sabato 4 febbraio 2017

La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino.


La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino.

L’art. 872 c.c. distingue le due ipotesi che conseguono dalla violazione delle norme di carattere speciale, che regolano l’attività edificatoria, da quelle derivanti dalle violazioni alle prescrizioni imposte dalle norme del c.c.
La trasgressione delle norme del codice civile ovvero di quelle fissate dai regolamenti edilizi o dai piani - che vengono considerate integratrici di quelle prescritte dal codice civile - produce gli stessi effetti.
Il privato in presenza di un illecito edilizio od urbanistico può chiedere al giudice ordinario l’abbattimento totale o parziale della costruzione abusiva al fine di conformarla alla disciplina delle distanze vigenti e il risarcimento del danno.
Sul punto la giurisprudenza è conforme affermando che, a norma dell'art. 872, 2° co., e dell’art. 873 c.c., la violazione delle norme dei regolamenti edilizi comunali, integrative del codice civile, in materia di distanze tra le costruzioni abilita la parte interessata a richiedere e ottenere la riduzione e l'arretramento della costruzione (oltre al risarcimento dei danni). Ciò avviene anche quando è violata la norma di un piano regolatore comunale che, in maniera assoluta e inderogabile, prescriva una certa distanza delle costruzioni dal confine, rendendo così inapplicabili sia le disposizioni del codice civile sia la disciplina sulle costruzioni a dislivello. Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13007, in Dir e Giust., 2000, f. 38, 76. Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2000, n. 4980.
Nel caso in cui si tratti di una violazione alle norme civilistiche è ammessa, oltre al risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino attraverso la demolizione delle opere eseguite in contrasto colla normativa. G. PAGLIARI, Diritto urbanistico, 1998, 298.
Al giudice non è consentita alcuna discrezionalità nella valutazione del danno prodotto perché la sola violazione della disciplina delle distanze è fonte automatica di responsabilità.
Ove le distanze tra costruzioni siano prescritte da un regolamento edilizio, nessuna indagine deve essere svolta per accertare se dalla violazione della norma dello strumento urbanistico sia o meno derivato un danno per il fondo del vicino e se questo sia o meno edificabile, in quanto le disposizioni in materia di distacco delle costruzioni dal confine non lasciano al giudice alcun margine di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla loro inosservanza, avuto riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui dette disposizioni si ispirano. Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2294, in Giust. Civ. Mass., 1995, 469).
Il giudice può ordinare alternativamente l’arretramento o la demolizione del manufatto illegittimo, a prescindere dalla richiesta dell’attore. La giurisprudenza ammette che non sussiste il vizio di ultrapetita se il giudice, richiesto di pronunziarsi sull'arretramento e sulla riduzione in pristino di una costruzione, perché in violazione delle distanze legali, ne ordina la demolizione che è l’attività materiale necessaria per realizzare l'arretramento. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 1411, in Giust. Civ. Mass., 1999, 449.

9.1. L’azione risarcitoria.

Nel caso in cui si tratti di una violazione alle norme portate dalle leggi speciali e considerate non integrative a quelle del codice civile l’unica tutela ammessa è quella del risarcimento del danno, ex art. 872, c.c. L. FRANCARIO 1991, Della proprietà edilizia, in Commentario al codice civile, 1991, 162.
Secondo la classificazione della dottrina è esclusa la possibilità di riduzione in pristino per le seguenti violazioni delle norme regolamentari riguardanti:
1. le altezze interne degli edifici;
2. l’ampiezza dei cortili interni dei fabbricati;
3. la larghezza del fronte degli immobili, in base alla tutela dell’estetica;
4. la sistemazione degli spazi intorno alle costruzioni;
5. l’igiene degli abitati.
Esclusa la violazione delle distanze e delle altezze esterne degli edifici ogni altra violazione di norme edilizia non può comportare il diritto del privato di ottenere la riduzione in pristino. G.C. MENGOLI Manuale di diritto urbanistico, 1997, 975.
Detta azione è alternativa a quella ripristinatoria e deve essere specificatamente proposta dall’attore, documentando il danno ricevuto dall’opera abusiva.

9.2. La tutela dinanzi alla giustizia amministrativa.

La violazione delle norme di piano o di regolamento edilizio consente la cosiddetta doppia tutela, nel senso che consente oltre alla azione presso il giudice ordinario, ex art. 872 c.c., anche quella presso il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5, l. 6 dicembre 1971, n. 1034.
L’azione presso il giudice ordinario consente come visto in precedenza una tutela diversificata che va dalla remissione in pristino al risarcimento del danno a seconda che le norme violate siano integratrici delle norme civilistiche.
L’azione è autonoma e può essere esercitata anche senza avere prima attivato il giudizio sulla legittimità dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo o sulla legittimità della norma.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, ove dette norme urbanistiche siano state violate, il diritto del vicino alla riduzione in pristino (o al risarcimento del danno) non trova deroga per il fatto che la costruzione sia stata realizzata in base a concessione edilizia e resta tutelabile davanti al giudice ordinario senza necessità di una preventiva decisione del giudice amministrativo in ordine alla legittimità o meno del provvedimento di concessione e senza che occorra neppure una deliberazione di detto provvedimento, in via meramente incidentale, da parte del giudice ordinario. Cass. civ., sez. un., 12 giugno 1999, n. 333, in Giust. Civ. Mass., 1999, 1343.
L’azione amministrativa consente sia l’impugnazione dello strumento urbanistico fonte della disciplina pubblicistica, se esso viola le norme dell’azione amministrativa, sia l’annullamento della eventuale concessione edilizia illegittima che abbia autorizzato i lavori.
Il giudice amministrativo, annullando il provvedimento illegittimo, impone alla pubblica amministrazione di esercitare i provvedimenti repressivi attraverso l’esecuzione della sentenza.
L’azione amministrativa è sostanzialmente rivolta contro la pubblica amministrazione affinché tuteli le norme di azione amministrativa che si ritengono violate.
Chi ritiene di essere danneggiato da un provvedimento amministrativo può quindi scegliere la tutela che ritiene più idonea nel caso di specie, ma in teoria potrebbe iniziare entrambe le azioni poiché esse hanno oggetti completamente diversi.

9.3. I rapporti tra l’azione civile e il giudizio amministrativo.

L’azione prevista presso il giudice ordinario è autonoma rispetto a quella consentita pressa la giurisdizione amministrativa e a quella obbligatoria del giudice penale qualora sia accertato l’abusivismo edilizio.
Le due azioni non sono alternative ed hanno scopi diversi.
L’azione civile regola il conflitto fra privati per lesioni di diritti soggettivi rapportati alle norme civilistiche tese a tutelare il rispetto delle distanze.
La dottrina evidenzia la mancata coesione delle due forme di tutela
che possono portare a risultati contrapposti L. FRANCARIO 1991 Della proprietà edilizia, in Commentario al codice civile, 1991, 161.
I due procedimenti hanno, a mio avviso, due finalità di tutela completamente diverse.
La tutela amministrativa dà la possibilità, avuta notizia del provvedimento di concessione edilizia, di ottenere la sospensione del provvedimento impugnato che può essere censurato da coloro che ne abbiamo interesse.
La tutela civile, invece, presuppone necessariamente che le opere siano state realizzate.
La giurisprudenza rileva che può configurarsi la lesione dei diritti del confinante in materia di distanze anche senza violazione delle norme urbanistiche.
La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra p.a. e privato, richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati dato che il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera, in queste compresa la sua ubicazione, e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi quelle di cui agli artt. 31, l. 17 agosto 1942, n. 1150, e 4, l. 28 gennaio 1977, n. 10, concernenti rispettivamente la licenza e la concessione per costruire.
Norme, queste, che riguardano solo l'aspetto formale dell'attività costruttiva e non contengono "regole da osservarsi nelle costruzioni", come richiesto dall'art. 871 c.c.
Come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del c.c. e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, così l'avere eseguito la costruzione in conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sé la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento del danno. 794
A tal punto non è più necessario proporre un ricorso al T.A.R. per richiedere delle misure cautelari oramai non più utili, ma si può agire a tutela del diritto leso direttamente davanti al giudice ordinario in via di riduzione in pristino, senza la necessità di valutare la legittimità del provvedimento amministrativo, che viene rilasciato dalla pubblica amministrazione, salvo gli interessi dei terzi.



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