. Le distanze tra
le costruzioni.
Il codice civile, in materia di
distacco fra edifici, ha seguito un preciso criterio, vale a dire impedire che
fra due immobili appartenenti a proprietari diversi potessero crearsi le
cosiddette intercapedini dannose, vale a dire spazi decisamente ristretti, in
cui si riesce difficilmente a penetrare e dove, pertanto, si possono accumulare
rifiuti o annidare insetti o animali ecc.
Il codice civile ha congegnato un sistema di distanze
mediante il quale questo effetto dannoso sia sempre evitato, ma nel fare ciò ha
avuto cura di preservare la parità di trattamento fra proprietari vicini, sì
che ciascuno debba sopportare l’identico sacrificio imposto all’altro
(Gambaro
1995, 534).
L’esigenza di prevenire la formazione
di intercapedini strette ed insalubri è alla base della normativa introdotta in
via generale dall’art. 873 c.c.
La
norma ha, pertanto, di mira l’interesse della collettività, fissando
imperativamente un distacco fra costruzioni in una misura minima (tre metri)
ritenuta sufficiente a soddisfare le esigenze igieniche e di sicurezza degli
abitanti. In questa prospettiva emerge con chiarezza la funzione sociale dei
limiti posti al diritto di proprietà in materia di distanze fra costruzioni e
la sostanziale inesattezza delle tesi che vedono in tali limiti il concretarsi
di servitù.
(Galletto
1990, 464).
Per intercapedine si intende uno spazio
vuoto e scoperto fra due fabbricati, esposto alle intemperie e tale da creare
pericolo per l’igiene e la sicurezza dei medesimi.
L’art. 873 c.c. stabilisce una
presunzione iuris o de iure di dannosità o pericolosità
delle intercapedini inferiori ai tre metri, considerando lecito, peraltro, che
tale misura minima possa essere aumentata nei regolamenti locali.
Di conseguenza, nel caso che venga
accertata la violazione delle distanze fra costruzioni, secondo una corretta
interpretazione della norma, deve essere preclusa al giudice ogni indagine per
verificare se l’intercapedine in questione rechi pregiudizio per l’igiene e la
sicurezza.
E’, infatti, la stessa legge che
afferma che solamente con il rispetto di determinate distanze fra costruzioni
viene garantita la finalità sociale che la normativa si prefigge di conseguire.
Il meccanismo adottato in materia dal
codice civile è sì sofisticato, ma anche limitato a quei settori che sono
tradizionalmente considerati dal diritto privato.
E’, però, indubbio che la disciplina
che detta le norme per le costruzioni deriva dai procedimenti pianificatori che
rientrano nel governo del territorio.
La disciplina della proprietà è
compresa nello schema della pianificazione territoriale, che prevede una serie
di procedimenti che portano ad atti conformativi della proprietà dei singoli
beni, come del resto determina l’art. 869 c.c.
Nella visione tipica dei rapporti di
vicinato ogni privilegio, potere ed immunità su ciascun bene attribuito
dall’ordinamento al suo proprietario deve essere automaticamente attribuito al
bene del suo vicino, visto che, inevitabilmente, a ogni proprietà vengono date
forma e proporzioni anche in funzione di quella vicina.
La dottrina attuale scinde decisamente
pubblico e privato, per cui le relazioni che riguardano la conformazione della
proprietà dei singoli beni sono divise, considerando rapporti di diritto
pubblico quelli che intercorrono fra il singolo privato e la p.a. e, invece,
rapporti di diritto privato quelli che intercorrono fra vicini.
La
ratio delle norme civilistiche è
sempre stata indicata nella disciplina dei rapporti di vicinato, con la
conseguenza di negare alle stesse la rilevanza pubblicistica, che si sarebbe
dovuto loro riconoscere, qualora le stesse, in quanto contenute nella
normazione urbanistica, fossero state ritenute poste a tutela di interessi
generali
(Pagliari
1998, 298).
Da questa contrapposizione base ne nascono
altre, come quella, ad esempio, fra disciplina delle costruzioni integrativa e
non integrativa delle norme del codice civile, per cui vi è attrito tra le
conseguenze operative che si vogliono trarre dalla divisione tra pubblico e
privato e dal concetto di proprietà conformata.
La conseguenza peggiore, tuttavia, è
che ogni volta viene messo in discussione il principio della parità di
trattamento, mantenuta dal codice civile, che deve essere rispettato anche
quando si ricorra ad altre forme tecniche di conformazione della proprietà
edilizia.
I proprietari confinanti che devono
costruire edifici ad una stessa distanza possono o erigerli in aderenza o
distanziare i due immobili di almeno tre metri l’uno dall’altro.
Il codice non prevede l’obbligo per i proprietari
di accordarsi in tal senso, ma stabilisce un meccanismo quasi automatico che
permette di operare senza tale necessità.
Naturalmente i proprietari confinanti
possono accordarsi di propria iniziativa.
4. Modalità di
misurazione delle distanze.
Criterio fondamentale per la
misurazione è che la distanza legale fra la costruzione ed il confine o un
altro fabbricato deve essere rispettata in ogni punto della stessa costruzione.
Altro criterio è la necessità di
considerare sempre gli edifici esistenti nel terreno limitrofo, anche se gli
strumenti urbanistici ne prevedano la demolizione e la ricostruzione.
Fa eccezione il caso in cui sia già
stato emesso un ordine di abbattimento.
Qualora esistano rientranze e sporgenze
il calcolo delle distanze si fa più problematico.
Nell’ipotesi
di fondi separati dal terreno di un terzo, largo meno del prescritto distacco
minimo, la giurisprudenza ha negato che per il computo delle distanze occorra rendere
i fondi idealmente confinanti sulla mezzeria del terreno che li separa, in
quanto, invece, la distanza va calcolata dal confine che separa il terreno
intermedio dall’altro fondo
(Galletto
1990, 468).
La giurisprudenza consente solo
un’interpretazione tassativa delle norme sulle distanze.
Se il fabbricato non segue una linea
retta la distanza prevista deve essere computata in corrispondenza delle
rientranze e sporgenze del fabbricato costruito per primo, non essendo
consentita una linea media che compensi rientranze e sporgenze.
Quando
le norme sulle distanze devono osservarsi rispetto ad un'altra costruzione
realizzata non secondo una linea retta, ma secondo una linea spezzata non è
giuridicamente configurabile una distanza media rispetto alle rientranze e
sporgenze della costruzione di riferimento, come effetto della compensazione
tra distanze minime e massime dalla stessa.
Fattispecie
relativa alla norma di cui al programma di fabbricazione del comune di Loro
Piano la quale prescrive fra le costruzioni un distacco minimo di metri 10 e
centimetri 40
(Cass.
civ., sez. II, 20 marzo 1998, n. 2975, FI,
1998, I, 2469).
Quando
una costruzione sia stata realizzata non già lungo una linea retta, ma lungo
una linea spezzata, ora coincidente con il confine, ora no, il vicino deve
rispettare le distanze imposte dalla legge computate dalle sporgenze e
rientranze dell'altrui fabbricato.
Quando
tali distanze siano state osservate, non sono configurabili nuove intercapedini
vietate e sussiste l'interesse del proprietario che abbia costruito per primo
affinché i distacchi siano mantenuti da ciascun punto del suo edificio
(Cass.
civ., sez. II, 15 dicembre 1993, n. 12419, GCM,
1993).
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