1 L’obbligo a provvedere entro i termini prefissati.
L’azione amministrativa si
sviluppa attraverso una serie di atti logicamente coordinati che hanno lo scopo
di giungere all’adozione di un provvedimento finale che, attraverso la
comparazione di opposti interessi, è espressione della volontà della pubblica
amministrazione ed ha effetti esecutivi.
Il provvedimento è quindi l’atto
col quale la pubblica amministrazione esprime la sua volontà di incidere sulle
posizioni giuridiche di un soggetto, che può essere pubblico o privato.
L’atto amministrativo ha,
pertanto, una funzione strumentale rispetto al provvedimento.
Questa distinzione chiarisce
anche gli aspetti della eventuale tutela, ammessa solo per il provvedimento.
La fase preparatoria, invece, non
è soggetta ad impugnazione.
L’insieme degli atti, che
convergono nel provvedimento amministrativo nella sua fase dinamica,
costituisce il procedimento amministrativo.
I principi cui deve
necessariamente ispirarsi il procedimento sono stati via via definiti dalla
giurisprudenza e dalla dottrina.
E’ mancata, infatti, in Italia,
fino all’adozione della l. 241/1990, una legge generale sul procedimento
amministrativo.
La l. 7.8.1990, n. 241
rivoluziona il procedimento amministrativo, istituendo la possibilità di
accedere allo stesso fino dalla fase preparatoria che, in precedenza, era
riservata esclusivamente alla amministrazione.
Tale legge, inoltre, conferma i
principi generali che disciplinano i procedimenti amministrativi - l’obbligo di
comunicare la data dell’avvio del procedimento, la motivazione, la fissazione
di un termine per provvedere ed, infine, l’obbligo di nominare il responsabile
del procedimento - già introdotti dalla giurisprudenza.
La legge sul procedimento
amministrativo introduce l’obbligo per la pubblica amministrazione della
conclusione dell’atto, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, ex art. 2, l. 7.8.1990, n. 241, mod.
art. 7, l.69/2009.
La dottrina individua la ratio
del provvedimento nella riconosciuta necessità per l’amministrazione di fornire
una risposta in tempi brevi alle istanze prodotte dai privati.
L’obbligo di provvedere risponde
a esigenze sia di efficienza dell’amministrazione sia di garanzia dei privati; esso
riguarda tutti i procedimenti amministrativi che debbano essere iniziati, siano
essi a iniziativa di parte o a iniziativa di ufficio: con riguardo ai primi
esso risponde all’interesse del privato di ottenere dall’amministrazione una
misura favorevole o il riesame di un atto già emanato; con riguardo ai secondi
l’interesse del privato è teso a rimuovere lo stato di incertezza in ordine
all’eventuale adozione di una misura sfavorevole (Mattarella B.G., Il provvedimento, in Cassese S. (a
cura di) Diritto amministrativo generale, 2000, 795).
Il tempo entro il quale il
procedimento deve essere concluso è fissato per ogni procedura in via
regolamentare e, in mancanza, entro il termine legale suppletivo di trenta
giorni .
La
riformulazione dell’art. 2 , l. 241/1990, proposta dall’art. 7, l. 18.6.2009,
n. 69, oltre ad esigere la necessità di un provvedimento conclusivo espresso,
reca i seguenti, principali elementi di novità.
In assenza di un
termine fissato dalla legge o dagli enti, i procedimenti di competenza delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi
entro 30 giorni anziché 90, come previsto dal testo vigente.
Le
amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali possono fissare specifici
termini per la conclusione dei procedimenti di competenza che non possono in
via generale superare i 90 giorni.
La fissazione di
tali termini, per quanto concerne le amministrazioni statali, è rimessa a
regolamenti, da adottare, ex art. 17, comma 3, l. 400/1988, con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro di volta in
volta competente di concerto con i ministri per la pubblica amministrazione e
l'innovazione e per la semplificazione normativa.
I termini non
possono in ogni modo superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei
procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti
l’immigrazione.
Il comma 6 del
novellato art. 2, l. 241/1990, precisa che i termini per la conclusione del
procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento
della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. Detta data non
coincide necessariamente con la data in cui l’atto viene protocollato
consentendo una anticipazione dei tempi procedimentali. (Toschei S., Trasparenza
amministrativa. Obiettivo, tempestività e certezza nell’azione, in Guida
Dir., 2009, n. 27, 30).
I suddetti
termini entro i quali il provvedimento deve essere emanato possono essere
sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per
l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o
qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa
o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. La giurisprudenza
ha precisato che i casi di sospensione del termine procedimentale sono
tassativi, sicché - in assenza di tali evenienze - il procedimento non può
essere sospeso dalla semplice richiesta di integrazione documentale peraltro
reiterata più volte nel corso del tempo. (T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 7 marzo 2008, n. 277).
La
giurisprudenza ha affermato che l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento
espresso entro un termine determinato, trova legittima sospensione
nell'intervenuto sequestro penale degli atti amministrativi
Tale sequestro
si configura come un "factum principis" ossia quale
circostanza estranea alla sfera di disponibilità, di gestione e di
organizzazione della stessa amministrazione.
In sostanza,
nella specie, l'obbligo di provvedere sancito dall'art. 2 della legge n.
241/1990 è restato inadempiuto per un fatto non imputabile alla organizzazione
ed alla inerzia della stessa amministrazione, ma per circostanze esterne del
tutto indipendenti dalla sua volontà. Sicché, sussistendo una causa di forza
maggiore che esclude l'imputabilità all'amministrazione intimata del contestato
inadempimento, non può pervenirsi ad una pronuncia impositiva dell'obbligo di
provvedere entro i termini di legge.
Secondo il
diritto comune, per causa non imputabile ai sensi dell'art. 1218 c.c. in grado
di esonerare il debitore da responsabilità da inadempimento deve intendersi
quell'impedimento assolutamente imprevedibile ed estraneo, sempre sul piano
oggettivo, alla sfera del debitore, cioè tale che egli non avrebbe potuto in
alcun modo prevedere e controllare.
Più in generale,
nella giurisprudenza amministrativa, la configurabilità del factum principis
costituisce un principio di ampia applicazione ogni qual volta la presenza di
un evento esterno sia idoneo a spezzare il nesso di imputazione soggettiva
della fattispecie, al pari di una clausola civilistica di esonero da
responsabilità per fatto altrui. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 16 giugno 2008, n.
5919).
La
giurisprudenza conferma l'obbligo di concludere il procedimento mediante
l'emissione di un provvedimento espresso non solo per i casi nei quali il
procedimento scaturisce da una iniziativa del privato, ma anche per quelli che
vanno iniziati di ufficio. Quando l'amministrazione avvia un procedimento, concretizzando un obbligo giuridico alla sua conclusione e ingenerando l'affidamento nel privato
ad una sua definizione, lo deve concludere in tempi certi e ragionevolmente
accettabili; in particolare, se evocata in un giudizio avverso il silenzio
inadempimento, la sua difesa non può limitarsi ad asserzioni generiche, quali
quelle riferite alla esistenza di una fase progettuale in corso di definizione
senza indicare con precisione i tempi procedimentali necessari, in tal caso,
invero, non è esclusa la sussistenza di una inerzia configurante il lamentato
silenzio-rifiuto. (T.A.R. Campania
Salerno, sez. II, 9 febbraio 2010, n. 1382).
2 La fissazione dei termini a mezzo regolamento.
La
norma prevede che con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri,
adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.
400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la
pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa,
sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono
concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli
enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini
non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti
di propria competenza.
Nei
casi in cui sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la
conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e
degli enti pubblici nazionali, i decreti sono adottati su proposta anche dei
Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la
semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I
termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la
sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di
quelli riguardanti l’immigrazione, ex
art.
2, 3° co. l. 7.8.1990, n. 241, mod. art. 7, l.69/2009)
Le determinazioni ministeriali in
ordine alla fissazione dei termini entro i quali devono concludersi i
procedimenti, richieste dagli artt. 2 e 4, l. 241 del 1990, devono essere
adottate in forma di regolamento colle modalità previste dall'art. 17, 3° e 4°
co., l. 400 del 1988 (Cons. St., A. G., 21.11.1991, n. 141, in Foro It, 1992, III, 98, 137).
E’ da segnalare l’intervento
della giustizia amministrativa che ha censurato termini troppi lunghi fissati
dai regolamenti.
Il regolamento deve prevedere
anche i tempi entro i quali devono essere compiute dall'amministrazione
attività endoprocedimentali, in procedimenti nei quali altra amministrazione è
competente all'adozione dell'atto finale (Cons. St., A. G., 27.1.1994, n. 3, in
Cons. St, 1995, I, 144).
Esso, inoltre, non può stabilire,
per la definizione dei procedimenti, termini così ampi da vanificare la
finalità della legge che è quella di garantire la celerità delle procedure. Per
la giurisprudenza i termini previsti dalle tabelle allegate allo schema di
decreto del Ministero di grazia e giustizia concernente il regolamento di
esecuzione degli artt. 2 e 4, l. 7.8.1990, n. 241 appaiono in molti casi
esageratamente lunghi; pertanto, essi dovranno essere rivisti e congruamente
ridotti - oltre che essere sempre espressi in giorni - dal momento che, in caso
contrario, verrebbero sostanzialmente eluse le finalità della l. 241/1990
(Cons.
St., A. G., 23.2.1995, n. 19, CS, 1995, 1463).
La norma impone al legislatore di
rivedere la disciplina di taluni procedimenti ove l’intervento del responsabile
si deve coordinare con le funzioni attribuite ad altri organi amministrativi
che devono esprimere pareri o con l’articolazione di altri subprocedimenti.
Il regolamento rimane pur sempre
fonte normativa subordinata alle scansioni dei procedimenti, le quali possono
essere determinate da nuove disposizioni di legge che possono stabilire nuovi
casi o nuovi termini di silenzio assenso o di silenzio rifiuto (Cons. St., A.
G., 27.1.1994, n. 12, in Cons. St., 1995, 452).
La norma introduce la sospensione
dei termini nel caso in cui il procedimento preveda la richiesta di pareri
tecnici.
I
termini possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non
superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di
certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già
in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso
altre pubbliche amministrazioni, ex art.
2, 7° co., l. 7.8.1990, n. 241, mod. art. 2, l. 15/2005, mod. art. 7, l.69/2009.
La
giurisprudenza ha dichiarato che i termini non possono essere sospesi in via indefinita.
Essa
ha ritenuto illegittimo il diniego opposto dal Comune in base all'art. 36
comma 8, d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 ad una domanda di autorizzazione
all'installazione di impianti pubblicitari, poiché detta norma, nel disporre
che tali impianti non siano autorizzabili fino all'approvazione del regolamento comunale e del piano
generale degli impianti, deve essere messa in relazione, ai fini della sua
compatibilità con l'art. 41 cost., con l'art. 2 commi 2 e 3, l. 7 agosto 1990
n. 241, il quale impone all'amministrazione l'onere di determinare, per ciascun
tipo di procedimento, il termine entro cui esso deve
essere concluso, stabilendo in via suppletiva il termine di trenta giorni,
oltre i quali la p.a. diviene inadempiente. (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 9
marzo 2005, n. 431).
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