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La
disciplina del silenzio nell’accesso al procedimento amministrativo.
Una radicale innovazione è
avvenuta colla l. 241/1990 sull’accesso al procedimento amministrativo.
La normativa consente
al privato di entrare nel procedimento prima che esso sia emanato e di
intervenire nella fase preparatoria portando il suo contributo. (Franchini C.e AAVV, Codice commentato della l.241/1990 riformata, 2006, 379).
A volte l’intervento è previsto
per legge, come nella procedura espropriativa, altre volte è facoltativo e
consente di consultare gli atti che l’amministrazione dispone o al fine di
ottenere un provvedimento o al fine di richiedere l’annullamento di un atto già
emanato.
Questa legge disciplina il
silenzio nella fase istruttoria sia nella redazione dei pareri sia nelle
consulenze tecniche, agli artt. 14, 16 e 17, anche se formulati attraverso le
particolari modalità delle conferenze di servizio.
Colla legge sull’accesso al
procedimento amministrativo 241/1990, all’art. 25, è introdotta un’azione
tendente a fornire al richiedente l’accesso negato che offre tutela nei
confronti del silenzio nella fase preparatoria disciplinata dall’art.116, d.
lgs. 104/2010.
Si tratta, come chiarisce la dottrina,
di un mero dato di legittimazione processuale.
I meccanismi di tutela prevedono
solo la possibilità del richiedente di sostituire alla non decisione
dell’amministrazione la decisione del giudice che deve esprimersi sulla
legittimità dell’istanza di accesso.
La verifica della
legittimità della fondatezza della richiesta è solo spostata nel tempo ed è
riservata alla amministrazione (Sempreviva M.T., L’accesso ai documenti
amministrativi, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto
amministrativo, 2004, 1994).
Il silenzio dell’amministrazione
è un ostacolo all’ottenimento del provvedimento la cui emanazione spetta sempre
all’amministrazione.
I sistemi di tutela sul
silenzio tendono a creare un percorso obbligato, sotto la guida della giustizia
amministrativa, che induca l’amministrazione a decidere (Centofanti N. e Centofanti P., Il formulario del
diritto amministrativo, 2010, 81).
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La
disciplina del silenzio nel procedimento amministrativo.
Il silenzio è stato modellato in
rapporto ai singoli procedimenti amministrativi sicché manca una disciplina
unitaria.
La dottrina rileva che nell’ordinamento
italiano non vi è stata mai una disciplina generale relativa all’inerzia della
pubblica amministrazione: la stessa previsione generale del termine del
procedimento introdotta dall’art. 2, l. 241/1990, consente di qualificare il
silenzio come inadempimento di un obbligo, ma non indica le conseguenze di
questo inadempimento né le forme di tutela offerte agli eventuali interessati.
I rimedi contro il silenzio predisposti dalle
norme, in effetti, riguardano singoli procedimenti o tipi di procedimenti (Mattarella B.G., Il provvedimento, in Cassese
S. (a cura di) Diritto amministrativo generale, 2000, I, 794).
A fronte all’inerzia serbata dall’amministrazione
nel procedimento amministrativo è stato ritenuto applicabile, in via analogica,
l’art. 25 del t.u. 3/1957 che regola un procedimento teso a evidenziare il
mancato compimento di un atto da parte degli impiegati dello Stato.
Trascorso il termine di sessanta giorni dalla
richiesta di un atto l’interessato può notificare a mezzo di ufficiale
giudiziario una diffida a provvedere; trascorsi trenta giorni dalla suddetta
notifica il richiedente può ricorrere in sede giurisdizionale affinché sia
dichiarato l’obbligo a provvedere (Cerulli
Irelli V., Corso di diritto amministrativo 1997, 480).
Una radicale innovazione è
avvenuta colla legge sull’accesso al procedimento amministrativo 241/1990, che
introduce espressamente, all’art. 2, l’obbligo a provvedere.
In particolare l’art. 117, d.lgs.
104/2010, che riprende il contenuto
dell’art. 2, l. 15/2005, prevede la possibilità di ricorrere contro il silenzio
dell’amministrazione senza la predisposizione della preventiva diffida che
rimane facoltativa con pieno consenso della dottrina.
Le novità introdotte dalla l. 15/2005, devono
essere accolte positivamente poiché il legislatore, accogliendo le proposte
della dottrina, elimina l’onere della previa diffida consentendo al privato di
agire direttamente per fare accertare l’illegittimità del silenzio serbato
dalla p.a. (Caringella F., La riforma del
procedimento amministrativo: Profili generali della riforma, in Urb.
App. 2005, 379).
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La
disciplina del silenzio nel ricorso amministrativo.
L’art. 1, l. 1865/2248, all. e),
che abroga il precedente sistema del contenzioso, affida all’amministrazione
stessa, attraverso il sistema dei ricorsi amministrativi, le controversie che
dovessero sorgere con i privati.
Queste non trovano una espressa
soluzione normativa nel caso in cui l’amministrazione non si pronunci sul
ricorso.
Neppure la riforma portata dal t.u. 6166/1889,
che aggiunge alla tutela da ricorso quella giurisdizionale, istituendo la
quarta sezione del Consiglio di Stato con competenza generale di legittimità
per il sindacato degli atti amministrativi lesivi degli interessi legittimi,
risolve pienamente il problema della tutela dal silenzio dell’amministrazione (Galli R. , Corso di diritto amministrativo
1996, 916).
La necessità di impugnare un
provvedimento definitivo, ossia che abbia esperito la fase dei gravami
amministrativi ove previsti, e l’obbligo di depositare il provvedimento
impugnato rendevano difficoltosa, ritardandola, la tutela giurisdizionale.
Il problema è stato in un primo tempo risolto dalla giurisprudenza che, attraverso l’artificio della diffida a provvedere, attribuiva al susseguente silenzio dell’amministrazione il valore di un atto soggetto a successivo gravame.
Il problema è stato in un primo tempo risolto dalla giurisprudenza che, attraverso l’artificio della diffida a provvedere, attribuiva al susseguente silenzio dell’amministrazione il valore di un atto soggetto a successivo gravame.
Per ottenere una prima soluzione
legislativa al problema bisogna attendere la legge comunale e provinciale
383/1934, che, all’art. 5, introduce la possibilità di attribuire alla mancata
decisione il valore di un diniego attraverso un meccanismo di diffide.
Solo con la legge sui ricorsi
amministrativi, art. 6, l. 1199/1971, si dà al silenzio sul ricorso il valore
di diniego avverso il quale è possibile procedere.
Il ricorso giurisdizionale contro
il silenzio tenuto dall’amministrazione nel decidere il ricorso amministrativo
trova ora disciplina nell’art. 31, d.lgs. 104/2010.
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il
riparto delle competenze stato-regione.
La
dottrina sostiene il vincolo delle Regioni al rispetto dei principi statali
sul procedimento amministrativo così come definiti dalla l. n. 241 del 1990.
Dall'altra parte si pone invece la corrente dottrinale che, in senso contrario,
sottolinea la difficoltà di includere nelle clausole di competenza esclusiva
statale una normativa sostanzialmente secondaria com'è quella sul procedimento
amministrativo (Lazzara L., La disciplina del procedimento amministrativo nel riparto delle
competenze stato-regione, in
Dir. amm. 2007, 1, 105).
Una
clausola che viene spesso richiamata per fondare la competenza centrale sulla
disciplina del procedimento è quella che attribuisce allo Stato il compito di
fissare i livelli essenziali delle
prestazioni amministrative, ex art.
117,2° co., lett. m, cost.
La
norma finisce col far ritenere la materia «procedimento amministrativo»
esclusivamente riservata allo Stato. I principali enti territoriali verrebbero
così esclusi dalla regolazione generale delle funzioni pubblico -
amministrative; risultato - questo - che non sembra coerente con la direzione
impressa al sistema costituzionale dal nuovo Titolo V.
La Corte costituzionale si è posta la questione se lo
statuto regionale possa legittimamente dettare norme in materia di accesso agli
atti ed ai documenti ed in ordine alla motivazione dei provvedimenti amministrativi,
norme difformi dalla disciplina contenuta nella legislazione statale. Sul
presupposto che la disciplina del procedimento amministrativo è generalmente
riconducibile alla materia dell'organizzazione, la questione di
costituzionalità riguarda dunque il rapporto che intercorre tra la norma che
attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di
ordinamento ed organizzazione dei soli organi statali e degli enti pubblici
nazionali, ex art. 117 comma 2. lett.
g), cost.), e la disposizione che riconosce agli statuti regionali - in armonia
con la Costituzione - il compito di determinare i principi di organizzazione e
funzionamento degli organi della regione e degli enti da essa dipendenti, ex art. 123, cost.. (Bottino G., L'organizzazione amministrativa dello Stato,
delle regioni e delle autonomie locali nella giurisprudenza costituzionale: il
procedimento amministrativo (diritto di accesso e motivazione degli atti), e la
disciplina delle funzioni amministrative. Nota a: Corte costituzionale, 2.12.2004
n. 372, in Foro amm. CDS 2005, 9, 2449).
Il diritto di
accedere ai provvedimenti amministrativi emanati dalla regione e dagli enti da
essa dipendenti, senza obbligo di motivazione, è ritenuto dalla Corte
costituzionale conforme al principio costituzionale di imparzialità e
trasparenza amministrativa , ex art.
97, cost., nonché del tutto coerente con i principi di medesima natura
affermati nel diritto comunitario .
Per questo aspetto
la sentenza costituzionale non può che dare atto della circostanza che la
scelta statutaria - quanto meno per il soggetto interessato all'accesso - non
viola in alcun modo ed anzi realizza pienamente i livelli essenziali delle
prestazioni concernenti il diritto all'imparzialità ed alla trasparenza
amministrativa normalmente affidati alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato .
Il giudice delle
leggi afferma che la disciplina del diritto di accesso rientra nella materia costituzionale
dell'organizzazione amministrativa. Di conseguenza, poiché l'odierno art. 117
comma 2 lett. g), cost., riserva alla legislazione esclusiva dello Stato
l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali, e poiché - in via complementare - il vigente art. 123, cost.,
riserva al singolo statuto regionale (nei limiti dell'«armonia con la
Costituzione») la determinazione dei principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento della regione stessa, la Corte ritiene affidata: a) alla
legislazione statale, la determinazione della regolamentazione del diritto di
accesso in relazione ai procedimenti amministrativi riconducibili ad organi
dello Stato-apparato nonché agli atti e documenti in possesso dei medesimi
organi; b) agli statuti regionali ed alle conseguenti leggi attuative dei
medesimi, l'individuazione delle forme e dei limiti in cui l'accesso è
consentito nei confronti degli organi della regione, e degli enti pubblici da
essa dipendenti, appartenenti all'organizzazione amministrativa regionale.
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