1 L’azione ordinaria per l’impugnazione del silenzio diniego.
La giurisprudenza
afferma che, quando la previsione legislativa è chiara nell'attribuire al
silenzio dell'amministrazione, protratto per lo spatium temporis ivi
definito, il valore legale tipico di un atto amministrativo avente contenuto
negativo, inl questo caso siamo di fronte al silenzio diniego dell’istanza che
può essere impugnato dal richiedente. (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I,
8.3.2006, n. 1173).
Il g.a. si è posto
la questione relativa all'esperibilità del rito speciale avverso il cd.
silenzio rigetto, vale a dire nei casi in cui l'omessa pronunzia espressa dell'Amministrazione
assume il valore legale di rigetto della domanda proposta dal privato.
La questione è
valutata negativamente dalla giurisprudenza prevalente ( Cons. Stato, sez. V, 4
.4.2002, n. 1879)
Seguendo lo stesso
indirizzo la norma dell’art. 117, d.lgs. 104/2010, assume come chiaro
riferimento le ipotesi di silenzio inadempimento.
La mancata menzione
nella novella legislativa delle ipotesi di silenzio rigetto (o diniego),
pertanto, costituisce omissione giuridicamente significativa, con la conseguenza
che devono tuttora considerarsi sottratti all'ambito applicativo dell'art. 117,
d.lgs. 104/2010, tanto i casi di silenzio con valore di assenso quanto quelli
con valore di rigetto della domanda, tutti soggetti al normale regime di
impugnazione degli atti amministrativi.
Il silenzio
rigetto/diniego può essere impugnato solo nelle forme ordinarie di rito (T.A.R.
Sicilia, Catania, sez. I, 17 .10.2005, n. 1723).
2 L’azione ordinaria del terzo contro il silenzio assenso.
Nel caso di
silenzio assenso - specificatamente nel caso di denuncia di inizio di attività
e lo stesso può ora dirsi nel caso di segnalazione certificata di inizio di
attività - la giurisprudenza prevalente ritiene che il terzo sia legittimato
all'instaurazione di un giudizio di cognizione tendente ad ottenere
l'accertamento dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti
dalla legge per la libera intrapresa dei lavori a seguito della domanda
inoltrata alla p.a.
Il g.a. ritiene
irragionevole, oltre che lesivo del principio di effettività della tutela
giurisdizionale, che il terzo controinteressato incontri limiti di tutela
diversi a seconda della qualificazione del titolo di cui sia in possesso
l'altra parte.
Il terzo che
intenda agire a tutela della propria sfera giuridica lesa da un supposto
intervento sprovvisto di ogni titolo può dunque contrastarlo in giudizio non
già tramite l'impugnazione tesa all'annullamento di un inesistente
provvedimento amministrativo, ma assai più semplicemente richiedendo
l'accertamento della insussistenza dello ius
in capo al soggetto agente.
Così configurandosi
il rapporto triadico tra denunciante, amministrazione e terzo
controinteressato, in sede di giurisdizione esclusiva il terzo
controinteressato che contesti la presentazione di una denuncia di inizio
attività associata al successivo silenzio dell'autorità amministrativa, può
attivare un giudizio di cognizione volto all'accertamento della corrispondenza,
o meno, di quanto dichiarato dall'interessato e di quanto previsto dal progetto
ai canoni stabiliti per la regolamentazione dell'attività edilizia in
questione, oltre che all'eventuale difformità dell'opera realizzata rispetto al
progetto anteriormente presentato in sede di d.i.a.
Per la
giurisprudenza l’azione non è soggetta ad alcun termine di decadenza.
Esso è previsto
esclusivamente per la disciplina del processo in sede di giurisdizione generale
di legittimità.(T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 14.5.2008 , n. 111).
3 L’ammissibilità di una azione costitutiva contro il silenzio inadempimento dell'amministrazione.
La dottrina
considera in crisi il processo amministrativo, in quanto la tutela
giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione appare insufficiente.
Nelle
controversie che si caratterizzano per la presenza di soggetti muniti di poteri
di supremazia, il sistema di giustizia amministrativa non è in grado di
proteggere i cittadini in maniera consona all’ampiezza e alla profondità della
tutela voluta dalla costituzione
Il processo
amministrativo, costruito secondo il modello impugnatorio teso alla demolizione
dell’atto impugnato, mostra di non essere adeguato agli schemi di una società
che necessita di provvedimenti che diano una risposta immediata alle esigenze
del ricorrente.
Questi, invece,
una volta ottenuta una sentenza che accerti il suo buon diritto, deve
ulteriormente attivarsi affinché l’amministrazione - o, successivamente, il
magistrato in sede di ottemperanza - si adegui al giudicato.
Il meccanismo
processuale, poi, qualora l’amministrazione risulti inadempiente alle istanze
presentate, non risulta neppure calibrato secondo schemi paritari.
La
dottrina rileva che il modello
processuale mostra la sua inadeguatezza, innanzi tutto, ogni qual volta venga
meno il nesso di presupposizione logica e giuridica che lega l’esperimento
della possibilità di difesa al previo esercizio del potere da parte
dell’autorità: in tutte le ipotesi nelle quali il soggetto privato abbia nei
confronti dell’autorità una pretesa di esercizio di un potere di scelta, dal
quale dipenda l’attribuzione di una utilità; la mancata emanazione dell’atto da
parte del soggetto titolare del pubblico potere vanifica la possibilità di
adoperare efficacemente il mezzo di tutela processuale (Murgia S., Crisi del
processo amministrativo e azione di accertamento, in Dir. Proc Amm.,1996,
244).
Il
divario tra bisogni di tutela e rimedi giurisdizionali è più evidente proprio
nelle ipotesi di silenzio inadempimento (Caringella F., Corso di diritto
amministrativo, 2004, 1300).
Il legislatore a
fronte di un comportamento inerte della pubblica amministrazione è arrivato a
teorizzare l’esistenza di un atto inesistente proprio per la difficoltà di
staccarsi dal modello tradizionale di giudizio impugnatorio. (Caringella F., Corso
di diritto processuale amministrativo, 2005, 943).
La
giurisprudenza precedente ha affermato che il giudizio disciplinato
dall'articolo 21 bis , l. 1034/71,
benché collegato, sul piano logico - sistematico, al dovere imposto a tutte le
amministrazioni pubbliche di concludere tutti i procedimenti, mediante
l'adozione di provvedimenti espressi, nei casi in cui essi conseguano
obbligatoriamente ad una istanza ovvero debbano essere iniziati d'ufficio, ex
art. 2 , l. 7 agosto 1990, n. 241, postula pur sempre l'esercizio di una
potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si
configura come un interesso legittimo: solo in tale prospettiva, infatti, trova
razionale giustificazione la ratio
del predetto giudizio, volto - com'è noto - ad accertare se l'amministrazione
abbia, con il silenzio, violato il predetto obbligo di provvedere (Cons. St.,
A. P., gennaio 2002, n. 1).
Scopo
del ricorso avverso il silenzio rifiuto è, quindi, quello di ottenere un
provvedimento esplicito dell'amministrazione che elimini lo stato di inerzia e
assicuri al privato una decisione che investe la fondatezza o meno della sua
pretesa, fermo restando, in ogni caso, che al giudice adito non è concesso di
sindacare il merito del procedimento amministrativo non portato a compimento,
dovendo egli limitarsi a valutare l'astratta accoglibilità della domanda del
privato, senza sostituirsi agli organi di amministrazione attiva circa gli
apprezzamenti e le scelte discrezionali, che restano di esclusiva competenza di
questi ultimi (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 2.3.2010, n. 1244).
3.1 Il termine per l’impugnazione nella l. 241/1990.
Il soggetto che
intenda reagire contro l'inerzia della p.a. aveva l'onere di seguire il rigoroso
iter ordinario, caratterizzato, ai sensi dell'art. 25, t.u. 10.1.1957,
n. 3, dalla presentazione di un'istanza e dal silenzio protrattosi per almeno
sessanta giorni dalla successiva diffida a provvedere entro un congruo termine,
comunque non inferiore a trenta giorni, notificata secondo la procedura
prevista per gli atti giudiziari.
Con l’entrata in
vigore della legge sull’accesso al procedimento amministrativo la
giurisprudenza amministrativa appare orientata nel senso della diretta
incidenza dell’art. 2, l. 241/1990, sul procedimento di formazione del
silenzio, consentendone la immediata impugnabilità.
Essa ritiene che
il comportamento omissivo della pubblica amministrazione possa essere impugnato
avanti al giudice amministrativo una volta che sia decorso il termine previsto
per la conclusione del procedimento espressamente indicato ovvero quello di
trenta giorni previsto in via generale dallo stesso art. 2, l. 241/1990.
Alcune sentenze
hanno, pertanto, affermato che, a seguito dell'entrata in vigore della l.
7.8.1990, n. 241, di fronte al silenzio della p.a. non sono più necessarie, ai
fini della proposizione del ricorso giurisdizionale, la diffida e la messa in
mora di cui all'art. 25, t.u. 10.1.1957 n. 3, atteso che, una volta decorso
inutilmente il termine essenziale stabilito per l'espressa e motivata
conclusione del procedimento amministrativo, l'inadempimento di tale obbligo da
parte della p.a. procedente è in re ipsa e può quindi essere
immediatamente denunciato in via di azione.
I
primi tre commi dell'art. 2, l. 7.8.1990, n. 241, hanno introdotto
nell'ordinamento, tra l'altro, un procedimento di formazione automatica del
silenzio, notevolmente diverso rispetto alla duplice sequenza istanza del
privato - successiva diffida giudizialmente notificata, finora utilizzata:
deve, quindi, concludersi, per la non necessità, dopo la l. n. 241 del 1990,
dell'utilizzo dei meccanismi previsti dall'art. 25, d.p.r. 10.1.1957, n. 3, e
per la possibilità d'impugnare direttamente il silenzio-rifiuto in sede giurisdizionale
una volta decorso il termine per la conclusione del procedimento (T.A.R. Puglia, sez. I, Lecce, 25.6.1996, n.
574).
L’orientamento
prevalente della giurisprudenza è, però, in senso contrario.
Esso ritiene che
l’azione giurisdizionale non possa essere esperita senza che sia annunciata,
mediante rituale notifica di un atto di diffida e messa in mora, la volontà del
ricorrente di adire il giudice amministrativo.
La
giurisprudenza ritiene che la suddetta messa in mora non sia una mera
formalità.
Essa è
preordinata a fissare il termine ultimo entro il quale l’amministrazione può
evitare il contenzioso emanando il relativo provvedimento richiesto, sia
favorevole che contrario a quanto formulato dal ricorrente nella sua istanza.
Il soggetto che
intenda reagire contro l'inerzia della p.a. ha, pertanto, l'onere di seguire il
rigoroso iter ordinario, caratterizzato, ai sensi dell'art. 25, t.u.
10.1.1957, n. 3, dalla presentazione di un'istanza e dal silenzio protrattosi
per almeno sessanta giorni dalla successiva diffida a provvedere entro un
congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni, notificata secondo la
procedura prevista per gli atti giudiziari. (Cons. St., sez. V, 11.11.2004, n.
7331).
Solo quando il
procedimento è concluso e si è formato il silenzio - inadempimento,
l'interessato ha facoltà di proporre ricorso giurisdizionale, entro sessanta
giorni decorrenti dalla scadenza del termine assegnato con l'atto di diffida,
non essendo consentita l'immediata impugnazione del silenzio conseguente alla
mancata risposta all'istanza formulata dal privato, ma non seguita dalla
formale diffida dell'amministrazione (T.A.R. Campania, sez. II, Napoli, 4 .1.
2000, n. 2).
La giurisprudenza
ha stabilito che non può formarsi il silenzio - rifiuto in relazione
all'inadempimento da parte dell'Amministrazione di un ordine impartito dal
giudice, trattandosi di rimedio concepito quale strumento di reazione
all'inerzia dell'Amministrazione stessa laddove la posizione soggettiva
azionata dal privato si connoti in termini di interesse legittimo.
Diversamente, a fronte di un provvedimento giurisdizionale che riconosca la fondatezza
della pretesa azionata in giudizio si configura una posizione di diritto
soggettivo per la cui tutela l'ordinamento appresta diversi strumenti di
reazione quale il giudizio per l’ottemperanza (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 7.5.2010,
n. 1746).
3.2 I termini per ricorrere nel d.lgs. 104/2010.
Quando sussiste
un comportamento inadempiente dell’ente è configurabile un’azione tesa ad
ottenere un provvedimento che può essere positivo o negativo; ad essa può
essere dato inizio in ogni momento per tutta la durata del comportamento
inadempiente dell’amministrazione.
Al silenzio inadempimento
non viene riconosciuto alcun significato o valore provvedimentale; non si
tratta né del silenzio accoglimento né del silenzio diniego. (Corrado A. Tempi
dimezzati per il deposito dei ricorsi. L’accesso apre il capitolo dei riti
speciali, in Giuda Dir. , 2010,
n. 33, 50).
Formatosi il silenzio
rifiuto, inizia a decorrere il termine, previsto a pena di decadenza, entro il
quale è necessario presentare il ricorso al T.A.R.
Il termine per
proporre il ricorso decorre dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento e cessa, comunque, trascorso un anno da detta scadenza.
L’art. 31 e l’art. 117, d.lgs.
2 .7. 2010, n.104., ripropongono i principi fissati da
ultimo dall’art. 7, l. 69/2009, affermando che, decorsi
i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha
interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di
provvedere. (Gallo C.E., Il codice del processo amministrativo: una
prima lettura, in Urb. app.
2010, 1018).
L'azione
può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non
oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento .
L’istanza di avvio del procedimento può essere reiterata nel caso in cui siano
scaduti i termini per proporre il ricorso ove ne
ricorrano i presupposti, salvo evidentemente il fatto che l’amministrazione abbia già preso una
decisione in merito.
L’art.
32, d.lgs. 2 .7.2010,
n.104, precisa
che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse
proposte in via principale o incidentale . Se le azioni sono soggette a riti
diversi, si applica quello ordinario.
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