La
rappresentanza degli enti locali in giudizio.
La
giurisprudenza ha sancito che la rappresentanza in giudizio degli enti locali
non spetta ai dirigenti, ancorché non prevista dallo statuto e che
l'autorizzazione a stare in giudizio spetta all’organo collegiale, sia giunta o
consiglio dell’ente locale.
Per gli enti
locali, in particolare, l’art. 50, T.U. 267 del 2000, dispone che il Sindaco ed
il Presidente della Provincia rappresentano l’ente.
Tale norma
conferma uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico,
secondo cui ogni ente è rappresentato in giudizio dal capo della propria
amministrazione.
La
giurisprudenza ha confermato che, secondo l'ordinamento degli enti locali, ex
art. 36, L. 142 del 1990 come riprodotto oggi nel T.U. 267 del 2000, il sindaco
è organo di rappresentanza legale del comune; pertanto legittimamente egli
esercita siffatto potere non solo nell'ambito delle relazioni di natura
sostanziale, come il conferimento della procura al difensore, ma anche nei
rapporti processuali, quale la rappresentanza in giudizio dell'ente, senza
bisogno di uno specifico mandato, implicito nella stessa determinazione di
autorizzazione a resistere alla lite.
Rientra, dunque,
nella sfera di attribuzioni legali della Giunta la competenza, di carattere
generale e residuale rispetto a quella consiliare, a decidere la resistenza
alle liti in giudizio.
In difetto di
tale decisione è inammissibile la stessa costituzione in giudizio dell'ente,
mentre spetta al sindaco la legitimatio ad causam (capacità
processuale-procura al patrocinio legale) senza che occorra una specifica
investitura e/o mandato da parte del comune. T.A.R. Puglia sez. II, Bari, 8
aprile 2002, n. 1698, in Foro amm. TAR, 2002, 1372.
All’organo
collegiale compete di deliberare l’autorizzazione a stare in giudizio, dopo
avere valutato la fondatezza delle ragioni dell’ente e le conseguenze che
possono derivare dal giudizio.
Tale delibera
abilita il capo dell’amministrazione a conferire mandato ad un legale per
l’azione o per la resistenza in giudizio.
La dottrina
ribadisce le posizioni giurisprudenziali affermando che il principio sancito
dalla norma non può essere disatteso dallo statuto in relazione all’esercizio
della rappresentanza dal momento che lo statuto non può sottrarre al Sindaco la
titolarità della rappresentanza in giudizio. Cass. civ., sez. III, 26 febbraio
2003, n. 2878, in www.giust.amm. P. VIRGA, I
dirigenti non possono rappresentare il comune in giudizio, in Nuova Rass.,
2003, n.11, 1241.
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La
giurisprudenza ammette, in deroga a tale principio, che lo statuto comunale ha
il potere di attribuire, eventualmente, ai dirigenti tale competenza, purché
sussista una previsione espressa, inequivocabile e ben definita. T.A.R. Sardegna
Cagliari, sez. I, 29 aprile 2010, n. 1046.
Il principio è stato
con chiarezza affermato dalla Corte di Cassazione. Nel nuovo sistema
istituzionale e costituzionale degli enti locali, delineato dagli art. 6, 50 e
107 dell'ordinamento degli enti locali di cui al d.lg. n. 267 del 2000,
interpretati alla luce della successiva evoluzione normativa e in particolare
della riforma dell'art. 114 comma 2 Cost. e dell'art. 4 della L. n. 131 del
2003 di attuazione di tale riforma, lo Statuto del Comune può legittimamente
affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei
rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro
proprio, ovvero a esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa
del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria non sussista,
il sindaco conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza
processuale del Comune. Cass. Civ. , sez. I, 19 dicembre 2008 , n. 29837.
3.6. Il risarcimento del danno per atti comunali
illegittimi.
La
giurisprudenza riconosce al giudice amministrativo la giurisdizione sui
provvedimenti degli enti locali.
La tutela è
ammessa sia per il diniego di provvedimenti dovuti sia per il ritardo per il
loro rilascio, ai sensi dell'art. 34 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80.
Rientra nella
giurisdizione del g.a. l'azione diretta a ottenere il risarcimento del danno
per effetto di un presunto comportamento illecito della p.a. caratterizzato da
ritardo o da omissione colpevoli, e ciò indipendentemente dalla previa
tempestiva impugnazione di un provvedimento ritenuto illegittimo (nel caso
concreto il Tar ha fatto rientrare nella propria giurisdizione la domanda di
risarcimento del danno per equivalente presentata da un soggetto che aveva
maturato una aspettativa giuridicamente qualificata a conseguire dal Comune la
concessione in uso di impianti pubblicitari). T.A.R. Veneto,
sez. I, 25 giugno 2003, n. 3414, in Foro amm. TAR, 2003, 1883.
In queste
ipotesi è ammessa l’azione di risarcimento per responsabilità
dell’amministrazione che provoca il danno ingiusto. Vedi Voce Appalti e
Urbanistica.
Tale azione è
stata riconosciuta sugli atti relativi all’approvazione di un accordo di
programma.
Esso si
sostanzia in un provvedimento amministrativo adottato dai soggetti pubblici che
vi partecipano.
La domanda di
risarcimento, proposta dal privato attuatore, per il danno derivante dalla
condotta discriminatoria a suo danno, in violazione dell'accordo, appartiene
alla giurisdizione esclusiva del g.a., essendo la fattispecie riconducibile
all'art. 15 della legge n. 241 del 1990. Cass. Civ., sez.
un., 14 giugno 2005, n. 12725, in Foro amm. CDS, 2005, 168.
Rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda di restituzione
del bene requisito in uso (nella specie, per essere adibito dal Comune ad
alloggi per i terremotati), basata sulla cessazione delle esigenze che avevano
determinato la requisizione stessa atteso che essa ha per oggetto un
provvedimento della p.a., espressione di un potere autoritativo, riguardante
l'uso del territorio.
E’ devoluta al
giudice amministrativo la domanda di risarcimento del danno da ingiustificata
detenzione di detto bene, giacché, in base al comma 1 dell'art. 35 del d.lg.
80/1998, tale giudice, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione
esclusiva, dispone il risarcimento del danno ingiusto.
Appartiene
invece alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di condanna della
p.a. al pagamento dell'indennità di requisizione, e ciò ai sensi del comma 3,
lettera b), del citato art. 34 - secondo cui nulla è innovato in ordine alla
giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la
determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione
di atti di natura espropriativa o ablativa - rientrando la requisizione tra gli
atti di tale natura. Cass. Civ., sez.
un., 13 gennaio 2005, n. 463.
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