1 La d.i.a. nell’edilizia.
L’art. 22 del d.p.r. 6.6.2001, n. 380, precisa che gli
interventi edilizi realizzabili mediante denuncia di inizio di attività sono
individuati in via residuale rispetto alle categorie espressamente previste e
sottoposte a permesso di costruire, eventualmente integrate dalle ulteriori
ipotesi individuate dalle singole regioni (Centofanti N., Diritto a
costruire. Programmazione urbanistica. Espropriazione, 2010, 1113).
La
denuncia di inizio di attività si perfeziona con un procedimento assolutamente
semplificato.
Il
richiedente inoltra la denuncia, la pubblica amministrazione controlla la
legittimità della stessa, ma non emette un provvedimento espresso: L’istante
può iniziare i lavori inerenti a quanto dichiarato nella domanda trascorso un
termine perentorio di trenta giorni.
La
procedura addossa al progettista la responsabilità di asseverare la conformità
delle opere alle disposizioni di piano o di regolamento edilizio ed al rispetto
delle norme di sicurezza e di quelle igienico sanitarie.
Per
questo la giurisprudenza afferma che la denuncia di inizio di attività non ha
valore di provvedimento amministrativo, né lo acquista in virtù del decorso del
termine previsto per l'attività di riscontro della p.a.
L’azione
dell’amministrazione, conseguentemente, non è stata considerata un'attività di
secondo grado, che interviene su di una precedente attività provvedimentale
(Cons. St., sez. VI, 4.9.2002, n. 4453).
Il
procedimento prevede che la denuncia di inizio attività sia presentata allo
sportello unico trenta giorni prima di quando effettivamente iniziano i lavori,
ex art. 23, 1° co., d.p.r. 6.6.2001,
n. 380.
Essa
è accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato
e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere
da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati ed ai regolamenti
edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie.
La dottrina
rileva che se, nel termine indicato, il
responsabile del procedimento non riscontra una delle condizioni stabilite per
la regolarità della denuncia, egli notifica all’interessato l’ordine motivato
di non effettuare l’intervento (Fantigrossi U. e Piscitelli L. (a cura di), La
nuova disciplina edilizia,2003, 351).
L’amministrazione
può inibire i lavori denunciati ove questi non siano conformi alle disposizioni
vigenti.
La
giurisprudenza ha precisato che il provvedimento con il quale l'Amministrazione
comunale rigetta la denuncia di inizio attività di cui agli artt. 22 e 23, t.u.
n. 380 del 2001, non deve essere preceduto dalla comunicazione dei motivi
ostativi di cui all'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990. (T.A.R.
Campania Napoli, sez. VI, 23.5.2006, n. 5487, in Foro Amm.T.A.R.,
2006, 5, 1820).
Nel
caso di silenzio i lavori possono iniziare regolarmente dopo la scadenza del
termine.
La
denuncia di inizio attività è corredata dall'indicazione dell'impresa cui si
intende affidare i lavori.
I
lavori devono essere effettuati nel termine massimo di efficacia della denuncia
che è fissato dalla legge in tre anni.
La
realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova
denuncia.
L'interessato
è, in ogni caso, tenuto a comunicare allo sportello unico la data di
ultimazione dei lavori.
L’art.
22, 4°, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, non risolve il problema della corresponsione
del contributo di costruzione.
Esso
demanda alle regioni, nell’esercizio della loro autonomia legislativa, la
facoltà di assoggettare le opere a specifica contribuzione.
Il
progettista ha la responsabilità di asseverare la conformità delle opere alle
disposizioni di piano, di regolamento edilizio ed il rispetto delle norme di
sicurezza ed igienico sanitarie.
Il
progettista ha l’onere di individuare esattamente l’estensione delle varie
fattispecie tassativamente indicate dal legislatore.
Il
progettista che vuole essere tutelato deve identificare fattispecie
assolutamente certe o scegliere di richiedere il permesso di costruire.
Il
progettista deve produrre una relazione accompagnata dagli elaborati
progettuali che, non essendo indicati, devono essere necessariamente stabiliti
da un emanando regolamento comunale, che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici adottati od approvati ed ai regolamenti
edilizi esistenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico sanitarie.
1.1 La inibizione dei lavori. L’annullamento. Le sanzioni.
Ove,
nel termine di trenta giorni dalla presentazione della d.i.a., il dirigente
comunale o il responsabile dell’ufficio rilevi la mancanza dei requisiti di
legge deve procedere a notificare un provvedimento motivato, contenente
l’accertamento delle irregolarità riscontrate, con il quale si inibisce
l’intervento (Mandanaro A., La d.i.a. nel t.u. edilizia e nella legge
obiettivo, in Urb. App., 2002 , 148).
La
disciplina di legge, in altri termini, così come precisato in giurisprudenza,
non presenta alcun potere soprassessorio della p.a. coincidente con la
possibilità di sospendere, sia pure temporaneamente, la d.i.a. ma, appunto,
solo il potere di ordinare, motivatamente, di non effettuare il previsto
intervento (T.A.R. Liguria, sez. I, 18.3.2004 n. 268).
È stata
dichiarata dalla giurisprudenza
illegittima la sospensione della denuncia di inizio attività, potendo
l'amministrazione solo inibire l'attività stessa. (T.A.R.
Basilicata Potenza, 3.3.2007, n. 135).
Il
dirigente informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di
appartenenza, ex art. 23, 6° co.,
d.p.r. 6.6.2001, n. 380.
E’
comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio di attività,
con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla
normativa urbanistica ed edilizia.
Il
potere di annullamento dell’amministrazione non si consuma nei termini
assentivi né ammette termini di decadenza.
Gli
atti repressivi devono essere motivati.
L'amministrazione
deve valutare preventivamente gli interessi pubblici eventualmente
pregiudicati, in relazione con l'affidamento di chi abbia iniziato le opere,
con riferimento al tempo trascorso tra il loro inizio e il riscontro della loro
illegalità.
La
giurisprudenza ha precisato che, trascorso il termine per l’esercizio dei
poteri inibitori - ora di trenta giorni, ex art. 23, d.p.r. 6.6.2001, n.
380 - devono essere esercitati i poteri sanzionatori.
L'amministrazione
comunale non può più esercitare i poteri inibitori, secondo cui il sindaco, ove
sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica
agli interessati l'ordine motivato di non effettuare le previste
trasformazioni; l'amministrazione può soltanto, ricorrendone i presupposti,
esercitare poteri in via di autotutela ed emanare gli eventuali provvedimenti
sanzionatori del caso (T.A.R. Veneto, sez. II, 22.2.2002, n. 844, in Foro Amm.T.A.R.,
2002, 428).
L'amministrazione
può procedere in ogni tempo al riscontro della conformità alla normativa
vigente di tutte le attività private che possono essere intraprese su semplice
denuncia.
L'amministrazione
deve, inoltre, invitare chi abbia intrapreso i lavori a conformarli alla
normativa vigente, quando ciò sia possibile.
L'art.
37, 5° co., d.p.r. n. 380 del 2001, prevede la possibilità di presentare una
d.i.a. in sanatoria in corso d'opera, la quale, con riferimento al 1° co. dello
stesso articolo, riguarda tanto l'ipotesi in cui la d.i.a. iniziale sia mancata
del tutto, quanto quella in cui essa sia stata presentata, ma i lavori siano
stati realizzati in difformità dal progetto (T.A.R.
Piemonte Torino, sez. I, 18.1.2006, n. 109).
La
sanatoria dell’intervento prevede una attività dell’amministrazione atta a
valutare la conformità dell’opera alla normativa urbanistica che nel caso
positivo rende lecita l’opera.
l’antigiuridicità
della condotta permane. Questa è punita
con una sanzione pecuniaria (Stella Richter P. e Iaione C., Interventi
eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio di attività,
in Testo unico dell’edilizia, (a cura di Sandulli M. A.), 2004, 449).
2 La s.c.i.a. sostituisce la d.i.a. nell’edilizia?
Con circolare 16.9. 2010,
il Ministero
per la semplificazione normativa ha confermato
l’applicabilità della disciplina della segnalazione certificata di
inizio attività alla materia edilizia.
La dizione letterale dell’art. 49, 4° co. ter
della l. 122 del 2010, tassativamente afferma che le espressioni segnalazione certificata di inizio attività
e s.c.i.a. sostituiscono,
rispettivamente, quelle di dichiarazione
di inizio attività e d.i.a..,
ovunque ricorrano anche come parte di
un’espressione più ampia, sia nelle normative statali che in quelle
regionali.
Il medesimo comma stabilisce, altresì,
che la disciplina della s.c.i.a. contenuta nel novellato art. 19 della l. 241
del 1990 sostituisce direttamente,
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa
statale e regionale.
La circolare evidenzia, inoltre, che,
nel confronto con la previgente formulazione dell’art. 19, l. 241/19990, il legislatore ha omesso di indicare la d.i.a.
edilizia tra quelle oggetto di espressa esclusione dall’ambito applicativo
della disposizione.
Nella previgente formulazione il
legislatore aveva escluso dall’ambito applicativo della dichiarazione di inizio
attività quella in materia edilizia, laddove aveva disposto che restano
ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli
di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte
dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività
e di rimozione dei suoi effetti .
Analoga clausola di salvezza non
compare nel vigente art. 19, l. 241/19990.
La previsione secondo cui la
segnalazione certificata di inizio attività è corredata non solo dalle
certificazioni ed attestazioni ma anche dalle “asseverazioni” di tecnici abilitati - riferimento non presente
nel previgente art. 19, l. 241/19990 -
appare in linea con quanto stabilito dalla disciplina della d.i.a. edilizia
contenuta nell’art. 23 del d.p.r. 6 .6.2001, n. 380
La norma richiede, preliminarmente all’avvio
dell’attività edilizia, la presentazione di una “dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli
opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli
adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza
e di quelle igienico-sanitarie.
1 Gli effetti della l. 122/2010 con le discipline statali e regionali previgenti.
Con la circolare 16.9. 2010,
il Ministero
per la semplificazione normativa ha preso posizione sull’effetto delle
discipline statali e regionali previgenti incompatibili con l’attuale normativa
statale e non abrogate espressamente dall’art. 49 della l. 122 del 2010.
La norma introduce un meccanismo di
sostituzione automatica della disciplina della s.c.i.a. a quella della d.i.a.,
anche edilizia.
La conclusione che precede impone un
ulteriore chiarimento ermeneutico, con riferimento agli interventi edilizi
realizzabili con d.i.a. alternativa rispetto al permesso di costruire.
L’articolo 22, comma 3, del d.p.r.
n. 380 del 2001 determina i casi in cui interventi edilizi soggetti a permesso
di costruire possono essere realizzati alternativamente con d.i.a., e il
successivo comma 4 riconosce alle Regioni a statuto ordinario la facoltà di
ampliare o ridurre l’ambito applicativo del precedente comma. Di qui il
problema del rapporto tra la disciplina della s.c.i.a. e quella della d.i.a. alternativa al permesso di costruire, e
segnatamente del rapporto tra la disciplina della s.c.i.a. e quella contenuta
nelle leggi regionali che, in attuazione della previsione dell’articolo 22,
comma 4, del d.p.r. n. 380 del 2001, hanno introdotto ulteriori casi di
alternatività tra d.i.a. e permesso di costruire.
La disciplina della s.c.i.a. non si
applica alla d.i.a. alternativa al permesso di costruire; le leggi regionali previgenti con le quali è
stata esercitata la facoltà prevista dall’articolo 22, comma 4, del d.p.r. n.
380 del 2001 non sono state incise dall’entrata in vigore dell’art. 49 , l. 122
del 2010.
Al permesso di costruire non può
essere applicabile la disciplina della s.c.i.a..
Con particolare riguardo alle leggi
regionali recanti ulteriori casi di d.i.a. alternativa al permesso di
costruire, la predetta conclusione è conforme ad una lettura costituzionalmente
orientata dell’articolo 49 della legge n. 122 del 2010, che salvaguardi la
potestà legislativa regionale di estendere, oltre i confini dell’intervento
statale ed in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del testo unico edilizia,
l’istituto della d.i.a.
L’art. 29, comma 2-quater della
l. 241 del 1990, riconosce alle Regioni, nella disciplina dei procedimenti
amministrativi di propria competenza, la facoltà di prevedere livelli ulteriori
di tutela rispetto a quelli garantiti dalle disposizioni statali attinenti ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui ai precedenti commi 2-bis e
2-ter.
La circolare precisa che in caso di intervento edilizio in zona
sottoposta a vincolo, permane l’onere di acquisizione ed allegazione alla
segnalazione certificata dello specifico atto di assenso dell’ente preposto
alla tutela del vincolo stesso; tale atto, in virtù della espressa previsione
dell’articolo 19, comma 1, della legge n. 241/1990, non può essere sostituito
dalla s.c.i.a.
Sotto il profilo transitorio la
circolare afferma che per le d.i.a. presentate prima dell’entrata in vigore della
novella dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, anche nell’eventualità in
cui alla data di entrata in vigore non fosse ancora decorso il termine per
l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione, la disciplina
applicabile non può che essere quella vigente al momento della presentazione
della d.i.a., salva la possibilità per il privato di avvalersi degli effetti
della novella presentando, per il medesimo intervento, una s.c.i.a.
2 I problemi di costituzionalità.
L’art. 49, 4° co. bis, l. 122/2010, sicuramente presenta degli aspetti di incostituzionalità
perché,
prevedendo la sostituzione della d.i.a. con la s.c.i.a. anche nelle leggi regionali lede l’autonomia legislativa
delle regioni.
II
testo dell’art. 117, cost., come modificato dall’art. 3, l. cost. 18.10.2001,
n. 3, nel ripartire la potestà legislativa fra Stato e Regioni, distingue tre
principali categorie di materie: quelle riservate in via esclusiva allo Stato,
quelle di legislazione concorrente - per le quali la normativa di dettaglio è
attribuita alle regioni, mentre spetta allo Stato la determinazione dei
principi fondamentali - e quelle di legislazione esclusiva regionale, che hanno
portata residuale.
L’art.
177, 3° co., cost. definisce le materie a legislazione concorrente ove la
potestà legislativa spetta alle regioni, salvo per la determinazione dei
criteri fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.
Il
governo del territorio è oggetto di legislazione concorrente delle regioni con
riserva dello Stato della determinazione dei principi fondamentali (Carbone V.,
La consulta non risolve il problema dell’indennità di esproprio irrisoria
offerta dalla pubblica amministrazione, in Corr. Giur, 2002, 7).
La
dottrina esclude la possibilità per le regioni di introdurre una legislazione incompatibile con i principi fondamentali
fissati dalla legge statale, mentre, per contro, ammette una normativa statale
di dettaglio, poiché, nel disciplinare
la legislazione concorrente, non sembra attribuire la normativa di dettaglio
alle regioni in via esclusiva, ma piuttosto in via principale. Le norme regionali
hanno però la possibilità di integrare i
disposti statali secondo il principio di autocompletamento dell'ordinamento (Centofanti
N., Diritto di costruire. Pianificazione
urbanistica. Espropriazione, 2010, 17).
L’estensione
della s.c.i.a. al settore dell’edilizia viola inoltre le attribuzioni della
Regione in materia di governo del territorio non consentendo un efficace
controllo sull'attività urbanistico-edilizia.
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