venerdì 3 febbraio 2017

L’azione contro il silenzio dell'amministrazione.

1           L’azione contro il silenzio dell'amministrazione. I termini per ricorrere.


Quando sussiste un comportamento inadempiente dell’ente è configurabile un’azione tesa ad ottenere un provvedimento che può essere positivo o negativo; ad essa può essere dato inizio in ogni momento per tutta la durata del comportamento inadempiente dell’amministrazione.

Il silenzio che dà luogo alla possibilità di azionare il ricorso è quello denominato silenzio adempimento. A detto silenzio non viene riconosciuto alcun significato o valore provvedimentale; non si tratta né del silenzio accoglimento né del silenzio diniego. A. CORRADO, Tempi dimezzati per il deposito dei ricorsi. L’accesso apre il capitolo dei riti speciali, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 50.


Formatosi il silenzio rifiuto, inizia a decorrere il termine, previsto a pena di decadenza, entro il quale è necessario presentare il ricorso al T.A.R.
Il termine per proporre il ricorso decorre dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento e cessa, comunque, trascorso un anno da detta scadenza.
L’art. 31 e l’art. 117, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.,  ripropongono i principi fissati da ultimo dall’art. 7, L. 69/2009, affermando che decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento .
L’istanza di avvio del procedimento  può essere reiterata nel caso in cui siano scaduti i termini per proporre il ricorso ove ne ricorrano i presupposti, salvo evidentemente il fatto  che l’amministrazione abbia già preso una decisione in merito.
L’art. 32,  D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.,   precisa che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale . Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario.



















1.1         L’esame sulla fondatezza della pretesa sostanziale.


La dottrina si è posta il problema se il giudice amministrativo sia tenuto ad esaminare la legittimità del comportamento omissivo o se debba, invece, accertare l’obbligo a provvedere sulla domanda del privato all’amministrazione inadempiente. P.G. LIGNANI, Silenzio (diritto amministrativo), in Enc. Dir., 1990, XLII, 559.
L’oggetto del giudizio è, in primo luogo, la dichiarazione di illegittimità del comportamento dell’amministrazione, in secondo luogo l’accertamento positivo o negativo dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere nella fattispecie portata in giudizio.
Un filone giurisprudenziale ritiene inammissibile che il giudizio sul silenzio contempli anche l’accertamento della legittimità della richiesta sostanziale del ricorrente. T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 26 novembre 2004, n. 8290.
Per altra giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della l. 205/2000 il giudizio sul silenzio rifiuto serbato dalla pubblica amministrazione non si deve più limitare al mero accertamento dell’inadempimento dell’obbligo a provvedere sulle istanze dei privati, ma si estende all’accertamento del contenuto del suddetto obbligo, nel senso che il giudice deve emettere una pronuncia che determini il contenuto dell’atto che l'amministrazione è tenuta ad adottare. T.A.R. Toscana, 10 maggio 2001, n. 823, in T.A.R., 2001, 2368.
Il processo instaurato innanzi al giudice amministrativo a seguito del silenzio rifiuto serbato dalla p.a. intimata ha per oggetto non la legittimità dell'inerzia in sé, ma l'accertamento della fondatezza sostanziale della pretesa posta dal privato a base della sua istanza e portata in giudizio.
Ogni questione sul silenzio resta assorbita dalle valutazioni direttamente inerenti al merito della controversia, dal quale dipende, in ultima analisi, l'accoglimento o il rigetto del ricorso, indipendentemente dalla natura, discrezionale o vincolata, dei poteri che la p. a. può esercitare in relazione al bene della vita oggetto della richiesta.
L’art. 31, comma 3,  D.L.vo 2 luglio 2010, n.104 cod. proc. amm.,  ripropone la norma contenuta nella L. 80/2005 il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
La norma ha un effetto dirompente sull’obbligo alla decisione spostando l’esame direttamente dall'illegittimità del diniego al contenuto dell’istanza.

La dottrina ritiene che la norma affidi al giudice, che deve rilevare margini di esercizio di attività discrezionale da parte della p.a.,  compiti di amministrazione attiva in contrasto con quanto affermato dall’art. 34, comma 2, D.L.vo 104/2010, secondo il quale il giudice non può pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati. O. FORLENZA, Individuate quattro azioni di cognizione contro la p.a., in Giuda Dir., 2010, n. 32, 48. La disposizione comunque non fa altro che recepire un orientamento giurisprudenziale secondo il quale la norma dà la facoltà (ma non obbliga) a conoscere della fondatezza della pretesa, nei casi in cui lo stesso giudicante la ritenga facilmente valutabile. Ciò accade, ad esempio, nelle ipotesi di manifesta fondatezza discendente dal carattere vincolato del provvedimento, che non postuli accertamenti valutativi complessi; ovvero, nei casi di evidente infondatezza, laddove risulta diseconomico condannare la p.a. a provvedere se l'atto espresso non potrà che essere di rigetto. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 28 gennaio 2010, n. 135.
Per la giurisprudenza detta previsione non deve essere interpreta come imposizione dell'obbligo di provvedere in ogni caso sulla fondatezza dell'istanza, ma esclusivamente quale opzione rimessa al giudice che, alla luce della disciplina in materia di impugnazione del silenzio rifiuto, va circoscritta alle ipotesi di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa sostanziale azionata in giudizio.
L’interpretazione esclude tale opzione laddove l'amministrazione risulti titolare di un potere discrezionale rispetto al provvedimento preteso dall'istante.
Ad esempio, nel caso in cui sia richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari atteso che, giusta quanto disposto dall'art. 5 comma 6, t.u. 25 luglio 1998 n. 286, la relativa determinazione presuppone una valutazione di natura eminentemente discrezionale circa la sussistenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario, atti a giustificare la permanenza dello straniero nel territorio nazionale. T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 23 gennaio 2009, n. 212.
Ove la istanza presupponga una conoscenza tecnica il giudice amministrativo ha sempre la possibilità di nominare un commissario ad acta che superi direttamente l’inerzia dell’amministrazione.
Il giudice può nominarlo direttamente mentre precedentemente era sempre necessaria l’istanza di parte affinché procedesse in luogo dell’amministrazione A. CORRADO, D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20. Tale possibilità di precedere alla nomina del commissario prima dell’accertamento del mancato pronunciamento dell’amministrazione era peraltro previsto dalla giurisprudenza che evidenziava due distinte fasi processuali: una relativa all'ordine all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in caso di inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la nomina di un Commissario ad acta. Tuttavia, appare del tutto coerente con la ratio legis ritenere che, quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in sede di impugnazione del silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento di detto ricorso, anche alla contestuale nomina del Commissario, al fine di evitare all'interessato l'inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza giurisdizionale. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 luglio 2009, n. 7153.



1.2         Il risarcimento del danno per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento.


L’art. 2 bis, L. 241/1990, introdotto dall’art. 7, L. 69/2009, afferma che le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici nazionali sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Il principio è confermato dall’art. 133, lett. a), D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.,  devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di: a.1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo

L’art. 117, comma 6, D.L.vo 104/2010, afferma che se l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 30, comma 4, D.L.vo 104/2010, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.


La giurisprudenza ha da sempre sostenuto che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia avente ad oggetto la pretesa al risarcimento del danno da ritardo della pubblica amministrazione nella definizione di un procedimento di rilascio di titoli autorizzativi che hanno carattere esclusivamente pubblicistico, quale è la concessione edilizia, così da involgere interessi legittimi pretensivi vantati dal privato ed asseritamente lesi in conseguenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di assolvere adempimenti tipicamente procedimentali, aventi ad esclusivo oggetto lo svolgimento di funzioni pubblicistiche amministrative, come tali esulanti dai meri comportamenti invasivi dei diritti soggettivi del privato. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 20 novembre 2008, n. 2901.
La norma non scioglie il quesito fondamentale sulla necessità di dimostrare da parte dell’attore il danno subito.
Non risulta che il testo normativo introduca il principio del risarcimento automatico da ritardo.
La giurisprudenza ha finora precisato che l'azione di risarcimento per il solo fatto del superamento dei termini per adottare il provvedimento da parte della p.a., pur ricondotta nell'alveo del danno da lesione di interessi legittimi per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, in ossequio al principio dell'atipicità dell'illecito civile, deve essere ricondotta all'archetipo di cui all'art. 2043 c.c., per l'identificazione degli elementi costitutivi dell'illecito, ed a quello dell'art. 2236 c.c., per l'individuazione dei confini della responsabilità. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 13 gennaio 2005, n. 56.
L'azione di risarcimento del danno da ritardo della p.a., inquadrandosi nella sua natura extracontrattuale, richiede comunque la prova della quantificazione dei danni stessi con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante in quanto elementi costitutivi della relativa domanda, ai sensi dell'art. 2697 c.c. TAR Lazio, Sez. III quater, 31 marzo 8, n. 2704.
Per riconoscere la fondatezza della domanda così proposta non è sufficiente rilevare un generico procrastinarsi dell'attività amministrativa per la negligenza di una singola persona fisica ma è necessario che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere o si ponga in radicale contrasto con le regole di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 cost. Cons. St., Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059.
Per la dottrina il danno da ritardo non ha un’autonomia strutturale rispetto alla fattispecie procedimentale da cui scaturisce ed è legato inscindibilmente alla positiva finalizzazione di quest’ultima.
Non è risarcibile il danno da ritardo puro quando è disancorato dalla dimostrazione giudiziale della necessità di tutela dell’interesse pretensivo fatto valere e quando l’amministrazione abbia adottato con notevole ritardo un provvedimento negativo rimasto non impugnato.
Essa, però, non esclude che siano enucleabili, nell’ambito degli interessi pretensivi, degli interessi procedimentali la cui violazione può comportare una responsabilità della pubblica amministrazione per un danno anch’esso risarcibile anche se non lede direttamente un bene.
Di tale categoria di interessi fa parte il danno da ritardo che consente al privato di agire pere il danno subito in conseguenza della mancata emanazione del provvedimento richiesto nei tempi previsti ed indipendentemente dalla successiva emanazione del contenuto di tale provvedimento. S. TOSCHEI, Trasparenza amministrativa. Obiettivo, tempestività e certezza nell’azione, in Guida Dir., 2009, n. 27, 45.
Tale categoria è difficilmente sostenibile se il danno incide sulle risorse dell’amministrazione ma può più facilmente sostenersi evidenziando una responsabilità personale del pubblico dipendente che peraltro percepisce dei premi in ordine al raggiungimento degli obiettivi.
Ossia il fondo per la produttività logicamente può essere decurtato dalle richieste di danno da parte di chi dalla mancata efficienza è stato oggettivamente danneggiato.
L’art. 7, comma 2, L. 69/2009, precisa come deve essere valutata la responsabilità dei dirigenti affermando che il rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti rappresenta un elemento di valutazione dei dirigenti.
La corretta gestione dei termini nel procedimento deve essere tenuta in debito conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato. Al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, è demandato il compito di adottare le linee di indirizzo per l’attuazione del principio e di proporre eventuali adempimenti per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell’obbligo di provvedere entro i termini fissati per ciascun procedimento.




1.3         L’impugnazione del provvedimento tardivo di diniego. I motivi aggiunti.


L’art. 117, comma 5, D.L.vo 104/2010, dispone che se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito.
Tale orientamento legislativo risponde a criteri di economia processuale e si pone in contrasto col precedente indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’adozione da parte della amministrazione di un provvedimento esplicito in risposta alla domanda dell’interessato fa cessare la materia del contendere poiché preclude al ricorrente ogni possibilità di conseguire un risultato utile dall'eventuale accoglimento del gravame. A. CORRADO, D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
La dottrina ritiene che in ogni caso il potere di decidere rimanga all’amministrazione, condizionando a posteriori l’esito dello stesso giudizio. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, 1292.
La giurisprudenza precedente ha, quindi, dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto serbato dall'amministrazione sull'istanza di un privato nel caso in cui, nelle more del giudizio, la stessa amministrazione abbia adottato un provvedimento esplicito di rigetto dell'istanza Cons. St., sez. IV, 14.7.1997, n. 710, in Cons. St., 1997, I, 1000.
Il ricorso per motivi aggiunti deve essere notificato al convenuto, ex art. 43 ,  D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Detto ricorso per motivi aggiunti resta inserito nel giudizio speciale sul silenzio senza modificare tale rito, ma trasformandolo in un normale giudizio di legittimità.
Tale proposizione dei motivi aggiunti consentirà di non vanificare le risultanze istruttorie già eventualmente acquisite V. GRECO, Per un giudizio di accertamento compatibile con la mentalità del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Am, 2002, 481.
Tale indirizzo trova il sostegno di un orientamento giurisprudenziale che riafferma la necessità del rispetto dei termini e delle modalità stabilite per il rito ordinario. Cons. St., sez. V, 10.4.2002, n. 1974, Foro Amm. Cons. St., 2002, 924.
Si tratta di rendere tecnicamente possibile la concentrazione dei processi in tutti quei casi nei quali procedimenti e provvedimenti diversi sono tuttavia soggettivamente ed oggettivamente connessi, nonché teleologicamente collegati da una comune finalità dell'azione amministrativa.
Il carattere speciale del rito può dunque essere risolto e convertito nella disciplina processuale generale tutte le volte che, attraverso la proposizione di motivi aggiunti, si riporta nel thema decidendum un provvedimento che si pone in rapporto di connessione diretta, oggettiva e soggettiva, con il comportamento asseritamente omissivo della p.a.
L'unità della giurisdizione amministrativa tende a concentrare i poteri di cognizione del giudice intorno alla complessiva vicenda dei rapporti giuridici che tutelano un determinato interesse o bene della vita del soggetto privato nei confronti dell'azione della pubblica amministrazione.
L'eventuale provvedimento espresso di diniego di condono edilizio che intervenga successivamente alla formazione del silenzio-assenso, previsto dall'art. 35 l. n. 47 del 1985, è illegittimo, considerato che il potere sindacale di provvedere sulla domanda si è consumato; residua, comunque, in capo all'ente pubblico, la potestà di autotutela, da attuarsi con provvedimento di annullamento, qualora siano ravvisabili nella concessione tacita profili di illegittimità. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 8 maggio 2009, n. 2476

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