Il sistema
radio televisivo italiano
Il R.D. 27
febbraio 1936, n. 645, riservava i servizi di radiodiffusione allo Stato
stabilendo il monopolio statale.
Il d.p.r. 26 gennaio 1952 n. 180, istituisce la
RAI, Radio Televisione concessionaria in esclusiva del servizio.
Successivamente al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni è chiesto da una società l'assenso per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione privato, da realizzarsi in alcune regioni.
Successivamente al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni è chiesto da una società l'assenso per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione privato, da realizzarsi in alcune regioni.
Il diniego viene
impugnato al Consiglio di Stato che rimette gli atti alla Corte Costituzionale
denunciando in particolare il sospetto d'incostituzionalità degli artt. 1 e 163
del R.D. n. 645 del 1936 ritenendo che il monopolio della RAI sia compatibile
con l'art. 21 della Cost. italiana che tutela la libertà
di manifestazione del pensiero.
La Corte Costituzionale riconoscimento della legittimità del monopolio statale, facendo riferimento all'art. 43 Cost. che abilita lo Stato a riservarsi alcune attività di preminente interesse generale. Corte Cost. n. 59/1960.
La concessione in esclusiva del servizio radiotelevisivo allo Stato che può svolgerlo in condizioni di imparzialità, completezza e continuità su tutto il territorio nazionale, condizioni di obiettività ritenute più favorevoli rispetto a quelle assicurabili dai privati, è motivata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla: 1) limitatezza dei canali TV disponibili e 2) con la considerazione che i costi ingenti dei mezzi per le trasmissioni TV che renderebbero l'esercizio di tale attività privilegio di pochi.
Il problema del monopolio statale in materia radiotelevisiva si ripropose successivamente, quando, con l'arrivo delle nuove tecnologie, l'estensione dei ripetitori e la TV via cavo la Corte Costituzionale venne chiamata nuovamente ad occuparsi della materia.
La Corte Costituzionale riconoscimento della legittimità del monopolio statale, facendo riferimento all'art. 43 Cost. che abilita lo Stato a riservarsi alcune attività di preminente interesse generale. Corte Cost. n. 59/1960.
La concessione in esclusiva del servizio radiotelevisivo allo Stato che può svolgerlo in condizioni di imparzialità, completezza e continuità su tutto il territorio nazionale, condizioni di obiettività ritenute più favorevoli rispetto a quelle assicurabili dai privati, è motivata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla: 1) limitatezza dei canali TV disponibili e 2) con la considerazione che i costi ingenti dei mezzi per le trasmissioni TV che renderebbero l'esercizio di tale attività privilegio di pochi.
Il problema del monopolio statale in materia radiotelevisiva si ripropose successivamente, quando, con l'arrivo delle nuove tecnologie, l'estensione dei ripetitori e la TV via cavo la Corte Costituzionale venne chiamata nuovamente ad occuparsi della materia.
La Corte
Costituzionale italiana dichiarò in primis l'incostituzionalità della
riserva statale relativamente alla ripetizione in Italia di programmi
radiotelevisivi irradiati da emittenti estere. Corte cost. 9 luglio 1974 n.
225.
In secundis la Corte Costituzionale proclamò l'incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in ambito locale, introducendo la possibilità di aprire a privati in questo settore, ma continuando a mantenere la riserva in favore dello Stato per le trasmissioni in ambito nazionale. Corte Cost. n. 226/1974.
A seguito di tale pronuncia viene approvata la L. 103/1975 contente "nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva" che "parlamentarizza" il servizio TV e sottrae la RAI all'influenza del governo, aprendola a quel pluralismo interno, che, nelle sue degenerazioni spartitorie, ha dato luogo al fenomeno della "lottizzazione" delle cariche dell'azienda di Stato.
La Corte Cost. ebbe poi a dichiarare l'incostituzionalità del monopolio statale anche per le trasmissioni radiotelevisive locali via etere, ciò sul presupposto "tecnico" della esistenza, in ambito locale, di una disponibilità "sufficiente" di frequenze tale da consentire la libera iniziativa privata, senza pericoli di monopoli e oligopoli. Corte cost. 202/1976.
Tale liberalizzazione, nell'assenza di una disciplina legislativa sull'assegnazione delle frequenze e nell'errata convinzione del diritto di tutti a trasmettere liberamente via etere, creava una situazione confusa.
In secundis la Corte Costituzionale proclamò l'incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in ambito locale, introducendo la possibilità di aprire a privati in questo settore, ma continuando a mantenere la riserva in favore dello Stato per le trasmissioni in ambito nazionale. Corte Cost. n. 226/1974.
A seguito di tale pronuncia viene approvata la L. 103/1975 contente "nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva" che "parlamentarizza" il servizio TV e sottrae la RAI all'influenza del governo, aprendola a quel pluralismo interno, che, nelle sue degenerazioni spartitorie, ha dato luogo al fenomeno della "lottizzazione" delle cariche dell'azienda di Stato.
La Corte Cost. ebbe poi a dichiarare l'incostituzionalità del monopolio statale anche per le trasmissioni radiotelevisive locali via etere, ciò sul presupposto "tecnico" della esistenza, in ambito locale, di una disponibilità "sufficiente" di frequenze tale da consentire la libera iniziativa privata, senza pericoli di monopoli e oligopoli. Corte cost. 202/1976.
Tale liberalizzazione, nell'assenza di una disciplina legislativa sull'assegnazione delle frequenze e nell'errata convinzione del diritto di tutti a trasmettere liberamente via etere, creava una situazione confusa.
Un tentativo
d'interconnessione "strutturale", con ponti radio, conduce la Corte Cost., con la sent. n. 148/1981 a ribadire la
legittimità del monopolio statale in ambito nazionale, sempre per il timore dei
rischi di concentrazione.
La Corte
tuttavia sollecita il legislatore ad emanare una disciplina antitrust.
Nell'ottobre del
1984 i Pretori di Torino, Roma e Pescara dispongono il sequestro penale di
alcuni impianti che operavano in interconnessione funzionale assumendo la
violazione della riserva statale.
Le emittenti interessate decidono il black out totale delle trasmissioni.
Le emittenti interessate decidono il black out totale delle trasmissioni.
Il legislatore interviene
con la L.10/1985, che riconosce l'esistenza di un sistema televisivo
"misto", prevedendo un piano d'assegnazione delle frequenze e
consentendo, nelle more dell'approvazione della legge generale sul sistema
radiotelevisivo, di proseguire l'esercizio in abito nazionale alle emittenti
che lo avevano iniziato in via di fatto, ritenendo l'attività liberalizzata.
Il sistema "misto" radiotelevisivo si realizza in Italia con la L. 223/1990, detta legge Mammì.
Il sistema "misto" radiotelevisivo si realizza in Italia con la L. 223/1990, detta legge Mammì.
Si tratta di una
normativa che si innesta tuttavia, su una situazione di fatto preesistente
connotata dalla presenza di oligopoli privati e della concessoria pubblica
della radiotelevisione.
La legge Mammì istituisce il Garante per la radiodiffusione e l'editoria, che assume, nell'ambito del sistema radiotelevisivo, una posizione centrale. L’art. 15 della legge inoltre stabilisce alcuni limiti antitrust prevedendo un divieto di essere titolari di più di tre reti TV su scala nazionale.
La Corte Cost. dichiara l'incostituzionalità della legge Mammì nella parte in cui consente ad un solo soggetto di possedere fino a tre reti televisive su un totale di dodici pianificate. Corte Cost. 420/1994.
La legge Mammì istituisce il Garante per la radiodiffusione e l'editoria, che assume, nell'ambito del sistema radiotelevisivo, una posizione centrale. L’art. 15 della legge inoltre stabilisce alcuni limiti antitrust prevedendo un divieto di essere titolari di più di tre reti TV su scala nazionale.
La Corte Cost. dichiara l'incostituzionalità della legge Mammì nella parte in cui consente ad un solo soggetto di possedere fino a tre reti televisive su un totale di dodici pianificate. Corte Cost. 420/1994.
La Corte
tuttavia lascia in vita la disposizione transitoria del D.L. 323/1993 che
consentiva alle emittenti fino ad allora operanti di continuare per un triennio
e cioè fino all'agosto del 1996.
La Corte in definitiva, nel dichiarare l'incostituzionalità della normativa sul duopolio.
La Corte in definitiva, nel dichiarare l'incostituzionalità della normativa sul duopolio.
La L. 223/1990
non ha voluto determinare un vuoto normativo per consentire l'intervento
razionale e discrezionale del legislatore.
Spetta quindi al
legislatore emanare una nuova disciplina del settore riducendo il limite
numerico delle reti concedibili ad uno stesso soggetto ovvero ampliando, ove
l'evoluzione tecnologica lo renda possibile, il numero delle reti
complessivamente consentibili.
Il legislatore
deve superare il duopolio Rai Fininvest, affermatosi nel corso del tempo.
La L. 249/1997,
detta legge Maccanico, ha dettato la nuova disciplina del sistema
radiotelevisivo, in ossequio alla citata sentenza della Corte Cost. n. 420/1994
prevedendo più ristretti limiti concentrativi rispetto a quelli previsti
dall'art. 15, L. 223/1990.
Essa ha, infatti, vietato ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni che consentano di irradiare più del 20 per cento delle reti televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri sulla base del piano nazionale d'assegnazione delle frequenze, ex art. 2 comma 6, L. 249/1997.
Essa ha, infatti, vietato ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni che consentano di irradiare più del 20 per cento delle reti televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri sulla base del piano nazionale d'assegnazione delle frequenze, ex art. 2 comma 6, L. 249/1997.
Relativamente
alle reti televisive nazionali su frequenze terrestri che trasmettono in forma
codificata, la legge ha previsto che un soggetto non possa ottenere più di una
concessione televisiva, ex art. 3, comma 11, L. L. 249/1997.
La legge - e
questo è punto decisivo - ha anche introdotto una disciplina transitoria delle
reti televisive nazionali esistenti, eccedenti i predetti limiti concentrativi,
stabilendo che dette reti potevano continuare a trasmettere in via transitoria,
dopo il 30 aprile 1998, nel rispetto degli obblighi previsti per le emittenti
concessionarie, a condizione che le trasmissioni fossero effettuate
simultaneamente su satellite o cavo, ex art. 3 comma 6, L. 249/1997.
La legge ha poi affidato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la fissazione del termine entro il quale, in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi via cavo o via satellite le predette reti eccedenti avrebbero dovuto trasmettere programmi esclusivamente su satellite o cavo, abbandonando le frequenze terrestri, ex art. 3 comma 7, L. 249/1997.
La L. 249/1997 prevedeva che il piano indicasse il numero massimo delle reti televisive nazionali assentibili, tutte di identica copertura, ciascuna rete dovendo coprire almeno l'80% del territorio italiano e tutti i capoluoghi di provincia. R. ZACCARIA, Informazione e telecomunicazione, 1999, 532.
Il Piano ha individuato 11 reti televisive a copertura nazionale da assegnare alle emittenti nazionali.
La legge ha poi affidato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la fissazione del termine entro il quale, in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi via cavo o via satellite le predette reti eccedenti avrebbero dovuto trasmettere programmi esclusivamente su satellite o cavo, abbandonando le frequenze terrestri, ex art. 3 comma 7, L. 249/1997.
La L. 249/1997 prevedeva che il piano indicasse il numero massimo delle reti televisive nazionali assentibili, tutte di identica copertura, ciascuna rete dovendo coprire almeno l'80% del territorio italiano e tutti i capoluoghi di provincia. R. ZACCARIA, Informazione e telecomunicazione, 1999, 532.
Il Piano ha individuato 11 reti televisive a copertura nazionale da assegnare alle emittenti nazionali.
Su tale numero
era calcolato il 20 per cento - limite antitrust - pari a due reti.
Delle 11 reti
tre erano assegnate per legge al servizio pubblico radiotelevisivo ed otto reti
private a copertura nazionale erano assentibili ad emittenti privati a mezzo di
gara.
Il regolamento n. 78/98 ha stabilito le modalità di rilascio delle concessioni televisive private su frequenze terrestri in tecnica analogica.
Il regolamento n. 78/98 ha stabilito le modalità di rilascio delle concessioni televisive private su frequenze terrestri in tecnica analogica.
Tale regolamento
prevedeva, all'art. 9, che la fase di valutazione e comparazione delle domande
di concessione fosse affidata ad un'apposita Commissione nominata dal Ministro
delle comunicazioni sulla base di un elenco di esperti indicato dalla stessa
Autorità.
Le aree di
valutazione delle domande di concessione erano:
a) qualità dei programmi;
b) piano d'impresa, investimenti, sviluppo della rete;
c) occupazione;
d) esperienze maturate nel settore radiotelevisivo ed in altri settori.
La predeterminazione dei punteggi minimi e massimi conseguibili nelle citate aree di valutazione, nonché l'individuazione degli elementi relativi a ciascun'area, veniva effettuata dal disciplinare di gara, previsto dall'art. 1, comma 6, lett. c), n. 6) della L. 249/1997 ed approvato dal Ministro delle comunicazioni con decreto 8 marzo 99 su proposta dell'Autorità.
Il disciplinare di gara prevedeva che le concessioni fossero rilasciate nel rispetto del numero di reti individuate dal Piano nazionale d'assegnazione delle frequenze e nel rispetto dei limiti anticoncentrativi stabiliti dalla L. 249/1997.
In data 28 luglio 1999, sulla base della graduatoria approvata dalla Commissione, furono rilasciate le seguenti concessioni nazionali: Canale 5, Italia 1, Tele+Bianco, Tmc, Tmc2, Europa 7, Elefante Telemarket.
Alle emittenti Retequattro e Tele+Nero la concessione non fu rilasciata perché eccedevano i limiti concentrativi. Peraltro esse hanno continuato ad esercire le reti terrestri in via transitoria, ciò autorizzando la legge.
Le emittenti non hanno maturato, non avendo ottenuto la concessione, il diritto d'installare ed esercire reti nazionali ma, ciononostante continuano a farlo, essendo state censite ai sensi dell'art. 32 della L. 223/1990.
a) qualità dei programmi;
b) piano d'impresa, investimenti, sviluppo della rete;
c) occupazione;
d) esperienze maturate nel settore radiotelevisivo ed in altri settori.
La predeterminazione dei punteggi minimi e massimi conseguibili nelle citate aree di valutazione, nonché l'individuazione degli elementi relativi a ciascun'area, veniva effettuata dal disciplinare di gara, previsto dall'art. 1, comma 6, lett. c), n. 6) della L. 249/1997 ed approvato dal Ministro delle comunicazioni con decreto 8 marzo 99 su proposta dell'Autorità.
Il disciplinare di gara prevedeva che le concessioni fossero rilasciate nel rispetto del numero di reti individuate dal Piano nazionale d'assegnazione delle frequenze e nel rispetto dei limiti anticoncentrativi stabiliti dalla L. 249/1997.
In data 28 luglio 1999, sulla base della graduatoria approvata dalla Commissione, furono rilasciate le seguenti concessioni nazionali: Canale 5, Italia 1, Tele+Bianco, Tmc, Tmc2, Europa 7, Elefante Telemarket.
Alle emittenti Retequattro e Tele+Nero la concessione non fu rilasciata perché eccedevano i limiti concentrativi. Peraltro esse hanno continuato ad esercire le reti terrestri in via transitoria, ciò autorizzando la legge.
Le emittenti non hanno maturato, non avendo ottenuto la concessione, il diritto d'installare ed esercire reti nazionali ma, ciononostante continuano a farlo, essendo state censite ai sensi dell'art. 32 della L. 223/1990.
L’art. 3, L.
249/1997, prevede, infatti, che l’esercizio delle reti eccedenti i limiti
antitrust può proseguire su dette frequenze terrestri fino a quando l’autorità
non ritiene congruo lo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via
satellite e via cavo. R. ZACCARIA, Informazione e telecomunicazione,
1999,534.
Emittenti come Europa 7, invece, pur avendo ottenuto la concessione, non essendo nella condizione di esercire una rete all'atto di presentazione della domanda di connessione, ma essendo nuovi entranti, che non possiedono una rete d'impianti in esercizio, attendevano l'assegnazione delle frequenze.
La concessione rilasciata ad Europa 7 individua le caratteristiche tecniche di irradiazione ma non assegna frequenze.
I canali, secondo l'Autorità, sarebbero stati determinati successivamente, al momento dell'attuazione del piano delle frequenze.
Emittenti come Europa 7, invece, pur avendo ottenuto la concessione, non essendo nella condizione di esercire una rete all'atto di presentazione della domanda di connessione, ma essendo nuovi entranti, che non possiedono una rete d'impianti in esercizio, attendevano l'assegnazione delle frequenze.
La concessione rilasciata ad Europa 7 individua le caratteristiche tecniche di irradiazione ma non assegna frequenze.
I canali, secondo l'Autorità, sarebbero stati determinati successivamente, al momento dell'attuazione del piano delle frequenze.
Il piano
tuttavia, secondo le Amministrazioni resistenti, non si rivelava di facile
attuazione per effetto di alcune controversie giudiziarie sui dinieghi di
concessione (Rete Mia, Rete Capri, Rete A).
Su questo quadro si inseriva l’art. 1 della legge 24 febbraio 2004, n. 43, , adottata a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 466/2002, che fissava al 31 dicembre 2003 il termine improrogabile per il trasferimento delle reti eccedenti dell'etere al cavo o al satellite, che autorizzava le reti eccedenti a proseguire le loro trasmissioni sulle frequenze televisive analogiche e digitali fino alla conclusione di un esame sullo sviluppo delle reti televisive digitali.
Su questo quadro si inseriva l’art. 1 della legge 24 febbraio 2004, n. 43, , adottata a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 466/2002, che fissava al 31 dicembre 2003 il termine improrogabile per il trasferimento delle reti eccedenti dell'etere al cavo o al satellite, che autorizzava le reti eccedenti a proseguire le loro trasmissioni sulle frequenze televisive analogiche e digitali fino alla conclusione di un esame sullo sviluppo delle reti televisive digitali.
La L. 112/2004,
nota come Legge Gasparri, dal nome del Ministro proponente, ha finito con il
prolungare - a tempo praticamente indeterminato - ancora una volta, attraverso
il meccanismo del generale assentimento, la possibilità per le emittenti
esercenti reti "eccedenti" i limiti anticoncentrativi di non liberare
le frequenze da riassegnare ai soggetti titolari di concessioni vinte a seguito
di gara, ex art. 23 comma 1 e comma 5, L.. 112/2004.
Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, infatti, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale in possesso dei requisiti previsti per ottenere l’autorizzazione per la sperimentazione delle trasmissioni in tecnica digitale terrestre possono effettuare, anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica, le predette sperimentazioni fino alla completa conversione delle reti, nonché richiedere, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, infatti, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale in possesso dei requisiti previsti per ottenere l’autorizzazione per la sperimentazione delle trasmissioni in tecnica digitale terrestre possono effettuare, anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica, le predette sperimentazioni fino alla completa conversione delle reti, nonché richiedere, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
2. La
normativa europea.
La normativa europea afferma il principio del pluralismo delle fonti d'informazione.
Esso è contenuto
nell'art. 10 della CEDU, ratificata dalla L. 848/1955, secondo cui ogni persona
ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà
d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza
ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo alla
nazionalità.
Il presente
articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione
le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
Tale articolo
della CEDU fa parte integrante dei principi generali del diritto comunitario,
essendo richiamato dall'art. 6 comma 2 del Trattato sull'Unione Europea, che
sancisce l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato la libertà di ognuno di ricevere il più possibile un'informazione pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti.
La tutela del diritto all'informazione può essere garantita dagli Stati membri esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è "ultimate guarantor".
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato la libertà di ognuno di ricevere il più possibile un'informazione pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti.
La tutela del diritto all'informazione può essere garantita dagli Stati membri esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è "ultimate guarantor".
Il principio
pluralistico va distinto in pluralismo interno inteso quale complesso di
obblighi volti a garantire l'accesso alle reti, e in pluralismo esterno volto a
garantire la presenza di una pluralità di operatori sul mercato. Corte di
Strasburgo 24 novembre 1993.
La risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sul pluralismo (n. 1/99) raccomanda agli Stati membri di adottare misure per promuovere il pluralismo nei media. In particolare, sotto la rubrica "Regulation of ownership: broadcasting and the press", sottolinea la necessità che gli Stati adottino una normativa finalizzata a prevenire o reprimere concentrazioni che possano mettere a repentaglio il pluralismo dell'informazione a livello nazionale, regionale o locale.
La Risoluzione più in dettaglio, chiede agli Stati di introdurre una disciplina in termini di soglie finanziarie volta a limitare l'influenza che un singolo operatore o un gruppo può esercitare in uno o più mezzi di comunicazione.
La risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sul pluralismo (n. 1/99) raccomanda agli Stati membri di adottare misure per promuovere il pluralismo nei media. In particolare, sotto la rubrica "Regulation of ownership: broadcasting and the press", sottolinea la necessità che gli Stati adottino una normativa finalizzata a prevenire o reprimere concentrazioni che possano mettere a repentaglio il pluralismo dell'informazione a livello nazionale, regionale o locale.
La Risoluzione più in dettaglio, chiede agli Stati di introdurre una disciplina in termini di soglie finanziarie volta a limitare l'influenza che un singolo operatore o un gruppo può esercitare in uno o più mezzi di comunicazione.
Il Parlamento
Europeo ha preso inoltre posizione nella Risoluzione dell'aprile 2004 sui
rischi di violazione, nell'UE, e particolarmente in Italia, della libertà di
espressione e d'informazione, ex art. 11, comma 2 della Carta dei
diritti fondamentali.
Il principio pluralistico deve essere contestualizzato e relativizzato alla luce della realtà tecnologiche e della consistenza dei mercati, dovendo tuttavia risolversi nella garanzia del pluralismo interno ed esterno.
La Comunità ha riservato sempre attenzione al fenomeno delle trasmissioni radiotelevisive, prima con la dir. 89/552/CE considerando le stesse un servizio ai sensi del Trattato, del quale garantire la libera circolazione e la libertà di prestazione; poi occupandosi di tutelare la libera circolazione dei servizi criptati dir. 98/84/CE.
Quando gli Stati membri limitano i diritti d'uso da concedere per le frequenze radio solo in numero limitato, rispettano sempre criteri di selezione obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori, ex art. 7 direttiva 7 marzo 2002 n. 2002/20/CE, la cosiddetta direttiva autorizzazioni.
L'adeguamento alla direttiva autorizzazioni sarebbe dovuto avvenire entro il 24 luglio 2003, la proroga di autorizzazioni preesistenti può avvenire a condizione di non ledere i diritti di cui godono altre imprese in forza della normativa comunitaria, ex art. 17 comma 2.
Il principio pluralistico deve essere contestualizzato e relativizzato alla luce della realtà tecnologiche e della consistenza dei mercati, dovendo tuttavia risolversi nella garanzia del pluralismo interno ed esterno.
La Comunità ha riservato sempre attenzione al fenomeno delle trasmissioni radiotelevisive, prima con la dir. 89/552/CE considerando le stesse un servizio ai sensi del Trattato, del quale garantire la libera circolazione e la libertà di prestazione; poi occupandosi di tutelare la libera circolazione dei servizi criptati dir. 98/84/CE.
Quando gli Stati membri limitano i diritti d'uso da concedere per le frequenze radio solo in numero limitato, rispettano sempre criteri di selezione obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori, ex art. 7 direttiva 7 marzo 2002 n. 2002/20/CE, la cosiddetta direttiva autorizzazioni.
L'adeguamento alla direttiva autorizzazioni sarebbe dovuto avvenire entro il 24 luglio 2003, la proroga di autorizzazioni preesistenti può avvenire a condizione di non ledere i diritti di cui godono altre imprese in forza della normativa comunitaria, ex art. 17 comma 2.
3. Il
contrasto delle norme nazionali alla normativa europea.
La
giurisprudenza ha rilevato il contrasto delle norme nazionali alla normativa
europea.
Dagli artt. 8 e
9, direttiva n. 2002/21/Ce e dagli artt. 5 e 7, direttiva n. 2002/20/Ce si
evince che l'assegnazione delle frequenze da parte delle autorità nazionali
deve avvenire a mezzo di gare ossia in base a criteri di selezione obiettivi,
trasparenti, proporzionati e non discriminatori, e nel rispetto di una corretta
pianificazione dell'etere, volta all'incremento del pluralismo.
La questione è
stata sollevata in relazione ad un provvedimento ministeriale di reiezione
dell'istanza di assegnazione di frequenze televisive presentata da Rete A), ex
art. 23 comma 3, l. n. 112 del 2004.
Il
provvedimento, infatti, preclude la possibilità di acquisire ulteriori
frequenze in via amministrativa determinando l'esclusione di operatori che, pur
in possesso del titolo abilitativo, assegnato all'esito di una procedura
competitiva, non possono (adeguatamente) svolgere l'attività concessa per
mancata assegnazione delle frequenze. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 30 novembre 2006, n.
13415,
in Foro amm. TAR, 2006, 11, 3586.
La questione è
stata rimessa dal giudice amministrativo alla Corte di Giustizia per verificare
la conformità della normativa italiana, a partire dalla L. 249/1997, alle
disposizioni del Trattato sulla libera prestazione di servizi e sulla
concorrenza, agli artt. 8 e 9, n. 1, della direttiva «quadro», agli artt. 5, 7
e 17 della direttiva «autorizzazioni», nonché al principio del pluralismo delle
fonti d’informazione sancito dall’art. 10 della CEDU, in quanto principio
generale di diritto comunitario.
Nel sistema delineato dal legislatore italiano solo con lo “switch off” delle trasmissioni analogiche, con il conseguente passaggio generalizzato al digitale, è possibile riallocare frequenze liberate per vari usi mentre nel caso del mero avvio del processo dì transizione al digitale terrestre, sì rischia di aggravare ulteriormente la scarsità delle frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione analogica e digitale in parallelo. Cons. St., sez. VI, 19 luglio 2005, n. 3846, in Servizi pubbl. e appalti, 2005, 4, 879.
Nel sistema delineato dal legislatore italiano solo con lo “switch off” delle trasmissioni analogiche, con il conseguente passaggio generalizzato al digitale, è possibile riallocare frequenze liberate per vari usi mentre nel caso del mero avvio del processo dì transizione al digitale terrestre, sì rischia di aggravare ulteriormente la scarsità delle frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione analogica e digitale in parallelo. Cons. St., sez. VI, 19 luglio 2005, n. 3846, in Servizi pubbl. e appalti, 2005, 4, 879.
La
Corte di Giustizia, Sez. IV, 31 gennaio 2008, ha fornito allo stesso giudice
amministrativo le modalità per l’interpretazione delle norme comunitarie.
Essa
ha affermato che l’art. 49 CE osta all’applicazione di qualsiasi normativa
nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati
membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno
Stato membro
Nel settore delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica tali principi sono stati attuati dal NQNC. L’art. 8 della direttiva «quadro» prescrive, infatti, agli Stati membri l’obbligo di assicurarsi che le autorità nazionali di regolamentazione adottino tutte le ragionevoli misure intese a promuovere la concorrenza nella fornitura dei servizi di comunicazione elettronica, garantendo che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche e rimuovendo gli ostacoli residui che si frappongono alla fornitura dei detti servizi a livello europeo.
Nel settore delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica tali principi sono stati attuati dal NQNC. L’art. 8 della direttiva «quadro» prescrive, infatti, agli Stati membri l’obbligo di assicurarsi che le autorità nazionali di regolamentazione adottino tutte le ragionevoli misure intese a promuovere la concorrenza nella fornitura dei servizi di comunicazione elettronica, garantendo che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche e rimuovendo gli ostacoli residui che si frappongono alla fornitura dei detti servizi a livello europeo.
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