si è posta neppure i limiti da essa stessa riconosciuti a proposito della normativa comunitaria di armonizzazione giungendo talvolta a pretendere dalle amministrazioni nazionali più di quanto da essa stessa richiesto alla amministrazione comunitaria diretta.
Tutto ciò ha creato un vasto stato di incertezza, aggravato dalla circostanza che tali interventi sono ovviamente privi di carattere sistematico e non si preoccupano delle conseguenze che possono provocare nei sistemi nazionali. G. GRECO, Il potere amministrativo nella (più recente) giurisprudenza del Giudice comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2009, 5, 819 .



6           L’istanza di ricusazione del giudice.


Al giudice amministrativo si applicano le cause e le modalità di astensione previste dal codice di procedura civile, ex art. 17, D.L.vo104/2010.
Al giudice amministrativo si applicano le cause di ricusazione previste dal codice di procedura civile.
Con l’istanza di ricusazione il ricorrente può richiedere che il ricorso sia deciso da altri giudici rispetto a quelli che devono prendere parte all’udienza.
I motivi di ricusazione sono quelli previsti dall’art. 52, c.p.c., che rinvia alle ipotesi in cui il giudice deve astenersi.
Egli non deve avere interesse nella causa, non deve essere, lui o la moglie, parente o commensale di una delle parti o dei difensori, non deve avere cause pendenti o inimicizia o crediti con una delle parti o con i difensori, non deve avere alcun rapporto con la causa, non deve essere tutore delle parti o amministratore se questa è persona giuridica, ex art. 51 c.p.c.
La giurisprudenza civile distingue fra interesse diretto ed interesse indiretto del giudice nella controversia . Nel caso di interesse diretto si può chiedere la nullità della sentenza mentre nel caso di interesse indiretto si può presentare unicamente istanza di ricusazione. Cass. Civ. , sez. III, 12 novembre 2009, n, 23930.
La situazione del "iudex in causa propria" ricorre soltanto nei casi in cui il giudice abbia nella causa un interesse proprio e diretto, tale da porlo nella veste sostanziale di parte del processo, con la conseguenza che, in tali ipotesi, egli ha il dovere di astenersi, e la violazione di tale dovere, pur in difetto di specifica istanza di ricusazione, è causa di nullità della sentenza. Fuori di tale ipotesi, quando il giudice ha in causa solo un interesse indiretto, ovvero sussiste altro motivo di astensione, l'inosservanza da parte del giudice del dovere di astensione - in difetto di tempestiva istanza di ricusazione - non dà luogo a vizio di costituzione dell'organo giudicante incidente sulla solidità della sentenza, e non può, pertanto, essere dedotta come vizio di impugnazione. Cons. St., sez. IV, 12 marzo 1996, n. 334.    Nel caso in cui il giudice abbia già conosciuto della causa nel lla fase cautelare è incompatibile a decidere nel merito solo se il processo è penale.
La giurisprudenza riconosce che nel processo amministrativo non è configurabile una situazione di incompatibilità nei confronti del giudice della fase cautelare a partecipare alla decisione di merito. Consiglio Stato a. plen., 25 marzo 2009, n. 2. D. PONTE, Sull’incompatibilità del giudice rinvio al c.p.c., in Giuda Dir., 2010, n. 32, 27.

Non costituisce valido motivo di ricusazione - che deve, pertanto, dichiararsi inammissibile - la pretesa appartenenza dei membri di un collegio giudicante al gruppo associativo denominato "Magistratura democratica", né sotto il profilo dell'interesse del giudice alla causa, art. 51, comma 1, n. 1., c.p.c., né sotto quello dell'inimicizia grave, ex art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il procedimento di ricusazione è previsto dall’art. 17, D.L.vo104/2010. 
La ricusazione si propone, almeno tre giorni prima dell'udienza designata, con domanda diretta al presidente, quando sono noti i magistrati che devono prendere parte all'udienza; in caso contrario, può proporsi oralmente all'udienza medesima prima della discussione.
La domanda deve indicare i motivi ed i mezzi di prova ed essere firmata dalla parte o dall'avvocato munito di procura speciale.
La presentazione di una dichiarazione di ricusazione del giudice amministrativo non determina automaticamente la sospensione del processo, atteso che il regolamento di procedura dinanzi al Consiglio di Stato non contiene una norma analoga al disposto dell'art. 52, comma 3, c.p.c. Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 422, in Foro amm., 2001, 284.
Proposta la ricusazione, il collegio investito della controversia può disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l'istanza inammissibile o manifestamente infondata.
In ogni caso la decisione definitiva sull'istanza è adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito.
I componenti del collegio chiamato a decidere sulla ricusazione non sono ricusabili.
Il giudice, con l'ordinanza con cui dichiara inammissibile o respinge l'istanza di ricusazione, provvede sulle spese e può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore ad euro cinquecento.
La ricusazione o l'astensione non hanno effetto sugli atti anteriori. L'accoglimento dell'istanza di ricusazione rende nulli gli atti compiuti ai sensi del comma 4 con la partecipazione del giudice ricusato.


7            Le questioni sullo stato e la capacità delle persone.


Sono sottratte al giudice amministrativo le questioni sullo stato e la capacità delle persone fisiche, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio e la risoluzione dell’incidente di falso, come afferma l’artt. 8, D.L.vo104/2010 , che devono essere demandate al giudice civile con la relativa sospensione del giudizio amministrativo.
La giurisprudenza ha precisato che le questioni di stato e di capacità dei privati che il giudice amministrativo non può conoscere, neanche in via incidentale, sono limitate solo allo stato di cittadinanza e di famiglia. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 18 novembre 2003, n. 4234, in Foro amm. TAR, 2003, 3333.
Le analoghe controversie riguardanti le persone giuridiche (pubbliche o private che siano) ben possono essere in via incidentale conosciute dai giudici amministrativi. Cons. St., sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 249.

8           La querela di falso.


E’ riservato all’autorità giudiziaria ordinaria l’esame della querela di falso come l’esame delle questioni pregiudiziali concernenti lo stato delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, ex art. 77, D.L.vo104/2010. 
Il giudice amministrativo non può conoscere, nemmeno incidentalmente e nemmeno nell'ipotesi di giurisdizione esclusiva, delle contestazioni relative alla dedotta falsità, ideologica o materiale, di atti pubblici; di conseguenza la parte interessata ha l'onere di attivare, davanti al giudice ordinario, l'apposito procedimento di querela di falso, secondo le cadenze temporali descritte dalla normativa. T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 5 agosto 2009, n. 634
La giurisprudenza ha precisato che l'impugnazione del verbale di una gara d'appalto pubblico, che è atto assistito da fede privilegiata e che funge da prova fino a querela di falso, rientra nella competenza esclusiva del Tribunale civile, ai sensi dell'art. 9, comma 2, c.p.c., anche quando la relativa questione sia posta in via incidentale nel corso di un giudizio amministrativo. Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 2001, n. 1642, in Foro amm., 2001, 527.
Chi deduce la falsità di un documento deve provare che sia stata già proposta la querela di falso o domandare la fissazione di un termine entro cui possa proporla innanzi al tribunale ordinario competente.
L’art. 77, D.L.vo104/2010, prevede due distinti possibili comportamenti lasciati alla discrezione del giudice amministrativo.
Questi può pronunciare la propria decisione se ritiene che la dedotta falsità non incida sul ricorso oppure, dopo che la parte ha proposto la querela, può sospendere la decisione fino al termine del giudizio di falso.
La presentazione di una querela di falso rispetto ad atti impugnati in un processo amministrativo comporta la sospensione necessaria del giudizio solo se la questione di falso ha carattere di pregiudizialità e nel caso non appaia manifestamente infondata o dilatoria. Cons. Stato sez. IV, 17 febbraio 2000, n. 911, in Foro it., 2001, III, 285
La prova dell'avvenuta proposizione della querela di falso è depositata agli atti di causa entro trenta giorni dalla scadenza del termine fissato.
In difetto il presidente fissa l'udienza di discussione.
Proposta la querela, il collegio sospende la decisione fino alla definizione del giudizio di falso.
Definito il giudizio di falso, la parte che ha dedotto la falsità deposita copia autentica della sentenza in segreteria.
Il ricorso è dichiarato estinto se nessuna parte deposita la copia della sentenza nel termine di novanta giorni dal suo passaggio in giudicato.
La giurisprudenza  ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 , comma 2 del D. L.vo 104/2011 nella parte in cui assegna alla giurisdizione ordinaria la decisone sulla querela di falso, disponendo al sospensione del processo. E’ evidente che detta preclusione finisce per sdoppiare al tutela  mentre l’art. 44 L. 69/2009 di delega fissava al legislatore il criterio della snellezza , concentrazione ed effettività della tutela. Cons. Stato, sez. V, 16 febbraio 2011, n.1000.


9           L’interruzione del processo.


L’art.79, comma 2, D.L.vo104/2010, precisa che  l’interruzione del processo è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile.
Il processo può essere interrotto per evitare che eventi che colpiscono la parte o il suo procuratore possano ostacolare il diritto alla difesa.
La morte o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti private o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza producono, infatti, l'interruzione del processo secondo le norme degli artt. 299 e segg. del c.p.c. in quanto applicabili.
La giurisprudenza ha precisato che la rinuncia del difensore di fiducia non comporta l'interruzione del giudizio, ma l'onere, per la parte, di provvedere alla sostituzione. Cons. St., sez. V, 12 settembre 2006, n. 5262.
Il processo deve essere riassunto, a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutti gli altri soggetti interessati.
Il processo interrotto prosegue se la parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo presenta nuova istanza di fissazione di udienza.
Se la parte non chiede la prosecuzione il processo deve essere riassunto, a cura del soggetto più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione.
Il termine di riassunzione è considerato  perentorio dalla giurisprudenza. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 15 maggio 2006, n. 231, in Foro amm. CDS, 2006, 5, 1593.
In caso di mancata riassunzione il processo si estingue.


10        La sospensione in pendenza del processo penale.


L’art.79, D.L.vo  cod. proc. amm., afferma che  la sospensione del processo è disciplinata dal codice di procedura civile, dalle altre leggi e dal diritto dell’Unione europea.
In caso di sospensione del giudizio, la norma precisa che per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione, ex art. 80, D.L.vo104/2010.
La giurisprudenza ha precisato che la sospensione del processo è necessaria solo quando la previa definizione di altra controversia, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da un'espressa disposizione di legge, ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Al di fuori di questi presupposti la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi, obbligatoria per il giudice ed è meramente facoltativa, sicché la decisione di disporla  rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Allorquando pendano nei confronti della medesima persona, contemporaneamente, un procedimento penale ed un procedimento disciplinare, quest'ultimo non deve essere necessariamente sospeso, salvo che la sospensione risulti essere imposta da una specifica disposizione di legge.
La definizione del procedimento penale non costituisce, in tal caso, l'indispensabile antecedente logico-giuridico del giudizio disciplinare, non solo perché questo si fonda sul diverso presupposto della violazione di regole deontologiche e non penali, ma anche perché, dal combinato disposto degli artt. 653, c.p.p., e 211, disp. att. si evince il venire meno, con l'entrata in vigore del nuovo codice di rito, del principio della cosiddetta pregiudiziale penale sancita, in via generale, dall'art. 3 dell'abrogato c.p.p.. Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21251.
Il processo amministrativo deve essere sospeso, per l’art. 77, D.L.vo104/2010,  se l’autorità giudiziaria deve risolvere un incidente di falso.
Il giudizio penale pendente su di un fatto che ha rilevanza sul processo amministrativo deve essere sospeso solo se l’azione penale è stata effettivamente promossa con sentenza di rinvio a giudizio e se l’accertamento dei fatti oggetto del giudizio ha un’influenza decisiva sul processo amministrativo.
E’ venuta meno la c.d. necessaria pregiudizialità del processo penale rispetto a quello civile o amministrativo, poiché il legislatore ha instaurato il sistema della pressoché completa autonomia e separazione dei due giudizi, ex artt. 653 c.p.p. e 211, disp. att. c.p.p. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 1 febbraio 2003, n. 124, in Foro amm. TAR, 2003, 777.


11       La sospensione in pendenza del processo civile. Facoltà.


La controversia dinanzi al giudice ordinario non comporta alcun obbligo da parte del giudice amministrativo di sospendere il processo in corso in quanto è generalmente affermata l’autonomia dei giudizi.
La sospensione necessaria del processo presuppone, invece, che la decisione della controversia dipenda dalla definizione di altra causa; essa richiede, cioè, non un mero collegamento tra due emanande statuizioni, ma un vincolo di consequenzialità, per cui l'altro giudizio - sia esso civile, penale o amministrativo - oltre ad essere in concreto pendente ed a coinvolgere le stesse parti, deve investire una questione di carattere pregiudiziale.
Vi deve essere un indispensabile antecedente logico - giuridico, la cui soluzione sia determinante, in tutto o in parte, per l'esito della causa da sospendere. Cons. St., sez. VI, 28 settembre 2006, n. 5701.
La giurisprudenza ha precisato che tra il processo civile di opposizione alla sanzione amministrativa e quello amministrativo di impugnazione del provvedimento di revisione della patente sussiste un rapporto di piena e reciproca autonomia, sicché il giudice amministrativo, pur in presenza di un provvedimento del giudice civile di sospensione o di annullamento della sanzione, resta libero di valutare differentemente i fatti di causa, al fine di verificare se l'amministrazione procedente abbia fatto buon governo della potestà amministrativa. T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 27 aprile 2007, n. 699.
La carenza di pregiudizialità giuridica tra il processo amministrativo e quello civile è stata affermata nel caso di pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per il diniego al rilascio di permesso di soggiorno e per l'impugnazione dei provvedimenti di espulsione.
Il giudizio amministrativo non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l'impugnazione del decreto di espulsione del prefetto. Il giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il provvedimento di espulsione, non può, infatti, disapplicare l'atto amministrativo presupposto emesso dal questore (rifiuto, revoca o annullamento del permesso di soggiorno o diniego di rinnovo). Cass. civ., sez. un., 16 ottobre 2006, n. 22217.



12        La sospensione in pendenza del processo amministrativo.


In assenza di una espressa disciplina dell'istituto della connessione la dottrina ritiene che il giudice amministrativo possa adottare un provvedimento di sospensione del processo nel caso in cui dinanzi ad altro giudice o ad altro tribunale amministrativo penda un giudizio su di un provvedimento connesso con quello che forma oggetto del processo ai sensi del principio fissato dall’art. 295, c.p.c. P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, 1987, 387. 186
A. QUARANTA e V. LOPILATO, Il processo amministrativo, 2011, 599.


L’applicazione di detta norma consente al giudice di disporre che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.


13       La perenzione.


La perenzione è dichiarata qualora le parti non compiano atti procedurali. La norma precisa che il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura, ai sensi dell'art. 81, D.L.vo104/2010.
La giurisprudenza ha precisato che, ove nel termine decadenziale previsto non risulti il deposito della istanza di fissazione di udienza davanti al giudice amministrativo adito sia in primo che in secondo grado, il ricorso giurisdizionale a quest'ultimo presentato deve considerarsi perento. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 1 marzo 2009, n. 1516.
Il termine è sospeso per adempimenti istruttori o per termini feriali.
L'art. 82, D.L.vo104/2010, prevede una ipotesi particolare di perenzione per i ricorsi ultraquinquennali.
L’intento è quello di eliminare il numero dei ricorsi pendenti verificando in termini brevi l’effettivo interesse dei ricorrenti.
La disposizione è diretta a semplificare la definizione di quelle controversie, per le quali il decorso del tempo può costituire indice di una sopravvenuta carenza di interesse, che è poi desunta dall'assenza di presentazione di una nuova istanza di fissazione entro il termine di sei mesi dalla specifica comunicazione inviata dalla segreteria.
La norma precisa che, dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dal ricorrente e dal suo difensore, entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell’avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato perento.
In assenza di una nuova fissazione di udienza a firma delle parti il giudice deve dichiarare la perenzione del ricorso.
La giurisprudenza precedente ha ritenuto che il mancato adempimento impedisce che il ricorso sia deciso anche se nelle more sia stata fissata udienza di merito per la decisione. Cons. St., Sez. V, ord. 14 aprile 2009, n. 2285.
Per altro indirizzo giurisprudenziale in caso di ricorsi ultraquinquennali, anche in assenza dell'avviso da parte della segreteria ai sensi dell'art. 9, comma 2, L. n. 205 del 2000, può essere fissata l'udienza di discussione e, in questo caso, il giudice può trarre direttamente dalla condotta delle parti elementi per ritenere la permanenza dell'interesse alla decisione. Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008, n. 5822.
L'art. 82, comma 2, D.L.vo104/2010, precisa che se, in assenza dell’avviso della scadenza del termine quinquennale, è comunicato alle parti l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione nel merito, il ricorso è deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti è dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto.
La perenzione opera di diritto e può essere rilevata anche d'ufficio. Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio.


14       La rinuncia.



Il giudizio può cessare prima che venga emessa la relativa sentenza.
La pronuncia dichiarativa della cessazione del giudizio è presa in camera di consiglio
La norma precisa che la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall’avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.
Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.
La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue, ex art. 82, D.L.vo104/2010.
E’ stata definita  irrilevante la mancata accettazione della rinuncia al ricorso. T.A.R. Lazio, sez. II, 8 luglio 2005, n. 5566.
La rinuncia può essere determinata dalla cessazione della materia del contendere ciò si verifica qualora la pubblica amministrazione annulli o modifichi l'atto nei termini richiesti nel ricorso.
Non è quindi solo necessario che l'atto sia eliminato, non vi deve essere alcun effetto novativo con la ripresentazione di un provvedimento che riproponga la stessa situazione oggetto del ricorso, ma anche che siano eliminati gli effetti suoi propri ab origine; è necessaria una revoca con effetto ex tunc e non una semplice abrogazione con effetti ex nunc.
La cessazione della materia del contendere può dichiararsi unicamente nell'ipotesi in cui l'amministrazione annulli o riformi l'atto conformemente alle pretese del ricorrente Cons. St., IV, 23 settembre 2004 n. 6225.
E' da distinguere tale ipotesi da quella della sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere che riveste carattere di perdita di un requisito sostanziale del ricorso e quindi determina la inammissibilità successiva del ricorso che deve essere dichiarata con sentenza.
La giurisprudenza nettamente prevalente ha ripetutamente affermato che la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, fatta dal ricorrente a mezzo dei propri difensori, comporta l'improcedibilità del ricorso, non potendo, in tal caso, il giudice, in omaggio al principio dispositivo applicabile anche al processo amministrativo, valutare detta circostanza e decidere nel merito della controversia. Cons. St., IV, 2 novembre 2004, n. 7092.


15       Il decreto di estinzione


L'estinzione e l'improcedibilità possono essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato da lui delegato, ex art. 85, D.L.vo104/2010. 
La giurisprudenza precedente ha riconosciuto che la norma si applica anche al giudizio avanti al Consiglio di Stato; pertanto, la perenzione del giudizio d'appello può essere dichiarata con decreto del presidente della sezione o di un consigliere da lui delegato. Consiglio Stato a. plen., 23 marzo 2004, n. 6
Il decreto è depositato in segreteria che ne dà comunicazione alle parti costituite.
Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti.
Il giudizio di opposizione si svolge in camera di consiglio ed è deciso con un’ordinanza che, in caso di accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di merito.
La giurisprudenza ha accolto l’opposizione che ha fornito la prova del deposito di una copia dell'istanza di fissazione.
Detto docmento portante il timbro a data della segreteria del Tribunale amministrativo ricevente costituisce prova evidente che detta istanza è stata presentata nei termini, mentre la mancanza del numero di protocollo è da addebitarsi ad una omissione dell'Ufficio, alla quale la parte ricorrente non era in grado di porre rimedio, con la conseguenza che le relative conseguenze non possono farsi ricadere su di essa. Cons. St., sez. IV, 26 febbraio .
In caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione anche parziale.
L'ordinanza è depositata in segreteria che ne dà comunicazione alle parti costituite.
Avverso l'ordinanza che decide sull'opposizione può essere proposto appello.
Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie e l'udienza di discussione è fissata d'ufficio con priorità.
L'estinzione e l'improcedibilità sono dichiarate con sentenza se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di discussione.


16       I procedimenti in camera di consiglio



L’art. 87, D.L.vo104/2010,  precisa che  si trattano in camera di consiglio le seguenti controversie:
a) i giudizi cautelari e quelli relativi all’esecuzione delle misure cautelari collegiali. La giurisprudenza precedente ha precisato che il giudizio amministrativo può essere definito con sentenza in forma semplificata emessa in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell'istanza cautelare ove ricorrano completezza dell'istruttoria, integrità del contraddittorio e avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio e a condizione che il Presidente del Collegio abbia reso edotte le parti di tale eventualità. T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 28 novembre 2009, n. 3179;
b) il giudizio in materia di silenzio
c) il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi;
d) i giudizi di ottemperanza;
e) i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibilità del giudizio.
Salva l’ipotesi del giudizio cautelare, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, esclusi quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. La camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate.
Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.
La trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione.
La giurisprudenza ha precisato che  l'apprezzamento circa l'esistenza dei presupposti sostanziali per addivenire ad un decisione in camera di consiglio resa con motivazione in forma semplificata costituisce valutazione di merito del giudice di primo grado insindacabile in appello, fermo restando che ogni errore di giudizio contenuto nella decisione può essere devoluto al giudice di appello mediante il relativo atto di gravame. Cons. St., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 34.




Nessun commento:

Posta un commento