La
deroga pattizia alla normativa sulle distanze. Il divieto di deroga.
Per quanto riguarda la possibilità di
deroga alle regole stabilite in merito alle distanze legali un indirizzo
dottrinale distingue fra la normativa strettamente dettata dal codice e le
norme non considerate integratrici della disciplina comune, stabilite in
regolamenti edilizi o in piani regolatori.
Viene abitualmente riconosciuta natura dispositiva
alle norme contenute nel codice civile e, in particolare, alla disposizione che
impone fra i fabbricati una distanza minima non inferiore a tre metri, ex art.
873 c.c., poiché hanno lo scopo di tutelare interessi prevalentemente
privatistici.
Alle disposizioni dettate da
regolamenti edilizi o piani regolatori viene attribuito carattere cogente ed
inderogabile perché hanno il fine di tutelare interessi urbanistici generali,
che non sono alla portata dei privati cittadini.
La
mancanza di un espresso divieto nella versione definitiva dell’art. 873 c.c.
sembra avvallare la tesi che, per convenzione fra privati, è possibile la
deroga alla disciplina delle distanze, prevista in tale articolo (Galletto
1990, 472).
La concezione più diffusa in dottrina,
nell’ipotesi di regole concernenti le costruzioni contenute in regolamenti
edilizi o in piani regolatori, è quella che ritiene in ogni caso inderogabile
tale normativa in relazione del suo carattere pubblicistico finalizzato ad
assicurare il regolare assetto urbanistico della zona considerata.
L’interesse pubblico che inspira in via
primaria le norme sulle distanze delle costruzioni esclude la loro derogabilità
pattizia. Inderogabile è, quindi la disposizione del codice come inderogabili
sono anche i regolamenti locali sulle distanze, nonché le disposizioni edilizie
mirati ad altre finalità d interesse generale (sicurezza sismica, qualità
urbana della zona, ecc.).
(Bianca 1999, 255).
Sul
punto la giurisprudenza è tassativa e non registra oscillazioni di rilievo
vietando qualsiasi deroga pattizia a disposizioni che hanno per oggetto la
tutela di interessi generali.
Qualora lo strumento urbanistico locale preveda un
distacco tra fabbricati, tali prescrizioni debbono essere obbligatoriamente
osservate dai privati senza possibilità di deroghe pattizie
(Cass.
civ., sez. II, 12 gennaio 2000, n. 237, GCM,
2000, 43).
La dottrina riconosce in via generale
ai privati la possibilità di derogare i limiti fissati in materia di distanze
nel senso che possono essere stabiliti tra proprietà confinanti divieti di
estensione maggiore di quella legale. Chi riconosce la possibilità di limiti
minori di quelli regolamentari deve ipotizzare una rinuncia convenzionale alla
relativa azione di ripristino (Mengoli, 1997, 963).
Né la deroga può essere disposta da un
piano urbanistico di grado inferiore sulle disposizioni in materia di distanze
dettate dal piano regolatore generale.
Le
prescrizioni contenute nei piani di recupero formati ai sensi dell'art. 28
della l. 457 del 1978 per la rimozione dello stato di degrado del patrimonio
edilizio comunale sono soggette all'osservanza delle disposizioni del piano
regolatore generale quali norma di
grado superiore. Ne consegue che
non è ammissibile la deroga, in caso di
interventi edilizi previsti in detto piano di recupero, alle
previsioni degli strumenti urbanistici
generali in tema di distanze tra costruzioni.
(Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 2000,
n. 13639, GCM, 2000, 2131).
5.7. La derogabilità relativa.
LEGISLAZIONE
c.c. 873 - l. 24 marzo 1932, n. 355, art. 3.
Altro filone giurisprudenziale sostiene
la derogabilità convenzionale della normativa sulle distanze stabilita
dall’art. 873 c.c. e ribadisce che gli accordi negoziali fra i proprietari di
fondi confinanti si concretano in atti costitutivi di servitù convenzionale per
cui deve necessariamente essere redatta la prova scritta ad substantiam.
Essa non intende la inderogabilità in
senso assoluto, ma relativo.
Si afferma, infatti, che l’esigenza di
garantire in ogni caso un certo distacco tra i fabbricati è di natura
pubblicistica e, come tale, non soggetta alla libera disponibilità delle parti.
D'altro lato si rileva che l’onere di
rispetto della distanza può essere ripartito tra i proprietari confinanti
secondo le regole dell’autonomia contrattuale privata.
E’ lecito, quindi, l'accordo che
distribuisca il distacco anche a carico totale o parziale di un solo fondo,
purché la convenzione abbia i requisiti di forma necessari a renderla
opponibile, attraverso la trascrizione, nei confronti delle parti ed aventi
causa.
In tal caso vi sarà una deroga che
trasferisce l’onere della distanza ad una delle parti, ma nel complesso la
disciplina è sostanzialmente rispettata.
Le norme edilizie comunali che prescrivono l'osservanza
di un determinato distacco delle costruzioni su fondi
finitimi calcolato rispetto al
confine anziché tra le costruzioni stesse hanno lo scopo
di ripartire in
eguale misura fra i
lotti confinanti la formazione del distacco tra gli
edifici.
Conseguentemente esse possono
essere liberamente derogate
dai privati a mezzo
di convenzione che ponga
(in forma valida
ed efficace anche
nei confronti di successivi
aventi causa) la formazione del distacco
a totale carico di uno solo dei due
lotti, a condizione che sia complessivamente rispettato il distacco
dei fabbricati tra di loro.
L'art.
3 del piano regolatore di Roma, approvato con l. 24 marzo 1932, n. 355,
nell'imporre una distanza delle costruzioni di quattro metri dal confine, con
ciò ripartendo egualmente tra
proprietari confinanti il concorso alla
formazione di un distacco di otto metri
tra le costruzioni e vietando altresì di
edificare in aderenza, non vieta le convenzioni tra privati confinanti che, con
efficacia attiva e passiva anche verso i successivi aventi causa, ripartiscano
diversamente il relativo obbligo, sì che ad
uno di loro sia permesso costruire sul confine o a
distanza inferiore a quattro metri e l'altro debba arretrare la propria costruzione a distanza
superiore, in modo da mantenere sempre
il distacco di otto metri tra gli edifici
(Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1980
n. 6512, GI, 1981, I, 1, 1604).
I
privati possono, peraltro, stabilire reciproche limitazioni più gravose della
disciplina delle distanze per consentire al fondo dominante di godere di un
ulteriore spazio dalla eventuale edificazione sul fondo servente.
Tali
convenzioni consentono alla parte che si senta lesa nei diritti acquisiti in
virtù della convenzione di agire giudizialmente per ottenere attraverso la
richiesta demolizione il rispetto delle convenzioni stipulate
Le convenzioni tra privati, con le
quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore ed a carico
delle rispettive proprietà, specie in
ordine alle modalità di edificazione restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla
proprietà, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che
ad esso inerisce come qualitas fundi,
ossia con carattere di realtà inquadrabile
nello schema delle servitù: ne
deriva, pertanto, che in caso di inosservanza della pattuita convenzione limitativa
dell'edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo
servente con azione di natura
reale, onde chiedere ed ottenere
la demolizione dell'opera abusiva, non
diversamente da quanto riconosciuto ex artt. 872 e 873 c.c.,
al proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze
nelle costruzioni.
(Cass. civ., sez. II, 24 maggio 1996,
n. 4770, RGE, 1997, I, 33).
La
tutela delle convenzioni stipulate non trova, quindi, supporto nelle
disposizioni di piano ma attraverso una azione di natura reale nei confronti
del titolare del fondo per costringerlo alla rimessione in pristino.
L’azione
confessoria servitutis si esercita da
chi pretende di avere un diritto reale sulla cosa altrui contro il proprietario
o contro chiunque ne contesti l'esercizio; come, ad esempio l'affittuario che
pretenda di realizzare una costruzione non rispettando le distanze dai confini
fissate dalla servitù.
Le pattuizioni con le quali vengono
poste a carico di un fondo ed a favore
di altre limitazioni di edificabilità restringono permanentemente i
poteri connessi alla proprietà dell'area gravata, attribuendo al fondo vicino
un corrispondente vantaggio che ad esso inerisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realtà inquadrabili
nello schema della servitù. Pertanto, nell'ipotesi di inosservanza della pattuita limitazione di inedificabilità, il proprietario del fondo
dominante può agire nei confronti del
proprietario del fondo servente con
azione di natura reale ("confessoria
servitutis": art. 1079, c.c.)
per chiedere ed ottenere la rimessione in pristino ed il risarcimento del danno, non diversamente dal
proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle
costruzioni ex art. 872, 873 c.c.
(Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 1993,
n. 11948, GCM, 1993).
Non è
richiesta che l’utilità della servitù sia attuale al momento della sua
costituzione; le parti possono disporre di un utilità futura.
La
costituzione di servitù è ammessa anche a vantaggio o a carico di un fondo
futuro, come ad esempio, per un edifico da costruire o a carico di un fondo da
acquistare.
Al fine di accertare se nella vendita
di aree fabbricabili i contraenti abbiano inteso costituire una servitù
prediale a vantaggio e a carico di fondi esistenti ovvero dei costruendi
edifici, è necessario far ricorso al criterio dell'attualità o meno dell'utilitas in cui si concreta il contenuto
della servitù, poiché se l'utilitas
presuppone la costruzione degli edifici, si verte nell'ipotesi dell'art. 1029,
2° co., c.c. e, pertanto, il fatto costitutivo della servitù sorge soltanto con
la realizzazione della costruzione; se, invece, il vantaggio ed il
corrispondente peso siano indipendenti da tale realizzazione edificatoria, in
guisa da inerire direttamente ai suoli
non ancora edificati (come nelle
convenzioni con cui si vieta di
costruire ad una certa distanza dal confine) si verte nell'ipotesi
prevista dal comma 1 dell'art. cit., di servitù immediatamente
costituita con carattere ed effetti reali
(Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1996,
n. 1267, GCM, 1996, 215, FI, 1996, I, 2464).
1 commento:
Finalmente un parere chiaro e definitivo
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