1. Gli effetti della demolizione del fabbricato sulla disciplina delle distanze.
La dottrina distingue l’intervento
di demolizione, che si concretizza nel mero abbattimento di un manufatto,
dall’intervento di demolizione che preveda una successiva ricostruzione
(Centofanti 2000, 349).
Diverso è il caso in cui il crollo
dell’edificio avvenga per cause naturali o eventi eccezionali e, quindi, non
sia necessariamente preceduto dalla richiesta di concessione.
Perché esso si possa definire come
intervento di restauro avente carattere conservativo vi è la necessità che il
manufatto non venga demolito.
La demolizione prevede un'opera
edile e, come tale, necessita della concessione (Cass. pen., sez. III, 16 marzo
1990, RGE, 1991, 255).
In tal caso il manufatto
preesistente conserva il diritto alla cubatura realizzata.
Il principio fissato dall'art. 9, 2°
co., d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente - nelle Zone A) di piano
regolatore - il mantenimento delle distanze relative agli edifici preesistenti
per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, ha trovato puntuale conferma nella giurisprudenza
amministrativa.
Nell'ipotesi in cui un edificio, per
il quale sia stata rilasciata una concessione di ristrutturazione, venga
integralmente demolito (anche a seguito della sua rovina per cause naturali),
viene meno l'esistenza dell'edificio da ristrutturare e, quindi, anche
l'efficacia della concessione, non rilevando se la rovina sia avvenuta o meno
per volontà del suo titolare.
La costruzione del nuovo edificio,
pertanto, potrà aver luogo soltanto sulla base di un'ulteriore concessione, da
rilasciare nel rispetto delle previsioni urbanistiche vigenti, anche relative
alle distanze tra edifici
(Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2000,
n. 1610, RGE, 2000, I, 648).
La giurisprudenza, infatti, ritiene
che nel concetto di ristrutturazione edilizia devono annoverasi anche gli
interventi consistenti nella demolizione e nella successiva ricostruzione
fedele del fabbricato, sempre che rimangano inalterati sagoma e volumi.
Se è pur vero che la ricostruzione
di un edificio demolito soggiace, in mancanza di specifiche norme che
dispongano in senso contrario, alle limitazioni imposte dalle norme
urbanistiche vigenti al tempo in cui venne rilasciata la relativa concessione,
tale principio non opera nel caso in cui l'attività di ristrutturazione
corrisponda integralmente, per volumi, altezze, fisionomia architettonica,
all'opera (in tutto o in parte) demolita.
In tal caso, pertanto, la relativa
concessione edilizia non è subordinata al rispetto dei vincoli imposti dagli
strumenti urbanistici sopravvenuti.
Fattispecie in tema di diniego di
concessione edilizia per contrasto con la normativa urbanistica regolante le
distanze legali nelle costruzioni, sopravvenute rispetto alla realizzazione
dell'originario manufatto ma antecedente alla demolizione della successiva
fedele ricostruzione dello stesso
(Cons. Stato, sez. V, 14 novembre
1996, n. 1359, RGE, 1997, I, 324).
L'intervento di demolizione e
ricostruzione di un volume preesistente nel centro storico, qualificato
urbanisticamente quale zona A, è soggetto alla disciplina in tema di distanze
prevista per le operazioni di ristrutturazione e risanamento conservativo in
dette zone che, nell'art. 9, 1° co., n. 1, reg. com. ed. di Piombino, richiede
soltanto che esse non siano inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi
edificati preesistenti, computati senza tenere conto di costruzioni aggiuntive
di epoca recente e prive di valore storico, artistico e ambientale
(Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio
1995, n. 239, RGE, 1995,I, 448).
Il progetto di ristrutturazione di
un edificio con sostituzione delle tamponature e di altri elementi (tra cui il
solaio) ormai fatiscenti, lasciando però immutati i quattro spigoli del
manufatto nonché le parti in muratura che sorreggono la copertura a volta, non
si converte necessariamente nella demolizione dell'edificio preesistente come
premessa alla ricostruzione di uno nuovo.
E’, pertanto, illegittimo il diniego
della concessione di ristrutturazione fondato sull'esigenza di rispettare una
maggiore distanza dal confine di proprietà.
(Cons. Stato, sez. V, 10 luglio
1981, n. 353, RGE, 1981, I, 1046).
Non è stata ritenuta costruzione
diversa quella che risulta a seguito di un intervento, anche demolitorio,
derivante da un provvedimento amministrativo.
Non costituisce un progetto di
totale demolizione e ricostruzione in senso tecnico (che come tale, a norma del
p.r.g., debba rispettare le distanze normali dagli edifici confinanti), un
elaborato prodotto da un consulente tecnico d'ufficio in esecuzione di una
sentenza del giudice ordinario dichiarativa dell'obbligo di arretrare in una
data misura un determinato fabbricato, elaborato che ha scelto per motivi
tecnici (trattandosi di una struttura in cemento armato) la via, ritenuta
indispensabile, della demolizione totale e ricostruzione parziale fino al
limite di distanza fissato, appunto, dal giudice.
(T.A.R. Lazio, sez. II, 12 settembre
1987, n. 1463, FA, 1988, 1064).
Nel caso di controversia sulla
legittimità del provvedimento di ricostruzione sono diverse le posizioni del
proprietario prevenuto da quelle del frontista.
Il primo proprietario può ricostruire
l’edificio a confine dopo avere esperito i gravami giurisdizionali che
garantiscono la legittimità del provvedimento concessorio.
Il confinante, invece, che abbia
realizzato il fabbricato subisce le sanzioni relative alla costruzione di un
immobile che non rispetti la normativa sulle distanze nel frattempo
sopravvenuta.
Il proprietario di un edificio
costruito sul confine ed in un primo tempo demolito vanta il diritto, nei
confronti del proprietario frontista, qualora gli venga riconosciuta, con sentenza
passata in giudicato, la facoltà di ricostruire il predetto edificio, a che
questi rispetti le distanze legali previste per le costruzioni finitime
nell'erigere, a sua volta, un proprio manufatto.
La eventuale costruzione realizzata
dal frontista a distanza inferiore a tre metri risulterà illegittima anche se,
successivamente ad essa, il diritto alla ricostruzione del manufatto demolito
venga esercitato, dal relativo proprietario, in arretramento rispetto al
confine, non potendo il principio secondo il quale i commoda della
prevenzione si perdono se la ricostruzione del vecchio fabbricato non si
estenda più sino al confine (dovendosi, in caso contrario osservare le distanze
prescritte dalle norme vigenti al tempo della ricostruzione) far venire meno l'illegittimità
dell'operato del proprietario della costruzione frontistante che abbia, già in
precedenza, costruito in violazione delle prescritte distanze.
(Cass. civ., sez. II, 4 dicembre
1997, n. 12307, GCM, 1997, 2329).
2. La competenza esclusiva dello Stato.
È costituzionalmente illegittimo l'art. 50 l. reg. Veneto 23
aprile 2004 n. 11. Premesso che la disciplina delle distanze legali, per quanto attiene ai rapporti
tra proprietari di fondi finitimi, rientra nella materia dell'ordinamento
civile, di competenza esclusiva dello Stato, e che, ferma detta competenza, ai
fini dell'esercizio della competenza concorrente delle regioni in materia di
governo del territorio, costituiscono principi della legislazione statale
quello secondo cui la distanza minima sia determinata con legge statale, e
quello per il quale le deroghe alle distanze minime sono consentite alla normativa
locale, purché tali deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, con
la conseguenza che dette deroghe, per essere legittime, devono attenere agli
assetti urbanistici, e quindi al governo del territorio, e non ai rapporti tra
vicini isolatamente considerati in funzione degli interessi privati dei proprietari
dei fondi finitimi, la disposizione censurata - la quale, con riguardo ad una
situazione particolare costituita da una costruzione già esistente posta a
distanza dal confine inferiore a quella prescritta dalla normativa attualmente
vigente, ma legittima secondo la disciplina dell'epoca della costruzione, autorizza
il proprietario del fondo confinante a costruire o a mantenere il proprio
fabbricato ad una distanza dall'altro manufatto preesistente inferiore a quella
ordinariamente stabilita, con il solo rispetto della prescritta distanza dal
confine - non attiene all'assetto urbanistico complessivo delle zone
territoriali in cui la suddetta deroga è consentita, senza che la prevista
transitorietà possa valere a giustificarla sul piano costituzionale, in quanto,
anzi, l'attribuzione di tale natura alla norma costituisce un ulteriore sintomo
della violazione dei limiti imposti dalla Costituzione alla competenza della Regione.
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