1 La tutela del terzo attraverso l’impugnazione del silenzio dell’amministrazione sulla richiesta di provvedimenti repressivi .
Un
primo orientamento giurisprudenziale ha
affermato che la denuncia di inizio di attività è un atto del privato.
Essa
non è, pertanto, autonomamente impugnabile con ricorso al giudice amministrativo.
Per l'istituto
della denuncia di inizio attività edilizia è necessario distinguere, sul piano
della tutela, il rapporto tra denunciante e amministrazione e quello che invece
riguarda i controinteressati all'intervento: nel primo detta denuncia si pone
come atto di parte che consente al privato di intraprendere un'attività in
correlazione all'inutile decorso di un termine, cui è strettamente connesso il
potere di inibizione dell'amministrazione.
L'interessato
può contestare sia per motivi formali, ad es. per decadenza dal termine, sia
sul piano sostanziale in ordine alla sussistenza dei requisiti. A tale potere
resta estraneo, sul piano della qualificazione degli interessi, colui che si
oppone all'intervento giacché la normativa sulla denuncia non prende in
considerazione la sua posizione per qualificarla in senso legittimante, con la
conseguenza che egli non può opporsi, in sede di giurisdizione amministrativa,
all'attività del privato ma può solo chiedere al Comune di porre in essere i
provvedimenti sanzionatori previsti facendo ricorso, in caso di inerzia, alla
procedura del silenzio. (Cons. St.,
sez. V, 22.2.2007, n. 948, in Foro Amm.
Cons. St., 2007, 2, 545).
Tale
orientamento è condiviso da un indirizzo dottrinale che ritiene che la denuncia
non sia un provvedimento amministrativo e che quindi lo ritiene non impugnabile
con il ricorso alla giustizia amministrativa.
Il
terzo danneggiato può rivolgersi al giudice amministrativo per proporre
un’azione contro il comune, che abbia omesso di inibire un’attività
edificatoria consentita da una denuncia di inizio di attività, che il
ricorrente ritiene irregolare (Mandanaro
A. La d.i.a. nel t.u. edilizia e
nella legge obiettivo, in Urb. App., 2002, 149).
La giurisprudenza
riteneva che la normativa sulla denuncia di inizio di attività non prendesse in
considerazione la posizione del terzo per qualificarla in senso legittimante,
con la conseguenza che egli non poteva opporsi, in sede di giurisdizione
amministrativa, all'attività del privato, ma può solo chiedere al Comune di
porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti presentando ricorso, in
caso di inerzia, alla procedura del silenzio.
2 La tutela del terzo con l’impugnazione diretta della s.c.i.a..
Il
più recente indirizzo giurisprudenziale ritiene,
invece, che la d.i.a. sia impugnabile direttamente dal terzo entro 60 giorni
dalla conoscenza del consenso. La svolta è giustificata dal dettato normativo
degli art. 21 quinquies e 21 nonies, l. 241/1990, intr. art. 3,
l80/2005, che prevedono il potere dell’amministrazione di compiere atti di
autotutela in tema di d.i.a. ( Centofanti
N., Diritto di costruire. Pianificazione urbanistica. Espropriazione,
2010, 1069).
Se è
vero che i provvedimenti che l’amministrazione può assumere un via di
autotutela devono avere ad oggetto necessariamente un atto amministrativo, ciò
vuol dire che la d.i.a. è un provvedimento implicito (Riccio M., La d.i.a. è
impugnabile direttamente dal terzo entro 60 giorni dalla conoscenza del
consenso, in Guida Dir., 18, 105).
La giurisprudenza ha ulteriormente meglio definito l'istituto
della denuncia di inizio attività edilizia in parola, precisando, tra l'altro,
per un verso che trattasi di un atto di un soggetto privato e per altro verso
che nella materia in questione la garanzia costituzionale prevista dall'art. 24
della Costituzione impone di riconoscere l'esperibilità anche di un'azione di
accertamento atipica tutte le volte in cui una simile azione risulti necessaria
per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente. (Cons.
Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n.
717).
Il
terzo è legittimato all'instaurazione di un giudizio di cognizione tendente ad
ottenere l'accertamento dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti
previsti dalla legge per la libera intrapresa dei lavori a seguito di d.ia. Il
terzo che intenda agire a tutela della propria sfera giuridica lesa da un
intervento sprovvisto di ogni titolo potrà dunque contrastarlo in giudizio non
già tramite l'impugnazione tesa all'annullamento di un inesistente
provvedimento amministrativo, ma assai più semplicemente richiedendo
l'accertamento della insussistenza dello ius in capo al soggetto agente.
E’
così chiarito il rapporto tra
denunciante, amministrazione e terzo controinteressato.
Il
terzo controinteressato può attivare un giudizio di cognizione volto
all'accertamento della corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato
dall'interessato e di quanto previsto dal progetto ai canoni stabiliti per la
regolamentazione dell'attività edilizia.
Il terzo è legittimato all'instaurazione di
un giudizio di cognizione avverso la denuncia di inizio attività tendente ad ottenere l'accertamento
dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per la
libera intrapresa dei lavori.
Il
terzo che intenda agire a tutela della propria sfera giuridica lesa da un
supposto intervento sprovvisto di ogni titolo potrà dunque contrastarlo in
giudizio non già tramite l'impugnazione tesa all'annullamento di un inesistente
provvedimento amministrativo, ma assai più semplicemente richiedendo
l'accertamento della insussistenza dello jus
in capo al soggetto agente. (T.A.R.
Campania Salerno, sez. II, 8.2.2010, n. 1291):
Così configurandosi il rapporto triadico tra
denunciante, amministrazione e terzo controinteressato, in sede di
giurisdizione esclusiva il terzo controinteressato che contesti la
presentazione di una denuncia di inizio attività associata al successivo silenzio dell'Autorità amministrativa, può
attivare un giudizio di cognizione volto all'accertamento della corrispondenza,
o meno, di quanto dichiarato dall'interessato e di quanto previsto dal progetto
ai canoni stabiliti per la regolamentazione dell'attività edilizia in questione, oltre che
all'eventuale difformità dell'opera realizzata rispetto al progetto anteriormente
presentato in sede di d.i.a. L’azione non soggetta ad alcun termine di
decadenza previsto esclusivamente per la disciplina del processo in sede di
giurisdizione generale di legittimità. (T.A.R. Liguria Genova, sez. I,
18.2.2009, n. 219).
La
posizione giuridica del terzo appare sicuramente compromessa dall’entrata in
vigore dell’art. 49, 4° co. ter
della l. 122 del 2010, in quanto sicuramente l’inizio dell’attività al momento
stesso della presentazione della s.c.i.a.
impedisce l’intervento tempestivo dell’amministrazione - che agisce
anche a tutela dei terzi - e la stessa partecipazione del terzo prima che
l’attività inizi.
3 La tutela penale.
La
norma precisa che ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di
inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei
presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni, ex art. 19, 6° co., l. 7.8.1990, n. 241,
sost. art. 49, 4° bis co., l.
122/210.
La norma aggrava le sanzioni precedentemente previste
dall’art. 23, c. 6, d.p.r. 6
giugno 2001, n. 380, che imponeva l’obbligo al dirigente o al responsabile del servizio di informare
l’autorità giudiziaria nel caso di false
attestazioni del professionista (Italia V., Testo unico sull’edilizia, 2002, 357).
Esse acquistano rilevanza penale, realizzando il
reato di falsità ideologica in certificati punito dall'art. 481, c.p., con la reclusione sino ad un anno e con la
multa da euro 51 a euro 516.
Trattandosi
di abrogazione tacita gli adempimenti disposti dalla normativa precedente non
sembra possano dirsi eliminati.
In
particolare permane l’obbligo di
trasmissione degli atti agli Ordini professionali.
L’amministrazione
che ritenga non veritiere le dichiarazioni presentate deve trasmettere
opportuna comunicazione agli Ordini professionali competenti per l’irrogazione
delle sanzioni disciplinari.
La
conseguenza è che gli Ordini professionali dei Geometri, Architetti ed
Ingegneri devono trasmettere i loro provvedimenti di censura, di sanzione
pecuniaria ovvero di sospensione - o addirittura radiazione nei casi più gravi
- dagli altri Ordini.
L
giurisprudenza precedente ha ravvisato questa fattispecie di reato riconoscendo
al professionista il ruolo di persona esercente un servizio di pubblica
necessità; nell’esercizio dell’azione penale la amministrazione comunale, ove
ravvisi un reato edilizio, si deve porre il problema se nella produzione dei
documenti da parte del professionista vi siano false attestazioni.
Rispondono
del delitto previsto dall'art. 481, c.p., il professionista che redige le
planimetrie e la committente che firma
la domanda fondata sulla documentazione infedele.
Fattispecie
relativa a un progetto di modifica edilizia da cui emergeva una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi (Cass.
pen., sez. V, 8 .3.2000, n. 5098, in Cass.
pen., 2001, 1791).
La relazione
d'asseverazione del progettista allegata alla denuncia d'inizio d'attività edilizia ha natura di certificato, sicché risponde
del delitto previsto dall'art. 481 c.p. il professionista che redige la
suddetta relazione di corredo attestando, contrariamente al vero, la sua
conformità agli strumenti urbanistici (Cass. Pen., sez.
III, 21.10.2008, n. 1818, in CED Cass. Pen., 2008, 242478).
La
giurisprudenza ha affermato da un punto di vista dell’oggetto che le
planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificati ed
autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, da chi esercita una
professione necessitante speciale abilitazione dello Stato, hanno natura di
certificato, poiché assolvono la
funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione intorno
allo stato dei luoghi.
Fattispecie
relativa alla richiesta di autorizzazione all'effettuazione di opere interne per il mutamento di
destinazione dell'ultimo piano di un
fabbricato (Cass. pen., sez. V, 8 .3.2000, in Dir. giust. 2000, f. 23, 60).
Risponde,
pertanto, del delitto previsto dall'art. 481, c.p., il professionista che
rediga relazioni grafiche e planimetrie non conformi allo stato di fatto. La
fattispecie riguarda planimetrie eseguite da un geometra (Cass. pen., sez. V,
23 .4.1993, in Cass. pen., 1995, 54).
Risponde del
reato anche il tecnico preposto all'ufficio comunale che attesti false
certificazioni Nel caso di specie in seno all'ufficio comunale si era
costituita una associazione per delinquere il cui programma criminoso era
costituito dalla realizzazione di reati di falso, fondati su una falsa
interpretazione dello strumento urbanistico vigente che consentiva la
realizzazione di edifici in violazione delle norme urbanistiche e, in
particolare, in violazione degli indici di edificabilità.
I giudici hanno escluso che la interpretazione delle norme urbanistiche, fondata essenzialmente sul fatto che per i comparti si deve fare riferimento, anche per i lotti non edificati e per i lotti interclusi, agli indici di edificabilità vigenti, possa essere frutto di una prassi interpretativa, magari non corretta, ma adottata in buona fede in base alla formulazione delle norme urbanistiche.
Lo schema operativo consisteva nel predisporre false schede tecniche con indici di edificabilità non rispondenti a quanto stabilito dalle norme e nel fornire un falso parere alla commissione edilizia in modo da indurre in errore i commissari ed ottenere un permesso di costruire altrimenti non conseguibile.
I giudici hanno escluso che la interpretazione delle norme urbanistiche, fondata essenzialmente sul fatto che per i comparti si deve fare riferimento, anche per i lotti non edificati e per i lotti interclusi, agli indici di edificabilità vigenti, possa essere frutto di una prassi interpretativa, magari non corretta, ma adottata in buona fede in base alla formulazione delle norme urbanistiche.
Lo schema operativo consisteva nel predisporre false schede tecniche con indici di edificabilità non rispondenti a quanto stabilito dalle norme e nel fornire un falso parere alla commissione edilizia in modo da indurre in errore i commissari ed ottenere un permesso di costruire altrimenti non conseguibile.
Risponde
di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale
anche il privato che alleghi, a corredo
della richiesta di permesso di costruire, documentazione non veritiera redatta
da professionista qualificato che assolve il pubblico servizio di fornire
all'Amministrazione comunale esatte informazioni sullo stato dei luoghi e del
ristrutturando manufatto, così inducendo in errore il pubblico ufficiale
destinatario della richiesta ( Cass. Pen., sez.
V, 4 .6.2009, n. 38332, in CED Cass. Pen., 2009, 244913).
La giurisprudenza ha affermato che non integra
gli estremi costitutivi della fattispecie di falso ideologico in certificati
commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, ex art. 481 c. p., la condotta di colui che, in
qualità di geometra, redattore del progetto e della relazione allegati alla
denuncia di inizio di attività presentata al locale Comune, attesti che
essa sia preordinata alla realizzazione di una vasca interrata destinata alla
raccolta di acqua anziché alla realizzazione di una piscina
La relazione allegata alla denuncia di
inizio di attività ha natura di certificato solo in
relazione alle attestazioni relative allo stato dei luoghi ed alla correlata
dichiarazione di compatibilità delle opere realizzande con gli strumenti
urbanistici vigenti.
In applicazione di questo principio la Suprema
Corte - censurando la decisione del giudice di merito che nella specie ha
ritenuto integrato il reato di cui all'art. 481 c.. p. - ha affermato in
motivazione che l'attestazione della volontà del committente non assume i
connotati di una realtà oggettiva percepibile sensorialmente e verificabile
alla stregua di un'errata indicazione progettuale di misure ed estensioni non
conformi allo stato dei luoghi e non ha, pertanto, natura di certificato, dovendosi
intendere per tale solo l'attestazione di fatti oggettivi percepiti con i sensi
in atto destinato a provare la verità. (Cass. Pen. , sez. V, 11.11. 2009, n. 74089).
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