1. La responsabilità del dirigente e quella dell’amministrazione.
La giurisprudenza
amministrativa ha raggiunto le seguenti conclusioni sull'elemento soggettivo
che va ricondotto alla nozione di colpa d'apparato.
L'azione
amministrativa costituisce, normalmente, il risultato dell'apporto di più
organi ed uffici, cosicché, la circostanza che la norma da applicare promani
dallo stesso Ente chiamato ad applicarla non implica tra le due azioni il
rapporto di necessaria coerenza sopra ipotizzato, ben potendo queste essere
compiute da agenti diversi. Nella valutazione dell'elemento soggettivo del
fatto che ha provocato il danno lamentato, il giudice deve riferirsi all'Ente
riguardato nella sua complessiva struttura ovvero come apparato. (T.A.R. Sicilia
Palermo, sez. II, 2.4.2008, n. 436).
A parametro del
giudizio sulla colpa occorre, allora, assumere la stessa regola disciplinatrice
dell'azione dell'Amministrazione .
Tale nozione deve
essere correttamente intesa osservando che il giudice deve formulare il
giudizio sulla colpevolezza dell'amministrazione, affermandola quando la
violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in
un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e
l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e, viceversa,
negandola quando l'indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore
scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza
del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di
fatto.( Cons. St., 5500/2004).
L'onere probatorio
relativo all'elemento soggettivo è particolarmente tenue per il preteso
danneggiato, dovendo l'amministrazione dimostrare che l'illegittimità
provvedimentale rimonta etiologicamente ad un errore scusabile.
Il privato
danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale
indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a
dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetta a quel punto
all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile,
configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di
una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di
rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di
altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di
incostituzionalità della norma applicata.(Cons. Stato, sez. VI, n. 6607/2006).
La
responsabilità per danni dei dirigenti comunali sussiste sono per i
provvedimenti da essi emanati.
Bisogna quindi
distinguere se la responsabilità del diniego è del dirigente o di un atto
preparatorio disposto da altra autorità.
La
giurisprudenza ha sempre tenuto distinta la posizione del dirigente da quella
degli altri organi consultivi quali ad esempio la commissione edilizia.
La domanda di
risarcimento del danno per illegittimità del diniego di permesso di costruire non
è ammissibile nel caso in cui non si abbia la certezza che il provvedimento
autorizzatorio debba essere rilasciato; né l'esistenza di un siffatto obbligo
può essere dichiarata dal g.a., dal momento che la sua giurisdizione esclusiva
in materia non si estende al merito amministrativo.
Nel caso di specie,
poiché il diniego è stato annullato a causa di un difetto di motivazione del
parere presupposto, sussiste l'obbligo per le amministrazioni interessate di
riesaminare la relativa domanda con salvezza degli ulteriori provvedimenti, di
conseguenza non è ancora possibile affermare che il richiesto permesso di
costruire debba essere effettivamente rilasciato (T.A.R. Marche, 9.5.2002, n.
363, in Foro Amm. T.A.R., 2002,
1591).
Nel caso di un
provvedimento autorizzatorio di competenza Ministero dei beni culturali nessun
addebito può essere formulato per il mancato rilascio del provvedimento
autorizzatorio finale del comune.
La giurisprudenza
ha sancito che la pronuncia di illegittimità del decreto con cui il Ministero
dei beni culturali annulla il nulla osta rilasciato dalla Regione ai sensi
dell'art. 7, l. 1497 del 1939, per la rimozione del vincolo paesistico che
condiziona l'espansione dello ius aedificandi del privato, costituisce
il fondamento dell'elemento colposo della responsabilità aquiliana della stessa
amministrazione, posto che la dichiarata illegittimità dell'atto corrisponde
alla accertata violazione da parte dell'amministrazione del corretto esercizio
del potere di annullamento ad essa attribuito dall'art. 82, 9° co., d.p.r. n.
616 del 1977.
Non può
individuarsi alcun profilo di colpa, invece, riguardo all'amministrazione
comunale che, per il rapporto di pregiudizialità che intercorre tra nulla osta
regionale e permesso di costruire, è tenuta a sospendere il provvedimento
concessorio a seguito del decreto ministeriale di annullamento, senza che per
essa residui alcun ambito di discrezionalità (Trib. Milano, 16.3.2000, in Urb.
App., 2000, 1104).
La
quantificazione del danno spetta al ricorrente che non ha, però, l’onere di
fornire la prova del risarcimento del danno e della sua quantificazione già nel
ricorso introduttivo.
2. L’equa riparazione nel ritardo processuale disposta dalla l. 89/2001.
La l. 89/2001 -
la così detta Legge Pinto - disciplina la previsione di equa riparazione in caso
di violazione del termine ragionevole del processo e modifica l’art. 375 del
c.p.c.
Tale normativa
ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della magistratura
interna.
Il cittadino che
ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa della violazione
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine ragionevole di cui
all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa riparazione, art. 2,
l. 24.3.2001, n. 89.
In caso di un
eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine ragionevole, con
l’entrata in vigore della l. 89/2001, gli interessati possono richiedere
l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non
patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto riguarda i
processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che la norma
individua nella Corte d’appello, ex art.
3, l. 24.3.2001, n. 89.
La Corte deve
formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con decreto
immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione.
La
giurisprudenza ha precisato che il ritardo non deve essere determinato da
procedimenti dilatori mesi in atto con il consenso del ricorrente.
Correttamente il
giudice dell'equa riparazione tiene conto in detrazione alla durata complessiva
del processo del dispendio temporale cagionato dalle richieste di rinvio delle
parti, quale che sia la parte che abbia fatto istanza di differimento.
Ben può,
infatti, la parte che nel giudizio di merito si senta danneggiata dal
prolungamento temporale, opporsi al rinvio richiesto da altri soggetti in
causa, sicché, se abbia, anche implicitamente, acconsentito al rinvio richiesto
da controparte, non può poi dolersene, pretendendo di ascrivere il ritardo che
ne è conseguito, al mancato esercizio dei poteri conduzione e quindi valutarlo
in termini di irragionevolezza (Cass. Civ., sez.
I, 5.3.2004, n. 4512).
La decisione
della Corte Europea può coesistere con quella del giudice nazionale qualora il
danno, che è stato già oggetto di risarcimento, prosegua nel tempo.
La
giurisprudenza ha precisato che ove la Corte europea dei diritti dell'uomo
abbia già accertato che il ritardo non giustificato nella definizione di un
processo, in violazione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, abbia prodotto conseguenze non
patrimoniali in danno del ricorrente, e abbia quindi riconosciuto in suo favore
un'equa riparazione ex art. 41 della convenzione, da tale pronuncia deriva un
obbligo per il giudice nazionale adito ai sensi della sopravvenuta l.
24.3.2001, n. 89 .
Il giudice
nazionale una volta che abbia accertato, con riferimento allo stesso processo
presupposto, il protrarsi della medesima violazione nel periodo successivo a
quello considerato dai giudici di Strasburgo - deve indennizzare, in
applicazione della citata legge, l'ulteriore danno non patrimoniale subito
dalla medesima parte istante.
Detto danno deve
essere liquidato prendendo come punto di
riferimento la liquidazione già effettuata dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo dalla quale è peraltro consentito differenziarsi, sia pure in misura
ragionevole.
Nè detta
indennizzabilità può essere esclusa sul rilievo dell'esiguità della posta in
gioco nel processo presupposto: sia perché la Corte europea ha ritenuto
sussistente il danno non patrimoniale per il ritardo nello stesso processo; sia
perché, più in generale, l'entità della posta in gioco nel processo ove si è
verificato il mancato rispetto del termine ragionevole non è suscettibile di
impedire il riconoscimento del danno non patrimoniale.
L'ansia ed il
patema d'animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente
anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco, onde tale aspetto può
avere un effetto riduttivo dell'entità del risarcimento, ma non totalmente
escludente dello stesso (Cass. Civ., sez.
un., 26.1.2004, n. 1339, in Giur. It., 2004, 944).
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