La violazione
delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino.
L’art. 872 c.c.
distingue le due ipotesi che conseguono dalla violazione delle norme di
carattere speciale, che regolano l’attività edificatoria, da quelle derivanti
dalle violazioni alle prescrizioni imposte dalle norme del c.c.
La trasgressione
delle norme del codice civile ovvero di quelle fissate dai regolamenti edilizi
o dai piani - che vengono considerate integratrici di quelle prescritte dal
codice civile - produce gli stessi effetti.
Il privato in
presenza di un illecito edilizio od urbanistico può chiedere al giudice
ordinario l’abbattimento totale o parziale della costruzione abusiva al fine di
conformarla alla disciplina delle distanze vigenti e il risarcimento del danno.
Sul punto la
giurisprudenza è conforme affermando che, a norma dell'art. 872, 2° co., e
dell’art. 873 c.c., la violazione delle norme dei regolamenti edilizi comunali,
integrative del codice civile, in materia di distanze tra le costruzioni
abilita la parte interessata a richiedere e ottenere la riduzione e
l'arretramento della costruzione (oltre al risarcimento dei danni). Ciò avviene
anche quando è violata la norma di un piano regolatore comunale che, in maniera
assoluta e inderogabile, prescriva una certa distanza delle costruzioni dal
confine, rendendo così inapplicabili sia le disposizioni del codice civile sia
la disciplina sulle costruzioni a dislivello. Cass. civ., sez. II, 2 ottobre
2000, n. 13007, in Dir e Giust., 2000, f. 38, 76. Cass. civ., sez. II, 18
aprile 2000, n. 4980.
Nel caso in cui
si tratti di una violazione alle norme civilistiche è ammessa, oltre al
risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino attraverso la
demolizione delle opere eseguite in contrasto colla normativa. G. PAGLIARI,
Diritto urbanistico, 1998, 298.
Al giudice non è
consentita alcuna discrezionalità nella valutazione del danno prodotto perché
la sola violazione della disciplina delle distanze è fonte automatica di
responsabilità.
Ove
le distanze tra costruzioni siano prescritte da un regolamento edilizio,
nessuna indagine deve essere svolta per accertare se dalla violazione della
norma dello strumento urbanistico sia o meno derivato un danno per il fondo del
vicino e se questo sia o meno edificabile, in quanto le disposizioni in materia
di distacco delle costruzioni dal confine non lasciano al giudice alcun margine
di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla loro inosservanza, avuto
riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui dette disposizioni si
ispirano. Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2294, in Giust. Civ. Mass.,
1995, 469).
Il giudice può
ordinare alternativamente l’arretramento o la demolizione del manufatto
illegittimo, a prescindere dalla richiesta dell’attore. La giurisprudenza
ammette che non sussiste il vizio di ultrapetita se il giudice, richiesto di
pronunziarsi sull'arretramento e sulla riduzione in pristino di una
costruzione, perché in violazione delle distanze legali, ne ordina la
demolizione che è l’attività materiale necessaria per realizzare
l'arretramento. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 1411, in Giust. Civ.
Mass., 1999, 449.
9.1. L’azione
risarcitoria.
Nel caso in cui
si tratti di una violazione alle norme portate dalle leggi speciali e
considerate non integrative a quelle del codice civile l’unica tutela ammessa è
quella del risarcimento del danno, ex art. 872, c.c. L. FRANCARIO 1991, Della
proprietà edilizia, in Commentario al codice civile, 1991, 162.
Secondo la
classificazione della dottrina è esclusa la possibilità di riduzione in
pristino per le seguenti violazioni delle norme regolamentari riguardanti:
1. le altezze
interne degli edifici;
2. l’ampiezza dei
cortili interni dei fabbricati;
3. la larghezza del
fronte degli immobili, in base alla tutela dell’estetica;
4. la sistemazione
degli spazi intorno alle costruzioni;
5. l’igiene degli
abitati.
Esclusa la
violazione delle distanze e delle altezze esterne degli edifici ogni altra
violazione di norme edilizia non può comportare il diritto del privato di
ottenere la riduzione in pristino. G.C. MENGOLI Manuale di diritto urbanistico,
1997, 975.
Detta azione è
alternativa a quella ripristinatoria e deve essere specificatamente proposta
dall’attore, documentando il danno ricevuto dall’opera abusiva.
9.2. La tutela
dinanzi alla giustizia amministrativa.
La violazione
delle norme di piano o di regolamento edilizio consente la cosiddetta doppia
tutela, nel senso che consente oltre alla azione presso il giudice ordinario,
ex art. 872 c.c., anche quella presso il giudice amministrativo, ai sensi
dell’art. 5, l. 6 dicembre 1971, n. 1034.
L’azione presso
il giudice ordinario consente come visto in precedenza una tutela diversificata
che va dalla remissione in pristino al risarcimento del danno a seconda che le
norme violate siano integratrici delle norme civilistiche.
L’azione è
autonoma e può essere esercitata anche senza avere prima attivato il giudizio
sulla legittimità dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo o sulla
legittimità della norma.
La
giurisprudenza è concorde nel ritenere che, ove dette norme urbanistiche siano
state violate, il diritto del vicino alla riduzione in pristino (o al risarcimento
del danno) non trova deroga per il fatto che la costruzione sia stata
realizzata in base a concessione edilizia e resta tutelabile davanti al giudice
ordinario senza necessità di una preventiva decisione del giudice
amministrativo in ordine alla legittimità o meno del provvedimento di
concessione e senza che occorra neppure una deliberazione di detto
provvedimento, in via meramente incidentale, da parte del giudice ordinario.
Cass. civ., sez. un., 12 giugno 1999, n. 333, in Giust. Civ. Mass., 1999, 1343.
L’azione
amministrativa consente sia l’impugnazione dello strumento urbanistico fonte
della disciplina pubblicistica, se esso viola le norme dell’azione
amministrativa, sia l’annullamento della eventuale concessione edilizia
illegittima che abbia autorizzato i lavori.
Il giudice
amministrativo, annullando il provvedimento illegittimo, impone alla pubblica
amministrazione di esercitare i provvedimenti repressivi attraverso
l’esecuzione della sentenza.
L’azione
amministrativa è sostanzialmente rivolta contro la pubblica amministrazione
affinché tuteli le norme di azione amministrativa che si ritengono violate.
Chi ritiene di
essere danneggiato da un provvedimento amministrativo può quindi scegliere la
tutela che ritiene più idonea nel caso di specie, ma in teoria potrebbe
iniziare entrambe le azioni poiché esse hanno oggetti completamente diversi.
9.3. I rapporti
tra l’azione civile e il giudizio amministrativo.
L’azione
prevista presso il giudice ordinario è autonoma rispetto a quella consentita
pressa la giurisdizione amministrativa e a quella obbligatoria del giudice
penale qualora sia accertato l’abusivismo edilizio.
Le due azioni
non sono alternative ed hanno scopi diversi.
L’azione civile
regola il conflitto fra privati per lesioni di diritti soggettivi rapportati
alle norme civilistiche tese a tutelare il rispetto delle distanze.
La dottrina
evidenzia la mancata coesione delle due forme di tutela
che possono
portare a risultati contrapposti L. FRANCARIO 1991 Della proprietà edilizia, in
Commentario al codice civile, 1991, 161.
I due
procedimenti hanno, a mio avviso, due finalità di tutela completamente diverse.
La tutela
amministrativa dà la possibilità, avuta notizia del provvedimento di
concessione edilizia, di ottenere la sospensione del provvedimento impugnato
che può essere censurato da coloro che ne abbiamo interesse.
La tutela
civile, invece, presuppone necessariamente che le opere siano state realizzate.
La
giurisprudenza rileva che può configurarsi la lesione dei diritti del
confinante in materia di distanze anche senza violazione delle norme
urbanistiche.
La
rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce
nell'ambito del rapporto pubblicistico tra p.a. e privato, richiedente o
costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati dato che il conflitto tra
proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base
al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera, in queste
compresa la sua ubicazione, e le norme edilizie che disciplinano le distanze
legali, tra le quali non possono comprendersi quelle di cui agli artt. 31, l.
17 agosto 1942, n. 1150, e 4, l. 28 gennaio 1977, n. 10, concernenti
rispettivamente la licenza e la concessione per costruire.
Norme,
queste, che riguardano solo l'aspetto formale dell'attività costruttiva e non
contengono "regole da osservarsi nelle costruzioni", come richiesto
dall'art. 871 c.c.
Come è
irrilevante la mancanza di licenza o concessione, quando la costruzione
risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del c.c. e delle norme speciali
senza ledere alcun diritto del vicino, così l'avere eseguito la costruzione in
conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sé la
violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda
dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento del danno. 794
T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 14 settembre 2004,
n. 3783, in Foro amm. TAR, 2004, 2515.
A tal punto non
è più necessario proporre un ricorso al T.A.R. per richiedere delle misure
cautelari oramai non più utili, ma si può agire a tutela del diritto leso
direttamente davanti al giudice ordinario in via di riduzione in pristino,
senza la necessità di valutare la legittimità del provvedimento amministrativo,
che viene rilasciato dalla pubblica amministrazione, salvo gli interessi dei
terzi.
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