1. Il condono edilizio e i diritti dei terzi.
La legittimità, sotto il profilo
amministrativo, del provvedimento concessorio non vale a sanare l’illecito
civile conseguente al mancato rispetto della disciplina delle distanze
(Francario 1991, 161).
L’autonomia della tutela civile
rispetto a quella amministrativa è stata ribadita dalla dottrina.
I diritti dei terzi, eventualmente
anche volti ad impedire la costruzione o ad ottenere il risarcimento dei danni,
per violazione di norme urbanistiche integrative del codice civile, rimangono
impregiudicati dal rilascio della concessione o della autorizzazione, sia che
in esse sia apposta la clausola “salvi i diritti dei terzi” sia che essa manchi
(Mengoli 1997, 869).
La giurisprudenza è unanime nel
ritenere che la l. 28 febbraio 1985, n. 47, di sanatoria delle opere edilizie
abusive, esplica effetti soltanto nei rapporti tra privato costruttore e p.a. e
non anche nei rapporti tra privati.
Le conseguenze delle violazioni
edilizie si sviluppano su due piani ben distinti di rapporti giuridici: uno,
pubblicistico, tra il soggetto costruttore e gli organi pubblici amministrativi
preposti alla prevenzione e alla repressione degli illeciti, l'altro,
privatistico, tra lo stesso soggetto e i titolari di diritti soggettivi che
possono rimanere lesi dall'attività edificatoria del primo.
Questi due ordini di rapporti, di
regola, non interferiscono tra loro, in quanto, come, da un lato, la
approvazione di un progetto edilizio e la connessa concessione amministrativa
in sanatoria non legittimano violazioni giuridiche a danno di terzi, così non
sono di ostacolo alla conseguente azione degli interessati nella sede opportuna
per accertare il mancato rispetto delle norme a tutela delle distanze.
Quando le distanze sono stabilite da
fonti secondarie, quale il piano regolatore, non è consentito alle parti di
derogare alla normativa speciale e l'eventuale condono edilizio ottenuto, in
quanto intercorrente soltanto tra il privato costruttore e la p.a. non priva il
vicino (che è terzo) del potere di pretendere l'osservanza della distanza
stabilita dallo strumento urbanistico
(Cass. civ., sez. II, 28 dicembre
1999, n. 14600, GCM, 1999, 2631).
La sanatoria edilizia di cui
all'art. 31, l. 28 febbraio 1985, n. 47, opera nei rapporti fra l'autore della
costruzione e la pubblica amministrazione, perseguendo soltanto l'effetto di
conservare l'opera costruita abusivamente e di sottrarre l'autore della
relativa violazione alle sanzioni a questa conseguenti, ma non comporta una
modifica della disciplina urbanistica, né, di conseguenza, fa venire meno la
contrarietà della costruzione alle norme che regolano i rapporti fra privati in
materia di distanze nelle costruzioni contenute nel codice civile o di questo
integrative
(Cass. civ., sez. II, 19 maggio
1997, n. 4438, GCM, 1997, 786).
Il fatto che il rilascio della
concessione in sanatoria precluda all’amministrazione la facoltà di agire
attraverso provvedimenti repressivi che sanzionano un comportamento illegittimo
non impedisce al confinante di promuovere il giudizio ove sia stato pregiudicato
un suo diritto in ordine alla disciplina delle distanze.
La l. 28 febbraio 1985, n. 47,
cosiddetta sul condono edilizio, è volta, a tutela del pubblico interesse, a
regolarizzare, in certi casi e a determinate condizioni, le violazioni
edilizie; il fatto che, adempiute tali condizioni, la pubblica amministrazione
non possa più applicare le misure sanzionatorie previste, non incide
negativamente sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dall'attività
edilizia oggetto della sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1987,
n. 3497, RGE, 1988, I, 78).
Del pari l’azione civile non può
comportare effetti amministrativi (Fusco 1988, 2).
Il terzo non può, infatti, chiedere
al comune di irrogare le sanzioni amministrative qualora sia stato richiesto ed
ottenuto il condono edilizio.
Il terzo danneggiato dalla
costruzione abusiva che ne abbia interesse può, però, opporsi al rilascio della
concessione in sanatoria con i rimedi amministrativi, impugnando tale
provvedimento.
In ogni caso l’art. 39, 2° co., l.
n. 724 del 1994 pone un ulteriore limite alla facoltà di chiedere la sanatoria.
2. Le disposizioni di cui al
presente articolo non si applicano alle opere edilizie che creano limitazioni
di tipo urbanistico alle proprietà finitime, a meno che queste ultime non siano
conformi e compatibili sia con lo strumento urbanistico approvato che con
quello adottato, o che siano state realizzate su parti comuni
(art. 39, 2° co., l. n. 724 del 1994).
Il limite è posto, come precisa la
circ. 17 giugno 1995, n. 2241, par. 2.3, a tutela dei diritti dei terzi, in
relazione alle opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle
proprietà finitime ovvero che siano state realizzate su proprietà comuni.
La locuzione "limitazioni di
tipo urbanistico alle proprietà finitime" - contenuta nell'art. 39 della
l. 23 dicembre 1994, n. 724 - non può intendersi come riferita alla sola
restrizione della capacità edificatoria dei suoli confinanti, ma include ogni
forma di pregiudizio giuridicamente rilevante che i proprietari dei suoli
limitrofi, in quanto tali, subiscono nella fruizione del bene, ivi compresa,
pertanto, anche quella conseguente alla inosservanza della disciplina
regolamentare in materia di distanze legali
(Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre
1997, n. 1487, UA, 1998, 767, nota Ruffino).
Non possono essere sanate le opere
che, in violazione alle prescrizioni urbanistiche, quali piani regolatori e
forme di attuazione, e di quelle edilizie, quali i regolamenti, sono state
realizzate senza tenere conto della normativa relativa alle distanze fra le
costruzioni, la cui violazione dà la facoltà a chi ha subito il danno di
richiedere la riduzione in pristino.
La norma è stata successivamente
modificata senza porre ulteriori limiti di legittimità al rilascio della concessione
in sanatoria, ma ribadendo che detto provvedimento amministrativo non può
comprimere i diritti dei terzi i quali possono sempre ricorrere, anche dopo il
provvedimento in sanatoria, alla giustizia ordinaria.
2. Il rilascio della concessione o
autorizzazione in sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi
(art. 39, 2° co., l. n. 724 del 1994, mod. art. 2, 37° co., lett. c), l. n.
662/l996).
2. La violazione della disciplina delle distanze e il rilascio del permesso di costruzione in sanatoria. L’interpretazione giurisprudenziale.
La giurisprudenza si è divisa sul
ritenere che la violazione della disciplina delle distanze consenta o meno il
rilascio della concessione, ora permesso di costruzione, in sanatoria.
Un indirizzo ritiene che la
violazione delle norme sulle distanze impedisca il rilascio della concessione
in sanatoria .
Le limitazioni di carattere
urbanistico alle proprietà finitime, impeditive della sanatoria delle opere
edilizie abusive, concernono la normativa integrativa delle previsioni del
codice civile sulle distanze non solo dalle costruzioni, ma anche dai confini,
la cui violazione darebbe facoltà a colui che ha subito il pregiudizio di
chiedere la riduzione in pristino
(T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 15
ottobre 1996, n. 864, RGE, 1997, I, 108).
Un altro indirizzo ha, invece,
affermato che il condono edilizio è volto a regolare i rapporti tra privato
costruttore e pubblica amministrazione, ma fa sempre salvi i diritti dei terzi.
Conseguentemente i provvedimenti di
concessione in sanatoria non privano i proprietari dei fondi contigui del
potere di fare valere la violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni,
consentendo loro di chiedere, a seconda dei casi, la demolizione delle opere abusive
o il risarcimento dei danni.
La violazione delle norme sulle
distanze fra edifici non può impedire il rilascio del condono edilizio, ma i
terzi posso agire in sede civile per la loro tutela.
In tema di distanze, l'art. 35 del
regolamento edilizio del comune di Pistoia, il quale prescrive che "per
tutte le nuove costruzioni, escluse quelle da eseguire nelle zone di
completamento, dovrà essere osservata una distanza minima di m. cinque dal
confine del lotto di pertinenza.
Tale distanza dovrà essere osservata
anche dal confine di zona; la norma è, quindi, applicabile anche alle
costruzioni compiute in zona agricola.
Né può ritenersi che il condono con
il quale l'Amministrazione pubblica abbia concesso al privato di destinare ad
abitazione civile la costruzione eseguita in zona agricola, determini
l'urbanizzazione della porzione di area agricola occupata dall'immobile e la
conseguente legittimità dell'opera eseguita sul confine con la residua
superficie agricola, in applicazione di quanto disposto dagli artt. 8 delle
norme di attuazione del piano regolatore generale e 39 lettera D) del
regolamento edilizio comunale, per i quali "quando il confine del lotto
coincide con il limite di zona, oltre il quale si trovi la zona agricola, è
consentito costruire sul confine del lotto".
Il condono, infatti, inerisce al
solo rapporto pubblicistico fra la amministrazione pubblica e il privato
costruttore, ma non incide sui rapporti fra quest'ultimo e i vicini, i quali
conservano il diritto ad ottenere la riduzione in pristino in caso di
inosservanza delle norme sulle distanze.
(Cass. civ., sez. II, 7 luglio 2000,
n. 9101, GCM, 2000, 1517).
Il proprietario confinante deve,
quindi, calibrare le azioni da intraprendere.
Egli non deve agire davanti alla
giurisdizione amministrativa per chiedere un provvedimento di annullamento
della concessione in sanatoria, ma deve citare il concessionario in sanatoria
presso il giudice ordinario per chiedere la riduzione in pristino allo scopo di
adeguare la posizione del fabbricato alla disciplina delle distanze.
La sanatoria prevista dagli artt. 31
ss., l. 28 febbraio 1985, n. 47, e 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, (cosiddetto
condono edilizio) inerendo al rapporto fra p.a. e privato costruttore, non ha
alcuna incidenza nei rapporti fra privati, non vale a mutare la normativa in
concreto applicabile e non priva il proprietario del fondo contiguo leso dalla
violazione delle norme urbanistiche edilizie, del diritto di chiedere ed
ottenere l'abbattimento o l'arretramento dell'opera illegittima
(Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1999,
n. 2658, GCM, 1999, 640).
Ai sensi dell'art. 39, l. n. 724 del
1994, così come modificato dall’art. 2, 37° co., lett. c), l. n. 662 del 1996,
la violazione delle norme in tema di distanze tra gli edifici non è causa di
preclusione del condono, salvo il diritto dei proprietari dei fondi finitimi
direttamente lesi dalla violazione delle distanze legali di fare valere tale
violazione in sede di giurisdizione civile.
E’ legittimo il condono edilizio
rilasciato in relazione ad un intervento abusivo che violi le norme sulle
distanze rispetto agli edifici finitimi
(Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre
1998, n. 1306, UA, 1999, 283, nota Bassani).
Anche a seguito dell'introduzione
dell'art. 2, 37° co., lett. c), l. 23 dicembre 1996, n. 662, che ha modificato
l'art. 39, 2° co., l. 23 dicembre 1994, n. 724, il condono edilizio può essere
concesso per quei fabbricati che non comportino limitazioni ai diritti dei
terzi e comunque non privino il proprietario del fondo contiguo, leso dalla
violazione delle norme sulle distanze legali, del suo diritto di chiedere ed
ottenere l'abbattimento delle opere illegittime
(Pret. Salerno, 20 marzo 1997, GM,
1998, 233).
E’ precluso anche il suo intervento
nel processo penale che, per effetto della concessione in sanatoria, ora
permesso di costruire, è destinato ad essere sospeso e successivamente ad
estinguersi col rilascio del provvedimento.
La regolarizzazione di una
costruzione mediante il cosiddetto condono delle violazioni di norme
urbanistiche di cui alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, esplica effetti soltanto
sul piano pubblicistico precludendo alla p.a. l'applicazione delle sanzioni
previste, ma non incide sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati
dall'attività costruttiva oggetto della sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 29 aprile
1998, n. 4355, GCM, 1998, 900).
La regolarizzazione di una
costruzione mediante condono delle violazioni edilizie esplica effetto soltanto
sul piano pubblicistico, precludendo alla p.a. l'applicazione delle sanzioni
previste, ma non incide in alcun modo sui diritti dei terzi direttamente
pregiudicati dall'attività costruttiva oggetto della sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 13 aprile
1995, n. 4270, GCM, 1995, 835).
Evidentemente non può derivare
nessuna conseguenza processuale dal fatto che il terzo si sia attivato nella
presentazione di una istanza di condono nel procedimento civile in corso
tendente ad ottenere un provvedimento di adeguamento alla disciplina delle
distanze.
L’eventuale rilascio di una
concessione in sanatoria non acquista alcun significato giuridico nel
procedimento civile per cui il giudice non ha alcuna ragione per concedere la
sospensione richiesta, ex art. 44, l. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha
alcuna attinenza con questo giudizio civile.
La l. 28 febbraio 1985, n. 47, di
sanatoria delle opere edilizie abusive, esplica effetti soltanto nei rapporti
tra privato costruttore e p.a. e non anche nei rapporti tra privati, onde il
procedimento finitimo, ed avente ad oggetto la violazione delle distanze
legali, non può essere sospeso, ai sensi dell'art. 44 stessa legge, per
permettere al primo di presentare l'istanza di sanatoria
(Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1987,
n. 3497, RGE, 1988, I, 78).
3. La legislazione urbanistica sopravvenuta.
La normativa edilizia applicabile in
materia di distanze è quella vigente al momento di inizio dei lavori.
Il continuo evolversi della
legislazione in senso restrittivo rispetto all’intervento edilizio, che deve
rapportarsi di continuo agli standard urbanistici introdotti dalla
normativa, comporta che la costruzione deve essere conforme alla attuale
normativa di piano.
Non rileva che l'erigenda
costruzione sia conforme alla concessione edilizia rilasciata in base al P.R.G.
previgente perché anzi il provvedimento concessorio decade se la costruzione
non è iniziata prima dell'entrata in vigore della normativa sopravvenuta e non
è compiuta nel triennio successivo.
In particolare poi deve applicarsi
la normativa che disciplina le distanze tra costruzioni anche se la p.a. ha
ordinato la demolizione di quella già esistente, ma il relativo provvedimento è
stato impugnato
(Cass. civ., sez. II, 14 dicembre
1999, n. 14022, GCM, 1999, 2530).
Il proprietario di una costruzione
che intenda avanzarla in appoggio o in aderenza a quella del vicino per evitare
di doverla arretrare, in conseguenza della normativa applicabile sulle distanze
tra edifici, deve osservare il regolamento edilizio applicabile nella zona
interessata, e vigente non già al momento della costruzione che già esiste,
bensì al momento della realizzazione dell'aumento di volumetria della stessa,
configurante a tal fine nuova costruzione, indipendentemente dalla sua
utilizzabilità a fini abitativi
(Cass. civ., sez. II, 24 febbraio
1999, n. 1564, GCM, 1999, 390).
Una volta rilasciata la concessione,
ora permesso di costruzione, essa non può essere revocata sulla base di nuove
previsioni urbanistiche più restrittive, sempre che i lavori siano iniziati
dopo il rilascio della concessione.
Le prescrizioni urbanistiche
intervenute in epoca successiva al rilascio di una concessione edilizia non
sono influenti ai fini della legittimità o meno della concessione stessa,
poiché il riscontro di legittimità va operato con esclusivo riferimento alle
prescrizioni vigenti al momento del suo rilascio (o, al più, alla data di
inizio dei lavori), e non a quelle sopravvenute
(Cass. civ., sez. II, 18 giugno
1999, n. 6093, GCM, 1999, 1425).
Se i lavori, già autorizzati da
concessione, ora permesso di costruire, non sono iniziati, questi decadono,
qualora entrino in vigore nuove previsioni urbanistiche in contrasto con le
concessioni precedentemente rilasciate secondo la previsione dell’art. art. 31,
11° co., l. 17 agosto 1942, n. 1150, ripreso dal testo unico sull’edilizia.
Il permesso decade con l'entrata in
vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già
iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio
(art. 15, 4° co., l. 6 giugno 2001, n. 380).
Non basta la semplice adozione di
nuovi strumenti urbanistici o di varianti, alla quale si riconnette
l’applicazione delle misure di salvaguardia con la esclusione del rilascio di
nuove concessioni in difformità, ma, perché il provvedimento già emesso decada,
è necessaria la loro relativa approvazione (T.A.R. Trentino Alto Adige,
1.8.1991, n. 338, T.A.R., 1991, 3487).
Se i lavori sono iniziati, devono
essere ultimati nel termine perentorio di tre anni, ai sensi dell’art. 15, 2°
co., l. 6 giugno 2001, n. 380.
La decadenza dei provvedimenti è
stata ricollegata da alcune leggi regionali, vedi ad esempio la l. r. Lombardia
n. 51/1975, allo stesso momento dell’entrata in vigore della legge, che opera
in termini di salvaguardia per il rilascio di nuova concessione, mentre, per
quelle già rilasciate, vigono i principi generali prima esaminati.
In teoria, può verificarsi l’ipotesi
contraria che vengano approvate previsioni urbanistiche più favorevoli, anche
se difficilmente è ipotizzabile che diminuiscano i valori delle distanze da
imporre tra i fabbricati.
In tal caso i provvedimenti
sanzionatori comunali non possono essere adottati stante la possibilità di
sanare successivamente le costruzioni realizzate.
Poiché le norme edilizie operano in
funzione di attuazione dell'assetto urbanistico ritenuto conforme alle esigenze
attuali o future, allorché sopravvenga una nuova regolamentazione edilizia più
favorevole, le costruzioni iniziate o compiute in violazione della regolamentazione
edilizia in precedenza vigente devono ritenersi legittime, salva soltanto la
responsabilità per danni pro tempore maturati fino all'entrata in vigore
della nuova normativa
(Cass. civ., sez. II, 2 dicembre
1995, n. 12458, GCM, 1995).
La disciplina urbanistica
sopravvenuta non subisce variazioni qualora il proprietario preveniente abbia
costruito sulla base delle possibilità afferte dalla previgente normativa
civilistica.
Il principio di cosiddetta
reciprocità che costituisce un caposaldo nella disciplina delle distanze fra le
costruzioni, presuppone, per la sua possibilità di operare, l'esecuzione di
entrambe le costruzioni sotto il vigore di una medesima normativa.
In caso, invece, di successione di
normative nel tempo, anche se la sopravvenienza della nuova disciplina di uno
strumento urbanistico determini una situazione svantaggiosa per il secondo
costruttore, questi dovrà sempre rispettare nella sua interezza la norma in
vigore.
La nuova disposizione di piano non
potrà - per suo conto - invece incidere in alcun modo sulla vantaggiosa
posizione già acquisita dal vicino in base alla disciplina antecedente, essendo
precluso sia in via amministrativa sia in termini di tutela contenziosa un
adeguamento alle nuove norme.
Qualora il proprietario di un
terreno abbia costruito sul proprio fondo nel vigore della disciplina del
codice civile sulle distanze osservando le relative prescrizioni, il
proprietario del fondo confinante, che su di esso voglia successivamente
edificare, deve rispettare per intero la distanza imposta dalle disposizioni
dello strumento urbanistico sopravvenuto - piano regolatore o regolamento
edilizio) senza poter vantare, per eluderla, alcun diritto acquisito in base
alla normativa anteriore
(Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 1998,
n. 986, GI, 1998, 1559, nota Villani).
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