1
L’azione
contro il silenzio dell'amministrazione. I termini per ricorrere.
Quando sussiste
un comportamento inadempiente dell’ente è configurabile un’azione tesa ad
ottenere un provvedimento che può essere positivo o negativo; ad essa può
essere dato inizio in ogni momento per tutta la durata del comportamento
inadempiente dell’amministrazione.
Il silenzio che
dà luogo alla possibilità di azionare il ricorso è quello denominato silenzio
adempimento. A detto silenzio non viene riconosciuto alcun significato o valore
provvedimentale; non si tratta né del silenzio accoglimento né del silenzio
diniego. A. CORRADO, Tempi dimezzati per il deposito dei ricorsi. L’accesso
apre il capitolo dei riti speciali, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 50.
Formatosi il
silenzio rifiuto, inizia a decorrere il termine, previsto a pena di decadenza,
entro il quale è necessario presentare il ricorso al T.A.R.
Il termine per
proporre il ricorso decorre dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento e cessa, comunque, trascorso un anno da detta scadenza.
L’art.
31 e l’art. 117, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm., ripropongono i
principi fissati da ultimo dall’art. 7, L. 69/2009, affermando che decorsi i termini per la conclusione del procedimento
amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere.
L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento
e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento .
L’istanza di avvio del
procedimento può essere
reiterata nel caso in cui siano scaduti i termini per proporre il ricorso ove ne ricorrano
i presupposti, salvo evidentemente il fatto che l’amministrazione abbia già preso una
decisione in merito.
L’art. 32, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm., precisa che è sempre possibile nello stesso
giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale
. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario.
1.1
L’esame
sulla fondatezza della pretesa sostanziale.
La dottrina si è
posta il problema se il giudice amministrativo sia tenuto ad esaminare la
legittimità del comportamento omissivo o se debba, invece, accertare l’obbligo
a provvedere sulla domanda del privato all’amministrazione inadempiente. P.G.
LIGNANI, Silenzio (diritto amministrativo), in Enc. Dir., 1990,
XLII, 559.
L’oggetto del
giudizio è, in primo luogo, la dichiarazione di illegittimità del comportamento
dell’amministrazione, in secondo luogo l’accertamento positivo o negativo
dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere nella fattispecie portata in
giudizio.
Un filone
giurisprudenziale ritiene inammissibile che il giudizio sul silenzio contempli
anche l’accertamento della legittimità della richiesta sostanziale del
ricorrente. T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 26 novembre 2004, n. 8290.
Per altra
giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della l. 205/2000 il giudizio sul
silenzio rifiuto serbato dalla pubblica amministrazione non si deve più
limitare al mero accertamento dell’inadempimento dell’obbligo a provvedere
sulle istanze dei privati, ma si estende all’accertamento del contenuto del
suddetto obbligo, nel senso che il giudice deve emettere una pronuncia che
determini il contenuto dell’atto che l'amministrazione è tenuta ad adottare.
T.A.R. Toscana, 10 maggio 2001, n. 823, in T.A.R., 2001, 2368.
Il processo
instaurato innanzi al giudice amministrativo a seguito del silenzio rifiuto
serbato dalla p.a. intimata ha per oggetto non la legittimità dell'inerzia in
sé, ma l'accertamento della fondatezza sostanziale della pretesa posta dal
privato a base della sua istanza e portata in giudizio.
Ogni questione
sul silenzio resta assorbita dalle valutazioni direttamente inerenti al merito
della controversia, dal quale dipende, in ultima analisi, l'accoglimento o il
rigetto del ricorso, indipendentemente dalla natura, discrezionale o vincolata,
dei poteri che la p. a. può esercitare in relazione al bene della vita oggetto
della richiesta.
L’art.
31, comma 3,
D.L.vo 2 luglio 2010, n.104 cod. proc.
amm., ripropone la norma contenuta nella L. 80/2005 il giudice può
pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si
tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti
istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
La norma ha un
effetto dirompente sull’obbligo alla decisione spostando l’esame direttamente
dall'illegittimità del diniego al contenuto dell’istanza.
La dottrina ritiene che la norma
affidi al giudice, che deve rilevare margini di esercizio di attività
discrezionale da parte della p.a.,
compiti di amministrazione attiva in contrasto con quanto affermato
dall’art. 34, comma 2, D.L.vo 104/2010, secondo il quale il giudice non può
pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati. O. FORLENZA, Individuate
quattro azioni di cognizione contro la p.a., in Giuda Dir., 2010, n.
32, 48. La disposizione comunque non fa
altro che recepire un orientamento giurisprudenziale secondo il quale la norma dà la facoltà (ma non obbliga) a conoscere della
fondatezza della pretesa, nei casi in cui lo stesso giudicante la ritenga
facilmente valutabile. Ciò accade, ad esempio, nelle ipotesi di manifesta
fondatezza discendente dal carattere vincolato del provvedimento, che non
postuli accertamenti valutativi complessi; ovvero, nei casi di evidente
infondatezza, laddove risulta diseconomico condannare la p.a. a provvedere se
l'atto espresso non potrà che essere di rigetto. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 28 gennaio 2010, n. 135.
Per la
giurisprudenza detta previsione non deve essere interpreta come imposizione
dell'obbligo di provvedere in ogni caso sulla fondatezza dell'istanza, ma
esclusivamente quale opzione rimessa al giudice che, alla luce della disciplina
in materia di impugnazione del silenzio rifiuto, va circoscritta alle ipotesi
di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa sostanziale azionata in
giudizio.
L’interpretazione
esclude tale opzione laddove l'amministrazione risulti titolare di un potere
discrezionale rispetto al provvedimento preteso dall'istante.
Ad esempio, nel
caso in cui sia richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi
umanitari atteso che, giusta quanto disposto dall'art. 5 comma 6, t.u. 25
luglio 1998 n. 286, la relativa determinazione presuppone una valutazione di
natura eminentemente discrezionale circa la sussistenza di seri motivi, in
particolare di carattere umanitario, atti a giustificare la permanenza dello
straniero nel territorio nazionale. T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 23 gennaio 2009, n.
212.
Ove la istanza
presupponga una conoscenza tecnica il giudice amministrativo ha sempre la
possibilità di nominare un commissario ad acta che superi direttamente
l’inerzia dell’amministrazione.
Il giudice può nominarlo direttamente mentre
precedentemente era sempre necessaria l’istanza di parte affinché procedesse in
luogo dell’amministrazione A. CORRADO, D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20. Tale possibilità di
precedere alla nomina del commissario prima dell’accertamento del mancato
pronunciamento dell’amministrazione era peraltro previsto dalla giurisprudenza che evidenziava due distinte fasi processuali: una
relativa all'ordine all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in
caso di inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la
nomina di un Commissario ad acta.
Tuttavia, appare del tutto coerente con la ratio
legis ritenere che, quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in
sede di impugnazione del silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento
di detto ricorso, anche alla contestuale nomina del Commissario, al fine di
evitare all'interessato l'inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza
giurisdizionale. T.A.R. Lazio Roma, sez. II,
20 luglio 2009, n. 7153.
1.2 Il risarcimento del danno per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento.
L’art. 2 bis,
L. 241/1990, introdotto dall’art. 7, L. 69/2009, afferma che le pubbliche
amministrazioni e gli enti pubblici nazionali sono tenuti al risarcimento del
danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del
termine di conclusione del procedimento.
Il
principio è confermato dall’art. 133, lett. a), D.L.vo
2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm., devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in materia di: a.1) risarcimento del danno
ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del
termine di conclusione del procedimento amministrativo
L’art.
117, comma 6, D.L.vo 104/2010, afferma che se l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 30, comma 4, D.L.vo 104/2010, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente
articolo, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il
silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
La
giurisprudenza ha da sempre sostenuto che sussiste la giurisdizione del giudice
amministrativo nella controversia avente ad oggetto la pretesa al risarcimento
del danno da ritardo della pubblica amministrazione nella definizione di un
procedimento di rilascio di titoli autorizzativi che hanno carattere
esclusivamente pubblicistico, quale è la concessione edilizia, così da
involgere interessi legittimi pretensivi vantati dal privato ed asseritamente
lesi in conseguenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell'obbligo
dell'autorità amministrativa di assolvere adempimenti tipicamente
procedimentali, aventi ad esclusivo oggetto lo svolgimento di funzioni
pubblicistiche amministrative, come tali esulanti dai meri comportamenti
invasivi dei diritti soggettivi del privato. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 20 novembre 2008, n.
2901.
La norma non
scioglie il quesito fondamentale sulla necessità di dimostrare da parte
dell’attore il danno subito.
Non risulta che
il testo normativo introduca il principio del risarcimento automatico da
ritardo.
La
giurisprudenza ha finora precisato che l'azione di risarcimento per il solo
fatto del superamento dei termini per adottare il provvedimento da parte della
p.a., pur ricondotta nell'alveo del danno da lesione di interessi legittimi per
l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, in ossequio al principio
dell'atipicità dell'illecito civile, deve essere ricondotta all'archetipo di
cui all'art. 2043 c.c., per l'identificazione degli elementi costitutivi
dell'illecito, ed a quello dell'art. 2236 c.c., per l'individuazione dei
confini della responsabilità. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 13 gennaio 2005, n.
56.
L'azione di
risarcimento del danno da ritardo della p.a., inquadrandosi nella sua natura
extracontrattuale, richiede comunque la prova della quantificazione dei danni
stessi con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante in quanto
elementi costitutivi della relativa domanda, ai sensi dell'art. 2697 c.c. TAR
Lazio, Sez. III quater, 31 marzo 8, n. 2704.
Per riconoscere
la fondatezza della domanda così proposta non è sufficiente rilevare un
generico procrastinarsi dell'attività amministrativa per la negligenza di una
singola persona fisica ma è necessario che il difettoso funzionamento
dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento negligente o ad
una intenzionale volontà di nuocere o si ponga in radicale contrasto con le
regole di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 cost.
Cons. St., Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059.
Per la dottrina
il danno da ritardo non ha un’autonomia strutturale rispetto alla fattispecie
procedimentale da cui scaturisce ed è legato inscindibilmente alla positiva
finalizzazione di quest’ultima.
Non è
risarcibile il danno da ritardo puro quando è disancorato dalla dimostrazione
giudiziale della necessità di tutela dell’interesse pretensivo fatto valere e
quando l’amministrazione abbia adottato con notevole ritardo un provvedimento
negativo rimasto non impugnato.
Essa, però, non
esclude che siano enucleabili, nell’ambito degli interessi pretensivi, degli
interessi procedimentali la cui violazione può comportare una responsabilità
della pubblica amministrazione per un danno anch’esso risarcibile anche se non
lede direttamente un bene.
Di tale
categoria di interessi fa parte il danno da ritardo che consente al privato di
agire pere il danno subito in conseguenza della mancata emanazione del
provvedimento richiesto nei tempi previsti ed indipendentemente dalla
successiva emanazione del contenuto di tale provvedimento. S. TOSCHEI, Trasparenza
amministrativa. Obiettivo, tempestività e certezza nell’azione, in Guida
Dir., 2009, n. 27, 45.
Tale categoria è
difficilmente sostenibile se il danno incide sulle risorse dell’amministrazione
ma può più facilmente sostenersi evidenziando una responsabilità personale del
pubblico dipendente che peraltro percepisce dei premi in ordine al
raggiungimento degli obiettivi.
Ossia il fondo
per la produttività logicamente può essere decurtato dalle richieste di danno
da parte di chi dalla mancata efficienza è stato oggettivamente danneggiato.
L’art. 7, comma
2, L. 69/2009, precisa come deve essere valutata la responsabilità dei
dirigenti affermando che il rispetto dei termini per la conclusione dei
procedimenti rappresenta un elemento di valutazione dei dirigenti.
La corretta
gestione dei termini nel procedimento deve essere tenuta in debito conto al
fine della corresponsione della retribuzione di risultato. Al Ministro per la
pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro per la
semplificazione normativa, è demandato il compito di adottare le linee di
indirizzo per l’attuazione del principio e di proporre eventuali adempimenti
per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell’obbligo di provvedere entro i
termini fissati per ciascun procedimento.
1.3 L’impugnazione del provvedimento tardivo di diniego. I motivi aggiunti.
L’art.
117, comma 5, D.L.vo 104/2010, dispone che se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto
connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche
con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il previsto per il
nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito.
Tale orientamento legislativo risponde a criteri di
economia processuale e si pone in contrasto col precedente indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale l’adozione da parte della amministrazione di
un provvedimento esplicito in risposta alla domanda dell’interessato fa cessare la
materia del contendere poiché preclude al ricorrente ogni possibilità di
conseguire un risultato utile dall'eventuale accoglimento del gravame. A.
CORRADO, D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
La dottrina
ritiene che in ogni caso il potere di decidere rimanga all’amministrazione, condizionando
a posteriori l’esito dello stesso giudizio. F. CARINGELLA, Corso di diritto
amministrativo, 2004, 1292.
La
giurisprudenza precedente ha, quindi, dichiarato improcedibile, per
sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso proposto contro il silenzio
rifiuto serbato dall'amministrazione sull'istanza di un privato nel caso in
cui, nelle more del giudizio, la stessa amministrazione abbia adottato un provvedimento
esplicito di rigetto dell'istanza Cons. St., sez. IV, 14.7.1997, n. 710, in Cons.
St., 1997, I, 1000.
Il ricorso per
motivi aggiunti deve essere notificato al convenuto, ex art. 43 , D.L.vo 2
luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Detto ricorso
per motivi aggiunti resta inserito nel giudizio speciale sul silenzio senza
modificare tale rito, ma trasformandolo in un normale giudizio di legittimità.
Tale
proposizione dei motivi aggiunti consentirà di non vanificare le risultanze
istruttorie già eventualmente acquisite V. GRECO, Per un giudizio di
accertamento compatibile con la mentalità del giudice amministrativo, in Dir.
Proc. Am, 2002, 481.
Tale indirizzo
trova il sostegno di un orientamento giurisprudenziale che riafferma la
necessità del rispetto dei termini e delle modalità stabilite per il rito
ordinario. Cons. St., sez. V, 10.4.2002, n. 1974, Foro Amm.
Cons. St., 2002, 924.
Si tratta di
rendere tecnicamente possibile la concentrazione dei processi in tutti quei
casi nei quali procedimenti e provvedimenti diversi sono tuttavia
soggettivamente ed oggettivamente connessi, nonché teleologicamente collegati
da una comune finalità dell'azione amministrativa.
Il carattere
speciale del rito può dunque essere risolto e convertito nella disciplina
processuale generale tutte le volte che, attraverso la proposizione di motivi
aggiunti, si riporta nel thema decidendum un provvedimento che si pone
in rapporto di connessione diretta, oggettiva e soggettiva, con il
comportamento asseritamente omissivo della p.a.
L'unità della
giurisdizione amministrativa tende a concentrare i poteri di cognizione del
giudice intorno alla complessiva vicenda dei rapporti giuridici che tutelano un
determinato interesse o bene della vita del soggetto privato nei confronti
dell'azione della pubblica amministrazione.
L'eventuale provvedimento espresso di diniego di condono edilizio che intervenga
successivamente alla formazione del silenzio-assenso, previsto dall'art. 35 l.
n. 47 del 1985, è illegittimo, considerato che il potere sindacale di
provvedere sulla domanda si è consumato; residua, comunque, in capo all'ente
pubblico, la potestà di autotutela, da attuarsi con provvedimento di annullamento, qualora siano ravvisabili
nella concessione tacita profili di illegittimità. T.A.R.
Campania Napoli, sez. II, 8 maggio 2009, n. 2476
Nessun commento:
Posta un commento